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I, VOIDHANGER MAGAZINE - INTERVISTE

 


Sahg Bloody Sahg
di Voidhanger

 

Il fenomeno Sahg non finisce di stupire. Prima pubblicano un disco, “Sahg I”, che è uno splendido tributo all’hard rock dei ’70, ma rivisitato in chiave doom moderna e con interessanti spunti psichedelici. Poi, ed è notizia recente, sbancano le charts norvegesi piazzandosi al 15° posto. Roba che solitamente accade a gruppi del calibro dei Tool, piuttosto che a musicisti underground finora alle prese coi marginali successi delle band principali, Manngard e Audrey Horne. Non crediamo neppure che abbiano influito i trascorsi di alcuni membri dei Sahg nei Gorgoroth. La verità è che il debutto dei norvegesi ha il fascino dei grandi dischi del passato, quelli che potevi ascoltare d’un fiato trovando sorprese ad ogni angolo. L’uso copioso del mellotron e gli arrangiamenti psichedelici concorrono a farne un disco senza tempo, che rinverdisce una tradizione a cui sono devoti tanto i gruppi doom della prima ora, quanto i più oscuri esponenti del grunge anni ’90. Ce lo ha confermato Olav Iversen, cantante e chitarrista della band.

Olav, vi facciamo innanzitutto i complimenti. È di questi giorni la notizia che il vostro album di debutto si è piazzato alla quindicesima posizione della classifica norvegese…
Molte grazie. L’attenzione che abbiamo ricevuto è impressionante e totalmente inaspettata. Siamo estremamente soddisfatti dei riconoscimenti ottenuti con un album di cui noi stessi andiamo orgogliosi. Significa veramente molto.

Ci sono dei brani nel disco che preferisci rispetto agli altri? E perché?
Per me è davvero impossibile scegliere delle tracce preferite, penso che tutte le canzoni del disco abbiano delle qualità peculiari.
‘Parade Macabre’ e ‘Repent’ costituiscono la doppietta perfetta per aprire l’album. La prima prepara il terreno creando una certa atmosfera, mentre ‘Repent’ è edificata su una potenza maestosa. ‘The Executioner Undead’ continua sullo stesso solco, accelerando il tempo di marcia. ‘Rivers Running Dry’ ha un bel groove, uno di quelli che dal vivo funzionano molto bene. Di ‘Godless Faith’ siamo particolarmente orgogliosi per via delle sue atmosfere dark incoronate da un bel ritornello e alcuni deliziosi passaggi acustico-psichedelici. ‘Soul Exile’ torna a spingere sull’acceleratore, mentre ‘Black Passage’ chiude le danze in modo epico.

Cosa vuol dire il termine Sahg in lingua norvegese? O si tratta di una parola di vostra invenzione?
In norvegese ‘Sag’ indica una sega, lo strumento che serve per tagliare gli alberi. Tutto è cominciato con un’idea bizzarra che ci venne parecchi anni fa: quella di una concept-band che si esibisce su un palco coperto da segatura e con motoseghe elettriche come parte integrante dello spettacolo. Nel corso del tempo l’idea è cambiata, ma il nome è rimasto, e per noi ha cambiato senso del tutto. Abbiamo aggiunto ad esso la lettera ‘h’ per evitare fraintendimenti con la lingua inglese. Adesso ‘Sahg’ è solo il nome della nostra band, senza alcuna connessione al suo significato originario.

Sappiamo che molti di voi provengono da svariate formazioni metal: Audrey Horne, Manngard e persino Gorgoroth. Quali dunque le ragioni per dar vita ai Sahg? Le vostre band non erano abbastanza appaganti?
La ragione fondamentale va ricercata nell’urgenza espressiva che ci contraddistingue, nella comune ispirazione per il metal pionieristico degli anni ’70. Tutti noi siamo cresciuti ascoltando quella musica, anche se per ragioni d’età non abbiamo vissuto quegli anni in prima persona e non possiamo dirci parte di quell’epoca musicale. Ma quello è il rock che ci ha ispirato al punto da convincerci a imbracciare gli strumenti, e ci accompagna sin dall’infanzia. Attraverso i Sahg gli rendiamo omaggio in modo molto differente rispetto agli altri nostri progetti.

Più nel dettaglio, come sono nati i Sahg?
Thomas Tofthangen (lead guitar) e King (basso) hanno avuto l’idea della band. Da anni facevamo parte della scena di Bergen, e credo che questo sia il motivo per cui siamo stati coinvolti. Avevamo gli stessi gusti, e inoltre ci conoscevamo bene a vicenda, dato che tutti ci eravamo trovati a suonare e collaborare in svariate altre formazioni precedenti ai Sahg. Potremmo dire che la line-up dei Sahg era pronta e definita prima ancora che il gruppo cominciasse a scrivere, e quando il batterista Kvitrafn ha dovuto lasciare, Tor è stato il suo naturale rimpiazzo.

Come descriveresti “Sahg I” a chi non l’ha ancora ascoltato?
Si tratta di un album con un forte influenza heavy metal anni ’70, sia stilisticamente che dal punto di vista dei suoni. Ma era importante per noi non scimmiottare i Black Sabbath, non finire con l’esserne una mera copia, perciò abbiamo aggiunto anche qualcosa di nuovo. Penso che sia un disco con una grande varietà di brani, a dimostrazione delle tante idée musicali a cui abbiamo attinto. Per farla breve, per descrivere ‘Sahg I’ userei questi aggettivi: monumentale, heavy, dark e atmosferico.

Enslaved a parte, non è cosa di tutti giorni che dei musicisti navigati decidano di passare dal black metal all’heavy rock psichedelico. Cosa c’è di così speciale in questa musica da garantirgli una tale vitalità attraverso i decenni?
Credo che gran parte del suo segreto è che molta della musica metal di oggi affonda le radici proprio nei ’70. Fu allora che nacque l’intero genere metal, con band come Black Sabbath e Deep Purple. Pertanto trovo naturale per dei musicisti di estrazione metal sentire il bisogno di risalire a quelle radici, per scoprire dove tutto ebbe inizio. Molti dei gruppi avevano anche influssi psichedelici, un elemento tipico del rock a partire dagli anni ’60, quando i musicisti cominciarono a sperimentali con sonorità orientali e cose del genere. Questi elementi portarono alla luce le qualità mistiche della musica, qualità che secondo me ancora oggi restano in parte inesplorate.

È stato difficile incorporare e arrangiare strumenti come il flauto, l’organo e il piano nelle canzoni?
È al nostro produttore, Brynjulv Guddal, che va il merito di avere realizzato gli arrangiamenti. Ha lavorato come fosse un quinto membro della band, tanto che ci siamo trovati in totale sintonia con le sue scelte, i suoi suggerimenti e le sue decisioni. Oltre ad avere arrangiato tutte le tastiere e il flauto, ha anche aggiunto alcune percussioni. La maggior parte delle parti di tastiere sono state suonate su un mellotron, strumento di cui ci siamo innamorati ascoltandolo sui dischi dei Led Zeppelin. Brynjulv ha decisamente aggiunto una nuova dimensione alle nostre canzoni durante il processo di registrazione.

Oltre alle influenze tipicamente Seventies, dai brani viene fuori un’indubbia carica metal anni ’80, di cui avete ben catturato l’essenza…
Certo, non siamo ispirati unicamente dalla musica dei ’70, ma anche dall’hard rock e dal metal del decennio successivo, in particolare da Iron Maiden e Ozzy. Credo che l’essenza di quel metal, ossia un particolare tipo di suono e approccio, ce l’abbiamo addirittura nei geni, tanto viene fuori in modo spontaneo. La mia passione per il rock ha avuto inizio proprio grazie a Iron Maiden e Ozzy. ‘The Number Of The Beast’ e ‘Diary Of A Madman’ sono pietre miliari. Solo più tardi ho iniziato a scavare più a fondo negli anni ’70, scoprendo Black Sabbath e Led Zeppelin. ‘Paranoid’, ‘Sabotage’, ‘Led Zeppelin IV’ e ‘House Of The Holy’ hanno avuto un grosso peso nella mia formazione, e lo hanno tuttora.

Cosa pensi invece dell’attuale scena metal? Il fatto di guardare al passato è forse sintomo di una crisi attuale?
Sono convinto che tutta la nuova musica discenda direttamente da quella del passato, sia cioè la conseguenza di ciò che è stato fatto in passato. In fondo si ha sempre bisogno di referenze radicate nel passato per poter creare qualcosa di nuovo. Ma trovo anche che molti gruppi si limitino a riproporre cose vecchie in modo pedissequo, senza cercare minimamente di aggiungere qualcosa di diverso e di proprio; cosa invece essenziale per dar luogo a dei progressi. È questo il tipo di crisi che sta vivendo il metal.

Quando si dice Norvegia, è impossibile non associarla alla scena black metal dei primi anni ’90. Cosa succede oggi in quegli ambienti?
La scena black metal norvegese è ancora viva e vegeta, e non vedo segnali che facciano pensare ad un’inversione di tendenza. Quest’anno, Darkthrone, Satyricon e Enslaved hanno pubblicato nuovi album, e dopo toccherà a Gorgoroth e Mayhem. C’è molto black metal che mi piace, e altrettanto che non mi piace, ma ho un grande rispetto verso ciò che questo genere ha fatto per la musica norvegese.

Al momento la Norvegia è anche la culla del nuovo jazz d’avanguardia e della musica elettronica, soprattutto grazie ad etichette come Rune Grammofon e Smalltown Supersound, e grandi band come Supersilent, Jaga Jazzist, MoHa!, Scorch Trio e i vari progetti noise di Lasse Marhaug. So che in uno di questi, Jazkamer, suona anche Olav Kristiseter dei Manngard…
L’Avant-garde jazz e l’elettronica non sono di certo i miei generi preferiti. Quanto ai Jazkamer, oltre a Olav ci suona anche Iver, anch’egli dei Manngard, e membri di Enslaved. Non ho ancora ascoltato il disco, non ho idea se mi piacerà.

A parte l’ovvi riferimento ai Sabbath, abbiamo rintracciato una forte componente doom nella vostra musica. Siete fan di gruppi come Saint Vitus, Candlemass, Trouble e The Obsessed?
Non posso parlare per gli altri membri della band, ma a dire il vero le mie influenze doom non provengono dai gruppi citati, alcuni dei quali non ho mai neppure ascoltato, bensì da Pentagram, Cathedral, Electric Wizard e Celtic Frost. Comunque, sì, sono affascinato dall’espressività tipica del doom metal, e ne ascolto parecchio.

E del grunge dei primi anni ’90 cosa ci dici? Sembra che abbiate messo a frutto anche la lezione di Soungarden e Alice In Chainsm, tra gli altri…
Hai ragione, a quell’epoca ho ascoltato molto Soundgarden e Alice In Chains, e lo faccio ancora. So per certo che è una passione comune agli altri membri dei Sahg. Non mi sorprende che ne abbiate trovato traccia nella nostra proposta, dato che entrambe erano spesso alle prese con musiche davvero truci e sonorità decisamente oscure, come piace anche a noi.

Prima hai parlato di musica lisergica. In effetti molti dei vostri brani hanno quella caratteristica vibrazione psych, vuoi per i riverberi che avvolgono le vocals, vuoi per certi influssi indiani à la Led Zeppelin che è possibile cogliere qui e là…
Sì, anche il rock psichedelico ci ha fortemente ispirato. Anzi, è probabile che in futuro vi faremo riferimento ancora di più. I Beatles dei tardi ’60, i Led Zeppelin e i primi Pink Floyd sono tra i nostri preferiti di sempre, il loro è un fascino intramontabile.

Allora forse vi piacciono anche i vostri conterranei Motorpsycho, che di psichedelia ne sanno qualcosa…
Conosco molto bene la loro musica, apprezzo soprattutto i primi album. Il rock psichedelico non è particolarmente diffuso in Norvegia, c’è solo un pugno di band prevalentemente stoner ad occuparsene...

A proposito di stoner: anch’esso è stato tirato in ballo per descrivere in parte la musica dei Sahg. Sei d’accordo?
Mi piacciono i gruppi stoner, ma non posso dire di essere stato ispirato da essi. Però capisco perché i Sahg vengano ricondotti anche a quella corrente. D’altronde lo stoner è diventato col tempo una categoria rock molto ampia, che ovviamente comprende tutta la musica con un certo groove, con chitarre ribassate e con riferimenti ai Black Sabbath. Facile che i Sahg abbiano finito per farne parte.

Tra i gruppi stoner vengono annoverati anche giganti come Spiritual Beggars e Grand Magus. Data la loro particolare miscela di heavy rock settantiano e metal, crediamo siano questi i gruppi stoner a cui i Sahg si sentono più vicini…
Veramente non ho molta familiarità con la musica di questi gruppi.

I vostri prossimi piani…
Per il resto del 2006 l’idea è di suonare dal vivo il più possibile. Al momento fissare dei concerti è la nostra attività principale, e a quanto pare per ora abbiamo confermato la nostra presenza ad un paio di festival in Germania e altrettanti in Norvegia. Il nostro progetto più ambizioso è però quello di effettuare un tour europeo, oltre ad uno in Nord America su cui stiamo lavorando da tempo. Ci è stato offerto di aprire le 50 date del tour in America e Canada di una metal band leggendaria, il cui nome è per ora top secret. Stiamo lavorando duro perché la cosa si avveri, teniamo le dita incrociate.

 

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