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I, VOIDHANGER MAGAZINE - INTERVISTA

 


LET THERE BE ROCK
di Voidhanger

 

Sebbene provengano dal Canada, i Priestess sembrano l’incarnazione del sogno americano: una band come tante, che pubblica il suo debutto per una piccola casa discografica e che improvvisamente viene scoperta da una major (la RCA) e lanciata nello stardom del rock. In realtà, i Priestess non sono un gruppo come tanti. Il loro “Hello Master” è un grande disco di heavy rock settantiano come pochi altri in circolazione, nonostante i figli dello stoner siano sempre numerosi e prodighi nel dispensare quel tipo di sonorità. Il gruppo canadese ha però la capacità di piacere ad un’audience più ampia, probabilmente la stessa che sta decretando il successo dei Wolfmother. Il segreto? Una cura certosina nel confezionare melodie pop, suonate poi con l’energia e l’irruenza del rock duro. Attendiamo i Priestess alla prova del secondo album, ma nel frattempo celebriamo l’ottimo “Hello Master” intervistando il chitarrista/cantante Mikey Heppner.

Cominciamo dalla storia di “Hello Master”, bella e travagliata…
La storia del disco comincia centinaia e centinaia di anni fa! Ma quella dell’album così come lo conosciamo è iniziata nell’ottobre del 2005, quando la piccola etichetta Indica lo ha stampato per il solo mercato canadese. Poi, nel giugno del 2006, la RCA lo ha rilasciato negli Stati Uniti, e più recentemente, la scorsa primavera, la Lime lo ha reso disponibile in Inghilterra. Quanto a noi, vi basti sapere che ci siamo conosciuti a Montreal, il posto dove viviamo. A proposito, i genitori del nostro batterista, Vince Nudo, sono italiani e Vince sa parlare la vostra lingua!

A proposito di Montreal, sembra che da quelle parti la scena sia particolarm ente hot…
Lo è, ma è anche troppo frastagliata per potersi definire una vera e propria ‘scena’. Montreal ha innanzitutto una grande tradizione metal, ma di certo non ne siamo stati influenzati e non sentiamo di farne parte. C’è poi l’indie di Arcade Fire e Wolf Parade, per ora molto di moda. E infine un pugno di formazioni più underground, come noi stessi o gli The Stills, di cui siamo grandi amici. È un piccolo centro dove ci si conosce tutti, ma non per questo può parlarsi di una scena unita e omogenea.

Considerata la maturità del vostro debutto, immagino che abbiate dei trascorsi rock…
Sì, ho fatto parte di due band chiamate The Dropouts. Nella prima, ora denominata The Stills, suonavo punk rock, mentre della seconda hanno fatto parte tre degli attuali membri dei Priestess. Decisi di mantenere il nome Dropouts perché troppo pigro per trovarne un altro. Poi ci è venuto in mente Priestess… che non ha alcun significato particolare, ma alle mie orecchie suona rock. Lo stesso dicasi per il titolo dell’album.

Da molti appassionati di hard’n’heavy il disco è già considerato un classico. Siete sorpresi?
Certamente sì. Il fatto che la gente apprezzi il nostro album ci ripaga di ogni sacrificio, e mi stupisce che nel corso degli anni il pubblico interessato ad ascoltarlo vada continuamente aumentando. Ovviamente, la cosa che ci soddisfa ancora di più è suonarlo.

Non vi spaventa tutto questo successo, considerato che presto dovrete dimostrarvi all’altezza di “Hello Master” con un nuova uscita discografica?
Beh, al momento stiamo proprio lavorando al suo successore, ma tutto sta andando a gonfie vele. Non vediamo l’ora di pubblicarlo e… no, il successo non ci mette a disagio, semmai siamo eccitatissimi!

Secondo te, in cosa i Priestess sono cambiati nei due anni dalla prima pubblicazione di “Hello Master”?
Siamo sicuramente più uniti, suoniamo in modo maggiormente compatto, e la musica sta diventando sempre più heavy. Adesso siamo una vera band. I brani del disco sono stati scritti da vari componenti del gruppo in solitudine, mentre il nuovo materiale che stiamo preparando è frutto di un lavoro di gruppo.

Le vostre canzoni sono solitamente abbastanza brevi, vanno dritte al punto. Vi bastano 3 o 4 minuti per sviluppare una melodia efficace ed un bel groove heavy rock. Si tratta di una scelta precisa, o avete in mente di provare a scrivere anche lunghe suite psichedeliche tipiche dello stoner?
In realtà non c’è nulla di programmato. I brani nascono in modo molto naturale, ed è solo un caso che il nostro modo di arrangiarli ha dato vita a pezzi di pochi minuti in occasione di ‘Hello Master’. Quindi, se sentiamo che un brano dovesse meritare un minutaggio maggiore, non esiteremmo a dedicarglielo. Stessa cosa riguardo agli assolo: ce ne sono a bizzeffe, ma solo perché pensiamo che sia il caso a richiederlo, non certo perché così facendo vogliamo renderci più anni ’70.

Di sicuro c’è che mettete un particolare cura nel confezionare belle melodie, cosa che tante altre band dimenticano spesso e volentieri. Scrivere una canzone con una struttura solida ed un ritornello memorabile è un’arte che si sta perdendo, non trovi?
Sono d’accordo con te. Penso che un sacco di gruppi heavy non tengano in grande considerazione l’uso di melodie. A noi invece piace scrivere brani accattivanti, ci piace tirare fuori dei chorus che risultino cantabili e di immediata fruizione. Credo che sarà una caratteristica che ci accompagnerà sempre. D’altronde, ascoltando tutti i grandi gruppi heavy del passato, dai Black Sabbath agli AC/DC, ci si accorgere di quanto fossero ‘musicali’, melodici.

In studio sembra che tentiate di replicare i suoni di un live, restando fedeli a quelli tipicamente anni ’70…
Sì, merito della nostra strumentazione. Se la forma che diamo ai brani può dirsi moderna, il nostro lato ‘old’ emerge nel tipo di apparecchiature utilizzate, e dunque nei suoni che producono. A parte gli amplificatori Richtone, il resto della roba ha più anni di noi!

Possiamo immaginare quali band del passato vi abbiano influenzato. Ma oggi? C’è qualche gruppo che apprezzate e a cui vi sentiti vicini?
Credo che la nostra visione delle cose sia molto semplice: suoniamo con lo stomaco! In circolazione ci siano un sacco di band che hanno la nostra stessa attitudine e che dunque ammiriamo, anche se probabilmente non suoniamo affatto come loro. Di sicuro non prestiamo e mai presteremo attenzione ai trend del momento. Ci interessa restare fedeli a noi stessi e assecondare le nostre esigenze espressive. Il resto è irrilevante.

 

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