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I, VOIDHANGER MAGAZINE - INTERVISTE

 

N E B U L A
COSMIC JOKERS
di Voidhanger

 

Alla nostra domanda sulla natura punk di “Apollo”, nuovo album dei Nebula, il leader Eddie Glass risponde lapidario, quasi stizzito. Ultimamente deve essergli capitato spesso di trovarsi di fronte interlocutori sorpresi da un disco molto meno psichedelico di quanto previsto, dati i trascorsi della band. In realtà la bilancia sonora dei Nebula non è mai stata in equilibrio, e sin dall’esordio i Nostri hanno dimostrato di preferire il morso velenoso del garage-punk anni ‘60 ai groove stoner schiacciasassi che  peraltro suonavano nei Fu Manchu. Così, “Apollo” è pieno di brani rock’n’roll da due minuti e poco più, tutti con un piede sull’acceleratore, ma con la proverbiale chitarre di Glass ad accorciare le distanze tra Stooges, Blue Cheer e 13th Floor Elevators. Non un capolavoro, ma un discreto capitolo in seno ad una discografia comunque di cui andare orgogliosi.

Eddie, dobbiamo ammettere che non ci aspettavamo un album come Apollo. Pensavamo a qualcosa di più psych, non ad un disco così diretto…
Questo vuol dire che siete rimasti spiazzati, ed è buona cosa quando un disco riesce a farlo.

Sì, i brani sono tutti molto concisi, ma la tua chitarra è più selvaggia che mai…
Grazie. Questa volta abbiamo preferito scrivere vere e proprie canzoni, piuttosto che dedicarci a delle jam.

Si tratta di un bisogno che avete avvertito, oppure è semplicemente successo? È curioso come la vostra evoluzione ricordi quella dei vostri ispiratori Blue Cheer, che dalle jam di “Vincebus Eruptum” sono poi passati alle canzoni ben confezionati di “New! Improved”…
Più che di un bisogno, direi che si è trattato di una progressione naturale. Sai, come un buon vino, che nel tempo migliora e matura. Non credo comunque che i Nebula troveranno mai un loro stile definitivo, un approccio unico. Potrete sempre aspettarvi l’inaspettato, faremo del nostro meglio per non perdere in freschezza e renderci sempre nuovi e interessanti.

La formula adottata per questo disco sembra rimandare direttamente al garage-psych dei Sessanta, non trovi?
Quella è una delle nostre influenze più importanti. Dobbiamo molto a gruppi come 13th Floor Elevators, Electric Prunes, Seeds, Blues, Magoos, Chocolate Watchband e in generale i ‘nuggets’ degli anni ’60. Senza ovviamente dimenticare la lezione degli Stooges o quella più recente dei Mudhoney, un gruppo che non ha mai smesso di comporre grande musica.

Però voi avete sempre cercato un approccio più complesso alla materia psych, soprattutto a livello di arrangiamenti…
Hai ragione, infatti uno dei motivi per cui abbiamo deciso di dar vita ai Nebula è stato proprio quello di espandere in tutta libertà la gamma dei suoni, e penso che ci siamo riusciti. Abbiamo suonato di tutto: sitar, bobatar, tastiere elettriche, wurlitzers, organo Hammond, rhodes… la nostra politica dei suoni è particolarmente aperta.

…anche se avete fatto da soli, senza mai rinunciare alla formula del power-trio. A differenza invece dei Love di Arthur Lee, che nei ’60 si servirono dell’aiuto di una vera orchestra per ampliare il loro sound…
Quel tipo di orchestrazione con grossa profusione di archi e trombe dimostra come Arthur Lee avesse una mentalità musicale molto avanti per i suoi tempi. Abbiamo avuto il piacere di dividere il palco coi Love di recente, in occasione del Bilbao Rock Action Festival nel nord della Spagna.

Ovviamente c’è anche una grossa componente punk nella vostra musica, e non solo perché il garage rock dei ’60 ne anticipò i modi…
Sì, dopotutto siamo cresciuti negli anni ’80, e siamo stati influenzati da molta musica hardcore e dalla new wave più rock’n’roll. Dai Black Flag ai Dinosaur Jr, dai Circle Jerks ai Wipers. Quella punk è una componente fondamentale della nostra musica, anche se viene poi stravolta dall’uso di strutture musicali meno rigide, più aperte e appunto psichedeliche.

Sono passati quasi 10 anni dal momento della tua separazione dai Fu Manchu. Che cosa ricordi di quello split, quali erano i sentimenti di allora? Non deve essere stato facile lasciare proprio quando i Fu Manchu, che erano pure una tua creatura, iniziavano ad ottenere grossi consensi…
Era destino che accadesse, e in fondo sono contento che le cose siano andate come sono andate. I Fu Manchu stavano catalizzando l’interesse di molti per una sola ragione, perché eravamo noi quattro. La band funzionava proprio perché vi eravamo coinvolti tutti noi. Io e Ruben abbiamo poi formato i Nebula per fare qualcosa di diverso, a cui gli altri nei Fu Manchu non erano interessanti. Negli ultimi tempi suonare con loro era diventato noioso e ripetitivo, primo di nuovi stimoli. Come saprete, non ci siamo lasciati amichevolmente, e da allora le cose non sono cambiate. Continuiamo a detestarci.

In quel periodo la scena heavy-psych andava molto forte. In effetti tracce di psichedelia erano presenti anche nei dischi grunge dei ’90, ma è stato grazie allo stoner rock che tutto ebbe un’accelerazione pazzesca…
Ho sempre avuto una grande passione per la psichedelia, lo testimonia anche la lista di influenze che abbiamo accluso nel booklet di ‘Apollo’. Si tratta di artisti a cui portiamo rispetto e che vi invitiamo ad ascoltare. Da giovane ero molto affascinato da certi vecchi freak che sembravano appena tornati da un viaggio su Saturno. Quando gli chiedevi che musica ascoltassero, ti rispondevano sempre allo stesso modo: heavy psych. Ci sono però parecchie correnti in seno alla psichedelia. Di sicuro è possibile individuarne una ‘diabolica’, come quella ben esemplificata dai The Sonics (band di fine anni ’60 che ha anticipato il punk di un decennio e che cantava con disinvoltura di droghe e alcol, mentre i Beatles ancora si gingillavano con canzonette pop- n.d.a.), e una psichedelia più da party,più divertente e colorata, come quella dei Love di Arthur Lee. A me piacciono entrambe.

 

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