OBSCURE METAL UNDERGROUND & VULTURE CULTURE
I, VOIDHANGER MAGAZINE - INTERVISTA

GOD VIBRATIONS: IL POTERE MISTICO DEI SUONI

 


NADJA

L'INSOSTENIBILE PESANTEZZA DELL'ESSERE
di Voidhanger

 

Per anni l’intellettuale canadese Aidan Baker è stato uno dei segreti meglio custoditi del rock underground. Ha prodotto una gran moltitudine di dischi (per lo più in formato CD-R) e ha raccolto lodi sperticate un po’ ovunque.
Lo scopriamo solo adesso che la Alien8 Recordings ha impresso il proprio marchio sul nuovo lavoro dei suoi Nadja, quel “Truth Becomes Death” che l’anno scorso ha rivaleggiato con “Black One” dei Sunn O))) per la palma di miglior album drone.
Oltre ad una discreta cultura metal, Baker vanta anche una passione per l’industrial e la musica sperimentale, ed è proprio questa ampiezza di vedute che gli ha permesso di sintetizzare un suono unico, capace di coniugare ambient, noise, psichedelia, post rock, drone e doom metal.

La musica dei Nadja sa essere pesante, maestosa e visionaria come quella dei Jesu o degli Esoteric, ma a tratti anche intimista e introversa come quella dei Low. La loro è un’avventurosa esplorazione interiore; quale sia la meta – spiega Aidan Baker nell’intervista che segue – sarà chiaro solo quando verrà raggiunta.

Aidan, dicci in breve cosa c’è da sapere su di te.
Sono un musicista e scrittore di Toronto, Canada. Pubblico dischi da solista, ma anche in duo col nome di Nadja e in trio con quello di ARC. Solitamente la mia musica rientra nel genere ambient/sperimentale, anche se mi piace suonare e ascoltare una grande varietà di stili diversi. Come scrittore ho pubblicato finora un paio di libri di poesie, ma mi occupo anche di fiction.

“Truth Becomes Death” non è la prima pubblicazione a firma Nadja, sebbene quella che ti ha portato più popolarità. Finora è stato frustrante rimanere lontano dai riflettori, oppure ciò ha permesso di rifinire il tuo stile in tutta tranquillità?
Entrambe le cose. Lavorare con piccole etichette attraverso cui pubblicare i nostri primi CD-R (che oggi giudico dei semplici demo) ci ha permesso di esplorare differenti soluzioni e direzioni musicali senza farci mancare una sorta di audience. Ma siamo certamente più contenti che l’ultimo album possa raggiungere molte persone. Ovviamente questo non ci fermerà dall’esplorare nuovi territori, ma ora che abbiamo un’identità sonora ben definita siamo sicuramente più a nostro agio.

Il titolo “Truth Becomes Death” è connesso con la traccia più lunga dell’album e con la famosa storia di Rabbi Loew e il suo Golem. “Verità” e “morte” sono le parole che Rabbi Loew scrive sulla fronte del Golem per portarlo in vita o ridurlo in polvere. Cosa ti affascina di questa storia?
Mi sono imbattuto in questa storia per la prima volta leggendo il romanzo fantascientifico ‘He, She, & It” di Marge Piercy e più tardi “The Procedure” di Harry Mulisch, che fanno riferimento al Golem con gli stessi propositi narrativi, ma con approcci sostanzialmente molto diversi. Queste differenze le ho trovate molto intriganti, così come la storia tradizionale, e ciò mi ha spinto ad immaginare una mia interpretazione della vicenda. Mi stimola l’idea del potere intrinseco che hanno certe parole e che magari si manifesta cambiandone solo una lettera, come nel caso dei termini “verità” (emet) e “morte” (met) che Rabbi Loew scrive sulla fronte del Golem dandogli la vita o togliendogliela. Inoltre, è interessante come quest’idea del potere delle parole stia tornando a galla in recenti teorie letterarie, come quelle del critico francese Roland Barthes. Non credo che in molti sarebbero d’accordo nell’accostare Barthes al misticismo ebraico, ma qualcosa di simile c’è.

Quello della verità è un tema ricorrente nell’album. In “Memory Leak” canti: “Everytime I remember, some little bit of my memory leaks away”. Sembri descrivere l’affanno di chi cerca di scoprire la verità di tutte le cose, una verità che sguscia via quando sembra ormai a portata di mano. È così che a volte ti senti?
Sì. Ma se dovessimo riuscire ad afferrare quella verità, sarebbe probabilmente la fine di tutto, no? In fondo il senso della vita sta proprio nel cercarne il significato…

Nella nostra recensione abbiamo scritto che Nadja è il tuo golem personale, in quanto atto di creazione che avvicina l’uomo al divino. Parlaci del tuo processo creativo…
Suppongo che i Nadja possano essere definiti come il mio golem personale, sebbene non ci abbia mai pensato in questi termini. Il mio processo creativo è molto vario. A volte trovo ispirazione in fonti esterne, come libri, film o idée e concetti che ho scoperto diversamente. Altre volte si tratta del semplice atto di sedermi, improvvisare e suonare, e la musica trova da sé la sua strada. Come in una sorta di feedback reciproco, se vuoi. “Truth Becomes Death” è nato da entrambe queste situazioni.

In “Breakpoint” parli di circuiti e dati sensoriali. Hai paura di una società cibernetica dove  l’uomo è ridotto ad una macchina incapace di sentimenti?
Non si tratta di paura, al contrario ne subisco il fascino. La tecnologia non mi spaventa (anche se può fare cose spaventose). Concettualmente la fusione tra tecnologia e biologia produrrà un arresto dell’evoluzione della specie umana. Trovo interessante anche l’idea di macchine che sviluppano emozioni e sentimenti propri. Proprio questo è il tema di “Breakpoint”: l’evoluzione di un’intelligenza artificiale, macchine che imparano a sentire.

Da qualche parte nell’artwork di “In Search Of Space” degli Hawkwind è scritto: “Un uomo è il più piccolo cosmo dell’universo. Dentro di lui sono tutta la Natura e gli elementi. Egli è un microcosmo dell’assoluto.” Anche la tua musica sembra l’esplorazione di un microcosmo interiore, quale proiezione di uno più grande e vasto…
Il conflitto tra macro e micro mi intriga, allo stesso modo del contrasto tra minimalismo e il suo opposto. La musica dei Nadja è molto minimale quanto a strutture, ma ha un suono massimalista. Quindi, minimalismo dentro ad un contesto massimalista. Credo che si possa anche dire che è un macrocosmo dentro un microcosmo…

Non ci è difficile immaginare la musica dei Nadja associata ad un film, magari ad una pellicola sperimentale come lo era “Live At Pompei” dei Pink Floyd nei tardi Sixties. Hai mai pensato a qualcosa del genere?
Ci ho pensato, sì, anche se ancora non ho avuto modo di realizzare nulla. Nei miei piani c’è infatti l’idea di lavorare con un regista per girare un video o un cortometraggio basato sull’idea del Golem. Ma il progetto è ancora in una fase embrionale, non so davvero cosa potrebbe venirne fuori.

A proposito del golem, c’è anche un bel romanzo di Gustav Meyrink incentrato su questa figura, sebbene la storia del mostro di Praga sia solo una scusa per esplorare temi esoterici. Considerato che Nadja è il tuo nome scritto al contrario, immaginiamo che il progetto sia una sorta di tuo alter ego. È così? E qual è l’apporto di Leah Buckareff in tutto questo?
Sì, inizialmente la musica dei Nadja è nata per essere il rovescio di ciò che producevo in solitaria: stesso metodo e stessa estetica, ma il tutto tradotto con suoni più oscuri e pesanti. Ho ascoltato musica heavy a lungo senza avere mai l’opportunità di suonarla. Per questo ho creato i Nadja. Ho chiesto alla bassista Leah Buckareff di affiancarmi per potermi esibire dal vivo. Il basso è uno strumento molto importante nell’economia del sound, e non volevo servirmi di basi pre-registrate, sia perché lo trovo limitante, sia perché penso che l’audience lo trovi poco interessante.

Poco sopra abbiamo menzionato Pink Floyd e Hawkwind. Hai quel tipo di background anni ’70? Credi ci siano affinità tra la tua musica e quella dei gruppi avant-garde di quell’epoca, come Can, Amon Duul II, Neu! o Faust?
Sì, ho ascoltato un sacco i Pink Floyd quand’ero giovane. Gruppi come Can e Neu! li ho scoperti un po’ più tardi, insieme a musica più sperimentale o elettronica come quella di Throbbing Gristle e Cabarait Voltaire. Ma sono cresciuto durante gli anni ’80, per cui ho ascoltato anche molto punk e grunge, gruppi come Sonic Youth, Dinosaur Jr., Pixies, Jane’s Addiction, etc.

Per descrivere i Nadja la tua etichetta ha tirato in ballo vari generi, incluso il post rock. In effetti abbiamo trovato più di un riferimento alle costruzioni maestose dei Godspeed You! Black Emperor o alle atmosfere intimiste dei Low, per esempio (vedi gli ultimi minuti di “Breakpoint”). Ti piacciano queste band?
Assolutamente sì. Non voglio essere confinato in un genere, ne ascolto di molto diversi. D’altronde, mentre la maggior parte dei miei album sono più o meno basati su sonorità ambient/drone, alcuni hanno carattere elettronico, altri post rock, altri ancora si rifanno al pop shoegazer.

E il metal? Si tratta solo di un elemento incidentale nell’economia sonora dei Nadja oppure no?
Alcuni ci considerano una metal band, per altri non lo siamo affatto. In passato ci hanno definito ‘shoegazer metal’ (il riferimento è a gruppi psichedelici come My Bloody Valentine, Slowdive e Ride - nda), che ritengo relativamente adatto. C’è diverso metal che mi piace, da quello più mainstream di band come Slayer al doom di My Dying Bride ed Esoteric, fino a quello più orientato verso l’hardcore-punk di Converge o Melt Banana. Credo di essermi interessato al metal attraverso gruppi industrial come Godflesh, Swans e Skinny Puppy. E dato che i Godflesh incidevano per la Earache, ho ascoltato anche le prime band di quell’etichetta: Napalm Death, Cathedral, Brutal Truth, etc. Anche la mia passione per l’ambient e la musica sperimentale ha radici nell’industrial dei Godflesh e nei suoi side-project Final e Techno Animal. Mick Harris (Napalm Death e Scorn) e James Plotkin (Old e Khanate) sono stati altrettanto influenti nella mia formazione. Ho ascoltato a lungo anche The Legendary Pink Dots, che ebbi modo di scoprire attraverso il progetto Tear Garden, in cui collaboravano con gli Skinny Puppy. Erano molto eclettici, ma di loro mi piacevano soprattutto le composizioni più drone o space-rock.

I Nadja ti garantiscono possibilità infinite quanto a sperimentazione con suoni stratificati e nuove tonalità. Quali vie percorrerai in futuro? Pensi di introdurre altri strumenti, oltre al flauto e al piano già presenti in “Truth Becomes Death”?
Non ho idea di come ci evolveremo. Potremmo usare una strumentazione più corposa, che comprenda sia il piano che gli archi. Dato che il nostro è un sound guitar-oriented, spero di scoprire nuovi o differenti tipi di suono di chitarra da produrre. Probabilmente esploreremo di più lo spazio e il silenzio, dato che finora la nostra musica è stata molto ‘piena’.

Credi che con riferimento alla tua musica sia possibile parlare di psichedelia?
Non mi piace imporre significati o sensazioni su chi ascolta, ma se qualcuno vuole aprire le porte della percezione attraverso la nostra musica, ben venga. La musica è ovviamente un mezzo, uno strumento che può essere usato per i fini più disparati, ma che ha sempre carattere personale. Per quanto certe canzoni possano trasmettermi delle sensazioni specifiche, non mi aspetto che anche altri provino le stesse identiche cose.

Sembra comunque che vi sia un bisogno generalizzato di drone music e suoni espansi. Alcuni lo hanno chiamato “heavy mental”, altri “out metal”. Negli ultimi anni abbiamo visto affermarsi gente come Neurosis, Isis, Pelican, Jesu, Sunn 0))), Boris, Khanate, etc. Band con un background hardcore o un marcato interesse verso la musica dei ’70, ma tutte impegnate a produrre suoni che inducono alla trance. Sembra che il metal stia diventando ascetico e free-form. Che ne pensi?
Sì, anch’io ho notato un interesse crescente per questo tipo di musica. Credo si tratti di una progressione naturale, è normale che prima o poi salti fuori qualcuno capace di creare cose nuove sperimentando con generi già canonizzati. È accaduto con altra musica (vedi la nascita del post rock, del trip-hop e la nuova elettronica), dunque era tempo che anche il metal venisse re-inventato. In qualche modo penso che ciò aprirà le sue porte ad un pubblico più vasto, tirandolo fuori dal ghetto in cui si trova. Il che è cosa buona, data la mentalità chiusa di certi metallari.

Abbiamo definito “Truth Becomes Death” come il più significativo drone album del 2005 insieme a “Black One” dei Sunn O))). Lo hai ascoltato? Cosa pensi di loro?
Ho ascoltato solo alcune tracce, ma sembra si tratti di un deciso passo in avanti rispetto al loro vecchio materiale, anche solo per il fatto che usano una tavolozza di colori e suoni molto più ampia. I Sunn O))) mi piacciano molto, ma ammetto di preferire maggiormente i Khanate per via della presenza di una batteria e di una forma-canzone più accentuata.

Secondo una teoria scientifica, la cosiddetta “teoria vibratoria”, l’intero universo sarebbe stato generato da un unico suono primordiale: la creazione sarebbe l’effetto di tensioni e distensioni, e l’universo si muoverebbe seguendo il moto di una grande onda sonica. In base a tale teoria, alcuni suoni nasconderebbero la chiave dell’universo stesso, oltre che infinita potenza. Basti pensare al famoso “Om” tibetano… Tu credi nel potere del suono? Sei alla ricerca di una nota perfetta, di un suono rivelatore?
Credo fermamente nella potenza del suono, ma non sono alla ricerca di alcun suono rivelatore. Come potrei riuscire a trovarlo, e per farne cosa? E poi, come potremmo riuscire ad ascoltarlo senza che ciò ci distrugga? Il suono definitivo, infatti, non sarebbe anche il suono della fine, la fine di ogni cosa?

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