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I, VOIDHANGER MAGAZINE - INTERVISTA

GOD VIBRATIONS: IL POTERE MISTICO DEI SUONI

 

MINSk
LIGHT MY FIRES
di Voidhanger

Ci vuole poco per pronosticare un’annata di successo per i Minsk. Basta ascoltare il nuovo e bellissimo album “The Ritual Fires Of Abandonment”, uscito per Relapse e prodotto dal bassista Sanford Parker, nome emergente nell’ambito del moderno hard’n’heavy, nonché ex-componente dei compianti doomsters Buried At Sea.
I Minsk hanno alle spalle un debutto altrettanto interessante, ma è in questi solchi che affinano la propria arte, distinguendosi dalla massa di band post-metal grazie ad una spiccata sensibilità tribal-psichedelica e ad una più sincera dimensione spirituale.
Timothy Mead (voce/keyboards) ha trovato il tempo di rispondere alle nostre domande durante un tour americano in compagnia degli amici Rwake.

Tim, “The Ritual Fires Of Abandonment” è un titolo affascinante e visionario. Si riferisce a qualcosa in particolare?
Quel titolo è venuto fuori da un paio di idée diverse. Volevamo che catturasse alcuni degli elementi più umani e ritualistici dell’album, e il tema dell’abbandono ricorreva in alcune delle idée che avevamo. Volevamo quasi creare la sensazione di un campo deserto, dove dei corpi venivano bruciati e lasciati a marcire in seguito a qualche tipo di catastrofe. Il titolo cerca di descrivere i suoni del disco, ma allo stesso tempo è una critica alla mancanza di certezze e di sicurezza nel nostro mondo, una critica al concetto tradizionale di società che ci ha tenuto insieme così a lungo. Per un certo verso, il titolo si riferisce al vivere dopo la fine del mondo, facendo i conti col senso di perdita.

Cos’è cambiato rispetto al precedente “Out To The Center…”?
Penso che il nuovo album presenti delle similarità col precedente, ma anche che in molti modi sia più musicale, e forse un po’ meno barbaro. La produzione è più pulita, per permettere alle parti più soft di emergere meglio. Ci abbiamo messo più melodia, sia vocale che a livello strumentale. Nel complesso, è un disco più completo e che scorre meglio. È un’istantanea fedele di come eravamo nel momento in cui l’album è stato registrato, e si è anche trattato della prima volta in cui abbiamo lavorato tutti insieme, come un’unica entità.

Il vostro nome è lo stesso di un città dell'Est distrutta e ricostruita più volte. Ciò ha probabilmente a che fare col vostro concept lirico e con l’approccio musicale, dato che in ogni canzone sembrate seguire un percorso ciclico di creazione e distruzione…
Prestiamo grande attenzione alla dinamica dei pezzi. Che si tratti di un crescendo da un momento di quiete ad uno di furia, da un passaggio pulito ad uno distorto, o da una partitura densa ad una più scarna, si tratta del nostro modo di creare atmosfere e conferire alla musica le caratteristiche di un viaggio. Le canzoni vanno da qualche parte. Hai ragione, spesso c’è una sorta di circolarità nel loro percorso, con salite e discese, deviazioni e scarti, volumi ora alti ora bassi. In questo senso, l’origine del nome della band descrive bene ciò che facciamo.

Un titolo come “Mescaline Sunrise” ci ha fatto immediatamente pensare all’era psichedelica dei ‘60. Così tanto, che “Embers” suona quasi come una versione moderna e oscura dei Doors, una versione aggiornata delle visioni allucinogene di “The End” o “Riders On The Storms”. Quel periodo è stato fonte d’ispirazione per voi?
Sì, senza dubbio quel periodo ha esercitato un’influenza su ciò che facciamo. Il nostro modo di lavorare è simile a quello degli artisti del rock psichedelico, che mettevano grande attenzione nel mood, nelle tessiture e in quegli elementi che rapivano l’ascoltatore trascinandolo verso altri luoghi. Abbiamo un sacco di cose in comune con quell’era, ed essere paragonati ai Doors è per noi un complimento.

Dunque, in che senso i Minsk possono essere considerati una band psichedelica del nuovo millennio? La vostra è una forma di ricerca interiore, o pura evasione dal reale?
Spero entrambe le cose. Per noi, la musica che creiamo è semplice evasione. Siamo quattro tizi che combattono con le vite che gli sono state affidate, e che riflettono sul mondo in cui si muovono. Non cerchiamo semplicemente di sfuggirgli, ma di raggiungerlo al cuore e di creare musica passionale e che gli somigli. C’è di sicuro anche una voglia di fuga, ma credo si tratti di un mezzo, piuttosto che di un fine. Siamo una band psichedelica del nuovo millennio nel senso che siamo alla ricerca di un qualcosa che abbia significato, in un tempo e in luogo in cui la nozione stessa di ‘significato’ è andata persa del tutto. Non penso che la nostra musica dica semplicemente ‘molla tutto’, anche quando immaginiamo scenari truci o trattiamo temi in cui sembra non esserci spazio per la speranza.

Sbagliamo, se diciamo che la vostra musica sembra il prodotto di un vostro isolazionismo, forse anche di una certa misantropia?
Dipende da cosa intendi per isolazionismo. Certamente non stiamo cercando di tagliarci fuori dal mondo, o di nasconderci. Scriviamo e suoniamo musica che speriamo abbia aspetti universalmente umani, qualcosa che trascenda il tempo e le culture per raggiungere sentimenti primitivi e umani. Come individui, però, ci sentiamo di certo isolati dagli altri e soli con noi stessi. Quanto alla misantropia, sono d’accordo con tutto il cuore. La maggior parte di questa roba viene da luoghi oscuri dentro di noi, o è la risposta a cose terribili che succedono nei nostri mondi.

“Ceremony Ek Stasis” è il nostro brano preferito dal nuovo album, e forse il momento più alto della vostra carriera, almeno sino ad ora. Non è un caso che l’abbiate scelto come brano di chiusura…
La canzone è nata dalla lavorazione di vecchie idée che abbiamo fatto incontrare con cose nuove. Il pezzo originale era molto diverso, ma c’erano cose in esso che volevamo rivisitare e rifare da capo. Ci è sempre piaciuta l’idea di re-interpretare qualcosa di vecchio, e scrivere ‘Ceremony’ è stato molto eccitante, una vera sfida. L’arrangiamento del brano è più complesso di quello di altre canzoni dell’album, ed è stata una bella sensazione riuscire ad assemblare un pezzo così lungo e con così tanti cambi e movimenti. Mi fa piacere aver chiuso l’album in questo modo.

A parte le ovvie differenze, molta della musica heavy di oggi sembra far riferimento ad elementi comuni. I critici parlano di “heavy mental” o di “out metal”, per sottolineare le sue proprietà trance e la sua trascendentalità. Gruppi come Neurosis, Isis, Pelican, Red Sparowes, Jesu, Tarantula Hawk, Nadja, e Unerathly Trance possono essere pesanti e “senza peso” allo stesso tempo. Che sta succedendo al metal moderno?
Non so se è davvero ‘molto’ il metal di oggi che fa perno su quegli elementi, ma certamente c’è una corrente di energie che corre attraverso un sacco di band come quelle che menzionavi. Credo il metal stia attraversando una fase di crescita naturale. Molti tra noi sono venuti su ascoltando musica heavy, e dunque stiamo dando una continuità a quei suoni. Per noi, e probabilmente per gli altri gruppi elencati, è molto eccitante prendere alcune di quelle forme metal che ci sono familiari per cercare di infondervi un nuovo respiro vitale, di spingere più avanti la nozione di musica heavy portandola da qualche altra parte. Ovviamente, non si tratta di nulla di nuovo, ma è bello vedere gruppi con un approccio più progressivo al metal. Le qualità trance o trascendentali che accomunano molti gruppi conferiscono al metal un’umanità che forse in passato gli mancava. ‘Pesanti e senza peso allo stesso tempo,’ mi piace questa descrizione.

In che cosa pensi che i Minsk siano diversi dalle band sopra menzionate? Quali gli elementi e le prerogative che vi caratterizzano?
Difficile a dirsi. Speriamo almeno che quello che facciamo rifletta una visione personale, che la battaglia per fare ciò che facciamo ci renda diversi dagli altri, permettendoci di raccontare una storia tutta nostra e che valga la pena di esser presa seriamente. Sarà il tempo a dirlo.

Abbiamo detto della pesantezza e del lato ipnotico della vostra musica, ma crediamo che in essa vi sia anche un fondo di malinconia. “White Wings”, ad esempio: c’è un momento di profonda tristezza, con una melodia deprimente che presto si trasforma in rabbia. Lo stesso succede in “The Orphans Of Piety”, dove alcune chitarre pulite e un sax notturno sembrano descrivere momenti di dolore. Vi riconoscete in questi sentimenti?
Assolutamente sì. C’è un’atmosfera triste che pervade la maggior parte della musica e delle liriche di ‘The Ritual Fires…’, così come emergono anche barlumi di speranza. Abbiamo cercato di convogliare in esso una vasta gamma di emozioni umane che si muovono in entrambe le direzioni, seguendo proprie dinamiche. Così, il dispiacere si trasforma in rabbia, e il dolore sfocia nella malinconia.

Si tratta dunque di musica catartica, almeno per voi?
Certamente lo è per noi. Sia durante le prove che dal vivo, aspettiamo il momento in cui tutti noi veniamo traslati in un'altra realtà, o ci perdiamo tra le pieghe emozionali di un pezzo. Non posso parlare di coloro che ascoltano, ma la catarsi è parte fondamentale di ciò che significa questa band per noi tutti.

Insieme con Billy Anderson e Matt Bayles, Sanford Parker è tra i più importanti produttori di oggi, un punto di riferimento per coloro che apprezzano l’odierno hard’n’heavy. Come sono cambiati i Minsk dal momento in cui Sanford è salito a bordo durante le registrazioni di “Out Of The Center…”?
Beh, quando è entrato in formazione, eravano nel bel mezzo delle registrazioni del disco, e fondamentalmente non ha fatto altro che suonare il basso. Sanford porta diverse ottime cose alla band, a cominciare dalla sua bravura come produttore, per non dire del suo modo unico di concepire le tonalità di basso e di mischiarle col noise e la psichedelia. Ma porta anche la sua visione, che si è ben integrata con quella che gli altri stavano già sviluppando. La cosa più incredibile è proprio che Sanford ha dimostrato di avere lo stesso nostro sentire, in termini musicali e artistici.

Sappiamo che avete in progetto di pubblicare un 7” split con gli Unearthly Trance, dove entrambi presenterete cover di Roky Erickson! Che canzoni avete scelto?
Sì, l’uscita è prevista per quest’anno su Parasitic Records, anche se non c’è ancora una data certa. L’idea c’è venuta durante il tour dello scorso inverno e non vediamo l’ora che si realizzi. Gli Unearthly Trance faranno ‘Night of the Vampire,’ mentre noi ci cimenteremo con ‘Stand For The Fire Demon.’

Cosa vi piace sentire, ultimamente?
Ci piacciono molte cose diverse, tanto che è difficile darvene un’idea a livello di band. Personalmente, mi piace far girare i dischi di Neil Young, Pink Floyd, Hank Williams e Swans. Tra le cose che ultimamente mi sono piaciute di più ci sono Unearthly Trance, Yob, Nick Cave, Jesu, Russian Circles e Sweet Cobra.

Siete attualmente in tour. Come vivete questa esperienza? E come cambia la musica dei Minsk nella dimensione live?
Di sicuro c’è differenza tra i brani registrati in studio e le versioni dal vivo. Per noi si tratta di fondere insieme elementi legati alla riproduzione del pezzo con altri legati all’improvvisazione. A volte, dal vivo i pezzi prendono una forma completamente diversa, altre volte seguono lo spartito fedelmente. In studio si hanno diverse possibilità di lvoro, mentre dal vivo cerchiamo di dare nuova vita alle canzoni ogni volta che le suoniamo. Alcune cose che sentite sull’album non sarà possibile ascoltarle dal vivo, ma ci sarà sempre la possibilità di che accadano cose totalmente nuove. Trasformare una performance dal vivo in un qualcosa di unico e speciale è per noi un traguardo importante.

A Maggio prederete parte all’Emissions from the Monolith Festival, insieme ai Rwake, agli Alabama Thunderpussy… e ai Blue Cheer, i padri della musica heavy! Siete eccitati all’idea?
Estremamente! Quei tizi sono leggendari e vederli tornare a suonare insieme è grandioso, una grande opportunità per noi e per chiunque altro. L’Emissions Festival è molto divertente perché vi si respira un’atmosfera familiare. Ogni anno ci suonano un sacco di band favolose, e ogni volta che ci chiedono di tornare siamo al settimo cielo. Quest’anno sarà incredibile, come d’altronde tutti gli altri. Sarà bello riuscire a incontrare i Blue Cheer.

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