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I, VOIDHANGER MAGAZINE - INTERVISTA

 

HIGH ON FIRE


Figli del Caos Strisciante
di Voidhanger

Dopo lo scioglimento degli Sleep, parecchi anni fa, sembrava dovessimo portare il lutto chissà per quanto tempo. Difficile immaginare che ci potesse essere vita al di là di quella band stoner-doom ormai leggendaria. Oggi ci troviamo invece ad osannare il suo chitarrista, Matt Pike, e i formidabili High On Fire. “Death Is This Communion” è già il quarto album dato alle stampe dal gruppo californiano. Ha un cuore metal grande quanto quelli di Black Sabbath, Motorhead, Celtic Frost e Slayer messi insieme, e racconta di quel tipo di orrori cosmici di cui sono zeppe le pagine di Lovecraft. Se i lavori precedenti erano terribili mazzate sui denti, il nuovo disco in confronto appare come un’elegante mossa di karate. Il colpo mortale inferto al nostro udito è portato infatti con meno forza bruta che in passato, per via di un più spiccato senso melodico in seno ai brani. Ma il risultato finale è lo stesso: distruzione, distruzione e ancora distruzione! Mentre gli High On Fire si apprestano ad ingaggiare battaglia con gli amici Mastodon per il titolo di band più heavy dei nostri tempi, ne abbiamo intervistato telefonicamente il drummer Des Kensel e il leader Matt Pike durante un giorno “off” del recente tour europeo.

Des, presentaci il nuovo album degli High On Fire…
(Des Kensel) “Si intitola ‘Death Is This Communion’, è il nostro quarto disco in studio, e sento che si tratta di un ulteriore passo in avanti rispetto al precedente. Il songwriting è migliorato, è decisamente più a fuoco, ma il nostro stile resta molto heavy e tecnico. Inoltre, abbiamo un nuovo bassista, Jeff Matz degli Zeke, che ha contribuito con un suono di basso più pulito e definito.”

A proposito: avete cambiato bassista molte volte nel giro di qualche anno. Si tratta solo di una coincidenza, oppure avevate in mente un suono di basso e un modo di suonarlo che finora non vi aveva garantito nessuno?
(DK) “Assolutamente nessun problema coi bassisti precedenti, è solo che entrambi non erano pienamente coinvolti nella band. Ai tempi degli esordi George Rice era passato dalla chitarra al basso per poter completare il trio in occasione delle registrazioni del primo album. Ci ha lasciati perché non poteva seguirci nei nostri continui tour. Così abbiamo chiesto aiuto a Joe Preston, che come saprai ha un suo progetto solista, Thrones, e a quello è ritornato. Con Jeff abbiamo trovato la persona giusta, si dedica agli High On Fire a tempo pieno e sta facendo molto bene. Ci sta dando un apporto creativo, e credo di non sbagliare se dico che è qui per restare.”

C’è un significato particolare dietro al titolo del disco?
(DK) “Secondo la religione cristiana è il sacramento della comunione a garantire la salvezza delle anime. Per noi invece passa attraverso la Morte, che da sempre fa paura ed ha connotazioni negative, quando invece bisognerebbe vederla come un momento di purificazione e di comunione spirituale. Alcuni visto nel titolo uno sberleffo alla religione, ma in realtà sottolinea solo la nostra visione dark delle cose, e si adatta bene. È heavy!”

Tornando al disco, ci è sembrato decisamente più melodico del suo predecessore. Una scelta consapevole?
(DK) “Beh, questo è l’album su cui abbiamo lavorato di più, se messo a paragone coi precedenti. Pensa che solo alle registrazioni della batteria abbiamo dedicato quattro giorni... e dieci per finire il missaggio. Abbiamo messo la massima cura nella scrittura dei brani, cercando nuove dinamiche, nuove soluzioni. Matt ha curato enormemente le parti cantante, che sono più rifinite e studiate in modo da amalgamarsi meglio alla musica. Tutto questo ha contribuito a farne un album ‘catchy’, è vero, sebbene sempre molto pesate. Sicuramente si tratta del nostro lavoro più maturo. Abbiamo fatto costanti passi in avanti in occasione di ogni album, soprattutto in fatto di songwriting. Ma riascoltandoli ci accorgevamo di avere ancora ampi margini di miglioramento.”

Questo significa che avete trovato la vostra dimensione definitiva, o già vi ponete il problema di come si evolverà lo stile High On Fire in futuro?
(DK) “Beh, cosa faremo in futuro non ci preoccupa, perché è un falso problema. ‘Death Is This Communion’ è il risultato di un lavoro cominciato tre dischi fa, e per il quale ci siamo avvalsi della grande esperienza accumulata in centinaia di concerti. Sono sicuro che non avremo difficoltà a realizzare un quinto disco all’altezza partendo dai risultati raggiunti fino a questo momento. Più che preoccuparci del se e come si evolverà il nostro stile, ci interessa essere soddisfatti della musica che facciamo.”

Questa volta avete lavorato col produttore Jack Endino. Raccontaci com’è andata…
(DK) “Jack ci ha assistito benissimo, e senza interferire minimamente con le nostre scelte. L’unica cosa di cui si preoccupava era di catturare al meglio il nostro suono, soprattutto le vocals, lasciandoci campo libero per quel che riguardava arrangiamenti e tutto il resto. Non potremmo essere più soddisfatti de suo operato. Ci siamo trovati tanto bene da sperimentare cose nuove, ma in modo molto naturale. Vedi ad esempio le parti acustiche di ‘Waste Of Tiamat’, per le quali abbiamo usato chitarre a 12 corde, in modo da dare al pezzo un sapore diverso. Si tratta probabilmente del mio brano preferito, scorre molto bene, ha delle melodie decise ed è un piacere suonarne la parti di batteria.”

Tra le belle novità di “Death Is This Communion” c’è anche l’organo, nel brano “DII”…
(DK) “Oh, in realtà è un mellotron, un vecchio mellotron pesantissimo che abbiamo avuto non poche difficoltà a fare sistemare in studio, anche perché è uno strumento molto delicato. Per questo motivo è stata dell’ultima cosa che abbiamo registrato per l’album. Appartiene a mio padre, e a suonarlo è proprio lui!”

Quanto è importante per gli High On Fire restare fedeli allo spirito del metal anni ’80? In qualche modo siete la bandiera di quel modo di suonare metal, sebbene lo abbiate modernizzato…
(DK) “Per noi è certamente importante mantenere vivo lo spirito dell’old school metal, è la musica che ci ha influenzato e che ascoltiamo ancora oggi. Il metal è sempre stato vittima di stupidi  stereotipi, viene comunemente associato a sette sataniche o ad orrendi delitti. Senza dubbio i gruppi metal hanno un look aggressivo e poco rassicurante, ma in definitiva per un giovane costituisce solo una via di fuga dalla realtà, un modo per sfogare certe pulsioni tipiche dell’età.”

Ci ha fatto piacere constatare che “Death Is This Communion” si avvale di un’altra splendida copertina firmata Arik Roper…
(DK) “Sì, il suo stile molto potente e visionario calza a pennello alla nostra musica, tanto che è diventato quasi un marchio che permette alla gente di riconoscere immediatamente i nostri dischi. Ce ne eravamo accorti già da tempo, quando la Tee Pee Records aveva ristampato “The Art Of Self Defense” (il primo album, originariamente uscito per Man’s Ruin con tutt’altro artwork- nda) e poi l’ultimo album degli Sleep, “Dopesmoker”, commissionandogli la grafica.”

Matt, nella recensione abbiamo scritto che sciogliere gli Sleep è stato come togliere museruola e catene alla bestia metal che hai dentro. Sei d’accordo?
(MP) “Oh, in effetti è stata una cosa del genere, è stato come un terremoto. Improvvisamente mi sono trovato libero di dare sfogo alla musica che mi era cresciuto dentro durante gli anni negli Sleep, che sono stati una grande palestra. Ricordo quegli anni come un periodo meraviglioso della mia vita.”

Hai avuto modo di ascoltare gli Om, il gruppo degli ex-Sleep Al Cisneros e Cris Hakius? Cosa ne pensi?
(MP) “Sono immensi. In un certo senso sono il lato spirituale della pesantezza degli Sleep, mentre gli High On Fire sono quello selvaggio. Sono così potenti, e intensi…”

Il fatto che non usino chitarre sembra quasi un complimento nei tuoi riguardi: con chi altro potrebbero sostituirti?
(MP) “(Ridendo - nda) Non saprei, è difficile da dire! Beh, non è semplice giudicare se stessi, ma di certo lavoro duramente per migliorare come chitarrista. Credo di potere dire di essere soddisfatto dei risultati che ho raggiunto, non tanto a livello di tecnica, quanto per il fatto che sono riuscito a creare il suono che avevo in mente per gli High On Fire, forgiando uno stile che tutto si può dire tranne che non sia riconoscibile. Sapere suonare bene la chitarra è sicuramente un merito, ma penso che il musicista di valore sia tale quando dimostra di sapere costruire delle belle canzoni, non di suonare in modo ineccepibile da un punto di vista esecutivo. In questo sono enormemente aiutato da Des e ora anche da Jeff, che ha dato un contributo importante alla stesura di alcuni brani del nuovo disco.”

Qual è il momento che preferisci durante il lavoro di scrittura?
(MP) “Sicuramente quello in cui ci troviamo ad aggiungere dettagli alla canzone. È molto soddisfacente rimpolparne lo scheletro aggiungendo assolo di chitarra e parti vocali, e arrangiando basso e batteria. La cosa più importante resta comunque lo scheletro, la struttura portante, solitamente costituita da una serie di riff. Se quella funziona in partenza, allora funzionerà anche tutto il resto.”

Credo che quelle di “Death Is This Communion” sia la tua migliore prestazione vocale…
(MP) “Lo penso anch’io, questa volta ho dato tutto messo. Ma in generale ammetto di essere pienamente soddisfatto di ogni singolo aspetto dell’album, come mai prima d’ora mi era capitato. Credo proprio che ‘Death Is This Communion’ sia in assoluto il lavoro di cui vado più orgoglioso, insieme a ‘Holy Mountain’ degli Sleep.”

Negli Sleep, a cantare era Al Cisneros. È  stato dopo il loro scioglimento che hai scoperto di sapere cantare?
(MP) “Chi ha detto che so cantare? (Ride – nda) Diciamo che ci provo! Ho lavorato a lungo sulla mia voce, a volte sforzandola oltre ogni limite. Devo stare attento ad usarla in questo modo per lunghi periodi di tempo, o nel giro di due anni rischio di perderla.”

Ti infastidisce il fatto che gli High On Fire siano spesso accomunati al doom e allo stoner?
(MP) “No, non mi dispiace, in fondo è da 20 anni che suono quella roba lì! Credo però che il nostro sound sia molto personale, questa è sicuramente una sfida artistica che abbiamo vinto. Per il resto, quel che veramente conta è che quello che suoniamo ci faccia stare bene.”

Stilisticamente non vi vediamo così ossessionati dal doom, a dire il vero. Piuttosto, sembrate interessati a modernizzare il metal di Black Sabbath, Slayer, Celtic Frost e Motorhead…
(MP) “Quello certamente. Il vero spirito metal è nei dischi di quelle band, che ci hanno insegnato valori importanti come l’integrità artistica, mentre molti gruppi di oggi si comportano come puttane, svendendo la propria identità per seguire la moda. Per me, tradire il metal sarebbe come tradire mia moglie. Gli anni ’80 resteranno nella storia perché è in quel periodo che il genere ha ricevuto l’impronta che lo caratterizza. Lo si comprende osservando le continue reunion delle band dell’epoca, salutate da tutti come eventi da celebrare.”

Ormai è risaputo che sei un grande fan di H.P. Lovecraft…
(MP) “Sì, lo reputo un fottuto genio, il più grande scrittore di fantascienza horror mai esistito. La title-track del nuovo disco è ispirata ai sui racconti, così come altre song in passato. Non si tratta di veri e propri adattamenti delle sue creazioni, non decido a priori di dedicargli una canzone. Ma succede che quando mi siedo a comporre, quelle atmosfere e quei personaggi si materializzano nella musica e nei testi che scrivo, forse per me è un modo inconscio di esprimere la passione per questo grandissimo scrittore. Lo sento molto vicino, è proprio quel tipo di visioni terribili e portentose che cerco a mia volte di rappresentare attraverso le canzoni.”

Gli High On Fire sono la tua creatura, ma se potessi scegliere di suonare in un’altra band, quale sceglieresti?
(MP) “Sai, non credo che potrei sopravvivere ad un'altra band!”

 

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