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I, VOIDHANGER MAGAZINE - INTERVISTA

 

DEAD MAN
ARE YOU EXPERIENCED?
di Voidhanger

 

C’è qualcosa nell’acqua di Orebro, in Svezia? È la domanda che nasce spontanea una volta che ci si accorge che molte delle migliori formazioni hard e psych provengono da quella piccola cittadina situata a qualche centinaio di chilometri da Stoccolma: innanzitutto i Witchcraft, autori di un paio di formidabili album per i tipi della Rise Above; poi gli emergenti Burning Saviours, che sembrano seguirne le tracce ponendo l’accento sui risvolti doom. E infine ci sono i Dead Man, debuttanti di lusso ispirati dal suono di San Francisco nei ‘60, soprattutto quello gentile e folky di Jefferson Airplane e Grateful Dead. Fasciato da una copertina da antologia, l’album eponimo dato alle stampe dalla piccola Crusher Records riesce mirabilmente a non impantanarsi nelle secche del revival fine a se stesso. I Dead Man non ricorrono neppure a quell’approccio indie-rock che personalizza in senso moderno le proposte di certi colleghi (Dead Meadow, Comets On Fire e Black Mountain), riuscendo nel piccolo miracolo di suonare semplicemente “senza tempo”. La parola al batterista Marcus Allard, l’uomo con la falce ritratto sulla copertina del disco.

Marcus, cominciamo dal nome della band: perché Dead Man? Dapprima ho pensato ad un omaggio al famoso album dei texani Josefus, pubblicato a cavallo tra i ’60 e i ’70. Ma il vostro approccio sembra decisamente meno heavy…
No, non siamo così pesanti, ma all’inizio lo eravamo. Mi ricordo che quando lo scegliemmo, ci divertiva l’idea di avere un moniker da band death metal.

La copertina del disco è affascinante e può essere letta a svariati livelli. In un certo senso potrebbe ricordare l’artwork di Keef per il primo album dei Black Sabbath, che ha lo stesso tipo di colori acidi, mentre il tema della figura con la falce sembra connesso al nome che vi siete dati…
Ci hai azzeccato! Ma è stata la fortuna a favorirci: un nostro amico artista ci scattò alcune foto durante un party di mezza estate che diedi a casa mia, e noi le abbiamo mandate ad un tizio che ci ha lavorato sopra. Non è stato facile cercare un’immagine di copertina appropriata, ma l’idea è nata da là...

Qual è stata la motivazione più forte che vi ha spinto a formare i Dead Man? Com’è venuto in mente a quattro giovani del nuovo millennio di formare un gruppo con profonde radici nel rock dei ’60 e ’70?
Mi sembra che una volta Eric Clapton abbia detto che le band nascono perché capita che i musicisti si frequentino tra loro. E per noi è successo in questo modo, improvvisamente non facevamo altro che ritrovarci, passare del tempo insieme e comporre brani. E inoltre tutti noi ascoltiamo un sacco di musica di quegli anni.

La vostra proposta non è comunque una copia sterile e standardizzata del rock dei Sixties, ma riesce a suonare moderna, anche se spesso in modi poco evidenti. Ma immagino saprete che in pochi se ne accorgeranno davvero, mentre la maggior parte scriverà che i Dead Man suonano retrò. È qualcosa che vi dà fastidio? Cosa rispondereste?
Sì, quando ultimammo il disco pensai ‘Wow, suona bene, suona moderno, abbiamo un sound nostro, speriamo che la gente se ne accorga.’ Invece tutte le recensioni che ho letto commentano la purezza Sixties del nostro sound! Forse hanno ragione, ma se suoni come una mera copia di qualcos’altro, allora non che è stia facendo chissà cosa d’importante. Come quei gruppi che rifanno i Beatles tanto bene da pensare di essere loro. Quindi mi ha fatto molto piacere leggere il tuo commento.

Ma secondo te, qual è la vera magia dietro alla musica di 40 anni fa? Perché la sua influenza è ancora oggi così forte, dopo tutto questo tempo?
Difficile rispondere a questa domanda. Forse è perché quelle musiche ebbero una grande importanza culturale, o perché è successo che un mucchio di gente di talento sia nata negli stessi anni. Oppure il rock era ancora giovane, e le idée più fresche. Tanti musicisti erano pionieri o volevano agire da tali, e gli strumenti di registrazione donavano al tutto un suono più naturale. Inoltre, la gente guardava meno TV e si interessava maggiormente a ciò che succedeva nella vita reale, piuttosto che subire la cultura prefabbricata di oggi.

A quell’epoca era quasi impossibile separare la musica da certe tematiche sociali e politiche, se non addirittura filosofiche, a cominciare dall’uso delle droghe come strumenti di ampliamento della coscienza e finendo con gli ideali utopici di “pace e amore”. Cosa rimane oggi di tutto questo? E a quali di quegli ideali i Dead Man si sentono di aderire?
Non so, trovo che sia difficile tenere fede a degli ideali. Sembra che la loro sopravvivenza sia determinata dal fatto che a condividerli sia un qualche tipo di comunità. Se i tuoi ideali non sono gli stessi della comunità in cui vivi, avrai problemi sociali ed emotivi, se non peggio. Credo che più alti siano i tuoi ideali, più sia facile restare amareggiati o perdere la fede in essi. Gli ideali sono una immaginaria percezione del mondo, e hanno il potere di cambiarlo solo quando sono condivisi da abbastanza persone, e soprattutto da quelle giuste. Ho visto un sacco di gente perdersi dietro ai propri ideali di gioventù, nel momento in cui essi non riescono a cambiare gli altri, e nemmeno chi li sostiene strenuamente. E a quel punto è doloroso ritrovarsi vecchi e sconfitti, magari trasformati in quello che si è sempre odiato.

Torniamo alle vostre fonti d’ispirazione. Immaginiamo già i gruppi alla base della vostra educazione rock, ma vogliamo sentirlo dalla vostra voce…
Jimi Hendrix, The Beatles, Cream, Mothers of Invention, Grateful Dead, John Mayall and the Bluesbreakers, Graham Bond Organization...

E gli Steppenwolf? In un brano come “Highway” ho avvertito le medesime “bad” vibrations di quella band, tanto da pensare che il brano non avrebbe sfigurato nella colonna Sonora di “Easy Rider”…
Grazie! Non ci avevo pensato, ma in effetti hai ragione, anche se suona strano mettere sullo stesso piano i Dead Man e quei grandi musicisti…

Sei d’accordo sul fatto che ci sia una certa vibrazione country/Southern nella vostra musica, qua e là? Soprattutto in certe parti di chitarra, che mi hanno ricordato gli Allman Brothers, capaciti distillare folk, rock, psichedelica e country in un’unica miscela, e con un certo gusto malinconico…
Non ho mai ascoltato gli Allman Brothers, ma mi piacerebbe farlo. Comunque sono d’accordo sul fatto che la nostra sia una mistura di stili diversi, e che le atmosfere dell’album siano decisamente malinconiche.

So che alcuni di voi suonavano in The Strollers, Norrsken e The Roadrunners. Insieme con un paio di altre band, come ad esempio i Maggots, si trattava di gruppi considerati tra i segreti meglio custoditi del rock svedese. Inoltre, so per certo che gli Strollers sono stati un grande amore di  Magnus Pellander dei Witchcraft, e che anch’egli ha suonato nei Norrsken. È giusto a questo punto parlare di una scena di Orebro?
“Beh, li considero tutti amici miei. Li conosco da anni, ci incontriamo spesso nei pub e alle feste. In molti mi chiedono circa l’esistenza di una scena, citando altri gruppi locali come i Burning Saviurs che però ritengo facciano qualcosa di diverso rispetto ai Dead Man… ma davvero non saprei cosa rispondere!”

E dello stoner rock cosa sai? Si è trattato di una scena molto florida nella seconda metà dei ’90, anch’essa fortemente ispirata dalla psichedelica  d’un tempo…
Non so molto di quella scena, ma la mia ragazza possiede una copia di ‘Songs For The Deaf’ (dei Queens Of The Stone Age – nda). Forse non si tratta esattamente di stoner rock, ma quel disco mi piace davvero tanto!

Sono molto curioso di sapere com’è nato il tour de force di “Deep Green Forest”: si è trattato di una cosa spontanea, o volevate confrontarvi col formato della suite, così tipica della musica rock del passato?
Per quel che ricordo, si parlava di sperimentare in studio, di creare un po’ di psichedelica rumorosa, e al contempo io volevo provare ad utilizzare suoni di piano pre-trattati. ‘Deep Green Forest’ è stato un pezzo free-form sin dall’inizio, nato spontaneamente dall’esigenza di fare incontrare le nostre idee sperimentali. Alcuni suoni sono nati semplicemente dal provare a spingere dei bottoni in studio, mentre altri sono stati creati intenzionalmente. Alla fine credo che per la sua struttura il brano suoni  tipicamente anni ’70 più di quanto fosse nelle nostre intenzioni iniziali. Non credo che ripeteremo questa formula: è possibile che accada, ma non volutamente.

Cosa puoi raccontarci dei vostri live show?
Abbiamo suonato live varie volte, e in modi diversi. A volte siamo stati davvero molto pesanti e veloci, alter volte siamo stati più dolci, restando fedeli al contenuto del disco oppure improvvisando. Dipende dal nostro stato mentale, e dal tipo di show che ci aspettiamo nel momento ci prepariamo per esso in sala prove. Ma abbiamo comunque imparato che l’importante è divertirsi e sapere cogliere le aspettative dell’audience in modo da creare con essa una sorta di connessione.

Che direzione prenderanno adesso i Dead Man? Immagino abbiate pronto dell’altro materiale…
Sì, abbiamo pronte alcune nuove canzoni, e fino a qualche tempo fa pensavo che il prossimo disco si sarebbe mosso seguendo le coordinate di un brano come ‘Mumbo Gumbo’. Ma adesso sembra che stia prendendo tutt’altra direzione, e la cosa è molto eccitante. Penso che avremo bisogno di altro tempo per lasciarci definitivamente alle spalle il nostro debutto e ricominciare daccapo, cercando di far funzionare i nuovi pezzi. Sono molto più complessi che in passato, per cui non dobbiamo avere fretta, dobbiamo prenderci tutto il tempo che serve.

 

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