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I, VOIDHANGER MAGAZINE - INTERVISTA


CLUTCH
HELP, I'M A ROCK!
di Voidhanger

I Clutch hanno alle spalle una storia lunga e una discografia ricca di belle opere che negli anni hanno fatto la gioia degli appassionati di hard rock. Dotati di un sound caldo e potente come quello dei grandi gruppi dei Settanta, i Nostri hanno conquistato tutti suonando dei live show dirompenti. Eppure, i Clutch non sono mai stati una band da grandi numeri. Si sono guadagnati uno stuolo di fan non indifferente, e persino i Mastodon ne hanno riconosciuto la grandezza invitandoli a dividere il palco e a suonare nei loro dischi. Ma l’idiosincrasia di Neil Fallon e soci verso i meccanismi e le ipocrisie del music business ne ha forse frenato le ambizioni. Evidentemente, il loro sogno rock non prevedeva il successo di massa e traguardi importanti, ma solo la possibilità di girare il mondo, divertirsi e far divertire. È tutto quel che fa intendere Fallon nell’intervista a seguire, attraverso risposte secche e spesso velate di humor.

Neil, presenta la band ai nostri lettori. Cosa c’è da sapere sui Clutch?
I Clutch sono insieme dal 1991. Suoniamo rock and roll. Crediamo che esibirsi dal vivo sia il cuore e l’anima del rock, e di qualunque altra musica, per quel che ci riguarda. Dal 2004 abbiamo aggiunto in formazione un nuovo membro, Mick Schauer, che suona l’organo Hammond B3.

“From Beale Street To Oblivion” è il vostro sesto o settimo album. Di sicuro avete parecchi fan, e la critica vi adora… ma non siamo i soli a pensare che avreste meritato di più di quel che avete raccolto nella vostra carriera, in termini di fama e successo. Cos’è che ogni volta vi spinge ad andare avanti?
Beh, credo che il bicchiere lo si possa vedere mezzo pieno o mezzo vuoto. Io preferisco vederlo mezzo pieno. La musica è tutto ciò che faccio. È la mia carriera. Sì, non mi permetterà di diventare ricco e famoso, ma mi piace fare ciò che amo. Cosa ci spinge avanti? La paura di doverci trovare dei ‘veri’ lavori! E poi amiamo visitare posti diversi e incontrare nuova gente.

Però c’è stato un momento in cui i Clutch sarebbero potuti diventare una band famosa: è stato durante la seconda metà dei ’90, quando lo stoner rock divenne molto popolare e c’era parecchia attenzione intorno al rock d’ispirazione Seventies. Cosa ricordi di quei giorni? Vi sentivate parte della scena?
Penso che la scena abbia ricevuto molta più attenzione in Europa di quanta ne abbia avuto negli States. Sul perché, non ho la minima idea. Abbiamo sempre diviso il palco con quelle band, ma credo che siamo finiti in mezzo allo stoner per default. Esattamente come ci successo all’inizio degli anni ‘90 con la scena hardcore. Per quanto mi riguarda, i re dello ‘stoner’ rock furono i Kyuss. Dopo che si sciolsero, nessuna band fu in grado di suonarlo altrettanto bene.

Sfortunatamente, lo stoner rock ha avuto vita breve, ed ha fallito nell’imporsi alle grandi masse. Perché? Troppe band fotocopia e troppo pochi leader, forse?
Beh, quasi come ogni altra cosa, alla fine lo stoner si è trasformato nella parodia di se stesso. La cosa divertente è che tutte le band che venivano descritte come ‘stoner,’ odiavano il fatto di essere descritte in quel modo! Penso che lo stoner abbia raggiunto un certo livello di popolarità, che poi è velocemente scemata. Così com’erano stati lesti a supportarlo, quelli che seguivano il trend lo abbandonarono altrettanto in fretta. Ci sono ancora alcune grandi band con quel tipo di suono, e si tratta davvero del meglio del meglio. Selezione naturale, suppongo.

Dunque, cosa vi aspettate dal nuovo album? E in cosa pensate che diverga dai precedenti?
Ha sicuramente un feeling più orientato al blues. Non è un disco ‘blues’, ma ha un po’ di quel sapore. È probabilmente la registrazione in studio più onesta che abbiamo mai ottenuto. Questo perché abbiamo provato tutte le canzoni in tour, prima di registrarle. Siamo entrati in studio conoscendo a menadito tutti i brani, e li abbiamo direttamente catturati su nastro, senza abbellimenti o trucchi digitali. Non so perché non lo abbiamo fatto prima. Ci ha reso la vita molto più semplice.

Questa volta avete scelto di lavorare con Joe Barresi, esperto produttore di heavy rock e stoner. Raccontaci della vostra esperienza con lui
Nel giro di un’ora dal momento in incontrammo Joe, capimmo di avere fatto una buona scelta. Già sapevamo che era in grado di registrare un grande disco, giudicando i suoi lavori passati. Ma in studio le personalità troppo forti possono creare problemi e scontri. Non è stato il caso di Joe: hamburger e videogame gli piacciono tanto quanto a noi.

Dicci di più circa la dimensione live dei Clutch, che a quanto dici sembra essere la vostra dimensione ideale, oltre che il banco di prova dei brani…
Sì, i brani scritti in studio di solito si rivelano deboli. A diventare forti sono invece quelli che abbiamo modo di strapazzare dal vivo. Per noi l’esibizione live è l’aspetto più importante dell’essere musicisti. Il girare dei video, ma anche l’effettuare delle registrazioni, è roba relativamente nuova, mentre il suonare dal vivo è una cosa che va avanti sin da quando l’uomo abitava nelle caverne. Pertanto, quando suoniamo live sappiamo bene di fare qualcosa di profondamente umano.

C’è qualche significato particolare dietro al titolo del nuovo disco?
Beale Street, per quelli che non lo sanno, è una strada di Memphis, nel Tennessee, dove i musicisti blues si esibivano sin dagli anni ’20. W.C. Handy nacque là. Si tratta di una mecca per gli artisti blues. Ed è anche un luogo dove la gente ci dà sotto con l’alcol! Per cui il titolo del disco si riferisce ad entrambe le cose. Una bella serata finita male, e il vecchio mito americano del musicista che affronta il diavolo.

Il vostro stile è cambiato radicalmente rispetto agli esordi: dalle iniziali influenze hardcore, siete passati ad un hard rock di purezza cristallina. In questa trasformazione non siete stati soli, se pensiamo che anche gli ex-Carcass Mike Amott e Bill Steer ora preferiscono suonare retro-rock con Spiritual Beggars e Firebird, rispettivamente. Come spiegate il bisogno di tornare a quel tipo di suoni, forse all’essenza stessa del rock?
Beh, dato che invecchiamo, le influenze musicali della nostra infanzia tornano a galla. Essendo cresciuti negli anni ’70, gruppi come ZZ Top, Led Zeppelin, Black Sabbath e Deep Purple ci hanno plagiato la mente. Forse i gruppi che seguivamo quando eravamo teenager non hanno avuto un impatto altrettanto importante sulla nostra psiche. Il fatto di suonare questa musica non scaturisce da alcuna decisione conscia, ma è qualcosa di puramente istintuale.

Immaginiamo che vi sarà sicuramente capitato di ricevere delle critiche per il fatto di suonare così retrò…
“Non c’è altra ragione dietro al fatto di suonare così, se non quella del divertimento. E poi, la buona musica è senza tempo, non ha età. Chi si preoccupa troppo di cosa sia contemporaneo e cosa non lo sia, non è un fan della musica, ma degli stili.

Ma in quali aspetti ritieni che i Clutch siano “moderni”, e in quali altri “retrò”?
La modernità sta nel modo in cui ci si porge. Nel rock è stato già detto tutto, ma è nel modo in cui lo si suona che torna ad essere nuovo. In cosa siamo retrò? Siamo una band rock and roll di 5 musicisti, e in questo non c’è nulla di nuovo.”

Cosa vi affascina de rock anni Settanta? Quale il segreto della sua eterna giovinezza?
Quella fu la prima generazione a prendere il blues, a spogliarlo fino al midollo e a super-amplificarlo. Era una cosa fresca, dato che si muovevano attraverso territori vergini e la loro musica era più sincera. Se una canzone è orecchiabile e racconta una storia, durerà per sempre.

A questo punto dicci delle canzoni che ti hanno cambiato la vita…
Mio padre aveva un disco di un gruppo chiamato West Coast Pop Art Experimental Band, in cui c’era una cover di Zappa, ‘Help I’m a Rock.’ Quella canzone all’inizio mi spaventò (avevo circa 6 anni), ma in seguito ne fui ossessionato. Mi ha mostrato sin da subito che la musica poteva essere molto di più che un jingle. Arte, per il solo gusto di essere tale.

Con quali band condividete questa vostra passione per il rock d’antan? Ascoltando un pezzo come “White’s Ferry”, probabilmente apprezzate l’hard blues dei Five Horse Johnson…
Sicuro, siamo molto vicini ai Five Horse Johnson. Non in senso carnale, ovviamente. Eric suona l’armonica nel nostro nuovo disco, mentre Jean Paul (Gaster, drummer dei Clutch) ha suonato la batteria sul loro ‘The Mystery Spot.’

…e scommettiamo che, provenendo dal Maryland, dovete molto anche a Wino e alle sue band…
Certamente. Wino è il patriarca della scena rock, e non mi basterebbero le parole per dire cose buone su di lui.

Cos’altro ascoltate, a parte i gruppi di rock classico?
Al momento sto ascoltando molto Witchcraft, Dungen, Magic Sam, James Hunter, Amon Duul 2… e devo dire che i Goblin sono sensazionali.

Sbagliamo, oppure c’è molta ironia nel vostro approccio lirico? Titoli come “Opossum Minister” o “Black Umbrella” sembrano dirlo chiaramente…
Sì, non riesco a prendere il rock and roll troppo seriamente. Si suppone che debba divertire. E poi mi è sempre piaciuto lo humor nero di Tom Waits, Nick Cave e Captain Beefheart.

Le vostre canzoni sono generalmente brevi e vanno dritte al sodo, persino quelle che hanno atmosfere psichedeliche. Vi interessa creare la canzone perfetta, oppure i brani lunghi vi annoiano?
A volte le canzoni lunghe possono essere auto-indulgenti, mentre i brani diretti funzionano meglio. Dal vivo ci piace allungare i brani, ma su disco bastano pezzi da 3 o 5 minuti. Forse abbiamo anche qualche difficoltà di concentrazione.

C’è un album dei Clutch che ti piace più di altro, o di cui sei maggiormente orgoglioso?
Beh, come tutti i musicisti, preferisco sempre l’album più recente. Altrimenti, il nostro album eponimo ce l’ho nel cuore. Non è un disco perfetto, ma segna il momento in cui finalmente capimmo che tipo di band fossimo.

Guardando al passato, c’è niente che non fareste, o che fareste diversamente?
Del passato non mi posso lamentare. Abbiamo alle spalle mille errori e rimpianti, ma le note positive sono di più. Tutto ciò che devo fare è applicare domani ciò che ho imparato ieri. Continueremo a suonare rock and roll per la gente a cui va di passare dei bei momenti. È una formula semplice, ma funziona.

 

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