OBSCURE METAL UNDERGROUND & VULTURE CULTURE
I, VOIDHANGER MAGAZINE - INTERVISTA

GOTICO ITALIANO: GUIDA AL DARK SOUND E ALLA CULTURA GOTICA IN ITALIA


Finché morte non ci separi...
di Voidhanger

 

C’è voluto l’interessamento e la competenza della Black Widow perché i genovesi Abysmal Grief si convincessero ad uscire dalla cripta e a registrare il primo album sulla lunga distanza, dopo 10 anni di attività e una manciata di pubblicazioni. Il disco, incentrato sul tema occulto per eccellenza, quello della Morte, è bello e affascinante, ennesimo esempio di “gotico italiano” in musica, dove il dark sound settantiano di’impronta prog incontra il doom ottantiano. La scuola è quella di Death SS, Paul Chain e Mortuary Drape, gruppi a cui gli Abysmal Grief hanno guardato con profitto, distinguendosi forse per una più approfondita conoscenza degli argomenti esoterici trattati. Di questo e altro ci ha detto Regen Graves, chitarrista e anima nera della band.

Gli Abysmal Grief sono finalmente giunti al traguardo del primo album, ma la sigla è attiva sin dal 1995. Cosa vi ha impedito di debuttare fino ad ora, tenuto conto che nella vostra città è da tempo attiva una label sensibile a certi temi quale la Black Widow?
Gli Abysmal Grief sono nati nel 1995, ma la vera e propria formazione ufficiale risale al 1998, anno in cui registrammo il nostro primo demotape ‘Funereal’. Da allora abbiamo avuto sempre svariati cambi di line-up, e questo ci ha creato non pochi problemi, sia dal punto di vista delle incisioni che da quello dei concerti. Dal 2000 in poi la formazione si è stabilizzata attorno a me, Labes C. Necrothytus alla voce e tastiere, e Lord Alastair al basso, e questo ci ha permesso di portare avanti una produzione discografica più o meno costante, con la realizzazione di tre singoli e un mini-lp. Il nostro principale interesse è stato sempre quello di incidere solo ciò che volevamo, e non abbiamo mai considerato la realizzazione di un album come un ‘debutto’: per quello che ci riguarda, il nostro debutto risale al 1998, e da allora ogni nostra uscita discografica ha lo stesso peso e la stessa rilevanza, in quanto frutto di un mio particolare percorso musicale e filosofico.

In che modo è cambiata la musica degli Abysmal Grief in questi dieci anni?
Riascoltando oggi le nostre prime composizioni non ci trovo nulla di cambiato: forse rispetto a ‘Funereal’ ci siamo leggermente raffinati su certi arrangiamenti, specialmente per quanto riguarda le tastiere, ma nel complesso il nostro modo di suonare e di interpretare un pezzo è rimasto inalterato, così come gli argomenti che tratto nei vari lavori. Logicamente tutto il discorso esoterico legato agli Abysmal Grief si evolve di pari passo con quella che è la mia personale evoluzione intellettuale, ma questo credo non influisca più di tanto sul nostro sound.

Siglare per Black Widow Records deve essere stata una scelta quasi naturale, nonostante negli scorsi anni abbiate riscosso un minimo di successo soprattutto all’estero, piuttosto che in Italia. Com’è andata? Vi sentite vicini ad altre band del loro roster, come L’Impero delle Ombre o Il Segno del Comando?
Prima di collaborare con la Black Widow abbiamo inciso per altre due etichette estere e non possiamo affermare certo di esserci trovati male, anzi. A dirti la verità, nessuna etichetta in Italia si è mai interessata a noi prima della Black Widow, mentre ancora oggi riceviamo offerte da piccole label nord-europee o addirittura americane, che tengono in grande considerazione il dark sound italiano, cosa che qui in Italia non sembra accadere, purtroppo. Il discorso dell’eccessiva esterofilia del pubblico italiano è cosa nota ormai, non c’è da stupirsi più di tanto. Per quanto riguarda invece L’impero delle Ombre, posso dirti che avverto una grande affinità concettuale tra noi e loro, e sono curioso di ascoltare il loro prossimo lavoro, nella speranza che si mantenga sulle stesse sonorità del debutto.

Raccontateci della genesi di “Abysmal Grief”. Siete soddisfatti del modo in cui rappresenta la dimensione occulta in cui si muove la band?
Direi di si, le canzoni contenute nel disco non sono state composte nello stesso periodo, ma risalgono ad un arco di tempo compreso tra il 1999 e il 2003, e sono state scelte perché facenti involontariamente parte di un percorso esoterico ben preciso. L’obiettivo principale forse è stato proprio quello di dare a tutte una stessa impronta musicale in fase di registrazione, e questo è stato sicuramente uno fra i tantissimi problemi che hanno caratterizzato la lenta realizzazione del disco. Alla fine, credo che il lavoro ci rappresenti in pieno, e siamo soddisfatti del risultato ottenuto, anche se avremmo preferito impiegarci un po’ meno tempo.

Ascoltando l’album, i primi nomi che vengono in mente quali fonti d’ispirazione sono indubbiamente quelli di Death SS, Paul Chain, Black Hole e primi Mortuary Drape. Artisti italiani, che in qualche modo hanno perfezionato uno stile “gotico” autoctono, benché imparentato col dark sound dei ’70 e col doom. Esiste dunque una sorta di “via italiana” a quelle musiche? E quali sono, secondo voi, le sue prerogative e le sue caratteristiche identitarie?
Come dicevo prima, il dark sound italiano è senz’ombra di dubbio un marchio di fabbrica che contraddistingue tutti i gruppi che hai menzionato, senza dimenticare ovviamente Jacula, Malombra, The Black, Devil Doll e così via. Credo che sotto questo aspetto ci si debba considerare come facenti parte di un’identità ben definita (soprattutto perché le tematiche occulte che ruotano attorno a questo genere sono proprie di una tradizione culturale e filosofica comune), anche se forse i primi a non rendersene veramente conto sono sempre stati proprio gli ‘addetti ai lavori’ e le band stesse. Se si considera il trend (e il conseguente business) che si è creato per esempio attorno alla scena black metal norvegese, risulta quantomeno opportuno chiedersi per quale motivo non sia successo in tutti questi anni qualcosa di simile qui da noi, visto che all’estero questo tipo di identità ci viene riconosciuta ormai da tempo!

Secondo voi, perché viene spesso scelto il doom per veicolare determinati messaggi e/o atmosfere? Quali sono le caratteristiche stilistiche ed emozionali che ne fanno il mezzo ideale per trasporre l’oscurità in musica, almeno nel vostro caso?
“Non saprei risponderti in maniera esauriente, soprattutto perché nel nostro caso nessuno di noi ha mai affermato di suonare intenzionalmente doom. Tanti anni fa, leggendo le prime recensioni dei nostri lavori siamo venuti a sapere dell’esistenza di gruppi che in realtà non avevamo mai ascoltato prima. In qualche modo questo ci ha portati a pensare che ciò che stavamo facendo veniva incanalato in un particolare contesto musicale senza che noi ce lo fossimo assolutamente prefissato, anche se per noi in verità ha sempre avuto poca importanza che si chiamasse doom, dark, gothic o quant’altro.

Prima ancora della musica, l’attrazione verso atmosfere gotiche ha imbevuto il meglio della nostra Letteratura e dell’Arte, per arrivare ad impossessarsi anche della cultura popolare – già di per sé basata su superstizioni e leggende – attraverso mezzi come la TV, il cinema horror e i fumetti. Un retaggio culturale che sentite forte anche voi?
Sicuramente la nostra musica risente della forte aura di misticismo che pervade tutta la cultura popolare dell’Italia, così come di tutti quei paesi in cui è sempre stato forte l’influsso della chiesa cattolica, sempre pronta ad ammonire e costringere le menti dietro la minaccia della Morte e della dannazione. Ciò se non altro, se da un lato ci ha fatto diventare uno dei paesi civilmente più arretrati e ipocriti d’Europa, dall’altro ha favorito lo svilupparsi di forme d’arte molto vicine alla sfera del Sovrannaturale, come il cinema o le arti figurative in generale, che forniscono un continuo stimolo alla nostra creatività.

Gli Abysmal Grief sono l’ennesima band di un certo tenore ad emergere dal sottobosco genovese. Solo un caso, o c’è qualcosa di magico e oscuro nell’atmosfera di quella città?
Non posso negare che Genova per certi aspetti sia una città piuttosto cupa, forse per il suo bassissimo indice di natalità, o per le poche prospettive che ha sempre offerto in ambito di socializzazione. In realtà noi non frequentiamo molto il contesto ‘cittadino’, e almeno personalmente non penso di essere mai stato influenzato da sfumature proprie di un ambiente urbano, che di per sé offre pochi stimoli per evolvere una qualche spiritualità.

La vostra poetica ruota principalmente intorno al tema della Morte. Siete attratti esclusivamente dall’immaginario horror che la circonda, oppure anche da certi suoi risvolti romantici e spirituali/religiosi?
Il tutto parte sicuramente da mie riflessioni sul tema della Morte, conseguenza di studi piuttosto mirati che ho portato avanti in questi anni. Cerco ovviamente di prendere spunto da elementi anche letterari e propri del genere horror, pur facendo attenzione a non sconfinare troppo nel semplice racconto di fantasia, ma considerando sempre il messaggio come una sorta di resoconto delle mie esperienze fino a quel momento, all’interno di un contesto che sia il più personale possibile.

In che cosa, secondo voi, certe dottrine religiose hanno sbagliato per non essere riuscite ad offrire una visione della Morte che fosse rasserenante o comunque accettabile?
Non sono uno studioso di religioni, ma ritengo che per quella che è la nostra cultura la religione si sia sempre servita proprio di questo aspetto della Morte, cioè come un qualcosa di cui avere paura. La Morte non viene mai considerata come uno dei tanti passaggi positivi che la nostra anima si trova a dover affrontare, ma solo come una sorta di esame in cui inevitabilmente la maggior parte di noi troverà una qualche punizione. Ovviamente non sono d’accordo con questa visione della Morte, e penso che ogni fine corrisponda sempre e comunque ad un qualche inizio.

Da sempre si associano certe pulsioni di Morte ed autodistruzione al rock e al metal, musiche prettamente giovanili, dunque paradossalmente “vitali”. Perché allora il tema ricorre spesso e volentieri?
Innanzitutto, non considero il rock o il metal musiche prettamente giovanili. Credo invece che l’attrazione giovanile verso la Morte sia dovuta soprattutto ad una naturale mancanza di sensibilità pratica che si ha in genere a quell’età verso il concetto di Fine, più ancora che ad un vero e proprio disagio o bisogno di conoscenza.

Negli anni ’60 e ’70 gruppi come Jacula/Antonius Rex, Black Widow e Dr.Z davano grande peso all’aspetto teatrale della messinscena macabra. Addirittura gli americani Coven registarono una messa satanica nel lato B del loro primo album, una delle prime ad essere immortalata su vinile. Quanto sono importanti i risolti scenici e ritualistici per gli Abysmal Grief?
Per noi l’immagine e la resa concettuale dal vivo è assai importante, e non a caso rifiutiamo di suonare in quei locali dove non ci è possibile usufruire a pieno del nostro accompagnamento scenografico. Credo che per esprimere certe tematiche dal vivo la musica da sola non basta, ed è fondamentale l’apporto di elementi che permettano all’ascoltatore di immedesimarsi il più possibile all’interno del contesto narrato.

Avete mai pensato all’idea di realizzare un concept album, tenuto conto delle grandi qualità descrittive della vostra musica?
Sia l’album di prossima uscita che il mini-LP ‘Mors Eleison’ si possono considerare a tutti gli effetti come dei concept: entrambi rappresentano un particolare modo di presentarsi davanti alla Morte, più personale e introspettivo il primo, e più ritualistico e dottrinale il secondo. Mentre per ‘Mors Eleison’ ciò è stato voluto in precedenza, per l’album è avvenuto in maniera assolutamente casuale e spontanea, anche se il risultato complessivo è decisamente meno accessibile da un punto di vista concettuale.

Nei vostri testi non sembrano esserci tracce del satanismo a buon mercato che anima gran parte del black metal, genere che alcuni di voi hanno avuto modo di frequentare. In che modo vi ponete rispetto al metallo nero e alla mercificazione che troppo spesso si è fatta in quella sede dell’esoterismo in musica?
Nessuno di noi disdegna a priori il black metal, anche se non è certo un genere che ascoltiamo tutti i giorni. Personalmente stimo molto alcuni primi gruppi considerati black come i Bathory o i Celtic Frost, e credo che alcuni prendessero molto seriamente il satanismo, mentre tutto il filone scandinavo è nato solo da un senso di profondo disadattamento adolescenziale, e per questo ha avuto successo.

“Abysmal Grief” è appena uscito, ma era pronto da tempo. Nel frattempo avete avuto modo di comporre nuovo materiale? Cosa possiamo aspettarci in futuro?
Al momento stiamo per entrare in studio per registrare uno o due nuovi pezzi che andranno a far parte di un prossimo 45 giri, anche se non sappiamo ancora se sarà uno split o un lavoro interamente nostro, mentre per quanto riguarda un nuovo album, abbiamo appena ultimato gli arrangiamenti delle nuove canzoni e credo che dopo l’estate cominceremo le registrazioni del secondo album, per il quale mi auguro ci saranno meno problemi di realizzazione di quanti non ce ne sono stati per questo.

Chiudiamo con una domanda d’obbligo: quali sono i dischi a voi cari, quelli che vi hanno segnato, o che in qualche modo hanno determinato la nascita degli Abysmal Grief?
Sicuramente ci sono stai molti dischi di svariati generi che nel corso degli anni ci hanno influenzato in qualche modo, ma personalmente credo che il disco più importante per la mia ‘formazione’ musicale sia stato ‘The Story of Death SS’, che tutt’ora ritengo un disco inarrivabile in quanto a negatività e senso di Morte.

 

 

ABYSMAL GRIEF
"Abysmal Grief"
(Black Widow, 2007)

I genovesi Abysmal Grief esistono dal 1995, ma solo oggi approdano all’album di debutto per Black Widow Records. È l’ennesimo mattone con cui la label ligure sta costruendo pian piano una cattedrale gotica tutta italiana, confermando l’esistenza di uno stile dark/doom autoctono.
Al di là delle ovvie influenze Seventies di Black Sabbath e Black Widow e ad un’inevitabile passione per il doom ottantiano, gli Abysmal Grief hanno ereditato soprattutto le inclinazioni metal di Death SS, Paul Chain e primi Mortuary Drape. Ed insieme ad esse, anche una certa inclinazione prog e una spiccata sensibilità teatrale, adeguata alle istanze occulto-macabre che ne informano la poetica. Il rituale negromantico dell’imponente “The Necromass: They Always Answer”, l’elegia doom di “Requies Aeterna” e l’organo saltellante di “Cultus Lugubris” hanno per protagonista la Morte, raccontata solitamente coi toni dell’horror, ma anche del gotico ottocentesco, tra recitativi in Latino, scrosci di pioggia e campane a morto. È una musica che trasmette il fascino morboso e magico di catacombe umide e cimiteri dimenticati, raccontati col rispetto superstizioso e la devozione propri della nostra cultura.

 

torna al sommario