I DINTORNI DI VITERBO

  

 LA QUERCIA

 

 

E’ un piccolo borgo, ormai quasi unito alla città, nato nella seconda metà del XV sec., per la devozione dei fedeli, intorno alla imponente mole del: Santuario di S. Maria della Quercia. E un complesso costituito oltre che dalla Basilica, da un grandioso convento, adibito ora a Seminario; sorge sul luogo dove nacque il culto della Ma­donna della Quercia. Agli inizi del '400, l’immagine della Madonna, dipinta su una tegola romana, venne posta su una quercia in un campo tra Viterbo e Bagnaia. Furono molti i miracoli attribuiti alla santa immagine, fra i quali la liberazione da un'epidemia di peste, tanto che i molti fedeli, provenienti anche da città lontane, per gratitudine decisero di erigere una basilica intorno alla sacra quercia. I lavori per la costruzione del santuario iniziarono, a cura del Comune di Viterbo, nella seconda metà del '400; incerto e l’autore del progetto, mentre e noto che la direzione dei lavori fu di Mastro Danese. II massiccio campanile, di Ambrogio da Milano, sorge a lato della scalinata d'accesso; ha tre ripiani, l’ultimo dei quali, la cella campanaria, contiene le due campane di straordinaria grandezza: la Maria e la S. Agata. Preceduta dai resti di un portico, di cui rimango no due colonne e due pilastri, la maestosa facciata in bugnato smussato, ha tre portali sormontati da lunette, in terracotta invetriata, di Andrea della Robbia, che rappresentano, al centro, Madonna con Bambino incoronata da due Angeli e due Santi, a sinistra, S. Pietro e due Angeli ed a destra, S. Domenico e due Angeli. II portale centrale e sovrastato dallo stemma di Giulio II, al di sopra del quale e posto un finestrone rotondo. Sul timpano sono raffigurati i due leoni, simboli di Viterbo, con al centro una grande quercia. II Santuario, ha l’interno diviso in tre navate da colonne che sorreggono arcate con decorazioni di Cesare Nebbia. Lo splendido soffitto a cassettoni, ornato e ricoperto di oro zecchino, fu realizzato, per volere di Paolo III Farnese, da Giovanni di Pietro detto Pazera, su progetto di Antonio da Sangallo il Giovane. Nella navata di destra, si possono ammirare, pregevoli tele del XVI-XVII sec., un maestoso organo del '600 ed un pennone della battaglia di Lepanto. Nel presbiterio, troviamo un tempietto di marmo, opera della fine del '400 di Andrea Bregno, in cui si conserva la quercia e la tegola del miracolo, dipinta nel 1414 da mastro Monetto. Dietro l’altare maggiore, e posto un coro in legno intarsiato da maestri fiorentini del 1500 ed un leggìo quattrocentesco di scuola viterbese, sulla volta e raffigurata la Madonna della Quercia fra due Angeli e Santi. Un altare adorno di stucchi della fine del '500, si trova nell'abside, con una tavola di Bartolomeo della Porta, raffigurante l’incoronazione di Maria. Nella navata sinistra, troviamo un presepe cinquecentesco di artisti toscani ed alcuni dipinti del 1500-1600. Un affresco di Angelo Pucciati, sulla parete sovrastante i portale centrale, rappresenta il Miracolo del prete di Canepina e sulla parete d'ingresso, troviamo un dipinto di Pietro Vanni, raffigurante la Decapitazione del Battista. Nella navata sinistra vi e l’ingresso al Museo do­ve si possono ammirare 206 ex voto, che sono compresi nel periodo che va dalla fine del '400 alla prima metà del '700, un affresco riportato su tela, probabilmente di Carolina da Viterbo, paramenti ed arredi sacri e 1 3 statuette bronzee del 1600. Il chiostro della fine del XV sec., adiacente alla Basilica, e opera, forse, di Mastro Danese da Viterbo, ha pianta rettangolare ed e a doppio ordine, quello inferiore e in stile gotico, il superiore, probabilmente di epoca posteriore, e in stile rinascimentale. Sulle pareti del portico troviamo affreschi del XVII sec. che raffigurano i miracoli della Madonna del­la Quercia; al centra del chiostro un pozzo degli inizi del XVI sec..

 

 BAGNAIA

 

 

Sorge a 441 m. s.l.m., su un territorio collinoso ai piedi dei Cimini, a 4 km. da Viterbo a cui e aggregata come frazione. La zona e ricchissima di acque tra cui la famosa acqua del "Pisciarello", nota per le sue qualità diuretiche. Bagnaia e, inoltre, rinomata per l’ottima gastronomia che insieme alla cordialità degli abitanti ed alle bellezze artistiche, ne fanno un' interessante metà turistica. II paese ha origine nell'alto medioevo, nel 1202 viene donate dal Comune di Viterbo al Vescovo della città: da allora fu sotto il dominio della Chiesa con i numerosi cardinali, che ne influenzarono la storia e dettero luogo alla realizzazione della stupenda "Villa" che, ancora oggi, ne rappresenta l'attrattiva principale. Tra i monumenti ricordiamo:

- Palazzo della Loggia. Antico palazzetto medioevale rimaneggiato agli inizi del '500 per volere del Card. Riario. L'interno e ricco di affreschi e il soffitto della loggia presenta scene dell'Eneide, vedute di alcune città  e la Pianta di Roma, attribuita ad Antonio Tempesta.

- Palazzo del Comune. Fu edificato nei primi anni del XVI sec. su ordine del Card. Riario e, nel 1576, fu acquistato dal Comune che ne fece la propria sede. Vi si conservano interessanti affre­schi del '500.

- La porta del Castello. E' del 1 541 ,/voluta dal Card. Ridolfi, e affiancata da una torre cilindrica, unico resto delle antiche mura fortificate. La porta ha anche la funzione di dividere il paese in due, quello all'interno della mura, detto "Ba­gnaia di dentro", quello all'esterno, sviluppatosi nel XVI sec. intorno alla "Villa" e detto "Bagnaia di fuori".

- Villa Lante. Questo stupendo complesso architettonico, costituito da due palazzine, da uno splendido giardino all'italiana e da un vasto parco, e così chiamato perché prende il nome della famiglia che ne ebbe il possesso per quasi tre secoli.

Agli inizi del '500, il Card. Riario, appassionato di caccia, fece recingere una vasta zona di bosco, i "barco", cioè l’attuale parco, dove nel 1514 suo nipote, Ottaviano Visconti, fece costruire il "Casino di caccia". Per trasformare, però, l’originario "barco" nella "Villa" che oggi possiamo ammirare, ci vollero circa cento anni e l’interesse di quattro cardinali che si avvicendarono alla sua costruzione: il Card. Ridolfi, il Card. Gambara, il Card. Cornaro ed il Card. Montalto. Molti   attribuiscono il progetto della "Villa" al Vignola, impegnato in quegli anni nella realizzazione di Palazzo Farnese di Caprarola. Superato l’ingresso principale, ci si trova dinanzi l’imponente "Fontana del Pegaso", il cavallo alato che fa sgorgare acqua dalla roccia; la scalinata alla sua sinistra conduce al "Giardino all'italiana", mentre il sentiero di destra conduce all'interno del parco, folto di felci secolari e con numerose fontane fra le quali la "Fontana dei leoncini", la "Fontana del castoro" e vasche co­me (a "Neviera", valuta dal Card. Montalto, per conservare la neve da usare nel periodo estivo ed il "Conservone", eseguita per ordine del Card. Ridolfi, per la raccolta delle acque. Entrando nel "Giardino all'italiana" si ha l’impressione di un prezioso ricamo eseguito, con aiuole, peperino e zampilli d'acqua. Le palazzine che vi sorgono, con la loro linea sobria ed essenziale, si inseriscono nello stupendo scenario costituito dalle perfette simmetrie del giardino rinascimentale. Le due costruzioni, eseguite in epoche diverse, prendono il nome dei cardinali che le hanno commissionate: la prima, "Palazzina Gambara" fu terminata nel 1578, presenta all'interno pregevoli affreschi di vari autori fra i quali il Tempesta; la seconda, "Palazzina Montalto" venne eseguita dopo il 1590 e decorata con dipinti eseguiti in prevalenza dal Cavalier d'Arpino e Agostino Tassi. II giardino si sviluppa a terrazze, sfruttando il pendio naturale del suolo, partendo dalla "Fontana del Quadrate" delta anche dei "Quattro Mori", per le figure che la dominano al centro, sale, tra ortensie e camelie, alla "Fontana dei Lumini", con la sua leggiadra cascata d'acqua. Sulla terrazza successiva, si trova una grandissima tavola di peperino, delta la "Mensa del Cardinale" che serviva per i conviti all'aperto, all'interno della quale scorre l’acqua. Salendo ancora si trova, sulla terza terrazza, la "Fontana dei Giganti", le cui due figure rappresentano i fiumi Arno e Tevere, l’acqua vi arriva attraverso una "Catena" di peperino che termina con le chele di un gambero, quasi a ghermire le due imponenti statue. Sul ripiano superiore troviamo, la "Fontana dei Delfini", a forma di ottagono, piena di fregi con 16 coppie di delfini in peperino e gli zampilli di numerosi "scherzi" d'acqua. Al di sopra, a dominare l’intero giardino, trovia­mo, la "Fontana del Diluvio", da cui attraverso le rocce ricoperte da fitta vegetazione, sgorga l’acqua che raggiunge ed anima tutte le fontane sottostanti; ai due lati possiamo ammirare "le Logge delle Muse", con rustiche pareti laterali ma con l’interno decorato da affreschi raffiguranti le Muse e le due belle facciate con gli stemmi del Card. Gambara.  

 

ACQUAROSSA

 

 

E' una località archeologica che dista circa 6 km. da Viterbo, sorge sul colle di S. Francesco ed e stata riportata alla luce grazie all'intervento dell’istituto Svedese di Studi Classici di Roma; agli scavi collaboro anche il Re di Svezia, Gustavo Adolfo VI. E' il luogo dove sorgeva un insediamento etrusco del VII-V sec. a.C. di cui si possono ora vedere resti di edifici monumentali, abitazioni, vie, piazze che ci forniscono importanti testimonianze sulle tecniche di costruzione e sull'architettura di quel periodo. le case erano molto semplici, composte generalmente di tre stanze precedute da un portico, le pareti erano di tufi o di cannucciato e i tetto, a due spioventi, era ricoperto con grosse tegole o nel caso degli edifici maggiori, da lastre di terra­cotta decorate. Questa località deve il suo nome alla presenza di una sorgente di acqua  ferruginosa dalla particolare colorazione rossastra.  

 

FERENTO

 

 

E' posta a circa 8 km. do Viterbo, su un altopiano che domina un'ampia vallata, l'antica Ferentium, ricostruita dai Romani, dopo la distruzione del vecchio insediamento etrusco, raggiunse il massimo splendore intorno al I sec. e fu rasa al suolo dai Viterbesi nel 1172. Gli scavi dell'archeologo Luigi Rossi Danielli ai primi del '900, hanno riportato alla luce i resti dell’antico abitato attraversato dalla strada selciata, solcata dalle ruote dei carri ed alcuni monumenti maggiori fra i quali:

- Teatro. Edificato nel I sec. e la vestigia più importante dell'antica Ferentium. La facciata a blocchi di peperino aveva sette porte, la parete scenica e in mattoni su cui erano pa­ste statue delle muse, la cavea con 13 gradinate è chiusa da un portico con possenti archi decorativi costituiti da blocchi di peperino incastrati a secco. L'ottimo stato di conservazione, consente, durante il periodo estivo, l’allestimento di rappresentazioni teatrali all'aperto.

- le terme. Edificio anch'esso del I sec., di cui sono visibili circa trenta vani, e interessante documento dei sistemi di riscaldamento e circolazione dell'acqua usati all'epoca.

 

LE TERME

 

 

I "Bagni" di Viterbo erano conosciuti fin dall'antichità per le proprietà terapeutiche delle acque tanto che i Romani vi eressero grandi complessi termali, di cui oggi rimangono solo pochi resti e che rivaleggiarono per importanza con altri famosi centri come Baia; anche nel Medioevo le Ter­me furono frequentate da importanti personaggi come i Papi Gregorio IX e Bonifacio IX. Questa località e caratterizzata dai contrasto fra il biancore dei depositi solforosi delle acque sorgive ed il verde del paesaggio circostante. Si incontrano piccole pozze di fango e acqua termale a circa 60 gradi che vengono usate liberamente dai cittadini. La più grande di queste sorgenti e il "Bulicame", ricordata nel XIV canto dell'Inferno dantesco e conosciuta gia in tempi antichissimi: il suo cratere naturale ha una larghezza di circa 8 metri e sorge alla sommità di una bianca altura, la superficie ribolle continuamente per la presenza di gas sprigionati dalle viscere della Terra. Le acque termali sono sulfuree, solfate, bicarbo­nate, alcaline, terrose, ipertermali e radioattive, con temperature oscillanti fra i 40 e i 65 gradi e, insieme ai fanghi, sono particolarmente consigliate dagli specialisti per la cura di malattie infiammatorie croniche delle prime vie aeree, per le artrosi primitive e secondarie, per i reumatismi, in ginecologia e nelle patologie dermatologiche. II comune di Viterbo, intorno alla metà dell'800, vi edificò uno stabilimento, poi rifatto nel dopoguerra, che dispone di una grande piscina all'a­perto, funzionante anche d'inverno, con acqua termale a circa 30 grandi; accanto ad esso sorgono le Terme gestite dall'INPS per la cura dei propri assistiti. II terzo stabilimento, Terme Salus, e stato costruito da privati e recentemente ristrutturato, offre oltre all'ottima assistenza terapeutica, moderne attrezzature per la cura estetica del corpo e tutti i conforts per trascorrere una piacevole vacanza in un bel complesso alberghiero.

 

CASTEL D'ASSO

 

 

Si trova a circa 8 km. da Viterbo ed e una interessantissima e suggestiva necropoli rupestre che sorge su uno sperone di tufo a nord del torrente Freddano, di fronte all'acropoli, che dipendente da Tarquinia, ebbe il periodo di massimo splendore tra il IV-II sec. a.C.. La zona fu abbandonata in epoca successiva, anche se esistono i resti di un castello Medievale a testimonianza di insediamenti umani in quel periodo. La necropoli, che si sviluppa su un'area piuttosto ridotta, e costituita da tombe monumentali a facciata, disposte su tre ordini sovrapposti, tra cui le più comuni sono quelle a dado, con un vano di sottofacciata ed una finta porta dorica, su alcune si trovano iscrizioni relative al proprietario. Fra le tombe più importanti ricordiamo la "Tomba Grande" o della Regina, di enorme capienza, contiene ancora 14 sarcofagi ed ha il corridoio d'accesso lungo 20 m.; la "Tomba Orioli" e la "Tomba degli Urinates-Salvies".

 

SAN MARTINO AL CIMINO

 

 

A circa 6 km. da Viterbo, sorge sui colli Cimini ad un'altezza di 561 m.; tra boschi di castagni che, oltre al gustoso frutto autunnale, forniscono legname per i più svariati usi. II paese, per la sua splendida posizione tra il verde e per la vicinanza al logo di Vico, e un frequentato centra di villeggiatura. S. Martino al Cimino ha la sua storia legato all’avvicendarsi di vari ordini religiosi; i Benedettini nel IX sec., i monaci dell'ordine di S. Sulpizio all’inizio del XII sec. e i Cistercensi di Pontigny che circa un secolo dopo successero a questi ultimi. Nella metà del XVII sec., l’antico borgo medievale, fu ceduto da Papa Innocenzo X alla cognata Olimpia Maidalchini Pamphilj, la quale dette un nuovo assetto urbanistico al paese: ponendo al centro la stupenda "Abbazia", l’abitato venne strutturato a forma di ferro di cavallo contornato lungo il perimetro da caratteristiche casette a schiera che seguono l’inclinazione del terreno e che fiancheggiano le due strade parallele che attraversano il paese. Questo tipo di soluzione urbanistica, costituiva anche una ulteriore possibilità di difesa, in quanta il paese aveva due sole porte d'accesso, una a monte ed una a valle. Donna Olimpia, fece inoltre edificare, su preesistenti costruzioni annesse all'"Abbazia", il "Palazzo Dona Pamphilj", recentemente restaurato e destinato a centro congressuale. II monumento più importante che caratterizza S. Martino e l’imponente Abbazia. Fu eretta nel XIII sec. dai monaci cistercensi di Pontigny, anche grazie alle sovvenzioni di cui godevano per volere di Papa Innocenzo III; fu proprietà ecclesiastica fino al 1645 quando Papa Innocenzo X la cedette a Donna Olimpia Maidalchini Pamphilj. La facciata, rimaneggiata nel XV sec., presenta una polifera gotica grande come la navata centrale ed ai lati, due massicci campanili gotici della metà del '600. L'interno ha pianta a croce latino, e composto da tre navate con volte a crociera divise da archi ogivali sorretti da pilastri e colonne, grandi monofore illuminano la navata centrale. Nella navata di destra, racchiuso da una cancellata barocca, si trova un pregevole fonte battesimale. Ai lati, l’abside pentagonale presenta due cappelle per parte, fra loro comunicanti ed e illuminata da due ordini di finestre. II refettorio diviso da tre colonnati, ha volte a crociera ed e illuminato da sei finestre strombate; la sola Capitolare e suddivisa, da archi a tutto sesto, in tre campate ed il soffitto e le lunette sono state affrescate nel XVII sec.. Nell'Abbazia si conservano un dipinto di Mattia Preti raffigurante la "Carità di S. Martino" ed un affresco staccato, del '300, con l’immagine della "Madonna con Bambino".

 

 

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