James Reason, professore emerito di Psicologia all'università di Manchester, UK, si occupa di errore, o più precisamente della prevenzione dell'errore umano.
Recentemente ha tenuto una lettura magistrale in un convegno sugli errori in medicina (Errore umano, professione medica, responsabilità - Cagliari, 20 aprile 07) nella quale ha detto: "...gran parte delle nostre vite è affidata a una sorta di pilota automatico. Noi deleghiamo il controllo a una serie di processi automatici, non usiamo sempre la mente per decidere cosa fare in ogni situazione, ma lasciamo che molte cose accadano da sole. Spesso questo comporta la distrazione: a volte le nostre menti sono assenti e anche la nostra attenzione, e accade qualcosa che non rientrava nelle nostre intenzioni."
Questa analisi mi trova completamente d'accordo. Gli automatismi mentali però sono anche più profondi di quello che Reason probabilmente intende. Non mi riferisco all'azione, ad esempio, di ingranare le marce nella giusta sequenza mentre si guida la macchina e si fa più attenzione al colore dei semafori o anche, addirittura, a quello che dovremo dire a una persona che stiamo per incontrare. Questi automatismi servono in definitiva per disimpegnare la mente che può così occuparsi di ciò che più le piace, ovvero di eventi già accaduti o ancora da venire, in sostanza il passato e il futuro, che vengono continuamente rivisti, rivissuti, reinterpretati e aggiornati da un'attività mentale incessante, apparentemente "normale" e di solito chiamata "pensiero".
Questa è la nostra esperienza quotidiana, ed è talmente abituale che non ci sembra possibile instaurare un'altra modalità di "pensiero". E da questo punto di vista, dando per scontato che questo sia il "pensare", gli automatismi mentali sono l'unica cosa che ce lo rendono possibile, altrimenti, occupati a ingranare la seconda, non potremmo occuparci di rivivere in infinite varianti il colloquio avuto il giorno prima, sperimentando ad ogni passaggio un diverso set di reazioni.
Solo questo mi sembra essere il significato principale del controllo da parte del pilota automatico, e già qui ci sarebbe da discutere sulla reale necessità di tutto quel lavorio mentale, che, reso libero dagli automatismi, tende a riscrivere la storia e pianificare il futuro, due attività che chiamerei per definizione inutili.
Ma come accennavo prima, ci sono automatismi ben più profondi e di cui non ci possiamo rendere conto, ingolfati come siamo a cercare di prevedere l'imprevedibile, e che Reason per qualche ragione non cita (non sono importanti ai suoi fini? non li conosce?).
Spesso prendiamo decisioni in base a ciò che chiamiamo fatti, eventi. Ma in realtà quello che ci colpisce non è il fatto "reale" in sè, ma ciò che per ciascuno di noi questo rappresenta. E in questa rappresentazione c'è una buona parte di immaginazione, e tutto questo passa nella nostra mente senza nessuna identificazione e prende la forma di realtà oggettiva. Faccio un esempio: una domanda che ci viene fatta produce una risposta aggressiva se l'interlocutore ha dimostrato aggressività nel suo domandare. Ma spesso tutto questo è il risultato di un "fraintendere", e quante volte abbiamo detto (o avremmo dovuto, o voluto dire): "Scusa non avevo capito, pensavo che tu volessi dire..."
Ecco, qui sta il punto. "Pensavo che..." rivela che la nostra mente ha fatto un passo in più: ha ascoltato e, a partire dalle parole dette dall'altro, ne ha interpretato le intenzioni. Questo può anche funzionare, se c'è l'intuito o se si conosce profondamente l'altra persona, ma quello che NON si nota immediatamente è che ciò è un processo mentale tutto nostro, che va ad attribuire all'altro intenzioni e significati che spesso si scoprono errati, partendo da fatti attuali e aggiungendo sensazioni, ricordi, calcoli probabilistici, il tutto in una frazione di secondo e in modo altamente integrato. Il risultato può anche essere a noi utile, ma il punto che sfugge è che il processo non è un'analisi oggettiva della realtà ma una nostra rielaborazione, applicata a un dato evento. In altre parole, quello che inizia il nostro processo mentale è un avvenimento che si verifica con certe caretteristiche in quello che viene percepito come mondo esterno, ovvero in un contesto oggettivo; ma tutto ciò che avviene poi, compresa la decisione finale che scaturisce da questo treno di pensieri, è frutto di supposizioni o estrapolazioni che la nostra mente produce e che noi percepiamo come LA realtà oggettiva. In sintesi, prendiamo decisioni e come risultato compiamo azioni in base a ciò che viene immaginato come reale, ma che spesso è totalmente erroneo.
A questo punto, Reason continua: "Ma se dovessimo sempre essere presenti a noi stessi la vita sarebbe impossibile: se dovessimo concentrarci su ogni singola azione non accadrebbe più nulla, non riusciremmo neanche a decidere come allacciarci le scarpe. Parliamo di situazioni alle quali ci siamo adattati; sono gli aspettti negativi di un bilancio complessivo che, di fatto, è ampiamente positivo."
L'insegnamento del Buddha va esattamente nel senso opposto: esercitare la presenza mentale nel modo più completo e continuo possibile, in modo da essere sempre ancorati al presente, allo stato attuale, coscienti di ogni processo che impegna la mente, e quindi anche delle ipotesi e supposizioni di cui parlavo sopra, che vengono portate alla luce e valutate per quello che sono: ipotesi di lavoro, che possono portare alla soluzione di un problema, ma che sicuramente derivano dai nostri processi mentali e non da una "realtà oggettiva". La consapevolezza, "sati", se esercitata proprio a partire dalle attività dove l'automatismo è minimo, o è più meccanicistico, può giungere ad allargarsi ed abbracciare anche le attività mentali superiori, come i processi decisionali che portano ad azioni e quindi modificazioni dell'ambiente che ci circonda.
In questo sviluppo si ottiene come effetto collaterale la riduzione dell'errore derivante dai motivi delineati da Reason (prevalenza degli automatismi sulla coscienza).
Quindi, paradossalmente, impegnare la mente nella consapevolezza totale dà come risultato non l'immobilità e l'impossibilità di prendere decisioni, ma la vera libertà di scelta priva di errori: la visione della realtà cosi' come veramente è provoca azioni conformi, adatte alla situazione. Dato che questo è un processo dinamico (la realtà è in continuo mutamento) anche la coscienza muta e si adatta e provoca decisioni ed azioni che istante per istante sono in sintonia con l'universo.
La presenza mentale alle porte dei sensi (compreso il Mentale), esercitata quotidianamente e con impegno, agisce riducendo l’ignoranza e l’attaccamento, che sono le radici del Dolore, del Disagio, del Malessere. Ma agisce anche in positivo sulle attività pratiche della vita quotidiana, liberando la mente da preconcetti, idee, concezioni che hanno radice nel vissuto, nel passato e non nel momento presente, quello in cui viviamo e operiamo, là dove si richiede destrezza, attenzione e precisione.

Novembre 07