I TEMPI CAMBIANO
di Vincenzo Ballo |
Se tornassero
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cure - medicina - redivivo -
interessi - futuro].
Finite le feste, gli emigranti ripartono, gli “svizzeri” sono già partiti prima
per riprendere il lavoro l’indomani di Ferragosto, gli italiani hanno tempo sino
alla fine del mese. Io che sono pensionato posso restare ancora e approfittare
dell’aria buona del paese natìo, che mi ha rinvigorito.
Ho avuto il piacere e anche la gioia di rivedere i miei paesani, in particolare
amici e parenti, residenti ed emigrati, tra cui qualcuno che risiede a Torino,
dove abito anch’io ma lì non c’incontriamo. Purtroppo la stragrande maggioranza
degli emigrati non tornano più. Molti addirittura sono stati cancellati dalla
memoria. Quando affiora alla mente qualche persona, viene un po’ di nostalgia e
si vorrebbe rivederla. Chissà dove sarà, come sarà, cosa avrà avuto nella vita,
se è ancora viva… Nei primi tempi invece si tornava tutti con entusiasmo e con
impazienza.
Dopo undici mesi di lavoro ci si metteva in ghingheri per dimostrare di stare
bene, le donne tutte eleganti, gli uomini bianchi e lucidi, tra cui moltissimi,
se tornavano dalla Svizzera o dalla Germania, avevano la pancia gonfia di birra
e la mostravano con orgoglio come segno di benessere. Tutti portando regalini a
parenti e amici, gli uomini che tornavano dall’estero regalavano sigarette.
Rivedendosi dopo molto tempo, ci si abbracciava con gioia ed era una gran festa.
Quelli rimasti al paese apprezzavano con invidia ed erano invogliati a partire,
quasi credendo che al Nord, e all’estero specialmente, i soldi si guadagnassero
a palate senza fare sacrifici. Per riprendere un po’ del vecchio colorito, si
andava qualche giorno al mare a Falconara o nelle sue vicinanze, i primi anni in
autobus, poi, man mano che qualcuno si comprava l’automobile (e quelli
dell’estero portavano grossi macchinoni da far invidia ai ricconi del paese) si
andava in macchina. Ci si portava da mangiare, e si cercava di approfittare del
poco tempo che si aveva a disposizione, restando tutto il giorno al sole, senza
nessuna crema sulla pelle, divertendosi a giocare col pallone o in altri modi,
con qualche pausa sotto l’ombrellone. La notte non si riusciva a dormire per il
bruciore alle spalle, che dall’indomani cominciavano a spellarsi insieme al
naso, preludendo a delle scottature anche con le croste. Poi, col passare degli
anni, sia per accontentare i figli che crescevano e volevano andare in altri
posti (ma ancora non li si mandava soli), sia per piacere personale, si prese
l’abitudine della vacanza al mare per settimane in località di villeggiatura, e
le visite al paese cominciarono a diradarsi, fino ad annullarsi del tutto, man
mano che son venuti a mancare i genitori e altri parenti stretti. D’altronde non
avrebbero dove alloggiare, anche se qui c’è un albergo, ma si valuta se ne vale
la pena. Di molte famiglie non è rimasto più nessuno.
Ora, molti di quegli ex contadini vanno in villeggiatura anche all’estero, non
tanto per vedere cose diverse, conoscere altre culture, ma semplicemente perché
fa moda, per essere trend, come si dice con esterofilia linguistica, ma
non si allontanano molto, rimangono in Europa, preferiscono la Spagna, però non
la visitano, si fermano al mare, che magari è meno pulito e meno bello del
nostro. E si mettono più volte al giorno la crema solare per non scottarsi. I
loro figli invece, più moderni, si recano alle Maldive e alle Seichelles.
Come sono cambiati i tempi! Una volta ci vergognavamo della faccia riarsa dal
sole perché ci faceva riconoscere contadini, ed essere abbronzati era ritenuto
rozzo. La persona raffinata, civile, per bene aveva la pelle chiara (ma bastava
vivere in città per essere pallidi); gli scuri non erano belli. Gli scrittori
del passato, quando descrivevano la bellezza di una persona, mettevano in
risalto la sua carnagione bianca come la neve, anche se era di razza scura, come
l’araba. I ricchi facevano le ferie estive in montagna e quelle invernali al
mare. Ora per essere belli bisogna essere neri. Non ci si accontenta del colore
roseo, bellissimo, che dà anche l’aspetto salutare, si vuole la pelle nera. Ci
si vergogna di andare al mare con l’epidermide bianca, perciò si provvede prima
con le creme o addirittura con la lampada abbronzante. Si temono gli effetti del
sole, perché i dermatologi mettono in allarme del rischio melanoma, che
sicuramente c’è ma non come vorrebbero farci credere, altrimenti quasi tutti i
contadini, i pescatori e altri lavoratori esposti dovrebbero avere il cancro
cutaneo. Si trascura invece che sicuramente l’abbronzatura invecchia la pelle,
la raggrinzisce e quindi a lungo andare la imbruttisce. Però i benefici del sole
sono enormi; bisogna solo non esagerare, come in tutte le cose.
In quanto all’invecchiamento, fino a mezzo secolo fa, non era solo la lunga
esposizione ai raggi solari che lo accelerava, erano anche il duro lavoro, gli
stenti e i sacrifici. Un uomo a sessant’anni era già vecchio, ora si dice
anziano, si è più giovani nel corpo e nello spirito. Nel mondo industrializzato,
grazie alle migliori condizioni di lavoro, alla maggiore alimentazione e ai
progressi della medicina, dall’Ottocento ad oggi la vita media umana è quasi
raddoppiata. E l’aumento degli anziani comincia a diventare un problema.
[Segnalibro: cure]
Una volta non c’erano cure adeguate e difficilmente si arrivava alla vecchiaia.
Le malattie si curavano coi salassi, ricorrendo, nei casi meno gravi, alle
sanguisughe. Ricordo che mio nonno Vincenzo aveva una mano gonfia, gli
adagiarono una sanguisuga, la coprirono con un tessuto e attesero che
succhiasse. Quando fu piena, la spremettero per svuotarla e l’applicarono altre
volte per togliere il gonfiore. Anche le bestie si salassavano, sagnavanu.
Un altro vecchio metodo curativo erano i clisteri, perché si credeva che con
l’evacuazione degli “umori malvagi” si espellessero i mali del corpo. Ma le
esagerazioni provocavano le emorroidi. Il re francese Luigi XIV se li fece
togliere e, per il coraggio dimostrato durante la dolorosissima operazione, pare
che alcune suore abbiano composto un canto di congratulazioni da cui sarebbe
derivato l’inno nazionale britannico God Save the King.
Gli interventi chirurgici si facevano senza anestesia e bisognava essere celeri.
Per amputare un arto, con la sega, occorreva circa un’ora. Raccontano che il
chirurgo scozzese, Robert Liston, si vantasse di aver amputato una gamba in 28
secondi. Ma dicono che per fare in fretta abbia tagliato inavvertitamente due
dita al suo assistente e un testicolo al paziente.
Si tentava di attenuare il dolore con una spugnetta imbevuta di giusquiamo
(un’erba nota fin dall’antichità) e continue irrigazioni di acqua gelida. Agli
uomini di rilievo davano anche l’oppio, che però non desinsibilizzava del
tutto. La prima anestesia generale con una mascherina imbevuta di etere fu
effettuata nel 1856 a Boston.
C’erano chirurghi che toglievano i calcoli anche grossi quanto un pugno, ma la
metà dei pazienti moriva prima che finisse l’intervento.
Medici e chirurghi infettavano i disgraziati pazienti con le loro mani non
disinfettate. Quando, verso il 1850, Ignaz Semmelweis lo capì non fu creduto,
forse perché era semplicemente un’assistente e non un professore.
Nel 1881, il presidente degli Stati Uniti Garfield morì 80 giorni dopo un
attentato non mortale, per colpa dei chirurghi che infettarono la ferita
introducendovi le mani, con le quali raggiunsero il fegato ma non il proiettile,
che era altrove, in un posto innocuo.
C’era uno strumento tirapalle che veniva introdotto nelle ferite, le allargava
attorno al proiettile, per prenderlo ed estrarlo.
Si facevano anche le trasfusioni ma non si era a conoscenza dei gruppi sanguigni
e ovviamente della loro incompatibilità, per cui veniva iniettato anche sangue
di animali. Forse le vittime si sentivano subito meglio ma, a meno che per caso
non fossero stati trasfusi con sangue umano compatibile, morivano presto.
La professione del chirurgo fu equiparata a quella del medico solo verso la metà
del Settecento. Prima era un manovale della salute, in cui vi erano cinque
livelli, dei quali gli ultimi due erano occupati dal barbiere e dal
sottobarbiere.
[Nota 14-1: Dal mensile Focus, articolo di
Giovanni Padovani, dal titolo “I chirurghi? Facevano orrori”].
Ancora dopo la seconda guerra mondiale si ricorreva al barbiere per l’estrazione
dei denti, con apposite pinze. Quelli da latte, che non volevano decidersi a
cadere sotto la spinta dei nuovi, di solito li toglieva la mamma, tirandoli con
un filo robusto legatovi attorno. Erano piuttosto denti… cadenti, ma a volte non
volevano staccarsi e si faticava a tirarli via.
Anche la medicina che si studiava all’università, in certi casi era a livello di
stregoni. Per tentare di curare il tifo, si davano le cimici nascoste nel cibo,
finché (da noi negli anni Quaranta) non arrivò il chinino, amaro ma efficace.
Gli ammalati con la febbre si coprivano bene perché stessero al caldo, oggi si
mette la borsa col ghiaccio sulla testa, allora sarebbe stato un delitto. La
vita media era molto bassa, i decessi infantili erano comuni. Rammento che
un’estate afosa portò via molti bambini e un inverno rigido molti più anziani
del solito. Si moriva con dolori alla pancia, perché non si conoscevano
l’appendicite e altri malanni. Mi ricordo di un uomo che morì perché non
riusciva a urinare: forse aveva la prostata ingrossata. Per il mal di stomaco
dei bambini (e a volte anche dei grandi) si ricorreva a praticone anziane, molto
brave a fare i massaggi, forse più di tanti professionisti d’oggi, le quali
curavano pure altri dolori e vari disturbi. Al paese non c’era il veterinario e
per curare i piccoli mali degli equini dava consigli il maniscalco, per quelli
più seri ne faceva le veci, senza alcun titolo ma con molta bravura, il parente
di un farmacista, Mendola. A un cugino di mio padre salvò molte volte una
cavalla che partoriva con difficoltà. Quando in paese venne un veterinario,
intervenne questi e la cavalla morì durante il parto.
Oltre che usare sistemi da stregoneria, si ricorreva alla superstizione.
Quand’ero bambino, avevo circa sedici piccoli porri sul dorso di una mano, il
mio quasi coetaneo Paolo Pupa, oggi panettiere e poeta satirico, mi disse che me
li avrebbe fatto sparire, con un metodo certamente appreso dai grandi. Nella
sezione tagliente di un listello di canna vi fece tante tacche quanti erano i
porri, i quali sarebbero scomparsi col marcimento della canna. Per accelerare la
decomposizione di questa, lui l’avrebbe messa in un posto umido, ma non poteva
dirmi dove, altrimenti l’effetto sarebbe mancato. Beh, sarà stato un caso, una
coincidenza, ma dopo circa un mese i porri scomparvero.
[Segnalibro:
medicina]
La medicina ha fatto passi da gigante. Con le sue scoperte e le sue tecniche,
che hanno favorito l’esattezza delle diagnosi e l’efficacia delle cure, fa
miracoli. Ricordiamo i raggi Röntgen, che hanno permesso di guardare all’interno
del corpo; la penicillina, primo antibiotico, scoperta da Fleming; i vaccini,
tra cui quello contro la poliomielite, che Sabin non volle brevettare per il
bene dell’umanità; la scoperta del Dna da parte di Cric, Watson e Wilkins,
fondamentale per la ricerca delle malattie ereditarie, grazie anche al
microscopio elettronico e poi a quello ionico.
Ma quasi tutti gli scienziati, ciascuno nella sua specialità, hanno dato grandi
contributi per il miglioramento della vita, anzi, nel campo della tecnica i
progressi sono iniziati molto prima, a partire dal Settecento. Lo sviluppo
industriale c’è stato grazie all’invenzione della macchina a vapore e alla
scoperta dell’elettricità. In seguito il treno, l’auto e l’aereo hanno
accorciato le distanze, facilitando la circolazione delle merci. Il telefono e
la radio hanno intensificato le comunicazioni senza necessità di doversi
spostare. E la fotografia ha dato un grande contributo alla conoscenza.
Successivamente, la scoperta della radioattività fatta da Becquerel, la fissione
nucleare e l’elettronica ci hanno proiettati nel futuro.
Se tornassero quelli scomparsi nel periodo della seconda guerra mondiale,
crederebbero di trovarsi in un nuovo mondo fantascientifico. Solo in un quarto
di secolo, dal 1945 al ’70, si è verificata una trasformazione epocale che nel
passato avrebbe richiesto secoli per attuarsi.
Tanto per fare un esempio, citiamo la moda, che nei secoli passati mutava più
brevemente che non le altre cose. Ebbene, passavano decenni prima che mutasse un
particolare. Non consideriamo il perizoma, indossato per molti secoli dagli
uomini comuni dell’antico Egitto, né l’ampio mantello che poteva essere l’unico
indumento nell’antica Grecia; ma partendo dalla tunica che, seppure fatta di
un’ampio pezzo di stoffa rettangolare, risultava molto elegante, passeranno otto
secoli per avere delle vere maniche. L’abbigliamento giornaliero rimase
pressoché identico per i due sessi fino al XIII secolo.
[Nota 14-2: “Evoluzione storica e stilistica
della Moda” di Giorgio Marangoni. (Due volumi: dalle antiche civiltà
mediterranee al Rinascimento e dal secolo diciassettesimo alle imprese
spaziali)”. Ed. Centro S.M.C. (Stile moda Costume), Milano 1977 e succ.].
Le gonne sono rimaste lunghe per quasi due millenni. Ma in pochi decenni si è
passati alla minigonna. E siamo all’unisex.
Vien da ridere a vedere quelli della belle époque, imprigionati in un
body a righe, che facevano il bagno col cappello in testa. Il bikini
l’avrebbero inventato negli anni ’50, anche se qualcosa di simile lo portavano
già nella Roma imperiale, come si vede nei mosaici del III-IV secolo della Villa
del Casale di Piazza Armerina, indossato da ragazze che giocano a palla.
Il progresso scientifico, dall’epoca dei lumi all’era dell’atomica, ha avuto
uno sviluppo graduale; ma dopo non si è riusciti a stargli dietro. E tutto si è
mosso con velocità sempre più elevata, sia metaforicamente che realmente, dai
treni che raggiungono i trecento chilometri all’ora a quelli a levitazione
magnetica che superano i cinquecento chilometri, dagli aerei supersonici ai
missili che nel 1969 hanno permesso all’uomo di andare sulla luna.
[Segnalibro:
redivivo]
Immaginiamo che il primo impatto di un redivivo avvenga in un grosso centro
commerciale, senza stare a descriverlo: è una città del commercio che abbaglia,
invoglia e sbalordisce. Il numero, la varietà, la grandezza e la vivacità dei
negozi lo lascia esterrefatto. Tra l’altro sono tutti fastosamente addobbati,
c’è più movimento e confusione del solito perché si avvicinano le feste di fine
anno. Tutti hanno voglia di comprare e si respira un’aria di ricchezza. Ma Babbo
Natale, che prima portava i regali, o quantomeno regalava caramelle ai bambini,
ora chiede l’elemosina. L’uomo venuto dal passato si ferma a guardare una
vetrina e resta sorpreso nel vedere la sua immagine in una scatola grigia e poco
spessa in verticale. Accanto a lui un bambino indica al genitore l’occhio della
telecamera che li riprende. Entra in un grosso negozio di elettrodomestici e
apparecchi elettronici di varia utilità, perciò si stupisce a sentir chiedere
un’enciclopedia. Ma con sorpresa vede consegnare un piccolo dischetto dove,
intuisce, c’è registrato il contenuto di molti volumi di carta. Alla domanda del
prezzo, sente nominare l’euro e sospetta di trovarsi in qualche paese
sconosciuto, seppure parlano la sua lingua. Incredulo, vede pagare con una carta
rigida, che il possessore abilita con un numero segreto, ma potrebbe farlo con
l’impronta digitale oppure con l’iride di un occhio.
Si sposta in un reparto dove c’è un piccolo oggetto strano che si muove in
diverse direzioni. Si avvicina incuriosito e apprende che può svolgere tutti i
lavori di una persona, ed essere comandato anche a voce e per via radio.
Passando nel reparto dei computer (evoluzione degli elaboratori elettronici)
sente discorsi incomprensibili per i nuovi termini inglesi, e quello che grosso
modo riesce a capire gli sembra impossibile: spiegano che un piccolo apparecchio
risolve miliardi di equazioni al minuto secondo, con programmi adatti può
visualizzare qualsiasi idea e simulare la realizzazione e gli effetti di
qualunque progettazione scientifica. Non dicono, in quanto tutti lo sanno, che
attraverso Internet ci si può collegare con banche dati in tutto il mondo su
qualsiasi argomento e a poco prezzo.
[Nota 14-3: Il primo calcolatore, l’Eniac,
pesava trenta tonnellate, aveva 18.000 valvole e chilometri di collegamenti. Ora
questi sono stati sostituiti dai transistor e dai circuiti integrati e il
microprocessore (inventato dall’italiano Faggin), di pochi millimetri quadrati,
esegue un numero di operazione 200 volte maggiore, consumando pochissima
energia, costa 30.000 volte meno e funziona meglio].
Viene attratto da molti apparecchi che riproducono quasi tutti le stesse
immagini: è in corso una trasmissione televisiva che mostra una navicella
atterrata su Marte; lui crede che sia un film di fantascienza, ma percepisce poi
che si tratta di un collegamento in diretta e comincia a pensare di trovarsi
nell’attualità del futuro.
Le immagini sono trasmesse dalle migliaia di satelliti in orbita attorno alla
terra per diversi scopi, compreso lo spionaggio. Con gli strumenti elettronici
invisibili e potenti, spiare oggi è facile. Le comunicazioni con ogni mezzo sono
intercettabili. Gli esperti riescono a penetrare qualsiasi barriera elettronica
crittografata ed entrare in tutti gli archivi per spiare, rubare, cancellare col
cosiddetto virus informatico. Le nuove tecnologie rendono difficili i segreti.
Oggi si parla tanto di privacy ma siamo controllati, siamo tutti
schedati, anche se per fini amministrativi. Li chiamano banche dati.
Il nostro personaggio vede persone che telefonano, alcune col cellulare, ma non
si meraviglia: pure ai suoi tempi c’era il telefono, anche se diverso e usato da
pochi. Se però gli dicessero che ora le comunicazioni avvengono attraverso fibre
ottiche e in una sola, del diametro di un capello, passano più di duemila
conversazioni contemporaneamente, non ci crederebbe. Poi troverebbe assurdo e
comunque criticabile che dei medici visitino i pazienti attraverso la
televisione, e trova addirittura inconcepibile che altri, guardando in un
monitor, compiano operazioni chirurgiche a distanza tramite un robot.
Si allontana confuso per riordinare le idee. Compra un giornale per rendersi
conto della situazione. Nell’edicola, che sta all’interno dell’ipermercato, vede
esposte riviste che lo scandalizzano, ma nota una signora e il suo bambino,
venuti a comperare una rivista femminile, che non vi fanno caso, nemmeno alle
cassette pornografiche esposte. E non immagina che film del genere vengono
proiettati nel teatro dove ai suoi tempi si faceva l’avanspettacolo: un
normalissimo vecchio film precedeva la rivista, considerata spinta perché le
ballerine mostravano le gambe in calzamaglia e il comico diceva battute a doppio
senso.
Si sente stordito dall’animazione di gente che va e viene per fare compere o
semplicemente per guardare. Esce e si trova nel caos stradale, che lo
intimorisce. Ai suoi tempi i mezzi di locomozione meccanici erano pochi. C’era
il carretto, la bicicletta e qualche automobile (ancora non era chiamata
macchina per antonomasia). Ora il traffico è così intenso che molte città hanno
adottato il divieto di circolazione dei mezzi privati. Si trova circondato da
macchine parcheggiate sul marciapiede e da altre in movimento nel traffico
caotico della strada, alcune munite di apparecchiature di sicurezza della
circolazione, inutili in questo caso, perché la velocità di marcia è inferiore a
quella pedonale. Ci sono auto con motore a gas e ce ne potrebbero essere a
idrogeno, a batteria e a pannelli solari, che non inquinerebbero, ma sono quasi
tutte a benzina e molte a gasolio, perciò l’aria è irrespirabile.
Una donna cerca di districarsi nell’ingorgo, spingendo un passeggino con un
bimbo, fra i mostri di lamiera su ruote gommate. Anche l’attraversamento della
strada col semaforo verde potrebbe essere rischioso a causa d’irresponsabili che
non rispettano i segnali.
Sul marciapiede s’incrociano confusamente un gran numero di persone per lo più
frettolose, ma è una folla di gente sola, che va per i fatti propri.
Si dirige verso la fermata dei mezzi pubblici, intenzionato a prenderne uno
qualsiasi pur di allontanarsi da quella bolgia infernale del centro cittadino.
Ma non fa in tempo, appena arriva, scombussolato da tanto movimento e dai veleni
che respira, si sente girare la testa e gli viene nausea. Vede una persona che
sta per alzarsi dalla panchina e vi si butta a sedere. Vomita. Chi gli sta
vicino si allontana di qualche passo e chi gli siede accanto gli volta un po’ le
spalle, ma non si alza per non perdere il posto. Nessuno si preoccupa di lui che
continua a vomitare. Si trova in un centro nevralgico del traffico cittadino con
molti mezzi pubblici che consentono la coincidenza per tutte le direzioni.
Perciò molta gente scende da tutti e aspetta per salire su altri, ma nessuno si
cura di un uomo che sta male. Sul posto c’è un telefono pubblico e uno di
servizio dell’azienda dei trasporti che chiunque può usare per qualsiasi
necessità, ma nessuno si prende il disturbo per avvertire che una persona non
sta bene. A volte, di sera, certi giovinastri chiamano la centrale solo per
disturbare, ma ora nessuno osa farlo per necessità. C’è una telecamera
mimetizzata della polizia per il controllo della sicurezza pubblica, ma lui è
scambiato per un vagabondo che non dà fastidio a nessuno. Pensano che sia uno
dei tanti barboni in giro che stanno male e vomitano perché hanno bevuto troppo
e magari a stomaco vuoto. Sanno che tanti, anche giovani, fingono di star male
per far correre l’ambulanza e farsi visitare inutilmente al pronto soccorso. Ma
lui continua a vomitare. Pensa che ai suoi tempi c’era più altruismo, forse
perché si aveva ciascuno bisogno dell’altro e la volontà di aiutare il prossimo
poteva dipendere dal pensiero che un domani ci si potesse trovare nelle stesse
condizioni; pensando invece, erroneamente, di non dover avere mai bisogno degli
altri, non ci si preoccupa di doverli aiutare, perché il benessere genera
egoismo. Magari si rischia la vita per salvare uno che sta per annegare, forse
lo si fa per un istinto eroico, ma si è indifferenti a chi rischia di morire in
mezzo alla strada. Per ironia, sente un breve dialogo in cui due persone dicono
che oggi c’è grande solidarietà, lui l’ha pure letto poco prima sul giornale. Ma
si è generosi a comando, specie se lo chiede la televisione, che coinvolge di
più. Si dice che bisogna essere buoni ma la bontà è scambiata per stupidità.
[Segnalibro:
interessi]
Con la scusa di fare i propri interessi, ciascuno cerca di fregare il prossimo.
La lealtà è una virtù rara; la malizia è praticata con orgoglio. Se non riesce
il sopruso, si ricorre al ricatto. L’invidia si associa alla cattiveria, che
pratica la calunnia e coltiva l’odio. Non c’è più vera amicizia, non c’è affetto
famigliare, non c’è amore duraturo, i figli uccidono i genitori, i genitori
uccidono i figli. L’egoismo è il carattere predominante, il denaro il dio dei
tempi moderni. Per esso ci si gioca l’onore e la vita. C’è finezza nel
comportamento, ma la gentilezza è di superficie.
Finalmente sente una voce femminile che gli chiede: «Ha bisogno di qualcosa? Ha
bisogno di aiuto?». Egli fa “no” con un cenno della testa. Riesce a vedere le
gambe: sono belle, come poche se ne vedono in giro. La donna insiste: «Vuole che
chiami l’ambulanza?». «No, grazie, sono solo vertigini, basta aspettare un po’,
un’ora o due, che passino». Dal lembo della gonna (non nota il soprabito) reputa
colei che la indossa una persona raffinata, non può essere un’infelice che ha
provato il dramma della solitudine e vorrebbe aiutarlo per solidarietà. Ha un
conato di vomito. La donna l’osserva e insiste: «Sicuro che non ha bisogno di
aiuto?». Egli scuote la testa senza guardarla. Poi vede un fazzoletto di carta
che lei gli porge. Lo accetta per cortesia e potrà pulirsi la bocca. Solleva la
testa per ringraziarla guardandola in viso, ma fa appena in tempo a dirle:
«Grazie» e si rivolta subito a vomitare, ormai resti di succhi gastrici. E’
stato come se l’espulsione improvvisa fosse stata provocata dalla vista di una
faccia repellente; ma l’immagine non c’entra, è stato il movimento. La signora
vorrebbe soccorrerlo, ma si ferma un tram, è quello che deve prendere lei, a
lasciarlo andare farebbe tardi. E’ indecisa di cosa fare, indietreggia verso il
tram, sale e si ferma dietro il primo finestrino per osservare ancora quel
disgraziato, sperando che veramente non abbia bisogno di aiuto. D’altronde ci
sono altri che possono aiutarlo. Egli, pur se ha potuto vederla solo un attimo
in volto, ora la rivede in un replay e fissa l’immagine per esaminarla:
ha un viso angelico, pieno di grazia, porta un bel foulard al collo, con
fine eleganza: una persona veramente distinta. Nel contemplare la visione di
quella sconosciuta, lui vede un angelo, un angelo-donna senza ali. E perde i
sensi.
Qualche ora dopo sente confusamente dichiarare di trovarsi in coma irreversibile
e vogliono espiantare alcuni suoi organi per trapiantarli ad altri. Vorrebbe
gridare per avvertire di essere ancora vivo ma non riesce ad aprire la bocca,
non riesce a muovere le palpebre. Rassegnato a morire, tanto lui è uno venuto
dall’aldilà, vorrebbe almeno dire: «Prendetevi il corpo ma lasciatemi l’anima».
[Segnalibro: futuro]
In futuro non si dovrà sperare nella morte degli altri per gli espianti, ci sono
organi per i trapianti prodotti da maiali transgenici, e ce ne saranno creati
dalla biotecnologia, partendo da cellule staminali anche dello stesso paziente.
E pezzi artificiali perfettamente funzionanti per camminare, sentire, leggere,
afferrare, quasi da creare la persona bionica.
Vogliono realizzare addirittura macchine pensanti con miliardi di “commutatori
molecolari” fatti di proteine, moltissimo più piccoli e veloci dei circuiti
elettronici.
La decodificazione del genoma umano, mirata a evitare le malattie genetiche,
avrà sviluppi straordinari. Ma c’è il rischio che con la manipolazione biologica
uno scienziato pazzo o semplicemente megalomane possa creare qualche mostro, con
conseguenze imprevedibili.
Mostri o disastri incommensurabili potrebbero nascere dai microrganismi, non
solo patogeni ma anche da quelli utili all’umanità, che dovessero sfuggire al
controllo degli scienziati o per errori di manipolazione. I batteri sono una
grande speranza perché possono produrre metano, fissare azoto, fabbricare cuoio,
oltre che dare carne e quindi contribuire a ridurre la fame nel mondo. Ma se
microrganismi che trasformano il petrolio in idrogeno, utili contro i disastri
ecologici, finissero in una petroliera o in un oleodotto potrebbero causare
grossi disastri.
I pessimisti temono lo scoppio di epidemie nei paesi del Terzo mondo e conflitti
locali, spesso per motivi etnici o religiosi, con rischio dell’uso di armi
chimiche o nucleari, che pure alcuni paesi poveri già posseggono, e conseguenze
catastrofiche anche per le nazioni neutrali.
Intanto lo sviluppo dei paesi industriali ha provocato il grave inquinamento
dell’ambiente, che ha portato al cambiamento del clima e alla quasi scomparsa
delle stagioni intermedie. Il riscaldamento del pianeta sta determinando la
riduzione dei ghiacciai, che potrebbero alzare il livello del mare; mentre in
certe zone piove di più in modo alluvionale con rischio di gravi danni, altre si
inaridiscono perché piove di meno; la desertificazione avanza minacciosa e
le foreste si restringono in modo preoccupante. C’è pure l’inquinamento
elettromagnetico ad alta frequenza che provoca astenia, insonnia, nausea,
inappetenza, perturbazioni del ciclo mestruale, cefalea, problemi
cardiovascolari, lesioni ai testicoli, danni alla vista e leucemia.
L’inquinamento luminoso impedisce una buona visione della volta celeste e agli
astronomi di osservare lo spazio dell’universo.
[Nota 14-4: Da vari giornali tra cui L’Espresso].
I giovani d’oggi non potranno vedere facilmente il meraviglioso cielo stellato
che vedevo nelle notti d’estate, quando rimanevo a dormire in aperta campagna:
migliaia e migliaia di stelle, senza contare quelle della Via Lattea. E le scie
luminose delle stelle cadenti, che non facevi in tempo ad esprimere un desiderio
ed erano già spente. Una volta ne vidi una illuminare tutta la campagna, tanto
che ne ebbi paura nel secondo trascorso prima di spegnersi. Da non sottovalutare
infine l’inquinamento acustico.
E’ il prezzo da pagare al progresso. Per oggi possiamo godere noi vivendo nel
benessere. Ma non facciamoci illusioni, seppure nei lavori pesanti e pericolosi
le persone e gli animali saranno sostituiti da robot che faranno di tutto (dai
lavori casalinghi, agricoli e meccanici, a quelli specialistici nel campo della
medicina e della scienza in generale, dalla manutenzione dei reattori nucleare
alla lotta agli incendi e a vari interventi d’emergenza, dai lavori nelle
fonderie e nelle miniere, all’esplorazione sottomarina e spaziale, eccetera
eccetera), potrebbe accadere che il novanta per cento della popolazione mondiale
verrà in qualche modo schiavizzata, gli altri vivranno al servizio dei potenti,
che in pochi domineranno il mondo.
Casa natale di S. Giovanni Bosco
-
1995, olio su tela 60x40
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