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Cile - Sud (pt 6/6)
Mercoledì 7 febbraio - Santiago
clicca qui per vedere questa immagine ingrandita Las Condes, il comune dove abita Paula, è una zona ricca d'alti edifici residenziali, con strade ampie ed un tentativo di creare del verde a sufficienza per un'onesta vita moderna. Il condominio di Paula è alto quasi trenta piani, e rientra nella norma della zona; da un lato si estende l'Escuela Militar e dall'altro un parco pubblico (Parque Aranco), due spaziosi polmoni per una città assediata dallo smog.
Paula sta al sedicesimo piano: ha cominciato a girarmi la testa appena l'ho saputo (soffro di vertigini). L'appartamento non pare
molto grande, perché è pieno di mobilio, ma è arredato con gusto ed è molto luminoso. Dal salotto, circondato su due lati da ampie vetrate, si può godere un'ottima visuale delle Ande e della parte orientale di Santiago. La madre di Paula è una donna brillante, energica e carismatica. Mi ha accolto con estremo calore e siamo entrati subito in confidenza.
Nel pomeriggio ci siamo dedicati agli ultimi acquisti del viaggio: un libro di cucina cilena per mia madre, due bottiglie di pisco per mio padre. Verso sera ho accompagnato Paula al Cerro Santa Lucia, visto che non c'era mai stata (mah!): l'ha scoperto bello e rilassante, almeno di giorno. Erano le 20,00 quando siamo rincasati.
La cena è stata davvero speciale: pisco-sour (1/4 di limone, 3/4 di pisco, 4 cucchiai di zucchero a velo, 4-5 cubetti di ghiaccio... un po' di zucchero a velo andrebbe messo anche sul bordo del bicchiere) e due tipi di mariscos (frutti di mare) conditi con limone, prezzemolo e cipolla: li abbiamo gustati, insieme al pane tostato, seduti sulla moquette del salotto, illuminati dai raggi argentei della luna piena che faceva capolino dal basso bordo della finestra.
Ci siamo rifocillati bellamente ed abbiamo chiacchierato con naturalezza per tutta la serata. La madre di Paula mi ha parlato a lungo del Cile, sia di quello attuale sia di quello passato: notizie e sensazioni che non avrei mai smesso di ascoltare. Sul tardi ci siamo ritrovati con un'altra coppia di ragazzi al Liguria, un locale nel centro di Santiago. A parte il piacere di ritrovare pezzi del mio bel paese così lontano di casa, il locale è stato di mio gradimento, ricco di manifesti e foto del secolo scorso e di persone d'ogni età.
Sabine e Pablo si sono dimostrati davvero squisiti: lei era bruna, con due occhi, in perenne movimento, che fissavano sempre lontano, ed una parlantina rapida ed incalzante; lui era il suo complementare, calmo e posato, con un sorriso affabile ed uno sguardo generoso. La serata è trascorsa piacevolmente e mi sono reso conto di poter, se a mio agio, mantenere una conversazione in spagnolo (-italiano) anche per ore.
Al locale ho bevuto anche due birre che mi hanno fatto superare con un balzo il limite del completo autocontrollo. Ho parlato con Paula tranquillo e spensierato fino a casa ed oltre, davanti al frigorifero della cucina, seduti su due sgabelli di legno. Era molto tardi quando ci siamo buttati a dormire, io con la gola impastata ed un principio di mal di testa.

Giovedì 8 febbraio - Valparaiso

Al risveglio avevo tanta sete ed un pulsare sordo, ma continuo, nella testa. Erano le nove e Santiago era già illuminata da un sole libero da nuvole. La madre di Paula si è dimostrata mattiniera e quando l'ho incrociata in corridoio era già pimpante (a differenza mia). Abbiamo fatto colazione nell'angolo del salotto adibito a sala da pranzo, a quell'ora del mattino invaso dalla luce e radioso più che mai. Mi ha ricordato la colazione fatta a casa di Cristian ad Antofagasta.
Siamo partiti in macchina per Valparaiso intorno alle dieci e mezza. Non ci abbiamo messo molto, circa un'ora e mezza, per passare dal caldo torrido della capitale a quello ventilato della costa. Lungo la strada si sono intervallati quasi solo vigneti, tutti sormontati da cerros secchi ed aridi.
Valpo (la chiamano spesso così) è più grande di quello che immaginavo. Tutte le alture costiere della baia sono ammantate di case di ogni colore e forma; qua e là, soprattutto nella piccola piana prospiciente l'oceano, sorgono edifici alti decine di piani, purtroppo dall'aspetto spoglio e grigio. La baia è di un azzurro intenso ed ospita varie navi, sia mercantili sia militari. In lontananza, resi eterei da quella che non so se è foschia oppure smog, s'intravedono i palazzoni residenziali di Viña del Mar.
Abbiamo girato un poco con la macchina, prima nella piana e poi su per qualche altura, prima di decidere di parcheggiarla in una via per nulla trafficata del Cerro Allegre, vicino a due paseo mirador (punti panoramici) molto famosi.
Di fianco al Paseo Atkinson spicca, nella sua eurotipicità, una bella casa gialla con rifiniture bianche e tetti spioventi color terra. È un alberghetto dall'aria volutamente decadente nel quale si respira l'atmosfera melodrammatica della fine '800. Guardandolo ti aspetti che da un momento all'altro escano dalla porta d'ingresso dame dal viso incipriato e uomini in frac. Il posto, che è anche un bar-ristorante, è dotato di un bel terrazzo soleggiato sul quale sono sistemati una mezza dozzina di tavoli bianchi protetti da altrettanti ombrelloni. Paula è innamorata del piccolo albergo e mi ha confidato che le piacerebbe da matti passarci un week-end con il suo ragazzo.
Ci siamo seduti ad uno dei tavolini ed abbiamo ordinato da bere. Anche se Valparaiso assomiglia di più come conformazione a Trieste, i raggi del sole molto forti e la calda brezza mi fanno ricordare molto di più Napoli. Era piacevolmente rilassante guardare dall'alto l'affaccendarsi della vita di Valpo, rinfrancato dal vento leggero e dalla divertente e bella compagnia di Paula. Capivo perché le piacesse tanto quel posto.
Siamo rimasti seduti per oltre un'ora e poi abbiamo deciso di gettarci nella calca di persone, che da lì vedevamo tanto piccole. Ho provato l'ebbrezza dei vecchi ascensori di Valparaiso, funicolari molto inclinate che s'inerpicano per gli erti versanti delle alture costiere (permettono di risparmiare faticose salite a piedi): furono costruite quasi tutti all'inizio del XX secolo.
Il porto era pieno di gente indaffarata che si muoveva di qua e di là come fosse stata morsa da un serpente, e da un buon contingente di turisti dalla pelle bianca come il latte e dai capelli chiari (probabilmente tutti americani).
Alle due abbiamo deciso d'andare a mangiare nel ristorante che ci aveva tanto raccomandato la madre di Paula. Se ne stava nascosto in un piccolo e buio vicolo cieco che mi riportava alla memoria gli stretti calli di Genova: sembrava che ti facessero compagnia i fantasmi di vecchi e sfregiati marinai del secolo scorso, appoggiati, indolenti, agli sporchi muri del vicolo mentre sbiascicano poche parole e si fumano odorose pipe di legno scuro. Nessun altro posto in Cile profuma di storia come Valparaiso, una storia si recente, del IX secolo, ma sempre affascinante e rapitrice.
Il ristorante rispecchiava a pieno tutte le aspettative che il vicolo m'aveva suggerito. Il locale era ampio ed alto, ma era così pieno di cose da sembrarti stretto ed angusto; c'era poca luce e le ombre s'estendevano omogenee sui vari oggetti appesi alle pareti e sulle molte persone intente a mangiare e chiacchierare. Dal soffitto pendevano arrugginiti siluri di sommergibili, eliche di navi, un grosso giogo di legno, e tanti altri addobbi; foto in bianco e nero d'inizio secolo, medaglie, vecchie monete e migliaia di scritte coprivano le pareti ed i tavoli.
Abbiamo ordinato un piatto, di cui non ricordo il nome, con patate, cipolle e carne a pezzetti. Ho mangiato con gusto ed ho apprezzato molto la vecchia atmosfera del locale. Ho voluto lasciare anch'io un piccolo segno del mio passaggio: sul tavolo ho scritto 8/2/2001 c'ero, Carlo.
Quando abbiamo ripreso il giro della città il sole si era abbassato solo di poco e continuava a battere imperterrito sui nostri capi. Paula voleva portarmi sul cerro Artilleria, da cui si poteva dominare con lo sguardo l'intero porto e buona parte della città; purtroppo l'ascensore che serviva quella zona era guasto e la strada in salita che abbiamo imboccato ci ha condotto da tutt'altra parte. Erano le sette quando siamo tornati alla macchina, entrambi piacevolmente stanchi; prima di partire ci siamo bevuti una bibita seduti sui gradini di una chiesa, l'attenzione attratta dai giochi di tre bambini a pochi metri da noi.
Alle nove eravamo di nuovo a Santiago. Dalle finestre del sedicesimo piano si poteva ancora una volta godere lo splendido tramonto sulla capitale ed il rapido risveglio delle sue luci notturne. Dopo una doccia abbiamo deciso di cenare come la sera prima, con la differenza di un buon vino rosso al posto del pisco-sour. Ho dovuto aspettare fino alle dieci prima di conoscere Diego, il ragazzo di Paula, ed un suo amico. Sono rimasti poco, il tempo di una birra e di due chiacchiere: eravamo tutti troppo provati dalla giornata appena trascorsa per poter respingere con sufficiente energia la voglia di una buona dormita. Il giorno dopo Paula aveva un colloquio di lavoro, Diego era immerso in un progetto per la tesi ed a me aspettava un viaggio di 19 ore verso l'Europa.

Venerdì 9 febbraio - verso casa
clicca qui per vedere questa immagine ingrandita Avevo lasciato le persiane lievemente alzate ed un'assolata immagine di Santiago ha allietato gli ultimi attimi del mio sonno cileno. Non ci ho messo molto a prepararmi ed il resto della mattinata, mentre Paula era al colloquio, l'ho passata a guardare RAI international ed a sfogliare un atlante cileno vecchio di vent'anni.
Non sapevo se essere triste o contento di tornare casa e, come spesso mi accade in queste occasioni, ho preferito estraniare da me entrambe le emozioni, vivendo quasi come un automa, superficialmente, le ultime ore del mio viaggio.
Mi sono rimaste impresse poche immagini del viaggio in macchina verso l'aeroporto, della trafila al check-in, delle ultime parole con Paula e sua madre. Il tempo che rimaneva era talmente poco che non percepivo nemmeno il suo trascorrere, insensibile alle sue carezze e lusinghe, un guscio vuoto programmato a camminare verso casa. C'è stato solo un attimo che ha trapassato la corazza difensiva, quando Paula mi ha salutato, al di là del vetro, per l'ultima volta. Una strana malinconia mi ha avvolto, tenera e delicata, non completamente spiacevole, e mi ha tenuto compagnia finché non sono salito sull'aereo.
L'aereo era pieno, occupato in ogni suo posto. Il mio sedile se ne stava nelle retrovie, lontano dai finestrini. Il viaggio è stato penoso, soprattutto a causa di:
  • sedili scomodi;
  • il sedile davanti a me reclinato fin dalla partenza;
  • qualche problemino di natura fisiologica.
Non ho chiuso occhio per tutto il volo e mi sono dovuto sorbire una buona serie di film in spagnolo. Sono riuscito a vedere Venezia dall'alto e mi è sembrata straordinaria (dopo tanti anni, finalmente una nuova visuale). Sceso dall'aereo, c'erano ad aspettarmi i miei genitori.

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