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La vendetta di C.R. [a cura dell'Avucat] Il conflitto durava da mesi. La casa di C.R. condivide il cassonetto per la raccolta dei rifiuti con il numero civico vicino e nessuna delle due proprietà lo desidera vicino alla propria. Da tempo, quindi, era scoppiata una “guerra di posizione”, quella, appunto, del cassonetto. Gli addetti alla raccolta, dopo lo svuotamento, collocano il conteso contenitore come viene loro più comodo, il più vicino al camion che lo aggancia e, quindi, talvolta prossimo alla casa di C.R., talaltra a quello del suo confinante. Accade, allora, che la parte che si ritiene penalizzata, attivi una manovra, più o meno clandestina, di avvicinamento del cassonetto alla parte avversa. Il fatto accade all’alba, per C.R., che è molto mattiniero, mentre il rivale, attua la sua contromossa verso mezzanotte, quando C.R. è in fase di sonno Rem. Dopo un primo periodo, in cui i protagonisti fingevano che il posizionamento non equidistante fosse imputabile al personale Amiat e dopo essersi reciprocamente scoperti ad eseguire le proditorie manovre di spinta, i contendenti si erano, dapprima, civilmente invitati a desistere dai rispettivi e analoghi comportamenti, ma, in breve, erano passati alle male parole: in piemontese quelle di C.R., in un imprecisato dialetto ultrapadano quelle del vicino: le locuzioni di entrambi avevano però in comune il luogo, o meglio, la porzione anatomica in cui il destinatario avrebbe dovuto recarsi al più presto. Allorchè, pertanto, di primo mattino, aveva appena svolto la sua ginnastica motoria per la movimentazione della odorante trincea, C.R. vide avvicinarsi e arrestarsi davanti il proprio cancello un’autovettura della Polizia, pensò subito che il suo vicino, rompendo il patto non scritto di autotutela, avesse fatto ricorso alla Giustizia, quella con la G maiuscola, circostanza avvalorata dalla presenza in loco, ad ora insolita, del rivale, intento a fumare davanti casa, ostentando un ghigno beffardo. L’agente sceso dall’auto con una cartella tra le mani, suonò il campanello e, dopo la rituale identificazione, ne trasse un foglio, che rimise nelle mani dello smarrito C.R., contenente una convocazione urgente, per il giorno successivo, proveniente dalla Procura della Repubblica. Nessuna spiegazione si potè ottenere dal notificante, che, in effetti, nulla poteva conoscere del procedimento rubricato, per il quale C.R. era invitato a presentarsi per riferire quale “persona informata sui fatti”. Ci immaginiamo tutti, anche i pochi ancora esenti da convocazioni giudiziarie, quale inquietudine, se non angoscia, induca un tale avviso, in più quando risulta trattarsi di giustizia penale e per chi, come il nostro, che per dirla alla Camilleri “teneva il carbone bagnato”. La giornata sembrò lunghissima, con il pensiero fisso alla comparizione che tormentava C.R. ad ogni istante. La notte non potè prendere sonno e alle 5, agitato e, per di più con la rabbia di vedere il cassonetto della discordia posizionato proprio davanti il proprio cancello, si vestì sobriamente per l’incombenza, urtò più volte al buio i mobili e uscì per giungere “per tempo” a Palazzo di Giustizia (si sa il traffico, le rotonde…). Quivi giunto ed entrato, non volendo esibire, per pudore, la disonorante convocazione al box delle informazioni, si infilò nel primo ascensore aperto e cominciò a vagare nel dedalo di piani e corridoi, finchè, esausto, chiese soccorso a un giovane praticante-avvocato che, dopo averlo accompagnato per un tratto, lo affidò ad un altro e questi a un successivo, finchè C.R. venne pilotato avanti la stanza del P.M. incaricato dell’indagine. Nonostante il notevole anticipo, si fece annunciare dal segretario che, dopo un’ulteriore snervante attesa, lo introdusse dal magistrato, accomodandosi, a sua volta, al suo fianco per verbalizzare. Il giudice, dall’atteggiamento cordiale, cogliendo l’agitazione dell’interrogando, si affrettò a rassicurarlo: “La ringrazio per la Sua pronta collaborazione, speriamo, anche col suo aiuto, di venire a capo di questa faccenda”. In sostanza, il procedimento nulla aveva a che fare con la guerra del cassonetto, che non avrebbe certo fatto scomodare la Procura, ma una vicenda assai complicata ed oscura. In breve, l’oggetto delle indagini riguardava uno strano “giro” di protesi ortopediche per cui il nostro protagonista, recentemente operato, era stato chiamato a riferire su tutto il percorso pre e post intervento, per gettare luce su ipotesi e trame misteriose. C.R. si sentì subito proiettato nella cronaca recente, ipotizzando, nella sua mente, una inconsapevole e indiretta partecipazione ad eventi dai risvolti, per altri, lucrosi e goderecci. Il suo contributo alla Giustizia fu molto modesto, potendo solo riferire sulla verità della sua patologia, della sofferta decisione di sottoporsi all’intervento e del soddisfacente recupero funzionale. Il giovane magistrato mostrava tuttavia un’ insistente attenzione proprio alla fase post-operatoria, invitando più volte C.R. a riflettere su eventuali “anomalie” della deambulazione ovvero su “particolari sensazioni”-proprio così si espresse. Infine, malgrado nulla fosse emerso dalla deposizione, il sostituto procuratore notificò formalmente all’incredulo C.R. un provvedimento di sequestro della protesi, di cui veniva nominato”custode”, con il divieto di sottoporsi a eventuali nuovi interventi che gli venissero proposti. Venne infine congedato con il preciso ammonimento a rimanere estremamente attento ad ogni “reazione anormale” dell’arto interessato e a segnalarla senza indugio in qualsiasi momento. C.R. si alzò, impressionato e confuso, ma riuscì infine, in un tempo ragionevole, a guadagnare l’uscita dal Palazzo di Giustizia. Se egli poteva ritenersi sollevato perché la convocazione non aveva riguardato l’affare di “buon vicinato”, tuttavia l’interrogatorio aveva aperto uno scenario inquietante e denso di oscuri presagi. PUBBLICITA’ In effetti, l’“anomalia” si verificò pochi giorni dopo, mentre C.R. era in coda alle Poste. Una cliente davanti a lui stava allo sportello già da 15 minuti e inondava l’impiegata di bollettini di versamento per una miriade di organizzazioni “senza fini di lucro” e ad ogni consegna commentava che una volta era diverso, tutto era più semplice, il personale era più cordiale, insomma, ad ogni operazione, un comizio. C.R. non ne poteva più, anche perché cominciava a dolergli la gamba operata e, un po’ per il formicolio, un po’per l’impazienza, cominciò a dimenarsi, quand’ecco uno scatto repentino, l’arto inferiore protesizzato si sollevò a squadra e, con una violenza inaudita, colpì il posteriore della cliente, scaraventandola contro il bancone. Ne seguì una scena epica: da un lato un manipolo di anziane donne si avventò su C.R. colpendolo con le borsette e insultandolo, mentre un altro partito, composto principalmente da quelli che erano in fila dietro C.R., lo difendeva esclamando: “ha fatto bene!”. Il direttore delle Poste, intervenuto, se le prese da entrambe le fazioni e, quando la rissa assunse proporzioni omeriche, intervennero le Forze dell’Ordine. Durante la susseguente verbalizzazione dell’accaduto, C.R. si ricordò improvvisamente delle parole del sostituto procuratore e disse all’Ispettore: “deve immediatamente avvertire dell’accaduto il Dott……della Procura”. Di nuovo in Procura: “Dunque vuole raccontarmi esattamente cos’é accaduto? -disse l’inquirente- e C.R. raccontò… Tornò a casa esausto a metà pomeriggio, perché la deposizione fu minuziosa. Il giudice sembrava alla ricerca di nuovi particolari, senza poter riferire che esisteva già uno spesso faldone dell’indagine e che esistevano ulteriori casi in cui altri pazienti operati avevano lamentato alcune anomale reazioni degli arti innestati, chi alle gambe, chi alle braccia, ma il dato comune era che, improvvisamente, queste parti del corpo si erano messe in moto senza alcun impulso volontario del soggetto: chi aveva scalciato, come C.R., chi aveva sollevato un braccio, senza alcuna ragione. C.R. si informò comunque se il suo gesto, in quanto diretto violentemente contro una terza persona, potesse avere delle conseguenze, ma il magistrato gli spiegò bonariamente che in tale caso, acclarandosi un anomala reazione della protesi, egli non poteva essere imputabile perché l’azione era avvenuta sotto un impulso non controllabile dalla volontà e dunque la sua azione era stata determinata da una “forza maggiore”. Tuttavia, questa situazione andava risolta e, pertanto, C.R. doveva sottoporsi al più presto all’espianto e alla sostituzione della protesi, sotto il controllo di un consulente medico nominato dalla Procura. Nel frattempo era prudente che C.R. rimanesse quanto più possibile isolato, anche perché, vista la prevedibile risonanza del caso, poteva esservi chi aveva interesse a recuperare quella protesi. Nei giorni seguenti, C.R. rimase in casa, o megliò si ritirò nei locali liberi al piano terreno, dove si dedicò ad alcune personali e misteriose sperimentazioni. I famigliari, come sempre esonerati da ogni condivisione, non poterono far altro che ascoltare, per più ore al giorno, tramestii, rumori di sedie che cadevano, gridolini di compiacimento dell’amato congiunto. Gli stessi, già da tempo in pensiero per la salute, non solo fisica, del capo famiglia, si scambiavano sguardi interrogativi e ne spiavano il comportamento durante le fasi di convivenza. In realtà C.R. aveva fatto una scoperta sensazionale e stava per metterla a frutto, prima che fosse troppo tardi. PUBBLICITA’Come anticipato e previsto, non trascorsero molti giorni prima che la Procura comunicasse a C.R. di tenersi pronto per l’intervento. Due giorni prima della data fissata, nelle prime ore del mattino, C.R. uscì di casa e trasportò il cassonetto, che ormai stazionava regolarmente davanti casa sua, nel territorio del vicino e si dispose in attesa nei paraggi. Non passò molto che il nemico schizzò fuori, minaccioso e urlante, coprendolo di insulti terrificanti. C.R. non si scompose, si posizionò di fronte all’odiato vicino, strofinò i piedi per terra e…con la velocità e la potenza proprie della zampa di un mulo imbizzarrito, la gamba andò a colpire il rivale esattamente nel...bel mezzo della persona. Questi, contorcendosi per terra dal dolore, gli gridò: “stavolta ti denuncio e finisci in galera”!, ma C.R., serafico, gli rispose: è inutile, è stato un caso di…”forza maggiore”!.
******** POSTFAZIONE
L’inchiesta sulle protesi ebbe sviluppi clamorosi e accertò l’esistenza di un inquietante disegno criminale volto a costituire un gruppo di esseri dotati di protesi dotate di microchip con cui poter far muovere gli arti a comando attraverso impulsi inviati a distanza. L’utilizzo di questo corpo di semi-automi può essere solo immaginato, in quanto non fu possibile risalire alla mente organizzativa e alle sue finalità. Fu un’inspiegabile mescolanza di quelle protesi sperimentali con quelle destinate alla normale pratica chirurgica ortopedica che fece scoppiare il caso da cui C.R. fu travolto.. La seconda inchiesta, apertasi contro C.R. per lesioni a seguito della querela del vicino, venne archiviata perchè “il fatto non costituisce reato”. In realtà il magistrato, che aveva comunque preso in simpatia C.R., non era del tutto persuaso che egli non avesse scoperto, data la sua conoscenza ed esperienza fisiatrica, acquisita nei sotterranei del CTO, un meccanismo per attivare, anche meccanicamente, il microchip della sua protesi che, per un imponderabile destino gli era stata impiantata, permettendogli, così, di consumare un’atroce vendetta. D’altra parte C.R., come sua abitudine, anche di questa storia non parlò mai con nessuno |
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