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TEATRO del VITTORIALE
Nel 1927, in
occasione di una memorabile rappresentazione della Figlia di Jorio
nel verde della sua ultima dimora, d'Annunzio manifesta l'esigenza
che la cittadella da lui eretta a Gardone Riviera comprenda anche
un teatro. Subito ne affida il progetto a Gian Carlo Maroni, il sagace
architetto del Vittoriale. La sua configurazione arieggerà
quella del teatro antico, la conca marmorea sotto le stelle"
che lo scrittore vagheggia sin dai tempi del Fuoco (1900), il romanzo
veneziano degli amori con la Duse.
In effetti nello spazio scenico ideato dal poeta per il Vittoriale
rivive un sogno dalle radici remote. Già nel
1897 d'Annunzio, insofferente degli "angusti teatri
urbani", concepisce il disegno di un Teatro di Festa, "comunitario"
e en plein air, sulle rive del lago di Albano, coi gradi di marmo
di un risorto teatro greco. E ancora nel 1910, all'abbrivo del cruciale
soggiorno francese, lo scrittore rilancia il progetto di un Théàtre
des Fetes da allestire con cinquemila posti al Champs-de-Mars o agli
Invalides, valendosi degli estri illuminotecnici di Mariano Fortuny,
il multiforme artista già consulente ascoltato per le scene
della Città morta: "il pubblico, come nella tragedia antica,
sarà vieppiù mescolato all'azione. Sentirà l'atmosfera,
i profumi e la luce cangiare intorno a sè".
Ma a Fortuny, più che mai nella regione comune all'arte e alla
vita, riconducono anche gli abiti preziosi, qui in mostra, appartenuti
a Eleonora Duse, la grande attrice
con cui d'Annunzio stringe sullo scorcio estremo del XIX secolo un
appassionato sodalizio artistico e esistenziale e a cui deve l'impulso
decisivo a scrivere per il teatro. Il ricordo della Duse sopravviverà
fino alla fine, intatto e struggente, negli anni del Vittoriale. Con
lei d'Annunzio intraprende l'avventura, in Italia senza precedenti,
di un teatro di poesia rivolto alla "moltitudine", alla
ricerca del mito in un concerto plastico di luci colori suoni gesti
ritmi, dietro la spinta irresistibile a raccogliere la sfida wagneriana
dell'opera d'arte totale. La parola si integra e si trasfigura nella
musica e nella danza.
Impossibile passare sotto silenzio il ruolo di Wagner, con il programma
ardito di una sintesi delle arti, nella svolta dannunziana verso un
teatro della festa e del rito. Ma proprio all'epoca delle prime prove
con la Duse appare chiaro come il confronto con Wagner e la teutonica
Bayreuth includa anche una volontà di superamento (ed è
una sfida che si prolunga al Vittoriale, fra le reliquie wagneriane
raccolte dal precedente proprietario della villa sul Garda, il critico
d'arte Henri Thode), sulla via di un'arte totale schiettamente dionisiaca
e mediterranea. Su questa via d'Annunzio incontra i nuovi interpreti
della musicalità novecentesca, in un percorso frastagliato
fra Debussy, Pizzetti, Strauss, Skrjabin, Stravinski, per tacere di
Toscanini. E nel quinquennio francese dal 1910 al 1915 il sogno dell'opera
d'arte totale può aggiornarsi a contatto diretto con le elettrizzanti
stagioni e dei Balletti Russi.
Nel Martyre de Saint Sèbastien, composto a Parigi con Bakst
e Debussy, il ruolo del Santo è affidato a una donna dalle
"meravigliose gambe nude", Ida Rubinstein, più mima
e danzatrice che propriamente attrice. E in questa chiave si determinano
anche i rapporti qui documentati con altri protagonisti del nuovo
spettacolo in Europa, da LoYe Fuller a Isadora Duncan e da Mejerchol'd
a Gordon Craig.
Con il suo itinerario di dipinti, fotografie, scritti, documenti inediti,
oggetti d'arte della collezione del Vittoriale la mostra illustra
il gusto estrosamente sperimentale che anima la concezione drammaturgica
di d'Annunzio, alla cui intuizione del moderno non sfuggono né
il teatro dell'Estremo Oriente né l'ultima metamorfosi dell'opera
d'arte totale, il cinematografo. Poi nel 1934 la
Figlia di Jorio torna sulle scene a Roma con un regista
d'eccezione, Luigi Pirandello: e nel ruolo di costumista a Fortuny
subentra De Chirico. Ma il culto della danza continua fervido anche
negli anni del Vittoriale, fra le cui ospiti si ani annoverano danzatrici
di affascinante talento come Anthonia Addison e Charlotte Bara. E
nella discoteca dannunziana trovano posto con Beethoven e Stravinski,
anche Duke Ellington e Josephine Baker. Non è d'Annunzio un
genio della contaminazione ? Alla fine da Wagner a De Chirico, la
vicenda del Teatro sul Garda si illumina di un senso più pieno
anche nella sua stagione recentissima, distinta da un quadro mobile
di scambi e di esperienze espressive poste a confronto, dalla prosa
al balletto, dal concerto al cabaret, dal melodramma al musical. Forse
il sogno della sintesi delle arti non è finito. Anche per questo
il Vittoriale si rivela nel suo Teatro
un museo ancora carico di futuro.
IL TEATRO DEL VITTORIALE CHE GUARDA IL LAGO
DI GARDA.
SPLEEN
( Charles Baudelaire )
Quando il cielo basso e greve pesa come un coperchio
sullo spirito che geme in preda alle lunghe noie
e, dell'orizzonte abbraciando l'intero arco, su noi
versa una nera luce pi? triste delle notti;
quando si ? mutata la terra
in una cella umida
dove la Speranza, come un pipistrello,
se ne va sbattendo le timide ali sui muri
e picchiando la testa contro soffitti putridi;
quando la pioggia distendendo
le sue immense striscie
di un vasto carcere imita le inferriate,
e un popolo silenzioso di infami ragni
le sue reti tende in fondo ai nostri cervelli,
campane d'improvviso esplodono
furiose
e lanciano verso il cielo strida orrende,
come quando spiriti erranti e senza patria
gemono e gemono ostinatamente.
E lunghi funerali, senza
bande n? tamburi,
lentamente sfilano nella mia anima; la Speranza, disfatta,
piange; e l'Angoscia atroce, dispotica, pianta
sopra il cranio chinato la sua bandiera nera.
Spleen:
un male insidioso e paralizzante, uno stato di prostrazione
mentale e fisica,di disgusto del vivere che raggiunge punte padossistiche
di angoscia e di disperazione. Non si lascia ricondurre ad alcuna
causa concreta: ? insito nella stessa condizione umana, che ? per
Baudelaire un condizione di ?caduta?, di irreparabile degradazione.
Questa poesia ? la rappresentazione diretta, attraverso immagini di
sconcertante potenza espressiva, delle fasi successive di una crisi
acuta di spleen.
Pascoli e D'Annunzio
Sono due poeti che, pur movendosi nell'ambito del Decadentismo,
presentano notevoli differenze. Il Pascoli, come si ? detto, ha una
percezione ansiosa e trepida della solitudine, che lo porta ad unirsi
agli altri e ad invocare la solidariet? degli uomini tra loro;
D'Annunzio ha una percezione orgogliosa e arrogante della solitudine
che lo porta ad isolarsi e ad affermare sugli altri la propria superiorit?
di individuo eccezionale.
Inoltre il Pascoli ha un carattere riservato, schivo e introverso,
che lo costringa e ad una vita raccolta e umbratile; D'Annunzio ha
un carattere estroverso che lo porta ad assumere atteggiamenti teatrali
e a compiacersi del bel gesto e del motto per attirare su di s? l'attenzione,
o comunque per sottolineare la propria eccezionalit?.
Da questa differenza di caratteri deriva la differenza della loro
poesia. La poesia del Pascoli ? intima e raccolta, tutta vibrante
della vita interiore del poeta; quella del D'Annunzio ? opulenta e
lussureggiante, ?disumana?, nel senso che ? volta ad esaltare la vita
e le esperienze eccezionali del poeta, al di l? del bene e del male.
Il Pascoli ? ?il fanciullino? che guarda il mondo con occhi stupiti
e ?vede? sotto il velo della realt? il palpito di una vita pi? profonda;
il D'Annunzio, ? sempre l'uomo d'eccezione, esperto di raffinatezze
e volott?, ? l'eroe-centauro, mezzo uomo e mezzo bestia, un mostro
cio? di ?Volont?, Volutt?, Orgoglio, Orgoglio, Istinto?, le quattro
ruote della ?quadriga imperiale? sulla quale corre al vento la sua
vita e la sua opera.
IL DANNUNZIANESIMO
Per dannunzianesimo sintende il complesso degli atteggiamenti
deteriori del DAnnunzio, che influenzarono la vita pratica,
letteraria e politica degli italiani del suo tempo.
Nella vita pratica il DAnnunzio suscit? interesse e curiosit?
in certa aristocrazia e borghesia parassitaria e sfaccendata, e ne
influenz? il costume con i suoi atteggiamenti estetizzanti, narcisistici,
edonistici, immorali e superomistici.
Nella vita letteraria con i suoi virtuosismi lessicali e stilistici
divent? il modello di tanti poeti del suo tempo.
Nella vita politica dapprima con la sua eloquenza fastosa di interventista
e con le imprese eroiche e leggendarie di combattente, galvanizz?,
entro certi limiti lItalia in guerra; poi con il gusto estetizzante
dellavventura e della ribellione allautorit? costituita
( al tempo dellimpresa fiumana ) influenz? il Fascismo, al quale
il dannunzianesimo forn? gli schemi delle celebrazioni esteriori,
dei discorsi reboanti e vuoti, dei messaggi e dei motti ( ricordiamo
il famoso Memento audere semper ) luso del gagliardetto, la
teatralit? dei gesti e le pose istrionesche del capo.
Ma il dannunzianesimo non forn? al Fascismo soltanto gli schemi esteriori,
che, tutto sommato, potevano anche rimanere innocui: gli lasci? anche
eredit? pi? nefaste e brucianti, che vennero a far parte dellhabitus
mentale fascista, come la mancanza di senso storico il fastidio o
il disprezzo per il lavoro umile, limprovvisazione, la faciloneria,
la sottovalutazione e il disprezzo degli avversari: tutti elementi
che portarono lItalia alla guerra e alla disfatta.
LA POETICA
Anche il DAnnunzio come il Pascoli, avvert? i limiti e la crisi
del naturalismo e del Positivismo di fine secolo. Tutti e due hanno
infatti in comune la sfiducia nella ragione e nella scienza, rivelatesi
incapaci, nonostante la conclamata onnipotenza, di dare una spiegazione
sicura e definitiva della vita e del mondo.
?Lesperimento ? compiuto - scriveva DAnnunzio nel 1893
- La scienza ? incapace di ripopolare il ?deserto cielo, di rendere
la felicit? alle anime in cui ella ha distrutto lingenua pace...
Non vogliamo pi? la ?verit?. Dateci il sogno. Riposo non avremo, se
non nelle ombre dellignoto?.
Circa negli stessi anni Giovanni Pascoli scriveva un pensiero analogo:
?La scienza ha perfezionato, oltre ogni aspettativa, la tecnica, ma
non ha saputo, n? sapr? mai liberare gli uomini dal dolore e dalla
morte, e solo ha tolto le illusioni della fede, che lo compensavano
del male del vivere, dellatrocit? del morire?.
Dalla comune sfiducia nella ragione i due poeti derivarono il senso
della solitudine delluomo; ma da questo momento il loro pensiero
diverge e approda a due diverse concezioni della vita, muovendosi
il Pascoli nellambito del vittimismo romantico con sgomenti
e ansie decadenti, il DAnnunzio nellambito dellestetismo
e del superomismo nicciano.
Il Pascoli, di temperamento sensitivo e fragile, ha una percezione
ombrosa e trepida della solitudine, che lo spinge a cercare e a predicare
la solidariet? con gli altri, perch? gli uomini, se si uniscono, possono
meglio sopportare il loro destino di dolore.
Il DAnnunzio ha invece un temperamento sensuale, e perci? ha
una percezione egoistica, orgogliosa e arrogante della solitudine,
derivata dalla consapevolezza della eccezionalit? della propria persona,
che lo spinge ad affermare la propria supremazia sugli altri, a conquistare
il dominio del mondo. O mondo, sei mio! / Ti coglier? come un pomo,
/ ti spremer? alla mia sete / alla mia sete perenne (Maia).
La poesia del DAnnunzio rispecchia la sensualit?
del suo temperamento, intesa come abbandono gioioso alla vita dei
sensi e dellistinto, per scoprire lessenza profonda e
segreta dellio (che ? poi quella stessa della natura).
Si rinnova cos? nel DAnnunzio il dramma romantico della ricerca
dellassoluto. Ma mentre i romantici cercavano di raggiungerlo
con lestasi dello spirito davanti allinfinito, il DAnnunzio,
invece, lo cerca con lestasi panica, cio? con limmergersi
nella natura delle cose, fino a sentire in bocca il sapore del mondo,
come egli dice.
Nel sensualismo e nel naturalismo panico ? lespressione
pi? genuina e pi? valida della poesia del DAnnunzio. Tutte le
volte che egli forza la sua natura di poeta visivo e sensuale, rivestendola
di elementi dottrinali e intellettualistici - come lestetismo,
il superomismo, o il profetismo del poeta-vate - cade nellartificio
e nella retorica; una retorica fastosa, opulenta e abbacinante, che
fa di lui un Marino o un Monti redivivo, ancora pi? sbrigliato e imaginifico.
Perci? anche la poesia del DAnnunzio ?, come quella del Pascoli,
senza svolgimento e progressivo arricchimento. Le successive aggregazioni
di motivi hanno solo il potere di deformare e fuorviare la vera natura
di poeta della laus vitae, intesa come gioia dei sensi, come godimento
oblioso dei "frutti terrestri".
La poesia autentica del DAnnunzio pertanto ha carattere frammentario,
antologico; raggiunge il suo culmine in alcuni capolavori dellAlcyone,
come La sera fiesolana, La tenzone, La pioggia nel pineto, Londa,
Undulna, Le stirpi canore, I pastori, e nella prosa asciutta e intima
del Notturno. Non a caso, per giudizio concorde della critica, ? proprio
il DAnnunzio ?alcionio? e ?notturno? quello che rester? nella
storia della poesia: il resto della sua vasta produzione letteraria
di novelliere di romanziere e di drammaturgo, di poeta civile e patriottico,
interessa solo la storia della cultura, non quella della poesia.
Per concludere, DAnnunzio non ebbe una poetica
ben definita, perch?, data la sua straordinaria abilit? a captare
i gusti e le tendenze delle letterature europee contemporanee, ne
riecheggi? i motivi e le forme mutando continuamente la poetica.
Il Binni ha individuato i diversi aspetti della poetica dannunziana:
ora - egli dice - ? poetica dellorafo, cio? delleleganza
e della raffinatezza parnassiana, nellIsotteo e nella Chimera;
ora ? poetica del convalescente, cio? si sente estenuato e deluso
dalla vita dei sensi e aspira alla purezza e alla bont?, nel Poema
paradisiaco; ora ? poetica del superuomo nei romanzi e nelle tragedie;
ora ? poetica della profezia del poeta-vate, nelle Canzoni delle gesta
oltremare; ora ? poetica naturalistica nellAlcyone.
Di tutte queste la pi? congeniale, come abbiamo detto, ? la poetica
naturalistica dellAlcyone, il III libro delle Laudi, che contiene
le poesie pi? suggestive del DAnnunzio.
GABRIELE D'ANNUNZIO
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