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THAILANDIA
L'oriente,
era un'idea molto attraente, ci stavo pensando già da un po'
ed era diverso tempo che non mi muovevo, avevo proprio bisogno di
una bella vacanza, quindi cominciai a rimuginarci su, dapprima per
gioco, ma più me la immaginavo e più cominciavo a crederci.
Ripresi un mio vecchio progetto sulla Thailandia e iniziai a costruirlo
in modo da comprendere le tappe che più mi sembravano interessanti,
che includessero la Thai storica, la Thai religiosa e quella naturalistica.
Sapevo di non poter fare un viaggio completo, mancava il tempo e anche
la materia prima, l'argent, ma vederne una parte era pur meglio di
niente.
Cominciai
le ricerche su delle guide e su internet, stimai il tempo a mia disposizione
e il gioco fu fatto. Per uno spirito girovago non era certo difficile
organizzare un viaggio in pochi giorni, così andai a fare il
passaporto che m'era scaduto, prenotai i biglietti aerei di a/r e
per gli spostamenti interni e, tre settimane dopo eravamo a bordo
di un boing 747 della Thai Airways destinazione Bangkok. Una lunga
trasvolata, verso la notte che incontrammo ben presto sopra la Turchia,
dieci ore che nemmeno i due film fecero sembrare meno faticosa, ma
con un pensiero entusiasmante, la Thailandia. Consultammo a lungo
la guida che ci eravamo portati dietro cercando di pregustare l'arrivo
e di essere già in grado di muoverci con consapevolezza.
Il mattino
seguente all'alba ci accorgemmo di essere quasi arrivati, spossati
demmo il primo sguardo fuori dall'oblò e oltre al fatto che
era una bellissima giornata vedemmo il mare, scuro, sembrava una laguna,
poi dopo la colazione ci avvertirono che eravamo su Bangkok; era davvero
grande, grattacieli, agglomerati, i canali e spazi verdi molto estesi,
una metropoli che si sarebbe rivelata caotica e invasa dal traffico,
piena di smog, ma pur sempre affascinante.
Atterrati andammo verso i voli interni, ci aspettava un'altra ora
abbondante di viaggio verso Chiang-Mai,
la città dei templi.
Si passava
da una parte dell'aeroporto che era modernissima a una dove i voli
venivano segnalati con dei cartelli gialli posti su un piedistallo
e che venivano cambiati a mano da impiegati ogni volta che partiva
un volo, le destinazioni erano varie ma l'uscita era sempre la stessa.
Vennero a prenderci con un furgoncino scassato e ci portarono attraverso
le piste di transito degli aerei al nostro apparecchio, parlavano
strano e tutto sapeva di diverso, eravamo in un altro mondo e cominciavamo
ad accorgercene.
In breve
decollammo e dopo un volo tranquillo sulle valli e le foreste Tailandesi
che solleticavano la nostra fantasia a pensare a come viveva lì
la gente, in mezzo alla natura più selvaggia, tra serpenti
d'ogni sorta, tigri in libertà e chissà che altro, giungemmo
finalmente a destinazione; dopo più di venti ore di viaggio.
Sbrigammo subito le pratiche con l'immigrazione, e ritirate le valigie
cambiai subito dei dollari americani con dei "bat", la moneta
locale. Andammo in albergo, uno di quelli che si vedono nei film con
larghe scalinate e immense sale con sedie e divani in vimini e piante
a stelo lungo, era molto bello e dava l'idea di dove eravamo; in oriente.
Ci riposammo
un po' e poi verso metà pomeriggio cominciammo ad esplorare
la zona. Eravamo nei pressi del Night Market, una via famosa del centro
di Chiang-Mai dove nel pomeriggio, verso
le cinque inizia ad animarsi un vero mercatino dove si può
trovare di tutto: dai souvenir di tutti i tipi, ai vestiti, valigie,
oro, argento ( probabilmente taroccati ), profumi, occhiali, orologi
ecc. ecc.. La parola d'ordine è: contrattare. Tutto si contratta,
e il primo prezzo spesso viene addirittura decimato.
Verso sera
andammo a cenare in un ristorante molto carino, dentro un giardino
tipico, una casa in stile Thai, si saliva, dopo essersi tolti le scarpe
al piano superiore dove erano apparecchiati dei tavoli al lume di
candela mentre nell'aria un delicato profumo di incensi si spandeva.
Lì gustammo la cucina tipica malese, speziata, piccante e profumata;
il " ginger ", lo zenzero era il principe in quasi tutti
i piatti. Assolutamente delizioso.
Dopo cena
ci sedemmo in un locale all'aperto che alternava incontri di box Tailandese
a spettacoli di danza dove le danzatrici ostentavano oltre ai loro
stupendi costumi, colorati e lavorati, la peculiare caratteristica
dei movimenti, delicati e gentili, incurvavano le dita delle mani
ornate da appuntiti ditali dorati, e più riuscivano a flettere
in modo così innaturale le dita, più dimostravano la
loro abilità. Erano danze che rappresentavano la cultura agreste
del luogo, il lavoro nei campi, la vita quotidiana. Erano accompagnate
da un'orchestrina che suonava strumenti a corda che non avevo mai
visto e che emettevano dei suoni inconfondibili, tipicamente orientali,
piacevoli.
Il giorno
dopo ci gustammo una abbondante colazione all'inglese, e finalmente
iniziammo l'esplorazione della città. Avevamo già preso
accordi con un tassista il giorno prima, il quale dopo una contrattazione
sul prezzo, aveva accettato di dedicarci la giornata, portandoci nei
luoghi più caratteristici. Volle iniziare con la zona artigianale,
che era subito fuori città; si trattava di una strada dove
si susseguivano negozi e botteghe artigiane che producevano oggetti
di vario genere e davano anche la dimostrazione di come i maestri
lavoravano i materiali.
Vedemmo
botteghe di ombrellini di carta di riso colorati a mano, i laboratori
dove si produceva la seta, dal baco al prodotto finito ( veramente
interessante la dimostrazione, anche se crudele ), poi ci portò
dove creavano il vasellame, e anche lì ci fecero vedere come
lo ricavavano e come lo decoravano. Poi andammo a vedere la lavorazione
della giada, molto famosi sono i gioielli e i cammei fatti con questa
pietra, la lavorazione del corallo e dell'argento e altre cose ancora;
tutto sembrava così antico, ma la sensazione non era quella
del lavoro duro, era più come se lì gli artigiani e
gli apprendisti svolgessero la loro attività seguendo i ritmi
della giornata, senza affanno, con calma. Bellissime erano le sculture
sul legno intagliato a mano, ma per gli amanti del genere credo che
la visita alla " gems gallery ",
potesse essere il massimo. Sinceramente non mi piacque granchè,
si trattava di un edificio diverso dagli altri, moderno e dall'aspetto
anche un po' sinistro. Alla reception erano state messe delle ragazze
vestite con bellissimi abiti di seta attillati, truccatissime che
introducevano i turisti che arrivavano in massa con dei pullman, (
c'erano sopratutto signore di una certa età e con l'aria danarosa
), nelle sale dell'esposizione. Vi era veramente di tutto, gioielli
di ogni genere, forma e colore, e tutto veniva garantito con il certificato
iso 9002 come era scritto dappertutto.
Solo dopo capimmo che il buon tassista era pagato da queste botteghe
che gli avrebbero dato una percentuale sui nostri eventuali acquisti.
Così
stanchi di negozi e botteghe decidemmo di andare a vedere qualcosa
che ci attirasse di più, e andammo così su una collina,
dove maestoso s'ergeva uno dei templi più belli della città:
il Wat Phrathtat Doi Suthep. Splendido, assolutamente magnifico. Tutto
bianco con i tetti decorati da guglie dorate e rosse, vi erano enormi
statue di divinità e di santoni, rappresentazioni di animali
Dei e draghi lunghissimi. Due di questi erano lunghi come l'intera
scalinata che dalla piazzetta sottostante portava al tempio, lunga
qualche decina di metri. I fedeli suonavano una fila di campane come
da tradizione buddista, mentre nel centro del tempio un chiostro di
portici tutto istoriato conduceva ad un budda di smeraldo, al centro
del chiostro un bellissimo "chedi", una specie di piramide
dorata con una punta molto allungata verso il cielo, qua e là
vari tempietti custodivano statue del Budda ornate con un telo arancione,
e in alcuni di questi stavano accovacciati dei santoni nel tipico
abito arancione, e pregavano e allacciavano braccialetti portafortuna
al polso dei fedeli e dei turisti. Vi era profumo di incensi che molti
accendevano pregando e portando ghirlande di fiori. Era davvero incredibile
vedere tutte quelle statue del Budda, seduto, in piedi, disteso; e
poi il senso di pace e tranquillità emanato da quel luogo non
era dissipato neanche dalla presenza dei molti turisti, non sempre
rispettosi. Anche
la figura dell'elefante era ricorrente tra le divinità, forse
perché in Tailandia è un animale molto presente nella
vita quotidiana; non è difficile infatti trovarne sia in campagna
che nei centri cittadini.
Nei giorni successivi andammo a visitare altri templi, ci muovevamo
con un tipico mezzo di trasporto locale, il " tuk-tuk",
un veicolo a tre ruote coperto sopra e aperto ai lati, molto rumoroso
e inquinante, ma agile e condotto con spericolatezza in mezzo al traffico.
Le città in Thailandia sono molto trafficate e le strade brulicanti
di persone che passano da un mercato all'altro, di venditori ambulanti
con i loro carrettini pieni di cibi forse poco invitanti per noi europei,
ma sicuramente economici e frequentati dai tailandesi. Così
anche gli odori a volte forti a volte sgradevoli si mescolavano all'aria
nel caldo delle vie dove spesso si vedevano persone sedute a mangiare
con i loro bastoncini strane zuppe con spaghetti e chissà che
altro, cibi piccanti e speziati, e malgrado fosse molto caldo anche
fritti.
Visitammo il Wat Phra Sing, il Wat Chedi Luang, il Wat Chiengman per
dirne alcuni, quelli che ci furono consigliati, ma né vedemmo
anche degli altri. Erano posti lungo le strade, cinti da mura e all'interno
l'atmosfera cambiava. Ci si accorgeva di essere in un luogo religioso,
c'era molta quiete, le persone stavano tranquillamente sedute a chiacchierare
e ti tanto in tanto passavano alcuni monaci in fila. In quei cortili
c'erano molti cani e gatti, spesso malandati, e a volte capitava di
trovare una venditrice di uccellini: aveva catturato dei passeri e
lì teneva in una gabbietta di legno, e per pochi soldi li dava
ai turisti che dovevano liberarli poiché si dice che porti
fortuna farlo. Nei templi ci si doveva sempre togliere le scarpe,
e al cospetto dell'immagine del Budda era richiesto di stare seduti:
lui deve essere su un piano elevato rispetto agli uomini.
Ci capitò di scambiare due parole con un monaco che ci chiedeva
di noi, dell'Italia e dell'europa, fece domande strane ed era molto
curioso di sapere come si chiamavano alcune cose nella nostra lingua.
A volte verso sera assistemmo alla cerimonia del ringraziamento con
i monaci intenti ad intonare le loro litanie, oppure al suono della
campana che un monaco batteva con un ritmo cadenzato sempre più
freneticamente. In ogni tempio vi era l'immagine del re, che viene
venerato e temuto, vi erano dipinti che raffiguravano momenti della
vita del Budda, grandi aspersori e zanne di elefante, e fiori, tanti
fiori. Venivano anche esposti dei cartelli in lingua Thai e in inglese
con massime buddiste che richiamavano i pellegrini alla rettitudine.
Arrivò il momento di lasciare Chiang-Mai,
facemmo così un ultimo giro fuori le mura ( è una città
fortificata, di forma quadrata e circondata da un fossato ), poi decollammo
verso Bangkok.
Fù
una trasvolata turbolenta, perciò atterrammo volentieri. Prendemmo
un mezzo per andare all'albergo al quale giungemmo dopo più
di un'ora di viaggio data la distanza dell'aeroporto e il traffico.
Eravamo molto vicini al Grand Palace, il palazzo reale. Uscimmo subito
a fare un giro, di fronte all'hotel vi era una strada larghissima
e difficile da attraversare a causa del traffico e al di là
un grande spazio verde dove c'era chi giocava a pallone, chi faceva
volare aquiloni o si riposava, un luogo di relax che arrivava fino
al limite del palazzo reale. Fummo subito assaliti dai conducenti
di tuk-tuk, e non vi fù modo di
levarseli da torno, dovemmo accettare di essere portati da loro in
giro poiché furono incredibilmente insistenti. Arrivarono persino
a dirci che dove volevamo andare noi era chiuso inventando una festività
nazionale. Il loro intento era di portarci nei centri commerciali
per avere la percentuale sui nostri eventuali acquisti o il pieno
di benzina per il loro mezzo.
Dovetti
litigare col conducente per essere riportato a casa. Bangkok
era davvero immensa e di sera acquistava, come quasi tutte le città
grandi, un'aspetto ancor più affascinante, con tutte le sue
luci, il viavai di persone di tutte le nazionalità, i rumori
e i suoi odori, non sempre gradevoli soprattutto nelle vicinanze dei
canali dove erano ammassate numerose baracche abitate da famiglie
povere, veramente povere, e dove la sporcizia e la miseria erano uno
spettacolo pietoso. In altri quartieri comunque adiacenti c'era invece
tutt'altro, ristoranti, locali chiamati " go-go " dove si
svolgevano spettacoli erotici e combattimenti di lotta tailandese,
negozi illuminati e coloratissimi di souvenir e quant'altro, grandi
mercati all'aperto e una folla di turisti e locali intenti a dar vita
a una vera babele.
Era il quartiere di patpong, nel quale si poteva trovare
di tutto e di più.
Subito fuori città, nelle vie fluviali si svolgeva la mattina
il famoso mercato galleggiante: su piccole imbarcazioni si veniva
portati a visitare quella che è una vera e propria città
galleggiante nella quale si svolgono scambi e commerci di generi di
qualsiasi tipo, dove si può acquistare un po' di tutto ma dove
per il turista è facile comperare oggetti contraffatti spacciati
per originali a prezzi sicuramente bassi. Lì vivono molte famiglie
su grandi imbarcazioni, si lavano nel fiume e traggono da esso anche
l'acqua per i loro cibi, cosa impossibile per un europeo, morirebbe
sicuramente.
Andammo finalmente a visitare il Grand Palace,
circondato da alte mura che lo isolano dal caos delle strade attorno,
è un luogo assolutamente da vedere. Ha un'area di 218400 mt
q. ed è circondato da mura del 1782 e lunghe in totale 1900
mt.. Al suo interno sono situati gli uffici del governo, la residenza
reale e la Cappella Reale del Budda si Smeraldo. Dopo la caduta di
Ayutthaya, l'antica capitale del Siam ( dove oggi si possono vedere
ancora dei resti interessantissimi dell'epoca ), il monarca si spostò
a Thonburi sull'altra sponda del fiume. Rama I ascese al trono e mosse
il centro dell'amministrazione sulla sponda opposta del Chao
Phraya, il grande fiume che attraversa Bangkok, dove fece erigere
molti monumenti come fortificazioni e monasteri, costruì un
palazzo che doveva servire come residenza reale e dei vari ministri,
di cui solo uno rimane all'interno delle mura. Entrati subito fummo
al cospetto di statue giganti dal volto coperto da maschere grottesche
in atteggiamento da guardiani, vari templi dai tetti a guglie tutti
decorati e dorati si ergevano lungo le mura che per tutta la loro
lunghezza erano istoriate con scene tratte dalla storia e dalle leggende
dell'antico regno del Siam; gli affreschi rappresentavano le battaglie
e gli assedi alle città da parte di mostri e divinità,
le conquiste dei re e le lotte contro le popolazioni confinanti che
cercavano di conquistare il regno. Al centro vi era la
Cappella Reale, con al suo interno il veneratissimo Budda
di Smeraldo. Togliemmo le scarpe per poter accedere al suo
interno, chiaro era l'avvertimento di non fotografare, molti rullini
tolti ai trasgressori erano in mostra all'ingresso dove una guardia
controllava che tutto si svolgesse nel rispetto del luogo. All'interno
vi erano dipinti che raffiguravano la nascita, la fanciullezza e la
gioventù del Budda, la sua rinuncia
al mondo, l'illuminazione e i suoi insegnamenti. Di fronte s'ergeva
l'altare d'oro con il Budda di Smeraldo seduto sopra. E' una piccola
statua ricavata da un blocco di giada, posta nella cappella da
Rama I, essa viene vestita diversamente in base alla stagione:
c'è l'abito estivo, succinto che consiste in alcune decorazioni,
quello della stagione delle piogge che veste il Budda quasi completamente
in un abito attillato e poi una coperta per l'inverno; tutti sono
ovviamente d'oro.
Spostandosi si arriva ad altri edifici, quali il Chakri maha prasat
hall che ha di fronte un elegantissimo giardino con piccoli alberi
e alla cui entrata sono presenti guardie armate in divisa, immobili.
Al suo interno è possibile visitare un museo delle armi, proseguendo
poi si giunge al Dusit Maha prasat hall, visitabile anch'esso. Il
Phra maha monthian è un complesso
costituito da tre edifici principali chiamati: 1) Audience hall of
amarin winitchai dove si svolgono le cerimonie di corte, di fronte
un trono tutto dorato e decorato con scalini che portano al sedile,
splendido, 2) Paisal taksin hall, dove avvengono le incoronazioni
dei monarchi, e dove il re riceve la gente invitata, 3) si giunge
poi alla Chakrapat phiman, che fu la residenza dei re Rama I, II eIII.
Usciti dalle
mura dalla parte posteriore del palazzo si giungeva in uno dei templi
più suggestivi di Bangkok, il Wat Pho,
costruito nel 1688-1703, famoso per contenere il Budda disteso. Si
tratta di un'enorme statua del Budda,
la seconda per grandezza in Tailandia, tutto dorato e disteso, sotto
i piedi è decorato con 108 figure, ed è veramente imponente.
Guardando tutto ciò si aveva veramente l'impressione di una
religiosità inconsueta dalle nostre parti. Un tintinnio curioso
si sentiva costante e incessante; all'inizio non capivamo di cosa
si trattasse, ma poi girando intorno al Budda per osservarlo da tutte
le angolazioni capimmo cosa lo provocasse. Pareva che qualcuno suonasse
un qualche strumento, tipo dei campanellini con un ritmo preciso e
costante, in realtà erano i fedeli che acquistavano un kit
di monetine che corrispondevano esattamente al numero di recipienti
che erano posti in fila lungo il muro e ne facevano cadere una in
ognuno di essi provocando quel rumore curioso, ma suggestivo. Alla
fine chi faceva un'altra offerta poteva acquistare una tegola col
proprio nome da mettere sul tetto del tempio. Un buon modo di assicurarsi
la manutenzione.
Girammo
ancora per la città, e trovammo altri luoghi molto caratteristici
dove i fedeli pregavano, o dove si poteva salire a vedere il panorama
sulla città, si trattava di templi o monasteri aperti al pubblico,
come il marble temple e altri. Uno di questi si trovava su una collina,
si doveva salire una scalinata che ruotava attorno alla stessa e al
tempio, e dall'alto si godeva un bel panorama. Una delle caratteristiche
di questa città era il fatto che ci fossero angoli così
diversi, luoghi di culto dove i religiosi vivevano in tutta tranquillità,
come fuori dal mondo e subito oltre le mura il caos più totale,
strade perennemente intasate dal traffico, rumori e smog come mai
avevamo trovato, palazzi moderni, alberghi lussuosissimi e segni di
ricchezza si fondevano con le baraccopoli dove la miseria più
nera regnava sovrana, eppure nei volti di tutti c'era il sorriso,
come se la loro condizione sociale fosse ovviamente accettata e non
ci fosse spazio per l'autocommiserazione. Probabilmente la loro cultura
religiosa aveva un forte ascendente in tutto ciò, e noi non
potemmo astenerci dal notare come anche negli angoli più miseri
dove si riunivano i meno abbienti vi fosse dignità nei loro
volti.
Era già
ora di ripartire, avevamo scelto di non stare più di due giorni
a Bangkok perché sapevamo quanto fosse caotica e inquinata,
e da questo punto di vista era stata un'ottima scelta, visto che ora
ci aspettava il meraviglioso mar delle andamane; si andava alle Phi
Phi island.
All'alba lasciammo l'albergo, e dopo un'ora e mezza di volo atterrammo
all'aeroporto dell'isola di Phuket. Pioveva
e il cielo non lasciava sperare niente di buono, prendemmo un taxi
e ci dirigemmo al porto dove avremmo preso il traghetto per le Phi
Phi island. Per fortuna il tempo migliorò e presto uscì
il sole, cosa non rara per il clima tropicale della Thailandia. Correvamo
su una strada in mezzo alle campagne, era un paesaggio diverso da
quelli trovati finora, alte palme, colline boscose, verde ovunque,
uno scenario veramente emozionante, si vedevano qua e là gruppi
di elefanti cavalcati da uomini che li conducevano tra campi e palmeti;
eravamo ai tropici, senza dubbio.
Giunti al
porto ci imbarcammo su un traghetto, e assieme agli turisti ci sedemmo
a guardare il panorama, da una parte l'isola che s'allontanava, dall'altra
il mare aperto.
Ci impiegammo un'ora e mezza, nella quale una volta in prossimità
del piccolo arcipelago delle Phi Phi
il comandante fece girare l'imbarcazione attorno alle isole più
piccole per darci modo di vedere degli angoli di mare cristallino,
color smeraldo sul quale si specchiavano alte pareti rocciose, e piccole
insenature raggiungibili solo con una barca dove era possibile fare
il bagno in compagnia di migliaia di meravigliosi e coloratissimi
pesci. Un vero paradiso.
Ad un certo
punto il traghetto si fermò, e dalla spiaggia dell'isola arrivarono
delle piccole imbarcazioni a motore, accostarono e fecero salile a
bordo i turisti e i bagagli. C'era la barriera
corallina e con un po' di bassa marea era l'unico modo di portare
a terra la gente.
Andammo
così al nostro alloggio, si trattava di un bellissimo e tipico
bungalow di legno con una grande porta-finestra, arredato con oggetti
e mobili in stile tropicale, ed era situato ai margini della foresta,
tra le palme. L'isola era davvero piccola, e per ogni spostamento
era necessaria una barca, cosa facile da trovare poiché sulla
spiaggia bivaccavano tranquillamente sotto le palme dei ragazzi che
con le loro piccole e rumorosissime barchette accompagnavano i turisti
ovunque volessero.
Dall'altra parte dell'isola c'era un paesetto già più
grande dove era possibile trovare ristoranti e negozi, e difatti era
sempre affollato ( se così si può dire ), mentre dalla
parte nostra c'erano solo dei residence e un piccolo ristorantino
sulla spiaggia dove la sera era romantico e particolare mangiare,
con poca luce e con granchietti e altri piccoli animali che col buio
e la bassa marea giravano sulla sabbia. Tra il mare e la fine della
spiaggia c'erano pochi metri, oltre la quale iniziavano le palme e
poco oltre la foresta nella quale ovviamente vi erano serpenti, ragni
e altri animali sicuramente da evitare, ma questo voleva anche dire
che l'isola era stata lasciata intatta, ed era emozionante pensare
che eravamo in un posto così.
Avevo con
me una macchina fotografica subacquea, così mi feci portare
al largo e chiesi dove fosse possibile fotografare dei bei pesci,
magari anche degli squali, e così fui portato oltre la barriera
corallina, dove mi tuffai assieme al ragazzo della barca, anche se
con molta paura, ma appena entrato in acqua ebbi una visione meravigliosa,
dimenticai subito il possibile pericolo di incontrare degli squali
o dei barracuda e cominciai a scendere in apnea, estasiato dai colori
dei pesci e della flora, il fondale era profondo e pieno di quelle
enormi conchiglie che si richiudono su tutto ciò che le tocca,
imprigionandolo. Avevano come delle labbra polpose e colorate, e se
ne stavano li, aperte, in attesa di una preda. Attorno a me si era
radunata una folta schiera di piccoli pesci di tutti i colori che
mi scrutavano curiosi, fino a sfiorarmi. Purtroppo il corallo sul
fondo era morto in molti punti, ma lo spettacolo di quel mare trasparente
e luminoso era davvero ammaliante. Vicino alle rocce c'erano molti
ricci di mare, neri e più grandi di quelli dei nostri mari,
con aculei lunghi oltre venti cm.. Ci spostammo poi vicino ad un'altra
isola e ci immergemmo nuovamente, qui la barriera corallina era invalicabile,
e la barca spesso veniva spinta sulle rocce da una corrente molto
forte, sott'acqua c'era meno visibilità poiché eravamo
quasi al tramonto e il picco dell'isola faceva ombra sull'acqua, e
qui incontrammo uno squalo di piccole dimensioni, era quasi l'ora
in cui cominciavano ad andare a caccia, ma noi eravamo molto stanchi,
così a fatica risalimmo sulla barca e ritornammo alla base.
Furono dei giorni di totale riposo, nei quali facemmo snorkeling,
assaporammo la vita in un piccolo paradiso tropicale e godemmo dei
colori stupendi di tramonti sul mare per vedere i quali dovevamo attraversare
l'isola seguendo un sentiero tra la foresta. Sull'isola abitavano
delle famiglie di tailandesi, in baracche sulla spiaggia o ai margini
della foresta, non si vedevano quasi mai, solo al tramonto si radunavano
sulla scogliera per raccogliere dei piccoli molluschi che venivano
lasciati scoperti dal mare, e dei quali sembravano essere ghiotti.
Passarono
anche quei giorni e giunse l'ora di ripartire, stavolta andavamo a
Phuket per restare lì, dove il nostro viaggio si sarebbe concluso.
Riattraversammo il mare come all'andata, e approdati andammo subito
dopo aver depositato i bagagli a dare un'occhiata alle spiagge. Erano
grandi insenature, costellate da palmeti e promontori, ma non erano
molto pulite, così come il mare, non era come quello delle
Phi Phi island, anzi era un po' sporco e non molto invitante.
Anche se di solito sono contrario a farlo, decidemmo di stare un po'
nella bellissima e grande piscina dell'albergo, che si trovava su
una collina con vista sulla baia di Kata.
Noleggiammo
anche un motorino, e andammo alla scoperta dell'isola, passammo i
centri di Patong, dove la sera si anima un road market enorme nel
quale si può trovare di tutto, ci sono molti locali per i turisti
e ristoranti, negozi, luci, un centro molto affollato. Andammo a vedere
varie spiagge, e seguendo l'unica strada vera dell'isola la girammo
tutta, fermandoci a vedere i suoi templi, molto belli anche qui, attraversammo
angoli abitati dove la gente vive un po' miseramente, e luoghi dove
grandi e lussuosi alberghi si celavano in parchi curatissimi, campi
da golf e altre strutture s'alternavano a punti desolati, e alla fine
decidemmo di andare a vedere delle cascate. Erano all'interno di un
parco nazionale, ci addentrammo così nella foresta dove fummo
affiancati da un tailandese che si offrì di accompagnarci,
facendoci da guida. Ne fummo contenti poiché eravamo veramente
all'interno di una foresta vergine, e non nascondo che avessimo un
certo timore. Ci portò su per un sentiero, seguendo un ruscello,
eravamo ormai nel folto della vegetazione e si udivano forte gli uccelli
e i rumori tipici della foresta, era caldissimo e umido tanto che
arrivati alle cascate non ci pensai un attimo e toltami la maglietta
mi fiondai sotto. Fu incredibile, quest'acqua che mi arrivava dall'alto
quasi schiacciandomi, fredda ma ristoratrice, da provare. Continuammo
per il sentiero, ogni tanto incontravamo altre persone che visitavano
il parco come noi, il nostro accompagnatore ci mostrò un enorme
ragno che stava sulla sua grande tela tra i rami di un albero, era
mostruoso, colorato, si trattava di una specie velenosa, mortale anche
per l'uomo. In quel posto era comunque facile incontrare oltre ai
ragni gli scorpioni, che sono grandi e neri, oltre che pericolosi,
così come molti altri insetti di grandi dimensioni e serpenti,
cobra, boa e altre specie di animali e insetti pericolosi. Non è
raro infatti incontrare questi animali anche nei giardini delle case,
ma i tailandesi sono abituati a convivere con loro, e senza ucciderli
li allontanano, anche perché va contro la loro religione far
loro del male.
Andammo anche a fare delle escursioni organizzate. Un giorno andammo
nella foresta di mangrovie, con una barca che ci portò nella
laguna partendo da Phang-nga, una zona
a nord dell'isola di Phuket. Navigammo su una specie di fiume largo,
che andava al mare, sulle cui rive vi erano delle palafitte abitate
da un popolo che non viene mai sulla terraferma, vivono lì
tra il mare e la foresta in quelle abitazioni rialzate fatte con travi
di legno ricavate dagli alberi, schivi si nascondevano al nostro passaggio.
Vivevano di pesca e caccia, in una condizione veramente primitiva.
Più avanti il fiume s'allargava fondendosi con il mare, e da
esso si ergevano dei grandi faraglioni, rocciosi ma con della vegetazione
sulla sommità, erano sparsi qua e là dando al paesaggio
un'aspetto a dir poco particolare, esotico, unico.
Alcuni di essi erano molto grandi con dei passaggi naturali che formavano
delle grotte e l'imbarcazione vi passava attraverso permettendoci
di vedere le stallattiti sulla volta. Più in là approdammo
alla famosa isola di James Bond, era uno di questi dentoni che si
trovava all'interno di una piccola baia sulla cui spiaggia fù
girato uno dei film della saga dell'agente speciale 007, quello in
cui Sean Connery e Ursula Andress girarono
una famosa scena. Poi andammo a fare una piccola escursione in canoa,
passando sotto caverne appena affioranti sul pelo dell'acqua, era
infatti necessario distendersi sulla canoa per passarci, entrando
in piccoli specchi d'acqua completamente circondati dalle pareti del
faraglione che alte formavano un ambiente chiuso, e che celavano le
tane di serpenti marini e altri animali che la nostra guida ci indicava.
All'ora di pranzo andammo a mangiare in un piccolo agglomerato di
palafitte in mezzo al mare, era il regno dei "
Gypsy ", gli zingari del mare, un popolo di origine malese
e di religione mussulmana che vive appartata poiché esule e
non ben vista dal governo Tailandese, ma comunque tollerata.
Mangiammo in compagnia di tutto il gruppo, ci portarono zuppa, riso,
e altri piatti a base di pesce e pollo, in condizioni igieniche paurose,
difatti il caldo e la mancanza di acqua dolce potabile facevano esalare
odori preoccupanti, ma eravamo la, quindi ci facemmo coraggio e consumammo
il pranzo sperando che non ci accadesse nulla.
Fu comunque
molto simpatico perché chiacchierammo con delle persone che
venivano da altre parti del mondo, dal Sud Africa, dall'India e così
come noi eravamo curiosi di sapere di loro, a loro volta saputo che
eravamo Italiani furono molte le domande che ci rivolsero.
Finito di pranzare ci portarono nel retro del villaggio dove avevano
allestito un grazioso mercatino e fummo incoraggiati a fare qualche
acquisto anche perché così loro si finanziano.
Ripariti tornammo alla corriera, e tornati sull'isola di Phuket
ci fermammo nei pressi di un campo d' addestramento di elefanti. Fecero
una dimostrazione di come ricavavano la gomma dall'albero e di come
la lavoravano facendola diventare tale, ci portarono tra coltivazioni
di banane e altre tipi di frutti e alla fine il tanto atteso elephant
trekking. Salimmo su una palafitta dalla quale passammo sulla groppa
di un elefante su cui era stato montato un seggiolone per due persone,
l'istruttore sedeva davanti e con un uncino dava la direzione al povero
animale. Girammo per un percorso che andava tra un fiumiciattolo e
una piccola boscaglia, dove vedemmo dei piccoli varani scappare al
nostro passaggio, fu molto scomodo ma intrigante.
La sera passeggiavamo tra i negozi, i locali di massaggi Tailandesi
e i bar dai quali usciva una musica assordante, dove i turisti e i
locali mangiavano e bevevano in compagnia di signorine condiscendenti,
così adempiuto all'acquisto dei souvenir, una sera decidemmo
di andare a vedere uno spettacolo che ci era stato consigliato: il
Phuket Fantasea.
Era un grande parco, tipo quelli della Disney, al suo interno vi erano
giostre, locali, negozi e tutto era illuminato in modo spettacolare,
la gente s'intratteneva così fino al momento di entrare in
un edificio fiabesco che copiava quei vecchi templi con animali scolpiti
nella roccia che si trovano nelle foreste, assaliti dalla vegetazione
che li assorbe e li deforma nel tempo.
All'interno davano uno spettacolo maestoso, fatto di
laser e giochi di luci e ombre, venivano riprodotte la storia e le
leggende della cultura Thai, entravano in scena anche degli elefanti,
e gli attori vestivano i costumi tradizionali, creando scene di guerra
e danze tribali, tra evoluzioni e musiche coinvolgenti. Uno spettacolo
bello e interessante.
Un'altra sera andammo con degli amici italiani che avevano sposato
donne tailandesi e quindi vivevano e lavoravano li, a mangiare in
un tipico ristorante di cucina Thai; non avrei mai creduto che si
potesse mangiare così bene, ci portarono molti piatti a base
di pesce e carne di cui ovviamente non ricordo il nome, potevano essere
fritti o piccanti, con salse deliziose a guarnire il riso o la carne,
mangiammo alghe e chissà che altro, ma sicuramente fu una cena
memorabile.
Lasciammo per l'ultimo giorno il pezzo forte del nostro soggiorno
a Phuket: Le isole Kho Khai.
Con un motoscafo veloce raggiungemmo l'isola di Kho
Khai Nok, un piccolo atollo emerso dal mare delle andamane,
e dal quale si vedevano altre piccole isolette che facevano parte
del gruppo, era cosi piccolo che lo si vedeva tutto stando al centro,
praticamente una spiaggia di sabbia fina e bianchissima circondata
da rocce scure e dal mare visibile a trecentosessanta gradi, un tripudio
di colori, bianco, verde ,azzurro, blu. L'acqua era di una trasparenza
indescrivibile, caldissima e affollata inverosimilmente di pesciolini
colorati che si accalcavano attorno ai bagnanti che davano loro da
mangiare; mangiavano veramente dalle mani. Entrai in acqua e non credetti
ai miei occhi, pesci di tutti i colori, a migliaia, ricci enormi e
conchiglie giganti ovunque. Fummo avvertiti di non allontanarci troppo
dalla riva perché in quei luoghi incontrare pesci pericolosi
era molto probabile, e difatti io ebbi un tet a tet con un bel barracuda,
rimasi immobile, e anche lui si fermò a guardarmi, poi virò
e se ne andò via, e io ripresi a respirare. Fu comunque emozionante
trovarmi faccia a faccia con un predatore come quello, e per quanto
avessi paura rimasi in acqua molto a lungo. Era così calda
e limpida che invitava a restarci immersi, e guardandosi attorno si
poteva vedere solo mare e qualche roccia con sopra magari un albero.
Di notte in quelle isolette ci vanno a riposare i pescatori, anche
se al tramonto escono dalle loro tane dei serpenti marini velenosissimi
che però non possono nuocere all'uomo perché hanno la
bocca troppo piccola per poter mordere qualsiasi parte del corpo,
tranne tra le dita, dove se si dovesse venir morsi si troverebbe la
morte in pochissimo tempo.
La giornata
scivolò via in un baleno, quella gita era stata stupenda, ma
noi avevamo l'aereo quella sera, era già finito tutto, il tempo
di tornare, farsi una doccia veloce, andammo in centro a salutare
gli Italiani che avevamo conosciuto lì, poi chiamato un taxi
ci avviammo all'aeroporto guardandoci indietro; stavamo lasciando
un vero paradiso, e ce ne rendevamo conto.
I giorni
di Chiang-mai parevano lontani ora, erano passate solo due settimane
ma sembrava una vita, avevamo visto tantissime cose, tutte nuove per
noi, e molte altre ce ne sarebbero state da vedere, ma credo che quello
fu un viaggio nel quale uscimmo letteralmente dal nostro mondo, da
ciò che per noi era il consueto, avevamo visitato molti altri
posti in Europa o negli Stati Uniti, ma qui era tutta un'altra cosa.
Tutto si muoveva con tranquillità, l'orologio non serviva,
mangiavamo quando avevamo fame e dormivamo quando eravamo stanchi;
tutto apparentemente ovvio..ma da noi chi può veramente fare
questo.
Concludo
citando una frase del mio scrittore preferito, Hermann
Hesse, buon conoscitore dell'oriente:
E chi non ha un Cuore
Chiaro Saldo e Lieto
come il Cristallo,
mai in questi luoghi troverà un Nido,
sempre lo seguirà
la Nostalgia e il Pensiero
di Casa.
Max.
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