Come spesso accade
nel periodo che precede le vacanze eravamo un po' affannati a scegliere
una nuova meta per passare qualche settimana in modo diverso, ma
non avevamo per nulla le idee chiare; mare, isola o visita a qualche
capitale europea con tutti gli annessi e connessi?
Bhè, quella volta fu proprio fulmine a ciel sereno. D'estate,
opportunità di vivere una vacanza in qualche posto caldo,
con spiagge e mare incontaminati, chi mai mi avrebbe convinto a
cambiare così radicalmente le mie idee? Un documentario alla
tv sulla scozia e……ma perché no? In fondo era una meta che
aveva già attratto la mia attenzione altre volte, anche se
in stagioni meno calde, e ora mi sembrava così intrigante,
così misteriosamente piacevole, come se mi chiamasse.
Ci misi un po' a convincere la mia compagna di viaggio di questa
opportunità, ma il mio entusiasmo alla fine fece breccia,
e spazzate via tutte le riserve si iniziò a organizzare il
tutto; tempo alla partenza, 2 settimane.
Non era facile in pieno agosto pensare di organizzare un viaggio
in scozia a così breve termine e con un bagget limitato,
quindi ben presto capimmo che l'unica nostra possibilità
era il rischioso " fai da te ", rischioso a detta di tutte
le agenzie che ascoltammo e che cercarono di spaventarci in tutti
i modi per convincerci a comprare loro ogni cosa: dal noleggio della
macchina al pacchetto di voucher per tutti gli alloggi, dai biglietti
d'entrata ai castelli, ai tours in loco. - E' agosto signori - ci
dicevano, - non troverete niente se non lo prenotate, quest'anno
vanno tutti in Scozia -. Non ci volle molto a capire l'antifona,
e così acquistati i biglietti d'aereo e noleggiata opportunamente
un'auto, decidemmo di arrangiarci per tutto il resto; che la sorte
ci assistesse. Nei giorni seguenti ci furono alcuni momenti di vero
sconforto: e se avessero avuto ragione loro, lì fa freddo,
piove spesso, dove avremmo dormito? In macchina, almeno saremmo
stati all'asciutto. Arrivò così il 10 agosto, e noi,
sempre un po' impauriti ma rassegnati a metterci nelle mani della
suerte, ci imbarcammo con armi e bagagli. In breve, decollammo,
facemmo scalo a Londra dove dopo alcune penose ore di attesa ripartimmo,
destinazione Edimburgo. Sapete quando arrivate in un luogo e la
prima sensazione che vi attraversa è di tranquillità,
come se foste arrivati in un posto dove si stà bene, dove
c'è molto da….scoprire. Arrivati in albergo depositammo subito
i bagagli e ci avventurammo verso il centro che distava 6 km, a
piedi, come usiamo fare di solito poiché trovo che sia il
modo migliore per assaporare l'atmosfera potendo meglio cogliere
i particolari, le curiosità, gli scorci di vita di persone
che non avremmo mai visto se non fossimo andati lì e ci fossimo
aggirati con curiosa e innocente attenzione.
Entrammo un po' infreddoliti in una chiesa, una bellissima costruzione
gotica ricca di particolari e ci accorgemmo subito di come sono
simili e allo stesso tempo diverse le loro chiese dalle nostre.
Ma era sicuramente la casa di Dio, si intuiva indistintamente la
pace tipica del luogo sacro; buia ma anche colorata, accogliente,
vissuta. Usciti, ci godemmo a pieno un raggio di sole che aveva
fatto capolino tra le nuvole e i tetti delle case, non senza attirare
lo sguardo curioso ma gentile di un passante.
Arrivati appena fuori città, vedemmo i primi pub con le loro
caratteristiche insegne, quelle che solitamente vedevamo nei film,
e la tentazione fu subito quella di entrare. Ma ormai era tardi
e noi eravamo stanchi, così decidemmo di rimandare tutto
al giorno dopo, cenammo e ci ritirammo non senza preparare un piano
per l'indomani. 11 agosto, giornata storica. Lasciammo l'alloggio
dopo una frugale colazione e preso l'autobus indicatoci per il centro
ci incollammo ai finestrini come dei bambini in gita per la prima
volta, ed ecco apparire un college, lo stadio e più in fondo…..ma
sì, quella era la collina con il castello, quello che avevamo
visto cento volte sugli opuscoli, quello che non sapevamo bene come
c'entrasse in una città descritta come " moderna ".
Fantastico….. Scendemmo alla fermata avvisati dall'autista al quale
avevo precedentemente chiesto lumi, e fu come destarsi da un sogno.
Ci dirigemmo all'autonoleggio, dove ci consegnarono l'auto: incredibile,
avevano terminato le vetture della categoria " a ", la
più economica che noi avevamo prenotato e così ci
diedero una station wagon nuova fiammante, km 0. Incredulo, caricai
i bagagli e salutato il simpatico noleggiatore feci per salire e
mi sentii chiamare: hey my friend, where are you going? Non capii
subito, ma salendo mi accorsi che non c'era il volante davanti a
me, eh sì, era un'auto con guida a destra, lo sapevo, ma
in quel momento ebbi un'attimo di sgomento. Feci un sorriso di circostanza,
girai attorno all'auto e cercando di rassicurare l'impiegato che
comunque sapevo quel che facevo, salii, misi in moto e dopo aver
per un attimo fatto mente locale ingranai la prima e ci muovemmo,
il nostro viaggio nella mitica terra dei celti e degli higlanders
aveva inizio; erano le 11:15, e in quel momento si stava svolgendo
l'ultima eclissi totale di sole del millennio; l'emozione era soffocante
e guardando un po' la strada un po' il cielo che si era leggermente
oscurato, sentimmo di star vivendo uno di quei momenti che non si
dimenticano.Il viaggio cominciava...sotto i migliori auspici. Cercando
di prendere confidenza con l'auto e di mettere a fuoco alcuni particolari
che mi potevano aiutare ad entrare nell'ottica della guida all'inglese
procedemmo verso il Forth Bridge, ponte che mi era stato indicato
e che portava fuori Edimburgo, emozionati, ma ora più sicuri
di noi. Cartina alla mano seguimmo la strada che portava nell'entroterra,
nella regione dei Granpians verso il primo dei nostri appuntamenti:
il Glamis Castle. Scorremmo tutti quei paesetti tipici, come nei
documentari,
quei
negozi così particolari che costeggiavano la strada,
evitammo subito il centro di Perth, era troppo presto per
addentrarsi nel traffico cittadino e poi era una delle destinazioni
finali, quando avremmo chiuso il cerchio. Vinta dopo un
po' l'indecisione, ci fermammo a far provviste per il pranzo
al sacco in uno store, eravamo sempre più nella situazione,
timidi ma felici.
Ad un certo punto iniziarono le indicazioni per il castello,
e giunti presso l'entrata ci infilammo in una cancellata
stretta tra due colonne di muro con delle decorazioni in
ferro battuto
e agganciati
ad esse i due cancelli neri aperti che davano su una stradina stretta
che si insinuava in una piccola macchia alberata per poi proseguire
con un lungo viale tra i prati verdissimi e alti alberi rigogliosi
dall'aspetto austero. Era un sentiero diritto e lungo che formava
dei dossi in diversi punti così da sembrare infinito e da
nascondere ciò a cui portava, noi procedemmo senza fretta,
cercando di imprimere nella mente ogni singolo istante, ogni particolare,
quasi in religioso silenzio.
All'improvviso
apparve la facciata del castello, era bellissimo, tutto
d'un rosso scuro con delle torri dal tetto a cono e dall'aria
così fiabesca che ci fermammo a contemplarlo senza
neanche scendere dall'auto. Pagammo l'entrata sia al castello
che al giardino ( è possibile visitare anche solo
il giardino ), parcheggiammo e con emozione crescente decidemmo
di entrare subito, anche perché sembrava volgesse
a piovere. Varcata la soglia ci unimmo al gruppo che già
era in attesa di iniziare la visita guidata, pochi minuti
e ci si mosse. Il castello era abitato come molti altri
avremmo saputo in seguito, vi dimoravano i conti di Strathmore
e Kinghorne, residenza reale dal 1372, lì aveva passato
l'infanzia anche l'attuale regina Elisabetta II assieme
alla sorella, la principessa Margaret che vi nacque, difatti
foto d'epoca appese alle pareti lo testimoniavano. Shakespeare
vi ambientò una delle sue tragedie, " Macbeth
".
Devo
dire ad onor del vero che non fu come ce lo aspettavamo noi, era
ammobiliato con cura e molte decorazioni ornavano pareti ed archi,
trofei di caccia, armi e quadri e ritratti di avi e parenti oramai
fantasmi tappezzavano i corridoi e le stanze; ma non c'era quell'atmosfera
di un luogo dove nei bui secoli andati, grossi uomini dalle lunghe
chiome rossicce abbigliati con i tradizionali kilt decorati con
i colori dei clan (tartan) dimoravano le stanze umide della fortezza,
quell'aura di mistero e antico che alberga nell'immaginazione
quando si pensa ad un antico castello isolato nelle piovose campagne
scozzesi. Non vorrei si pensasse ad una delusione, perché
non lo fu, era un posto meraviglioso, avevamo solo dovuto uscire
dallo stereotipo che forse noi sud-europei abbiamo di certi luoghi,
probabilmente anche a causa dei film che ci hanno abituato a pensarli
e a raffigurarceli in un certo modo. Usciti, visto che, anche
se minaccioso il tempo lo concedeva, ammirammo l'enorme parco
passeggiando tra sentieri e aiuole fiorite che ammettevano l'opera
di abili giardinieri, sotto grandi alberi secolari e al cospetto
di mansuete mucche dal lungo pelo fulvo e dalle corna enormi.
Ogni tanto ci giravamo a guardare il castello incorniciato tra
gli alberi e quel cielo così imbronciato, era quasi irreale.
Ma per quel giorno le emozioni non erano certo finite, come avremmo
scoperto ben presto in Scozia le giornate non terminano mai, lo
stesso mutare del tempo, prima bello poi nuvoloso e così
in un alternarsi di luce ed ombra, dà quel senso di giornata
giunta all'epilogo e all'improvviso riiniziata; una sensazione
particolare, gradevole, come si potesse vivere più giornate
in una. Così lasciammo quel luogo soddisfatti e ci dirigemmo
verso la nostra meta serale, alla ricerca di un alloggio avendo
già in mente la nostra prossima tappa: il Dunnottar
Castle.
Erano
le rovine di un antichissimo castello arroccato su di un
promontorio che si affaccia sul mare del nord. Eravamo talmente
affascinati da tutto quello che ci circondava che quasi
senza accorgercene giungemmo nei pressi del castello, un'insegna
bianca con lo stemma lo indicava a meno di 5 miglia, guardammo
l'ora e consultammo la guida con gli orari; - andiamoci
ora, domani faremo dell'altro - non potemmo resistere al
richiamo, parcheggiammo e seguendo un gruppetto di persone
ci lasciammo alle spalle il rustico cancelletto che cingeva
l'entrata. Il sentiero di campagna portava ad una scalinata
ricavata sulla ripida discesa
che va alla spiaggia; uno spettacolo incredibile: giù,
di fronte a noi il mare e la spiaggietta di ciottoli e scogli
ricoperti di grosse alghe giallastre, all'ancora una barca a vela
e sulla destra il promontorio con le mura del castello. Il cielo
era davvero nuvoloso e la fortezza aveva un aspetto misterioso,
minaccioso. Una volta raggiunta la spiaggia risalimmo per il castello
su dei gradini ricavati dalla roccia sulla quale posava
il
castello stesso. Mura che sapevano di passato remoto, di
storia e di battaglie, di epiche gesta e feroci tempeste.
Dopo la visita scendemmo a sederci sulla spiaggia, a goderci
quell'aria frizzante e quel silenzio mistico rotto solo
dal sibilo del vento e dalle onde che si infrangevano sulla
risacca. Per un tempo incalcolabile rimanemmo a scrutare
il mare, la fortezza, i colori delle nuvole che facevano
tutte le tonalità del grigio, leggeri, in estasi.Fù
il freddo che si faceva sentire sempre più a destarci,
così stanchi ed ebbri per le grandi sensazioni che
quel luogo evocava alla mente risalimmo la gradinata per
un ultimo sguardo dall'alto. Oramai erano andati via tutti,
solo i gabbiani intenti alla pesca sembravano incuranti
del fatto che iniziava a piovere.
Una curiosità:
in quelle antiche vestigia Zeffirelli girò il suo Amleto,
con Mel Gibson.
Riprendemmo la strada per un piccolo paesetto segnato sulla mappa,
Stonehaven. Vi arrivammo da una strada che lo dominava dall'alto,
un piccolo centro che seguiva la baia, qualche decina di km. sotto
Aberdeen. Entrati in paese facemmo subito caso alle insegne di B&B
che gli abitanti di quasi tutte le case, piccole deliziose casette
con giardino, avevano esposto. Non ci volle molto a capire dove
fermarsi a chiedere una stanza, ma quella era la prima volta e quindi
ci rivolgemmo all'ufficio turistico dopo il primo fiasco. Ci trovarono
una camera in una casa antica ma molto accogliente, da una signora,
Mrs H., di una gentilezza e ospitalità a dir poco deliziose,
ci fece entrare, chiese qualcosa di noi e ci raccontò di
lei e della sua casa, poi ci raccomandò di firmare il suo
registro degli ospiti prima di lasciare la casa l'indomani, ci teneva
molto ai nostri commenti, poi ci mostrò la nostra camera
s'informò sull'ora in cui desideravamo la colazione, e senza
che glielo avessimo ancora chiesto ci diede una piccola mappa del
centro e ci consigliò dove andare a cenare. Era come essere
a casa nostra, alloggiare in un albergo con tutta la sua formalità
farebbe perdere l'occasione di conoscere persone simpatiche e ospitali
con le quali scambiare rapporti umani tra diverse culture, ma alla
fine più simili di quanto non sembri.
Uscimmo dopo esserci riassettati alla buona, passeggiammo per le
simpatiche viette tra casette e giardini decorati da mille fiori
di ogni colore posti con massima cura e gusto, andammo sul porticciolo
dove con nostra sorpresa vedemmo uscire grandi e piccini, su delle
piccole barchette a vela, ognuno sulla sua, malgrado fosse quasi
il tramonto. Andammo sulla spiaggia dove spiccavano ampie le verande
delle case, cosa che invidiai loro, avevano un panorama meraviglioso,
sia col bel tempo che con la burrasca.
Alla fine ci arrendemmo alla fame, e in un localino appartato assaporammo
un ottimo haddock (merluzzo impanato), e poi non poteva mancare
la sosta al pub per una birra, con musica dal vivo e pubblico schiamazzante.
Prima di rientrare, poiché non era ancora del tutto buio,
lì alle 23 guardando a nord ovest si vede ancora un alone
chiaro, andammo a fare un ultimo giro e poi ci ritirammo; e vi posso
assicurare che quella camera e quel lettone soffice e caldo erano
il degno epilogo di una giornata memorabile.
La mattina seguente scendemmo di buon ora per la colazione, decisi
a ripartire subito anche se un tantino a malincuore, in fondo Stonehaven
ci era proprio piaciuta, non facemmo però il breackfast all'inglese,
per il momento non ci attirava. Ci sbagliavamo, presto avremmo cominciato
ad apprezzare quelle uova con la pancetta e quelle deliziose salsicciette
con i funghi, ma solo qualche giorno dopo. Salutammo la nostra ospite
e naturalmente firmammo il suo registro, poi serenamente ripartimmo.
Quella mattina visitammo altri due castelli, il Drun e il Crathes,uno
dei quali con fantasma, era una tiepida giornata e il cielo era
stranamente terso, azzurro, in contrasto con il verde acceso dei
prati.
Era
sempre una sorpresa, ogni angolo, ogni cosa aveva un'aria
così inconsueta, come se lì regnasse sovrana
la pace e tutto e tutti fossero in perfetta simbiosi con
la natura circostante. Procedemmo verso Inverness facendo
altre soste una delle quali in una distilleria di whisky
che in quelle zone sono frequenti, e verso sera ci fermammo
a Nairn, altro paesetto sul mare molto carino, semplice
con poche case qualche negozio e un pub. Fummo molto fortunati
poiché trovammo alloggio presso una coppia di signori
di mezza età, che possedevano una casetta molto confortevole
e come la sera prima per un prezzo più che accettabile
per noi italiani.
un giardino,
la casa aveva due edicole ai lati dell'entrata principale che davano
sulle sale da pranzo, una privata, una per gli ospiti. Poi una volta
entrati vi era subito una bella scala in legno che portava alle
camere. Dopo aver fatto due chiacchiere con i nostri ospiti ci dirigemmo
al porticciolo dove ci era stato indicato l'unico vero pub del paese;
mangiammo veramente bene e dopo le 21, ora in cui la cucina chiude
rigorosamente, iniziarono la musica dal vivo. Rimanemmo lì
poiché fuori pioveva e quel gruppo suonava molto bene, bevemmo
birra e la serata volò via. Il giorno dopo non lasciammo
la camera visto che in quella zona c'erano molte cose che desideravamo
vedere, durante la colazione che consumammo assieme agli altri ospiti
della casa, stranieri anch'essi, chiedemmo al padrone di consigliarci
per le nostre visite, ci indicò il castello di Cawdor, dove
Shakespeare ambientò la morte di Duncan nel Macbeth, e noi
vi andammo subito.
Era piovuto tutta la notte e ora l'aria ancora umida e frizzante
ci obbligò a metterci addosso degli indumenti pesanti, ma
il cielo era incerto, tra il sereno e il minaccioso, condizione
tipica della Scozia.
Era
un castello un po' diverso da quelli che avevamo visti fin'ora,
aveva un piccolo ponte levatoio, delle mura a merli sulla
sommità e dentro era forse più simile a quelli
del mio immaginario. Nel parco, addentrandosi tra alberi
altissimi e rigogliosi si poteva scendere ad un piccolo
fiume ricoperto dalle chiome degli stessi. Il delicato gorgoglio
dell'acqua tra le pietre, il canto di qualche uccellino
e il vento tra i rami, nient'altro. Un angolo di paradiso,
dove viene facile percepire come siano potute nascere fiabe
e leggende che in quella terra parlano di elfi, maghi e
valorosi cavalieri. Pareva di vederli sbucare dal folto
della vegetazione con i loro roboanti cavalli, oppure ecco
là, nel sottobosco di felci lo gnomo guardingo e
indaffarato. Fantastico. Eh si, c'è qualcosa di magico
in quei boschi, i raggi del sole che
sole che creano
giochi di luce ed ombra, gli alberi dalla corteccia scura parzialmente
ricoperti da un muschio verdissimo e dalle chiome ampie, felci altissime
ovunque e un terreno umido quasi tutto ricoperto di vegetazione;
il silenzio, un po' di fantasia e…. forse la foresta è davvero
incantata….
Nel pomeriggio andammo a vedere il luogo della famosa battaglia
di Culloden dove i giacobiti scozzesi del principe Charles Edward
Stuart nel 1746 furono sonoramente sconfitti da reparti dell'esercito
di sua maestà guidati da suo cugino il duca di Cumberland
che repressero la rivolta ne sangue; più o meno come fanno
sempre.
Il
giorno seguente ci consigliarono la visita a Fort George,
sul fiordo di Moray, una delle più potenti fortificazioni
di artiglieria della gran Bretagna, costruito dopo la battaglia
di Culloden, tutt'ora intatto ma praticamente adibito a
museo con sale predisposte per illustrare la storia del
forte, delle sue guarnigioni e le varie battaglie e decorazioni
conquistate. E' una costruzione molto particolare, si entra
da un ponte e si arriva ad un'enorme piazza d'armi con gli
edifici delle varie compagnie disposti in ordine a destra
e a sinistra, mimetizzato da colline che lo rendono poco
visibile dal di fuori, e alle mura di cinta vi sono dei
larghi camminamenti sui quali sono disposti dei cannoni
e delle garitte poste a difesa. Da quei bastioni si gode
un meraviglioso panorama sulla baia, e se si è fortunati
si possono vedere anche i delfini. Nel pomeriggio visitammo
un importante sito archeologico, Clava Cairns ( cumuli
di pietre ), una zona delimitata che all'interno conserva
abbastanza intatto un accampamento antichissimo, con le
abitazioni fatte di pietra: praticamente dei mucchi di pietre
nel cui interno veniva ricavato un corridoio e una stanza
centrale, a cielo aperto. Sul perimetro del campo dei megaliti
disposti secondo le loro usanze dell'epoca.Veramente interessante.
Per
il giorno seguente avevamo deciso di lasciare l'alloggio e proseguire
verso l'estremo nord dell'isola, e così facemmo: salutammo
i nostri gentili ospiti e con la calma della mattina imboccammo
la superstrada che porta a nord. Presto ci accorgemmo che non
era una superstrada ma un strada costiera in certi punti anche
stretta dalla quale si vedevano da un lato le verdeggianti pendici
delle higlands e dall'altro un mare piatto che si fondeva con
un cielo coperto e minaccioso. Dopo un'oretta scorgemmo l'entrata
al castello di Dunrobin, e per quanto non fosse nei nostri piani
pensammo che essere lì e non dargli un'occhiata era davvero
un peccato. Entrammo nel parcheggio, era una costruzione imponente,
sembrava più un castello in stile francese, con torri dal
tetto a cono e un enorme parco al quale si accedeva solo dal castello
scendendo una lunga scalinata. Abitazione dei conti di Sutherland
per 800 anni, vi si trovano stanze che raccontano la storia dell'
omonimo clan. Dall'interno si vedeva il panorama sul mare e una
vista sui giardini, bellissimi tra l'altro, vi erano molte stanze
ammobiliate e una curiosità: una ciabatta di Garibaldi,
si proprio lui l'eroe dei due mondi; chi l'avrebbe mai detto.
Giù nel giardino visitammo un piccolo edificio, un museo
di storia naturale Vittoriano, che conserva imbalsamati animali
di tutte le specie e trofei di caccia della famiglia, mentre in
un angolo del parco sono tenuti alcuni uccelli rapaci che feriti
sono stati curati e ora vivono lì e che i guardiani fanno
volare ogni tanto nell'arco della giornata. Riprendemmo il cammino
verso nord sotto il diluvio, di tanto in tanto qualche paesino
qua e là, e mano a mano che ci spingevamo su il paesaggio
mutava, sempre più disabitato, vaste distese di verde,
qualche abitazione isolata e la sensazione era quella di avvicinarci
alla fine della terra.
Nel primo pomeriggio giungemmo finalmente a destinazione, John
o'Groats.