Ma noi non ci schieriamo

Articolo di Andrea Papi tratto da: www.arivista.org



Gli anarchici rifiutano le logiche di guerra ed ogni forma di militarismo.

Guerra non può esser altro che guerra. Nassiriya lo dimostra e, con la sua cristallina evidenza, smentisce in modo inequivocabile l’ipocrisia ormai smascherata delle giustificazioni ideologiche dell’interventismo militare in Iraq. Peacekeeping, guerra umanitaria, ricostruzione, aiuti postbellici, esportazione della democrazia, non sono altro che un ammasso d’incredibili balle, buttate in pasto all’opinione pubblica con notevole investimento mediatico. Con grande accelerazione i fatti si stanno curando di sgretolarne la fragile maschera menzognera. Se veramente avevano l’intenzione di aiutare a ricostruire un paese devastato ci sarebbero andati con tecnici, ingegneri, sociologi, educatori, medici ed ogni altro tipo di esperti in grado di svolgere i compiti necessari con competenza. Invece sono piombati là con forza militare, addestrata a combattere ed armata di tutto punto. Almeno dall’altra parte non ci sono mascheramenti di sorta. Sappiamo con quale terribile nemico abbiamo a che fare. Le loro terrificanti intenzioni sono dichiarate: “non amiamo la vita, ma la morte”, “vi distruggeremo con ogni mezzo”, “le uniche leggi ammesse sono quelle dell’Islam, all’occorrenza imposte con ferocia”. Lo scopo vero del militarismo, di qualsiasi militarismo, anche quello detto irregolare, rimane quello di vincere le guerre per imporsi.

Volontà di dominare

Oggi, come ieri del resto, ma in fondo come da sempre, da quando cioè sulla terra c’è traccia di storia e di civiltà umane, tra le genti e su di esse aleggia imperativamente una tensione tesa a governarle, a impossessarsi di beni, ricchezze, volontà individuali, corpi, direzione di esistenze. È una palese volontà di dominare cose e persone, gestita ed imposta da potentissime oligarchie, voraci ed onnivore, capaci d’impossessarsi e di mantenere gli strumenti chiave che permettono loro di esercitare il tremendo potere di cui sono detentrici con grande determinazione. Il dominio a tutt’oggi è il senso fondamentale che determina le scelte e sottende alle azioni della nostra specie.
Il mezzo principe con cui le oligarchie possono e riescono ad imporsi è certamente la guerra, ma soprattutto la logica di guerra. Non mi riferisco infatti tanto e solo ai momenti episodici in cui gli eserciti contrapposti contendenti si scontrano sui campi di battaglia, così prediletti dalle cronache storiografiche, quanto all’insieme degli apparati militari permanenti, i quali vengono mantenuti e continuamente aggiornati per far si che la conquistata supremazia possa perpetuarsi ed al contempo annullare ogni possibile resistenza e contrapposizione. La logica di guerra è sorretta dal bisogno di conservare e rafforzare la supremazia, sul nemico dichiarato ovviamente, ma anche su tutto ciò che è ritenuto portatore del rischio di metterla in crisi o in difficoltà. La logica di guerra è funzionale a e permette di sconfiggere e tenere a bada i nemici, tutti i nemici del potere vigente, sia quelli cosiddetti esterni sia quelli cosiddetti interni.
Derivata dal latino medioevale guerra, ne ha mantenuto intatto il fonema. È parola che esprime l’esplosione e l’estremizzazione di uno stato di conflitto tra due o più parti che non vogliono o non sono in grado di accordarsi. È intuitivo che prima ci sia bisogno che la tensione conflittuale sia sentita, e vissuta in tutta la sua entità, da almeno uno dei contendenti. Sono quindi l’identificazione e la voluta, spesso cercata, consapevolezza e soprattutto la volontà dello stato di conflitto a dare senso e giustificazione alla logica di guerra. Da parte dell’aggressore la guerra può sempre essere evitata. Se la si fa, senza ombra di dubbio, è perché la si vuol fare.
Ed oggi, più che mai, siamo immersi in un’atmosfera ed in una condizione che hanno tutta l’aria di essere guerra permanente. Oggi più che mai le forme vigenti del potere, sia economico che politico, il cui senso è completamente determinato dal bisogno del dominio, sulle cose, sui beni, sulle ricchezze, sugli altri, sulla natura nel suo complesso, sul mondo, si sorreggono attraverso l’uso sistematico e pianificato della logica di guerra. La sopraffazione, che assicura l’imposizione della propria volontà anche e soprattutto quando contrasta con quella altrui, a tutti gli effetti è l’elemento cardine dell’esercizio del potere stesso. Permanenza dello sfruttamento a tutti i gradi e tutti i livelli, da quelli più concertati a quelli più degradanti ed inumani, imposizione coattiva, controllo sia legale sia illegale delle reti mediatiche ed informatiche che assicurano il consenso, militarizzazione dei territori con la scusa continuamente sbandierata della garanzia di sicurezza, controllo e gestione sia istituzionali sia occulti dei mercati distributivi e finanziari, restrizione graduale e sistematica delle libertà e delle garanzie perché non ci si può fidare di nessuno.

Lucida follia

È una spirale impazzita, che, invece di essere determinata da pulsioni irrazionali, al contrario è organizzata e pianificata con sistematicità il più possibile scientifica. La follia c’è, ma non sta nella realizzazione delle cose, che nei fatti è portata a compimento con meticolosa lucidità, bensì nella pulsione del bisogno d’imporsi che è all’origine del bisogno di dominare. Bisogni, fra l’altro, che non vengono minimamente messi in discussione. Anzi! Vengono continuamente affermati, giustificati, razionalizzati. Viene in mente Laborit: “Una volta capito che gli uomini si uccidono l’un l’altro per stabilire una dominanza e per mantenerla, vien voglia di concludere che la malattia più pericolosa per la specie umana, non è né il cancro né le malattie cardiovascolari, come cercano di farci credere, ma il senso delle gerarchie, di tutte le gerarchie. Non c’è guerra in un organismo perché nessun organo cerca di dominare l’altro, di comandarlo, di essergli superiore. Tutti funzionano in modo da far sopravvivere l’organismo.” (1).
Oggi, in questo momento storico, in questa fase del divenire dell’umanità, la follia dilaga e ci avvolge, contrastata da deboli crisi di coscienza, inefficaci e frequentemente penose. È entrata a far parte delle nostre vite e scandisce i ritmi psicologici del nostro esserci quotidiano. Ce la sentiamo addosso con una pregnanza perennemente incombente e ci regala il disagio di uno sgradevolissimo senso d’impotenza. La guerra, la logica di guerra, sta diventando l’elemento costante che col suo imperio di morte e distruzione travalica le nostre deboli volontà. Il potere, tutti i poteri in gioco, sembrano avere il sopravvento definitivo e con la determinazione dei loro dati di fatto c’impongono il loro senso, cui ci vorrebbero costringere ad adeguarci. La volontà da vincitore di mantenere incontrastata la sopraffazione, dall’una e dall’altra parte, ci costringe a vivere in una costante tensione di conflitto. Un conflitto che al momento ci fanno apparire non risolvibile in altro modo.
L’unico elemento di novità, questa volta, è il disgusto generalizzato suscitato nell’apprendere quali vigliacchi ed umilianti metodi di tortura vengono usati nei confronti dei prigionieri. Potenza dei media! Ma, purtroppo, ha tutta l’aria di risolversi in una scossa emotiva, seppur particolarmente vibrante. Se a questa scossa non si aggiungerà una ripulsa profonda, non più solo emotiva, ma dettata soprattutto dalla consapevolezza che quelle immagini di torture sono un’inevitabile conseguenza della logica di guerra, c’è il serio rischio che col tempo vengano digerite come si digeriscono tutte le brutture che compongono l’andazzo del modo di vivere di questo sistema. Esse non sono una novità. Ogni guerra, da sempre, è stata pienissima di tali malvagità, frequentemente anche molto peggiori. La novità sta nel fatto che oggi i media si divertono a sbattercele in faccia, probabilmente per sete di business, per aumentare cioè il livello e la quantità della fruizione e delle vendite dei loro prodotti, voraci in genere di sensazioni forti.

Ingordo volere

Che cosa prospettano le potenti forze che, a suon di devastanti aggressioni belliche, stanno sia governando sia contendendosi il mondo determinandone il destino? Ci propugnano una costante tensione caratterizzata dal bisogno di supremazia. Supremazia di forze potenti, impositive e capaci di condizionare la vita di tutti, sottomettendola ai loro enormi interessi ed al loro ingordo volere. Da una parte le supponenti democrazie della sfera occidentale, autoelettesi, in modo del tutto autoreferenziale, quali uniche portatrici dei valori universali di libertà. Dall’altra le schiere fanatiche della rivolta antioccidentale, attualmente fagocitate da potenti e ricche elite sacerdotali prive di scrupoli, dichiaratamente ansiose di sottomettere l’intero universo terrestre a terrificanti regimi teocratici militaristi ed ansiose di espiazione sacrificale. In mezzo la miriade di esseri umani che non contano o contano pochissimo, di pensieri differenziati, di tensioni emancipative dal basso ed altre al contrario conservative, di bisogni di vivere e sopravvivere, di vite dignitose che faticano ad arrivare alla fine del mese, di sprechi incredibili e di miliardi di vite immerse nella miseria più nera. Una mastodontica quantità di carne umana che si arrabatta quotidianamente, tra incudine e martello, schiacciata dalla sadica preponderanza di superforze votate al dominio su tutto, caparbiamente e sadicamente tese a vincere, anzi a stravincere, sulla pelle e sui corpi di tutti noi.
Da una parte il mito delle democrazie realizzate, che nella realtà fattuale delle cose corrisponde all’organizzazione di una mastodontica finzione, nell’attuale era tecnologica appena iniziata sorretta dall’impatto quotidiano dell’induzione mediatica, capace di ammorbidire le menti massificate e di indurle a credere ed accettare gli assiomi del potere dominante. È una finzione perché ci propina la balla che in esse la sovranità è del popolo e che l’esercizio del potere risponde ai bisogni ed alla volontà popolari. Per contestare simile affermazione, continuamente sbandierata dall’intellighenzia cui il sistema mediatico dà spazio, è sufficiente sottolineare che i governi britannico e spagnolo di Blair ed Aznar decisero di sostenere e partecipare all’ultima guerra contro l’Iraq tuttora in atto, nonostante che secondo tutti i sondaggi le popolazioni corrispondenti, di cui erano i rappresentanti governativi ufficiali, fossero in gran maggioranza contrarie.
In realtà le democrazie occidentali sono state capaci di trasformare un principio di partecipazione popolare, che fin dalle origini è già di per sé debole in quanto prevede il diritto di voto come unico momento forte di partecipazione, in una mastodontica macchina di consenso all’esercizio del potere da parte di lobby ed oligarchie politiche ed economiche. Tutta la tensione che muove l’occidente è in realtà fondata sull’accumulo e la gestione della ricchezza, concentrata in poche abili mani ed incontrastata fonte della detenzione del potere, impositivo e decisionale insieme. Per conservare tale status si sono trasformate completamente in micidiali macchine belliche di distruzione ed hanno cominciato ad occupare sistematicamente e progressivamente tutto il resto del mondo, prima con dichiarate politiche coloniali, poi con oculate ed astute omologazioni ed annessioni economico-finanziarie, ai fini di soddisfare la loro insaziabile sete, capace di aumentare a dismisura, di accumulo, di gestione e di consumo di ogni ricchezza e di ogni bene disponibili. Per soddisfarsi hanno seminato e continuano a seminare senza scrupoli morti genocidiche, sfruttamento, fame, miseria, asservimento, distruzioni dell’ambiente e delle altre specie animali.

Aspirazioni di supremazia

Dall’altra parte caste sacerdotali escluse dalla gestione del mondo, o comunque non in grado in questa fase di esercitare una vera e propria supremazia come invece aspirerebbero. In qualche modo, facendo ampio e sapiente uso dei mezzi mediatici improntati dal nemico, sono riuscite a diventare il riferimento, simbolico e d’immagine insieme, di una consistente parte del mondo, fino ad ora reietta e sottomessa, relegata dalla politica di occupazione economica e culturale dell’occidente ai margini delle possibilità di usufrutto della gestione globale. Ci hanno dichiarato guerra ponendo in campo un elemento che sembrava definitivamente escluso dalla modernità: la guerra santa contro i crociati.
Purtroppo, com’era prevedibile, tutto il dibattito di casa nostra su guerra sìi o guerra no è stato trasportato esclusivamente sul piano del diritto internazionale. Non vengono messi in discussione praticamente da nessuno il senso ed il ruolo di fondo della struttura esercito in quanto tale, bensì il suo impiego. Allora il dibattito tra le varie componenti politiche si sta svolgendo solo sul fatto se debba continuare la presenza dei soldati italiani a Nassiriya o no. Il modo come i soldati nostrani gestiscono il loro mandato è lodato da tutti, anche da quelli contrari. Il problema sentito e dichiarato è se chi decide debba dar loro l’ordine di andarsene o quello di rimanere.
Per quel che ci riguarda, siamo arciconvinti che la presenza o l’assenza delle truppe italiane in Iraq sia irrilevante rispetto ai destini ed alla conduzione della guerra. Ed il problema di fondo che abbiamo presente è soprattutto quello della guerra, della sua consistenza e della sua permanenza. Se dette truppe non ci fossero, forse si determinerebbe qualche variazione nei singoli episodi bellici, mentre la qualità dello scontro resterebbe invariata. La presenza militare di casa nostra è irrilevante dal punto di vista della qualità e del senso di tutta questa vicenda, che non può essere guardata con occhio territoriale, bensì osservata e valutata nella sua globalità, anzi nella sua universalità. Concentrare perciò tutte le energie d’opposizione per cercare di ottenere, senza fra l’altro riuscirci, un obiettivo tattico di stampo zapaterista, vuol dire spostare la qualità propositiva e del dibattito sul piano conservatore della conduzione dell’esistente. La guerra andava impedita e, come a suo tempo sottolineammo, le grandi manifestazioni pacifiste non furono in grado di farlo. Imploravano pace, ma non osavano chiedere ed organizzare la diserzione. Dicevano che non bisognava far la guerra, ma non hanno voluto né osato mettere in discussione il militarismo. La guerra c’è, più florida che mai, e le forze pacifiste continuano a limitarsi a condurre una politica di pressione istituzionale per tenere immobilizzati gli eserciti. Non possono che fallire, perché gli eserciti ci sono ed agiscono.

Né con gli uni né con gli altri

Ciò che deve esser chiaro è che nell’allucinante contesa cui stiamo assistendo gli anarchici non possono parteggiare. Non possono cioè schierarsi a favore di nessuna delle parti protagoniste della guerra in atto nel mondo. Non lo possono in realtà in nessuna guerra, a meno che non si tratti di rivoluzioni sociali tendenzialmente emancipatrici, di cui e nelle quali sono sempre stati promotori e protagonisti di primo piano. Per comprendere tale principio, bisogna tener presente che, se per farsi anch’essa usufruisce di armamentario e tecniche belliche, soltanto apparentemente una rivoluzione è equiparabile ad una guerra tra potenze belliche, in quanto non sorge per conquistare, come per esempio fa uno stato potente, bensì per ribellarsi contro uno stato di disagio sociale diffuso e per liberarsi dell’oppressione. Non è dunque guerra per imporsi, ma rivolta popolare per emanciparsi dallo stato di abiezione in cui i potenti di turno costringono le genti.
In particolare rispetto all’attuale situazione di guerra globale, che ha sempre di più l’aria di diventare permanente, per il fatto stesso di essere anarchici, non riescono, non possono e non dovrebbero schierarsi da nessuna delle parti in conflitto. Per il motivo evidente che tutte le parti contendenti combattono senza esclusione di colpi col fine, dichiarato o meno non ha importanza, di vincere per imporre ai vinti le proprie leggi, la propria visione del mondo, il proprio modo di condurre la vita e di governare le società. In qualunque caso, chiunque sarà il vincitore di questo scontro titanico, ci sarà un aumento, quasi sicuramente esponenziale, di forme più o meno velate e più o meno esasperate di dispotismo, di assoggettamento, di controllo gerarchico delle nostre vite e, cosa molto probabile, di impoverimento economico e culturale generalizzati.
Cosa possono dunque aspettarsi gli anarchici? Come possono sentirsi partecipi in qualche modo di questa devastante tensione globale che, volenti o nolenti, invariabilmente ci coinvolge tutti? Indipendentemente dagli esiti e dallo svolgimento del conflitto che si sta consumando sotto i nostri occhi, sono destinati ad essere messi ulteriormente da parte, repressi e imbavagliati. Nessuna delle parti confliggenti in nessuna maniera può rappresentare il benché minimo barlume di riferimento per chi aspira alla realizzazione di società fondate su presupposti libertari. Ma ciò che è peggio è che, in tal modo, vengono vieppiù compresse e tenute in disparte le idee e le proposte di emancipazione assieme alle possibilità di sperimentazione radicale di una società altra da quella vigente, fondata su principi di libertà e di assenza di sfruttamento.
Gli anarchici sono tali non solo perché si ribellano al presente stato di cose, né solo perché ripudiano alle radici gli assetti politici vigenti fondati sul principio di dominazione e d’imposizione. Ciò che li distingue e li fa essere moralmente inattaccabili non è affatto la scelta ribellista, di rifiuto totale del potere politico gestito dall’alto. Questo è l’aspetto primario della negazione, il punto di partenza che può spingere a desiderare qualcosa di alternativo, ma che può benissimo risolversi in scelte e atteggiamenti puramente individuali, refrattari ad ogni ingerenza dall’esterno sulla propria personale esistenza, il che non è di per sé in grado di modificare alcunché. Ciò che li distingue veramente è l’anelito che la libertà, cui giustamente aspirano, sia estesa a tutti e che diventi una condizione sociale estesa ad ogni essere umano. Ciò che li distingue è la proposizione politica di rendere operante per l’insieme della società una condizione di libertà, tutta la libertà possibile, indistintamente per tutti, nella condivisione reciproca, non proprietaria, dei beni e dei mezzi che permettono la soddisfazione dei bisogni sia individuali che collettivi.

Eguale libertà per ognuno

È importante a questo punto riprendere la tradizione di pensiero, per dare l’idea della continuità distintiva che ci appartiene. E chi meglio di chiunque se non il nostro Errico? “L’insofferenza della oppressione, il desiderio di essere libero e di potere espandere la propria personalità in tutta la sua potenza non basta a fare un anarchico.
Quell’aspirazione all’illimitata libertà, se non è contemperata dall’amore degli uomini e dal desiderio che tutti gli altri abbiano eguale libertà, può far dei ribelli, ma non basta a far degli anarchici: dei ribelli che, se basta loro la forza, si trasformano subito in sfruttatori e tiranni.
” (2). Malatesta sottolinea con grande intelligenza l’importanza del sentimento d’amore per l’umanità, capace di contemperare e allo stesso tempo di dare senso alla spinta di ribellione che sottende alle scelte ed agli atti degli anarchici. L’amore rende possibile l’effettuazione della solidarietà, indispensabile per garantire la realizzazione della libertà e dell’eguaglianza sociali, portando così alle sue logiche conseguenze la tensione rivoluzionaria universale che si sprigionò durante la rivoluzione francese del 1789, che non a caso si espresse attraverso l’intramontabile motto Egalité – Liberté – Fraternité.
Gli anarchici dunque sono esclusi dalla qualità, o non qualità che dir si voglia, del contendere che sta caratterizzando lo scontro bellico globale vigente. Un’esclusione determinata sia dalle scelte che li distinguono, cioè per volontà loro, sia dalle ragioni e dai fini per cui si guerreggia, cioè per volontà dei poteri in campo. Per elezione e propositi propri si trovano collocati su un altro pianeta politico, una dimensione rifiutata e non considerata, o peggio considerata inincidente e irrealistica. Essi si muovono e pensano ai fini di un cambiamento alle radici degli attuali assetti, identificando nelle logiche di potere che governano il mondo, assuefatte ad una costante e spasmodica volontà di dominio, la causa fondamentale che impedisce la messa in opera di società fondate sulla reciprocità solidale, sulla giustizia, sulla libertà, sull’equa e sostenibile distribuzione delle ricchezze e dei beni che riguardano tutti. Non sono interessati ad imporre alcunché, tantomeno la tanto conclamata finzione democratica, ma a proporre, aiutare ed essere aiutati, in uno spirito di fratellanza e sorellanza universali, spinti, appunto, dall’amore degli uomini e dal desiderio che tutti gli altri abbiano eguale libertà
Gli anarchici rifiutano la logica di guerra ed ogni forma di militarismo, per cui non si schierano, anzi sono disertori di ogni esercito ed invitano a disertare. All’inverso pensano ed agiscono per realizzare una società che ne faccia a meno, in quanto militarismo e logica di guerra sono di per sé contrari a qualsiasi tipo di bene comune condiviso collettivamente.



Andrea Papi

1. Henri Laborit, Elogio della fuga, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1982, pag. 150.
2. Errico Malatesta, La base morale dell’anarchismo, in Pagine di lotta quotidiana vol. II, pag. 163.



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