Sottoponendo un alogenuro d'argento all'azione della luce, la radiazione assorbita gli cede l'energia necessaria per scindere il legame tra l'alogeno e il metallo. Il deposito d'argento così formato, è tanto più denso quanto maggiore è l'intensità dell'illuminazione, ed è quindi possibile ottenere, con una camera oscura, un'immagine negativa del soggetto inquadrato. Tale annerimento diretto dell'alogenuro, detto effetto print - out, è stato il primo metodo utilizzato per ottenere delle immagini agli albori della fotografia; tuttavia, esso ha l'inconveniente di richiedere tempi di posa lunghissimi. Fin dai primi tempi della fotografia, però, si scoperse casualmente che non era necessario attendere la formazione di un'immagine visibile sul materiale sensibile: anche dopo una breve esposizione era possibile, con un opportuno trattamento chimico, ottenere un'immagine perfettamente formata. In effetti, anche nel corso di un'esposizione molto breve si verifica la fotolisi del bromuro d'argento in misura tale da formare un'immagine debolissima, non visibile ad occhio nudo (immagine latente), ma sufficiente per provocare un'alterazione delle caratteristiche chimico - fisiche dell'emulsione. Trattando questa con particolari sostanze (rivelatori) si ottiene la formazione dell'immagine visibile, che risulta costituita da un insieme di granuli d'argento originati dalla riduzione dei singoli cristalli d'alogenuro. Sono questi che conferiscono all'immagine la caratteristica struttura granulosa. Dopo la formazione dell'immagine occorre allontanare l'alogenuro d'argento rimasto inutilizzato (fissaggio), oppure renderlo insensibile alla luce (stabilizzazione). Il trattamento di un moderno materiale fotografico in bianco e nero richiede quindi un bagno di sviluppo e uno di fissaggio, cui s'interpone un lavaggio o un bagno d'arresto, e un lavaggio finale prima dell'asciugatura. Il lavaggio finale, estremamente importante per la conservazione dell'immagine, asporta ogni traccia dei prodotti chimici impiegati nel corso del trattamento.
Strati di una
pellicola.
1) strato antigraffio, 2) cristalli di alogenuro d'argento di
grandezza maggiore per avere una sensibilità elevata, 3)
cristalli di alogenuro d'argento di grandezza minore e quindi
minore sensibilità, 4) strato intermedio con funzione di
collante tra l'emulsione ed il supporto, 5) supporto, 6) strato
antialone, 7) strato antiaccartocciamento.
Nei materiali a colori (ad eccezione della Kodachrome), la formazione dei coloranti avviene utilizzando uno sviluppo cromogeno che, contemporaneamente alla riduzione del bromuro impressionato, provoca la formazione del colore all'interno di ognuno dei tre strati sensibili sovrapposti. Con i procedimenti accennati si ottiene sempre un'immagine negativa rispetto all'originale che può essere usato per la proiezione o la stampa.