La camera oscura era già conosciuta molto prima che s'inventasse la fotografia. Aristotele, nel IV secolo a.C. parlava del fenomeno della proiezione, anche se sono stati i pittori del '500 che la usarono per ricalcare i paesaggi. Consisteva di una camera buia dove era stato praticato un piccolo foro (foro stenopeico) in una parete. Attraverso il foro si proiettava, sulla parete opposta, l'imagine, capovolta, degli oggetti posti di fronte ad esso. L'immagine era nitida anche se poco luminosa ma era pur sempre meglio di niente. Per aumentare la luminosità si potrebbe allora pensare che bastasse allargare il foro per far passare più luce ma non è cosi; infatti, se con un piccolo foro si possono catturare tutti i raggi luminosi in partenza dall'oggetto come punti, allargando il foro si avranno delle immagini con una maggiore luminosità ma una minore nitidezza. Questo perchè il foro ingrandito, invece di un punto luminoso, catturerà un cono di luce che proietterà come un anello e non più come punto. La sovrapposizione degli anelli renderà l'immaggine tanto più confusa quanto maggiore sarà il foro praticato, fino a formare un'area di indistinti chiaroscuri e successivamente ad una luminosità diffusa uniforme. Il foro deve avere dimensioni molto maggiori della lunghezza d'onda della luce, ma non più grandi di qualche decimo di millimetro, questo per evitare fenomeni di diffrazione e per ottenere un'immagine ragionevolmente nitida. L'angolo di campo proiettato dipende solo dallo spessore della parete in cui è ricavato e raggiunge facilmente i 120º. Per migliorare la nitidezza e la luminosità fu in seguito adottata una lente.
Camera oscura del '500