La rivincita


Si torna al dunque e al problema tutto da risolvere del complesso. Questa volta la ruota gira giusta. Un impresario ingaggia Ligabue e i ClanDestino per un grande festival in Germania, ad Essen, ma Luciano Ghezzi non può esserci. Bisogna inventarsi un cambio volante e così, su due piedi, viene ingaggiato Antonio "Rigo" Righetti, un bassista di Modena che non ha mai avuto grandi esperienze anche perché ha suonato sempre e solo le cose che gli piacevano. Righetti piace a Luciano, gli piace la sua "filosofia" e prova a lanciarlo come pietra d’angolo di un nuovo gruppo. "Rigo" ci sta e tira in ballo il suo batterista di quei giorni, Robby "Sanchez" Pellati, e un chitarrista, Federico Poggipollini ("Capitan Fede"). Gli incontri vanno a buon fine. I quattro si piacciono, suonano bene insieme, anche se Luciano è convinto che c’è il bisogno di una chitarra in più: il primo provino di Carmelo "Mel" Previte fa cilecca. Così a provare il nuovo disco ci vanno solo i tre sicuri, con Ligabue e con il produttore Filippo Barbacci. E’ una scommessa.
""Mel" entrò in fase un po’ avanzata, con un secondo provino in cui capimmo che era lui il tipo giusto. Ancora oggi un po’ si lamenta di questo fatto: entrò un po’ a cose fatte e dovette adeguarsi a quel che c’era."
Il 1995, quindi, si apre con una nuova band, composta da Federico "Capitan Fede" Poggipollini e Carmelo "Mel" Previte alle chitarre, Robby "Sanchez" Pellati alla batteria, Antonio "Rigo" Righetti al basso. E' con questi musicisti che Ligabue prepara e lancia l'album "Buon compleanno, Elvis" (20 settembre 1995), che segna il suo definitivo successo nel mondo della musica italiana: oltre un milione di dischi venduti, oltre 70 settimane di permanenza nella classifica degli album più venduti ed il premio Tenco per la miglior canzone dell'anno ("Certe notti"). Liga è sceso in campo con la smaniosa voglia di vendicare la sconfitta precedente e di vincere.
Stavolta il tema conduttore del disco è il rapporto fra il musicista e il successo, con tutti i pro e i contro che porta: proprio in questo senso è emblematica la scelta della figura di Elvis (rappresentante di tutti gli splendori e di tutti gli eccessi del rock&roll).
"Io non ho mai voluto fare un disco "alla Elvis" o "su Elvis" o un tributo, come qualcuno ha scritto. Sono partito da lui per fare una specie di punto su cosa vuol dire fare questo mestiere, cosa vuol dire affrontare le contraddizioni che a certi livelli si vivono. Elvis mi interessava come duplice simbolo. Un simbolo sociale, innanzitutto. Noi veniamo educati a pensare che il successo sia per molti versi il culmine della nostra vita. Bene, Elvis ha avuto tanto successo, troppo successo; e il suo ego è diventato così grasso e vulnerabile da scoppiare. Di quello è morto, di troppo. La dimostrazione che quella facile lezione non è così vera. Io non mi vergogno di dire che suono perché voglio essere vivo, perché sono vivo, e mi vanto di evitare i facili cliché sul "rock maledetto". Rock o non rock, le etichette non mi hanno mai interessato. Musica con energia, comunque. Ecco, "Buon compleanno, Elvis" è fatto di queste cose. E’ un disco che dice: "Guardate, io sono fatto così, non ho intenzione di cambiare il mio modo di essere per rientrare nella perfetta e classica immagine richiesta. Voi, pensate un po’ il cazzo che volete".
Credo che questa "filosofia" sia stata capita dal pubblico, dalla stampa ho i miei dubbi. Proprio perché il progetto era particolare, a scanso di equivoci scrissi una lettera, una lettera aperta a Elvis Presley, e la misi nella cartelletta stampa del disco. Per me era tutto chiaro. E invece qualcuno scrisse che l’album era un tributo a Presley e qualcun altro mi battezzò l’Elvis di Correggio, capito?, e mi viene anche da toccarmi i maroni. Non riesci mai a spiegarti, c’è sempre chi non vuol capire.
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E’ bello quando un disco esce perché poi c’è il tour ed è lì che si gioca la partita vera. I concerti partono bene. Il disco piace, la tensione è quella giusta e la banda non soffre il debutto, anzi, è gasata da quel vortice di energia che dal palco si irradia sul pubblico e torna indietro.
"Io vedevo nelle facce di questi ragazzi che erano con me la gioia di un’esperienza nuova e godevo della loro sorpresa e del loro entusiasmo. Per me non era una novità, ma per certi versi era come se lo fosse: dopo le ultime storie, mi ero dimenticato di quanto fosse bello e forte suonare in scena davanti a così tanta gente."
Quella prima parte del tour dura sino alla fine del ’95, con una quindicina di Palasport in tutt’Italia che si riempiono senza problemi.