La rivincita
""Mel" entrò in fase un po’ avanzata, con un
secondo provino in cui capimmo che era lui il tipo giusto. Ancora oggi un po’
si lamenta di questo fatto: entrò un po’ a cose fatte e dovette adeguarsi a
quel che c’era."
Il 1995, quindi, si apre con una nuova band, composta da
Federico "Capitan Fede" Poggipollini e Carmelo "Mel"
Previte alle chitarre, Robby "Sanchez" Pellati alla batteria, Antonio
"Rigo" Righetti al basso. E' con questi musicisti che Ligabue prepara
e lancia l'album "Buon compleanno, Elvis" (20 settembre 1995), che
segna il suo definitivo successo nel mondo della musica italiana: oltre un
milione di dischi venduti, oltre 70 settimane di permanenza nella classifica
degli album più venduti ed il premio Tenco per la miglior canzone dell'anno
("Certe notti"). Liga è sceso in campo con la smaniosa voglia di vendicare
la sconfitta precedente e di vincere.
Stavolta il tema conduttore del disco è il rapporto fra
il musicista e il successo, con tutti i pro e i contro che porta: proprio in
questo senso è emblematica la scelta della figura di Elvis (rappresentante di
tutti gli splendori e di tutti gli eccessi del rock&roll).
"Io non ho mai voluto fare un disco
"alla Elvis" o "su Elvis" o un tributo, come qualcuno ha scritto. Sono
partito da lui per fare una specie di punto su cosa vuol dire fare questo
mestiere, cosa vuol dire affrontare le contraddizioni che a certi livelli si
vivono. Elvis mi interessava come duplice simbolo. Un simbolo sociale,
innanzitutto. Noi veniamo educati a pensare che il successo sia per molti versi
il culmine della nostra vita. Bene, Elvis ha avuto tanto successo, troppo
successo; e il suo ego è diventato così grasso e vulnerabile da scoppiare. Di
quello è morto, di troppo. La dimostrazione che quella facile lezione non è
così vera. Io non mi vergogno di dire che suono perché voglio essere vivo,
perché sono vivo, e mi vanto di evitare i facili cliché sul "rock
maledetto". Rock o non rock, le etichette non mi hanno mai interessato. Musica
con energia, comunque. Ecco, "Buon compleanno, Elvis" è fatto di queste
cose. E’ un disco che dice: "Guardate, io sono fatto così, non ho
intenzione di cambiare il mio modo di essere per rientrare nella perfetta e
classica immagine richiesta. Voi, pensate un po’ il cazzo che volete".
Credo che questa "filosofia" sia stata
capita dal pubblico, dalla stampa ho i miei dubbi. Proprio perché il progetto
era particolare, a scanso di equivoci scrissi una lettera, una lettera aperta a Elvis Presley,
e la misi nella cartelletta stampa del disco. Per me era tutto
chiaro. E invece qualcuno scrisse che l’album era un tributo a Presley e
qualcun altro mi battezzò l’Elvis di Correggio, capito?, e mi viene anche da
toccarmi i maroni. Non riesci mai a spiegarti, c’è sempre chi non vuol
capire."
E’ bello quando un disco esce perché poi
c’è il tour ed è lì che si gioca la partita vera. I concerti partono bene.
Il disco piace, la tensione è quella giusta e la banda non soffre il debutto,
anzi, è gasata da quel vortice di energia che dal palco si irradia sul pubblico
e torna indietro.
"Io vedevo nelle facce di questi ragazzi che erano con me la gioia di
un’esperienza nuova e godevo della loro sorpresa e del loro entusiasmo. Per me
non era una novità, ma per certi versi era come se lo fosse: dopo le ultime
storie, mi ero dimenticato di quanto fosse bello e forte suonare in scena
davanti a così tanta gente."
Quella prima
parte del tour dura sino alla fine del ’95, con una quindicina di Palasport in
tutt’Italia che si riempiono senza problemi.