La nostra pagina su
My SPACE
|
Since 1981
|
"Rock'n'roll can never die"
(Neil Young)
FOTO: Marco Schirinzi
Il CD
FOTO: Franco Valente
"Ah but I was so much older
then / I'm younger than that now"
(Bob Dylan)
Componenti:
Roberto Canori - Batteria; Voce
Gianluca Cellupica - Chitarra; Voce
Roberto Ferrazzoli - Voce; Chitarra;
Armonica
Enrico Ferrazzoli - Basso; Chitarra;
Lap Steel; Mandolino
|
|
|
Notizie:
The Crackers suoneranno ad:
Le date si possono trovare sulla nostra pagina su
My
Space.
Testi:
>>> Testi
dall'album: "Special Life"
|
|
|
|
|
|
Locandina 1 (foto: Franco Valente)
File della locandina scaricabili:
Locandina 1 A4 formato pdf >>>
Locandina 1 A3 formato pfd >>>
Locandina 1 formato TIF
>>>
|
|
|
|
<<<< Luglio 2011, 30°
ANNIVERSARIO >>>>
<<<< Luglio 2011, 30°
ANNIVERSARIO >>>>
|
|
|
|
9 Dicembre 1980.
Roma, Tor Pignattara.
Un appartamento poco
luminoso con i muri sbiaditi, vecchia carta da parati che si
trova lì dagli anni 50 e mobili ancora più vecchi. Per
quegli anni, è il tipico appartamento, affittato per una
cifra ingiustificabile, a studenti.
Cinque ragazzi stanno
per pranzare.
Come al solito si
discute e si ride a proposito della decisione presa su chi
deve apparecchiare e chi deve cucinare. Non ricordo
esattamente chi stesse cucinando, forse Roberto P. o Mario,
di solito gli incaricati oltre a me. Nell’immagine
che ricorre nei miei ricordi, io, Gianluca e Roberto C.
prepariamo la tavola con il televisore acceso che trasmette il telegiornale.
------
Il collante del gruppo
è, senza dubbio, la musica e si è cementato anche attraverso
il lavoro svolto, per puro amore della musica, in RADIO
CASSANDRA ad Isola del Liri (provincia di Frosinone) (vedi
la foto). Una
passione per tutti, espressa in modi diversi, ma una
passione vera.
Mario, lo definirei un
collezionista. Un conoscitore (e possessore di dischi) di
tutti i generi più importanti per il rock della nostra
generazione.
Roberto P., è un
concentrato di passioni. La radio, l’elettronica, la musica,
…… .
Io, Gianluca e Roberto
C. avevamo, per alcuni anni, suonato insieme, al di sopra
dei nostri mezzi, in un gruppo (Totem e Tabù) insieme
a Franco e Carlo, che non erano con noi in quell'appartamento.
L'avventura "Totem e Tabù" era finita perché il genere suonato
non aveva alcuno sbocco o mercato, e in quegli anni 80
sarebbe andata anche peggio. Si trattava di una sorta di
musica psichedelica acustica, soprattutto per ragioni di
budget per l’acquisto di chitarre elettriche, amplificatori,
batteria, tastiere (all’epoca avremmo detto organo) ecc.,
con molta improvvisazione. Il tutto basato più sull’anima
che sulla tecnica ed era impossibile pensare ad un possibile
pubblico.
------
L’annunciatore del
telegiornale, con aria molto seria, dice qualcosa a
proposito di un artista importante della musica Pop, allora
si diceva così, catturando l’attenzione di tutti. Non
ricordo le parole esatte ma il tono era:
“Ieri alle ore 23,
nei pressi di Central Park, a New York, il cantante
quarantenne divenuto famoso con i Beatles, John Lennon, è
stato ucciso…….”
Tutti ci fermammo e ci
guardammo. Qualcuno senti il bisogno di sedersi. Nella
musica degli appena finiti anni 70, i Beatles erano dati per
scontati. Tutti si consideravano fans dei FabFour ma, in
fondo, nessuno ascoltava più i loro dischi. La disco music
stava già uccidendo la musica “suonata” e bisogna arrivare
ai nostri giorni per trovare un periodo altrettanto brutto
per la salute della musica.
Qualcuno disse: “perché
non abbiamo mai provato a suonare le canzoni dei Beatles?”
Dalle discussioni dei
giorni successivi nacque l’idea di formare un gruppo basato
sulla musica dei Beatles. Avevamo il problema del Basso e
del cantante. Parti un pressing verso Roberto P. che
strimpellava la chitarra ed aveva studiato organo, per il
cantante chiedemmo a mio fratello Roberto F. (si,
il terzo Roberto). La prima prova, organizzata grazie
all’aiuto del fratello di Roberto P., Sergio (nella foto), fu
sorprendente. Scoprimmo che il Rock & Roll ci veniva facile
e naturale.
Il nome nacque alcuni
gironi dopo, da una discussione collettiva in cui si cercava
un nome che finisse con la “s” e che fosse preceduto da
“The”, vi assicuro che nessuno di noi poteva aver letto The
Commitmens (o visto il film) che forse non erano ancora
nemmeno stati pensati. Alcuni anni dopo, fummo onorati
nello scoprire che il nome “Crackers” era stato
utilizzato anche dalla “Band” di Robbie Robbertson prima che Bob
Dylan decidesse diversamente...
02/06/2007 - Enrico
Ferrazzoli |
Top
"Cerco di iniziare da
dove Enrico finisce.
Mi ricordo un vecchio
slogan: 'I Tangerine dream iniziano dove i Pink Floyd
finiscono'. Quella era solo una bella e buona presunzione
artistica. I Floyd sono nell'Olimpo degli Immortali. Io
invece vorrei solo dare un senso appena cronologico.
E dunque.
In fondo, noi non
abbiamo mai dovuto faticare tanto per trovare un equilibrio,
per così dire, artistico.
Masticavamo (+ o -), tutti, la stessa musica.
E' già difficile trovare un gruppo di musicisti che la
pensino allo stesso modo. Figuriamoci 6 amici!!!
La nostra è stata una ricchezza, un patrimonio.
Del resto, se siamo ancora qui dopo... fate i conti un pò
voi... tot anni, delle ragioni ci saranno pure. O no? 'Here
again', come recita il titolo di una nostra celebre canzone.
E poi, basta guardare che fine hanno fatto i gruppi di tanti
nostri amici. Qualche stagione, quando andava bene, e via...
Noi no. Non che in tutti
questi anni non ci siano state divergenze o piccoli dissidi
(non siamo mica mostri!!) ma, tutto sommato, la vedevamo
allo stesso modo.
Oddio!!! Bé, insomma...
OK, vuoto il sacco.
Roberto C., Roberto F.
and I rappresentavamo una sorta di (maggioritaria ma
elastica) triade che proponeva qualcosa che stesse dalle
parti di: Beatles, Byrds, Neil Young, Dylan, Eagles e, mia
personale massima aspirazione, Jefferson airplane (il gruppo
che, forse, più ho amato dopo i Beatles...). Insomma il rock
mainstream, un pò melodico, con le harmony vocals... Forma
canzone, psichedelia, atmosfere...
Noi (forse io in particolare) spingevamo anche molto sui
pezzi nostri.
L'irriducibile coppia
Franco - Roberto P., invece, facevano più riferimento al
Rhythm & blues, al soul, al rock and roll, ai Blues brothers,
con invito esplicito all'uso dei fiati (concretizzatosi in
seguito con gli ingressi di Angelo Simone al sax e Vincenzo
Capuano alla tromba).
Adesso posso dirlo. Va
bene "Soul man", va bene "Kansas city", va bene...
Oh, a me questa roba piace molto, sono le radici, sono
sacre. Però, nel gruppo, quando era troppo, che palle...
Enrico. Enrico era
omnicomprensivo nel senso che a lui stavano bene "tuttedueigeneri".
L'importante era suonare. E qui venivano i dolori.
Perché tra università, servizi militari, lavori, cazzabuboli
vari, il nostro grande problema è sempre stato quello della
continuità. Ma finora ne siamo venuti sempre fuori.
E, cosa, più incredibile, non abbiamo nessuna intenzione di
mollare...
Passo la palla ai Roberti...".
20/06/2007 - Gianluca
Cellupica |
Top
Più che raccontare
cronologicamente la nostra avventura, mi piacerebbe
soffermarmi sulle ragioni per cui un bel giorno ti
ritrovi su un palco con una chitarra a cercare di
esprimere e condividere, con chi è disposto ad
ascoltarti, la passione che ti muove.
Io ho sempre pensato
che in quegli anni bui ci fosse davvero bisogno di
qualcuno che diffondesse il verbo. Questa affermazione
messianica può sembrare molto impegnativa, ma cosa
sarebbe la vita se da soli uccidiamo i nostri sogni? Era
troppa l’immondizia che le nostre orecchie e le nostre
pance erano costrette a ricevere passivamente. Era un
lavoro sporco ma qualcuno doveva pur farlo – si dice
così no?
Non mi era mai
passato per la testa che avrei potuto cantare davanti ad
un pubblico. Eppure è successo. Venivamo scambiati per
il gruppo che suonava musica “giovane” quando invece
quello che volevamo rappresentare con le nostre canzoni
e con le covers che con gioia infantile ci proponevamo
era il primo rock’n’roll, i Beatles… roba ormai datata.
Non credo che in noi
ci fosse il bisogno di metterci in mostra, volevamo solo
praticare attivamente il nostro “fuoco” e questo abbiamo
fatto per tutti questi anni. Con alti e bassi, con
momenti di scoramento e di nuovo con ritrovato vigore.
Mi piace ricordare
uno dei momenti più intensi che io abbia mai vissuto.
Uno di quegli episodi che restano scolpiti dentro di te
e che, in qualche modo, accendono lampadine e ti fanno
magicamente comprendere le ragioni per cui senti. Quel
giorno del novembre 1989, quando finalmente vidi Paul
salire sul palco e la prima nota di “Figure of Eight”
risuonò in quella sala colma.
Nonostante avessi da
sempre amato, consumato, suonato, digerito, spremuto,
dissipato e poi riacquistato quelle emozioni, capii in
un attimo che quella non era semplicemente musica. Era
nutrimento, linfa vitale da diffondere, condivisione di
passione che accomunava tutti quelli che casualmente
erano vicini a te. Non li avevi mai visti prima ma
diventavano tuoi fratelli proprio perché sentivano anche
loro quello che stava sconvolgendo te.
Si, suonare era
stato e continuerà sempre ad essere quello che dovevamo
fare.
Mi rendo conto che
il tono di queste parole può essere letto come
presuntuoso, ma un musicista ha l’obbligo di esagerare.
Se così non fosse non sarebbe in grado di trasmettere
anche la più piccola emozione.
Molti penseranno che
in nostro sogno non si è mai realizzato completamente.
ERRORE!
Per noi (sono
convinto di parlare anche a nome di tutti gli altri)
imbracciare una chitarra ed accennare le note di “Tears
and Flowers”, quando c’è anche una sola persona ad
ascoltare che magari batte il piede e sorride, è il
compimento della missione.
22/06/2007 - Roberto
Ferrazzoli |
La cameretta di Enzo
Un periodo, non mi
ricordo perché e percome, prendemmo una cameretta alla
Scaffa, Comune di Arpino. Io, poi, sono assolutamente negato
per le date e cose così. Dovevano, però, essere gli anni 80.
Ce la trovò Enzo
Canettieri, grafico, ma soprattutto grande amico di Roberto
F.
Enzo era sempre gentile
con noi e, nel passato, ci aveva già risolto qualche urgenza
tipografica.
La cameretta di Enzo, in
campagna, non andava affrontata di petto. Infatti, bisognava
fare tutto un giro di Peppe per arrivare. Quando,
finalmente, la trovavi, avevi la strana sensazione di averla
sorpresa alle spalle.
Mi ricordo che con noi
c’era sicuramente il grande chitarrista Antonio Fiorelli
(quindi, Enrico faceva il militare) perché Enzo voleva
sempre che facessimo “Sultans of swing”.
Oh, di Antonio parlatene
un po’ voi. Mica posso fare tutto io…
Un’altra cosa che mi
ricordo è che, con la presenza di Antonio, io ambivo a fare
la “seconda chitarra”. La proposta non ebbe mai un
grandissimo appeal.
Una cosa è certa. Quella
volta ci eravamo messi in testa di fare sul serio.
Si provava tre volte la
settimana: lunedì, mercoledì e venerdì. E guai a chi sgarra.
Gli altri impegni
(fidanzate, passatelle, partite a pallone) potevano
aspettare.
Ah, e poi non potevamo
mica perdere tempo. Spesso si andava a suonare nel
pomeriggio. Alle otto stozza e birra. Poi si ricominciava a
suonare fino a tardi.
Mi ricordo degli enormi
pane e mortadella.
22/06/2007 - Gianluca Cellupica |
Top
Il “Paradise”
E arrivò il “Paradise”.
La nuova frontiera dei
locali dal vivo.
Veramente, più che al
“Cavern” mi faceva pensare alla natura lussureggiante del
set di “Blue Hawaii” di Elvis. Si suonava in giardino.
Insomma, bello era
bello. Si trovava a Montemontano, Isola superiore.
Il padrone, pardon, il
manager era Gregorio. Un uomo. Un po’ burbero ma anche lui
aveva un cuore.
La prima volta che
suonammo al “Paradise” fu un successone. Locale strapieno,
fummo pagati, mangiammo, tutto.
Quindi, fu del tutto
naturale programmare la replica.
Ancora oggi ferve il
dibattito del perché quella sera non ci fosse un’anima.
Mistero. Qualche ragazza, qualche amico. Quelli stretti,
però.
Boh…
Fatto sta che suonammo
lo stesso.
Alla fine, Gregorio
disse: “Uagliù, l set uisct pur u!! n nc scteua nsciun. N u
poss paià. Però u facc magnà!”.
Rapido consulto del
gruppo in camera caritatis. La decisione, immediatamente
comunicata a Gregorio da un portavoce, fu la seguente: OK,
un gruppo serio sa anche farsi carico dei problemi oggettivi
del locale e non accampare assurde pretese.
Ci accingemmo, dunque,
alla cena.
Panini, patatine, birre,
quello che aveva. Ci mangiammo questo mondo e quell’altro. A
Gregorio sarebbe convenuto di più pagarci.
Ad un certo punto,
Franco disse, un po’ ad alta voce:”Gregò, tniss caccosa d
docie?”.
Vi giuro, per la risata
mi uscì la schiama della birra dal naso, bianca, pressata,
come una fontana.
Mai più, nella mia vita,
avrei riprovato quella sensazione.
Stemmo un quarto d’ora a
ridere.
22/06/2007 - Gianluca Cellupica |
Top
L’espulsione
Che volete. Può
capitare. A me, infatti, capitò.
Non lo so che mi stava
succedendo in quel periodo.
Ero insofferente verso
il gruppo. Chissà, forse non mi piaceva la direzione
artistica, mi ero stancato, non si suonava come volevo...
Non lo so.
E non facevo nulla per
dissimulare il mio stato d’animo. Ero vagamente
provocatorio, scocciato.
Morale della favola:
feci di tutto per farmi cacciare.
Certo, non era facile
per nessuno.
Immagino, però, che il
gruppo prese la sofferta decisione.
Quartiere Stazione, Via
Beniamino Cataldi, 30, terzo piano.
Lì abitavamo io e
Franco, porta con porta.
Quella mattina uscimmo
contemporaneamente e quasi ci scontrammo sul pianerottolo.
Con aria solenne mi
disse: “Ti devo dire una cosa a nome di tutto il gruppo.
Sono stato delegato io a dirtelo per via della nostra
amicizia d’infanzia. Ti sei comportato troppo male. Sei
allontanato dal gruppo. Ma senza problemi, senza rancori,
siamo sempre amici”.
Cazzo!!! Gli dissi che,
in fondo, me l’aspettavo e che il gruppo aveva tutte le sue
buone ragioni.
Venni a sapere che, al
mio posto, fu ingaggiato Di Rezza, di Sora, venditore di
chitarre, possessore di chitarre, chitarrista. Dice che
faceva sempre “Ticket to ride”.
Non mi ricordo né i
tempi né i modi.
Mi ricordo solo che mi
ritrovai di nuovo nel gruppo. Con la testa a posto.
22/06/2007 - Gianluca Cellupica |
Top
L’ASPETTO “DIDATTICO” DELLA BAND
C’è un episodio che resterà per sempre ben
impresso nella mia memoria.
Avevo circa sette anni, si era in piena
beatlemania (Sgt.Pepper uscì proprio quell’anno) ed un giorno mio fratello
Virgilio tornò a casa con un pacco di 45 giri (ve li ricordate?): Beatles,
appunto, Rolling Stones, Procol Harum, Otis Redding, Them e molti altri. Lui ne
suonò alcuni con tanta attenzione e trascorse il pomeriggio a ritrovare gli
accordi con la sua Eko acustica… e ricordo in particolare che a mia sorella
chiese di scrivere in un inglese “comprensibile” le parole di “I’ve been loving
you”… l’etichetta rossa e nera dell’Atlantic ruotò e ruotò ininterrottamente sul
giradischi.
Tanti altri pomeriggi così si vivevano a
casa mia, a Via Granciara, in campagna. Fino a quando chiesi a mio fratello
perché scriveva , così maniacalmente, quegli accordi e quei testi. Lui mi
spiegò che era il manager e factotum di un complesso musicale che avrebbe dovuto
(o almeno, provato a ) suonare o reinterpretare quelle canzoni. “Un giorno ti
farò sentire cosa sanno fare i miei amici”, mi disse. Attesi con ansia quel
giorno e, quando arrivò il momento, mio fratello mi portò in un vecchio casolare
semi-abbandonato (adesso, al suo posto, c’è un grande palazzo ed un
supermercato, neanche più funzionante). Stavano provando i “The Fevers”, mitico
gruppo di Isola del Liri degli altrettanto mitici anni sessanta, con Aldo
all’organo, Claudio e Cesare alle chitarre, Luciano alla voce, Oreste al basso e
Giorgio alla batteria. Sì, la BATTERIA. La Ludwig grigio madreperla come quella
di Ringo! Ci fu un attimo di folgorazione (I saw the light!!!): non riuscivo a
staccare lo sguardo da quei tamburi… Giorgio capì tutto. “ La vuoi provare?” mi
chiese (ero pur sempre il fratellino minore del manager!!!) ed io, timidamente,
risposi di sì. Lui abbassò il seggiolino affinché io potessi raggiungere il
pedale della cassa e mi diede le bacchette. E’ iniziato tutto lì. Quello è stato
il momento in cui ho scelto: il perfetto mix (per me) di mitologia infantile: i
Beatles, i Fevers, la Ludwig ….. . Il resto è storia.
Sono passati un (bel) po’ di anni e il più
bel complimento che potesse farci qualche nostro amico musicista più giovane di
noi è stato questo: “Ho iniziato ad avvicinarmi ad uno strumento, alla musica
suonata, quando ho visto per la prima volta i Crackers suonare. Mi avete
trasmesso la voglia, la carica giusta per iniziare”.
Ebbene, sì. Abbiamo offerto loro una valida
alternativa al pallone, al motorino, al flipper… hanno studiato e sono diventati
più bravi di noi. Siamo orgogliosi anche di questo.
Beh, concedeteci, almeno, un piccolo spazio
nell’immaginario dei giovani musicisti dell’area frusinate degli anni ’80!
05/07/2007 - Roberto Canori |
Top
Le Chitarre
La scelta di uno strumento da suonare è una
cosa molto personale, ma sopporta la convivenza con il mito. L’immaginario di un
qualsiasi ragazzo che si avvicina ad una chitarra e con fatica inizia a muovere
le dita su una tastiera è ricco di visioni e la molla che lo spinge non può
essere che l’emulazione.
“Hai visto sulla copertina del disco? Io
l’avevo riconosciuta anche dal suono: non poteva che essere una stratocaster!”
questo era un commento tipico tra ragazzi che vivevano la musica in maniera più
passionale del semplice ascolto leggero. Quei pomeriggi passati a suonare il
giradischi diventavano magici, nel momento in cui ti sentivi proiettato sul
palco, vicino a George, anche tu con la mitica Rickenbacker in braccio.
Ricordo discussioni accesissime, nelle quali
si “litigava” su quali fossero le chitarre migliori. A quel tempo nessuno di
noi, a parte Enrico che tecnicamente ne capiva molto di più (ancora oggi è
così), era in grado di supportare con validi argomenti le tesi che testardamente
difendevamo. Per me e per Gianluca non c’erano alternative. Le uniche chitarre
elettriche “buone” erano: Fender, Gibson, Rickenbacker e Gretsch. Non volevamo
neanche sentir parlare di altre marche, nonostante le mode dei vari momenti, nei
quali spuntavano improbabili (per noi) altri modelli che beffardamente
chiamavamo: “pezzi di legno”.
Un vecchio bluesman sicuramente non si
poneva questi problemi: per loro era già un miracolo riuscire a mettere le mani
su uno strumento qualsiasi e suonarlo. Spesso suonare uno strumento non idoneo
li portava a modificare, o meglio ad adattare il loro stile alla chitarra
(dovrebbe accadere il contrario). La musica prodotta però non si può certo
definire scadente. Siamo quindi vittime del consumismo noi che non scendiamo a
compromessi e suoniamo solo ed esclusivamente determinati modelli? La mia
risposta è imbarazzante:
SI siamo delle vittime, ma non del consumismo, piuttosto della leggenda, del
sogno…
Novelli epigoni, restiamo integerrimi fedeli
alla linea!
20/07/2007 - Roberto Ferrazzoli |
Top
Le Figure di merda
Alzi la mano chi,
suonando, non ha fatto mai sonore figure di merda…
Noi, per esempio, non ci possiamo lamentare.
Arce, ridente
cittadina della nostra provincia.
Fu una delle prime volte che suonammo, al campo sportivo.
Nel pieno del furore di “Satisfaction”, nessuno sentiva la mia chitarra… Io
vagavo, disperato, sul palco, alla ricerca di un buco dove infilare il mio jack…
Piena campagna
di Arpino, verso la Stazione.
Era una festa
religiosa in un posto incredibile. Non c’era niente all’infuori di una
Chiesetta. Eravamo d’estate e faceva un caldo pazzesco. Il palco era costituito
da un muretto con una barra di ferro, in mezzo agli ulivi, per strada…
Ora, diciamolo,
Enrico è sempre stato…come dire…ehm…un po’ ansioso nel preparare
l’amplificazione.
Ma quella volta si superò.
Dunque, il
concerto era previsto per le ore 22,00.
Enrico era sul posto alle 5 del pomeriggio… sole a picchio, grilli e ulivi…
Aveva, mi sembra, due amplificatori perché, durante l’assolo di “Witch”, avrebbe
dovuto essere avvolto dal suono…
Arrivò il gran
momento dell’assolo, credo verso mezzanotte. Uno, due, tre… la sua chitarra
scomparve completamente. Niente di niente. Si sentivano solo gli accordi…
Tanto per
gradire, poi, quella sera (c’era anche Sandro Assante) Franco attaccò, con la
voce, un pezzo in un’altra tonalità e ne dovemmo fare di giri a vuoto aspettando
che si riprendesse….
Grande serata.
Cervaro.
Festival rock.
Tutti aspettavano
noi. “Ci sono i Crackers, ci sono i Crackers”…. Giravano queste voci…
Chissà perché, nel Cassinate siamo sempre andati forte….
In quel periodo avevamo il gruppo con i fiati ma non eravamo né carne né pesce.
Non si capiva se eravamo un gruppo rock, rhythm and blues, new cool, se dovevamo
fare pezzi nostri. Un gran casino.
Eravamo, insomma, in un momento…per così dire… delicato negli equilibri
artistici interni…
Nonostante tutto, eravamo abbastanza convinti.
Ma eravamo destinati al disastro…
Credo che, in
quasi trent’anni di onorata carriera, una figura di merda come quella sera non
l’abbiamo mai fatta…
Non ne azzeccammo una. Suoni, stop, riff, assoli, voci, niente da fare.
Completamente sfasati.
Sono convinto che quella sera Franco e Roberto P. decisero di abbandonare il
gruppo.
20/03/2008 - Gianluca Cellupica |
|
|
|
|
Scheda Palco >>>
|
|
|
|
|