- 1INTRODUZIONE
Il sito di Tell al-Mashhad si trova nella regione del Monte Nebo, non lontano dalla città di Madaba (fgg. 1-3). Localizzato strategicamente presso una fonte di acque perenni (fg. 4), sin dalla preistoria (fg.14) esso ha avuto un ruolo strategico di grande importanza. Già in passato, il sito è stato oggetto di ricognizioni; il primo a comprenderne l'effettiva importanza fu l'archeologo americano N. Glueck (fg. 5), padre dell'archeologia transgiordana, che, nel 1933, raccolse frammenti ceramici ed alcune piccole figurine in argilla, databili all'epoca del Ferro II (circa 900 - 600 a.C.; fg. 7). Un'altra statuetta femminile in argilla fu rinvenuta durante la visita effettuata dal tedesco Henke nel 1958. Infine, nel 1995, si svolse una nuova sistematica ricognizione a Tell al-Mashhad, guidata dal Prof. P. Mortensen del "Mount Nebo Survey Project". Durante la ricognizione fu rilevata la presenza di alcune strutture domestiche lungo il pendio della collina, e, soprattutto, di una fortezza a pianta quadrangolare sulla sommità del tell, che confermano l'importanza storica e strategica del sito (fgg. 8-13). Tell al-Mashhad sembra essere la sede probabile della città di Bet-Peor (talvolta ricordata anche come Baal-Peor), citata in più passi dell’Antico Testamento (Numeri 25,3.5; Deuteronomio. 3,29; 4,3.46; 34,6; Giosué 13,20; Salmi 106,28; Osea 9,10). Nei suoi pressi sono ambientati anche numerosi episodi della vita di Mosè e le stesse sorgenti perenni del sito vengono ancora chiamate dalla popolazione locale "'Ayun Musa" ("Fonti di Mosè") e sono identificate con quelle fatte sgorgare dal profeta, percuotendo per tre volte la roccia con la sua verga.
L'ETA' DEL FERRO IN GIORDANIA E NELLA REGIONE DI TELL AL-MASHHAD
Il periodo del Ferro nel Vicino Oriente copre un lungo arco di tempo compreso, approssimativamente, tra il 1200 (data di inizio della sedentarizzione di alcune popolazioni seminomadiche, dell'arrivo di nuove popolazioni dall'esterno e della nascita di alcuni regni a base tribale, tra cui emergono, in Giordania, i tre regni di Ammon, Moab ed Edom) al 586 a.C. (data della conquista babilonese della regione). Il sito di Tell al-Mashhad assume un ruolo di particolare rilevanza per la sua localizzazione in una zona molto fertile, ricca di acque ed importante da un punto di vista strategico, in quanto al confine dei regni Ammonita (fg. 6) e Moabita, che, anche se non facilmente definibile nei dettagli, si trovava proprio in questa zona, verso le colline situate tra la città di Madaba ed il sito di Tell Hesban, l'antica Heshbon della Bibbia, a circa 10 chilometri a Nord della stessa Madaba. Probabilmente, il sito di Tell al-Mashhad ha subito un continuo cambio di dominazione nel corso di tutto il periodo del Ferro; se, infatti, nella seconda metà del IX secolo a.C. la stele del re moabita Mesha ricorda l'appartenenza al suo regno dei territori delle città di Madaba e di Nebo (forse la vicinissima Khirbet el-Mukhayyat), nell'VIII-VII secolo a Tell Hesban è attestata la presenza di una fase di dominazione ammonita, protrattasi, come attestato da alcune iscrizioni, almeno fino all'inizio del VI secolo a.C. Gli obiettivi delle ricerche in corso in alcuni siti dell'età del Ferro nella zona di Madaba, tra cui la stessa cittadina capoluogo ed il Tell Jalul, si prefiggono lo scopo di ricostruire la storia della regione, ed i dati provenienti dallo scavo di Tell al-Mashhad (che, a differenza degli altri due siti, non è stato oggetto di una successiva rioccupazione umana) stanno contribuendo a chiarire alcuni dei problemi scientifici che lentamente stanno emergendo.
L'INDAGINE GEOFISICA
L’indagine geofisica, svoltasi durante la campagna del 2000 sotto la direzione della Dr.ssa Paola Conti (Fondazione “Ing. C. M. Lerici”), ha avuto lo scopo di fornire ulteriori elementi sulle conoscenze del sito, in particolare sull’ubicazione di strutture in pietra analoghe a quelle individuate in occasione della campagna del 1999. Sono state scelte tre aree su cui effettuare le prospezioni: le aree chiamate “A” e “C”, sono state analizzate per la presenza in superficie di tracce di mura in pietra potenzialmente riconducibili a strutture, mentre l’area “B” è stata scelta perché, pur non essendo presenti tracce di strutture come quelle appena citate, è da considerare verosimilmente favorevole ad un insediamento, visto l’andamento pianeggiante e la posizione dominante, immediatamente alle spalle della fortezza sulla sommità del tell. Sulla base delle conoscenze sulle strutture archeologiche del sito e della geologia dei primi strati di terreno, si è deciso di operare attraverso i metodi geoelettrico e georadar. Il terreno è infatti costituito da sabbie e limi con abbondante pietrame calcareo sparso. In questo ambito, è possibile che il metodo elettrico, che si basa sulla misura delle variazioni della resistività nel sottosuolo, possa individuare strutture in pietra calcarea. Date le caratteristiche di elevata resistività del suolo, è comunque necessario che le strutture siano sufficientemente grandi da causare un buon contrasto di resistività. In ogni caso è stato necessario condurre l’indagine con un’elevata densità di misure, in modo da rilevare anche le anomalie meno evidenti. Anche per quanto riguarda il georadar, che si basa sullo studio della propagazione delle onde elettromagnetiche nel terreno e sull’individuazione delle superfici di riflessione, si può ipotizzare che possa individuare discontinuità, quali quelle causate da strutture in pietra. Tuttavia, i risultati con questo strumento sono stati in parte compromessi dalle forti irregolarità superficiali, come più volte accade in questo tipo di ambienti. Il metodo è parso invece utile per lo studio dell’andamento del substrato roccioso, dal momento che questo costituisce una superficie di discontinuità piuttosto evidente. Per quanto riguarda l’area “A” (fgg. 1 e 2), è stata investigata una superficie di circa 30 x 40 metri, con entrambi i metodi. Dai risultati della prospezione geoelettrica è emerso un forte condizionamento causato dalle condizioni geologiche: tutta l’area nord-orientale e un settore ad ovest sono caratterizzati da elevati valori di resistività, causati dalla quasi totale assenza di suolo. Ai bordi dell’area investigata, infatti, cominciano immediatamente gli affioramenti di calcare. I valori scendono lungo una fascia ad andamento approssimativamente nord-sud, in cui è verosimilmente presente almeno un metro di suolo al di sopra della roccia calcarea. All’interno di questa fascia si distinguono discontinuità piuttosto nette, che è ragionevole ritenere causato da strutture murarie sepolte (fg. 1, evidenziate dalla linea tratteggiata). E’ interessante aggiungere che l’ubicazione di tali anomalie non coincide spesso con gli allineamenti di pietre visibili in superficie: sembra pertanto probabile che tali allineamenti siano dovuti a sistemazioni di pietre, forse per delimitazioni, che non proseguono in profondità. Procedendo verso est, i dati sono meno facilmente interpretabili a causa dell’alta resistività che caratterizza tutto il settore e che fa si che eventuali anomalie causate da strutture in pietra siano molto meno evidenti. Tuttavia è stato evidenziato un altro allineamento che potrebbe essere causato da resti di strutture, che in questo caso dovrebbero poggiare direttamente sul substrato calcareo. Anche l’area “B” è stata investigata sia con il metodo geoelettrico che georadar (fgg. 3 – 5). Dalla mappa dei valori di resistività originali non sono emerse particolari anomalie. L’elemento più evidente emerso da questa elaborazione è l’anomalia di forma rettangolare a sud-ovest, di dimensioni circa 5 x 7 (fg. 3, evidenziata dalla linea tratteggiata; fgg. 4 e 5, selezionato). Verso est si osserva un’altra anomalia ad andamento curvilineo, che però sembra seguire una rottura morfologica. Nella area “C”, infine, posta nella zona periferica del sito, è stata condotta solo la prospezione geoelettrica (fg. 6) poiché l’elevata pendenza e l’abbondanza di pietrame in superficie non hanno consentito l’effettuazione delle misure georadar. Anche in questo caso sono emersi alcuni elementi di possibile interesse archeologico, mentre gli allineamenti di pietre di grandi dimensioni in superficie non sembrano trovare riscontro in profondità.
LE CAMPAGNE DI SCAVO 1999 E 2000
L'attività di scavo si è concentrata sulla serie di ambienti individuati nella zona meridionale del sito. Nell'area é presente un muro, di circa 20 metri in lunghezza, orientato lungo l'asse Est-Ovest, costruito con pietre di grosso taglio, squadrate grossolanamente. Su di esso poggiano, a Sud, le pareti di almeno tre ambienti, tre dei quali sono stati oggetto delle indagini (fgg. 1 e 2). Gli ambienti scavati sono stati indicati con i numeri da 1 a 3, e presentano una doppia fase di occupazione. Gli ambienti sono stati impostati sopra la roccia bianca calcarea che rappresenta lo strato basale del tell. La fase più antica era caratterizzata da un battuto in terra giallastra, di circa 20/30 centimetri di spessore, che copriva una sottofondazione di pietrame, realizzato per ovviare alla pendenza naturale dell'area. Il livello sovrastante (fg. 1, livello I) si presentava di colore grigio/nero, con la presenza di tracce di cenere e carboni ed una consistenza molto farinosa. Lo spessore era variabile, comunque compreso mediamente tra i 50 ed i 65 centimetri. L'angolo Nord-Ovest dell‘ambiente 1 appariva caratterizzato dalla presenza di un focolare a pianta quadrata (fg. 1, area rossa), nelle vicinanze del quale, lungo il muro Nord, sono stati rinvenuti i resti di un piccolo contenitore in legno di olivo (fg. 3), purtroppo completamente carbonizzato ed irrecuperabile, di forma ovale, ed al cui interno si trovavano circa 4 chilogrammi di orzo, anch'esso carbonizzato, ma recuperabile. Sempre nei pressi del muro Nord sono stati inoltre ritrovati i resti di almeno due giare in ceramica, una delle quali era adibita alla conservazione di circa 2 chilogrammi di lenticchie, rinvenute anch’esse carbonizzate (fg. 4). Quasi certamente associati all’ambiente 1 appaiono inoltre i resti alcune strutture circolari, inizialmente identificate come forni, ma che poi l'assenza quasi totale di consistenti tracce di carbone e cenere al loro interno spinge a considerare come imboccature di piccoli silos (fg. 1, aree viola, nrr. 1-6 e fg. 5). Proprio al di sotto dell'imboccatura di uno di essi (fg. 1, area viola nr. 2), infatti, sono stati rinvenuti i più cospicui resti delle giare, dentro le quali erano conservate i legumi carbonizzati. Notevoli resti di vasi da derrate sono stati rinvenuti anche nell‘ambiente 2. Si tratta di almeno due crateri, conservati anch'essi in ottima percentuale, uno dei quali presenta una grande imboccatura (dal diametro di circa 50 centimetri) ed un alto numero di anse verticali, certamente non inferiore a otto. Nell‘ambiente 2, il livello I, al cui interno sono stati rinvenuti i vasi sopra citati, appariva connesso con la presenza di almeno tre focolari (fg. 1, aree rosse). I rinvenimenti più rilevanti sono una lucerna di tipologia assai rara, ed un frammento di ansa verticale con iscrizione (fg. 6). L‘ ambiente 3 (fg. 7) è caratterizzato da una pianta grosso modo quadrata (le misure sono all'incirca m. 3,30 x m.3,30). Esso aveva i muri direttamente impostati sul letto di roccia, che, a differenza degli ambienti 1 e 2, non era stato lavorato e "modellato" per ospitare le nuove strutture, ma seguiva il declivio naturale del terreno. Non sono emersi dati certi sulla presenza di strutture fisse, quali focolari o silos. Solo in corrispondenza dell'angolo nord-orientale, così come era stato possibile vedere anche negli altri ambienti, sembravano essere presenti i resti di un piccolo focolare, ma le sue tracce erano davvero limitate, ed il suo utilizzo deve essere stato alquanto scarso e sporadico. Anche il materiale ceramico è risultato assai scarso: si segnalano soprattutto i frammenti di una ciotola carenata, appartenente ad una tipologia di vasi particolarmente diffusa, in Transgiordania, dopo il 700 a.C. (fg. 8).
LA FORTEZZA SULLA SOMMITA' DEL TELL
La sommità di Tell al-Mashhad è occupata dai resti di un grande edificio a pianta pressoché quadrata (fg. 1), che doveva avere un ruolo di grande rilevanza nell’ambito della comunità cittadina. Ciò è sottolineato soprattutto dal fatto che esso si trova in posizione assolutamente preminente rispetto all’intera vallata, potendosi da esso dominare sia la sorgente delle ‘Ayun Musa, che buona parte del percorso del wadi. Tale edificio nella campagna 2002-2003 (diretta da Francesco M. Benedettucci in collaborazione con i colleghi archeologi Dario Scarpati, Andrea Schiappelli, Fiammetta Sforza e Giovanna Verde) è stato oggetto di un primo rilievo architettonico, che si propone di essere preliminare allo scavo vero e proprio. Tali operazioni hanno presentato notevoli difficoltà tecniche, soprattutto per la grande massa di pietre crollate, che hanno reso estremamente difficoltoso il lavoro dei rilevatori. Ad ogni modo, è stato possibile poter riconoscere che effettivamente l’edificio, almeno per quello che è parzialmente visibile, presenta una pianta pressoché quadrata, con un lato di circa 22 metri. Al centro era forse una piccola corte a cielo aperto, attorno alla quale erano disposti altri ambienti minori. Di particolare rilevanza il fatto che il perimetro esterno appare assai leggibile, in quanto conservato in più punti, soprattutto nel versante settentrionale, per almeno quattro filari di pietre. Da quanto rimane sul terreno appare plausibile ipotizzare la presenza di contraffortature angolari. Le pietre utilizzate per l’erezione della fortezza appaiono essere di grandi dimensioni, rozzamente squadrate, ed accostate tra loro senza apparente ausilio di malte. E’ interessante notare che tale edificio presenta notevoli analogie formali con la non lontana fortezzuola di Rujm al-Mukhayyat (fg. 2), monumento isolato in cima ad una collina nella valle parallela (Wadi al-Keniseh) a quella delle ‘Ayun Musa. Essa appartiene a quel vasto gruppo di edifici comunemente chiamati “Hofbau”, che trova ampia diffusione, per gli usi più diversi, nella regione palestinese. Da ricordare, ad esempio, il tempio quadrato, scoperto negli anni ’50 nell’area del vecchio aeroporto di ‘Amman, a Marka, e datato all’epoca del Bronzo Tardo, oppure il controverso edificio (anch’esso forse un tempio) individuato sul monte Garizim, presso Nablus. A carattere residenziale dovrebbero invece essere gli edifici di el-Mabrak, forse in connessione con attività agricole, Tell es-Sa’idiyyeh e Tell el-Mazar, questi ultimi nella valle del Giordano. Tali dati dovrebbero renderci abbastanza cauti dal prendere una posizione definitiva sull’identificazione effettiva dell’utilizzo dell’edificio di Tell al-Mashhad; la più plausibile, ad ogni modo, sembra essere proprio quella a carattere militare, data la posizione preminente, sia nell’ambito del sito che dell’intera vallata.
LA CERAMICA
La ceramica di Tell al-Mashhad (fg, 1) è generalmente databile alla fase finale dell'epoca del Ferro (età del Ferro IIc: circa 722-586 a.C.), quando la regione siro-palestinese appare dominata dalle grandi potenze straniere di Assiria e Babilonia. Tale produzione non sembra presentare delle caratteristiche di particolare pregio, in quanto rarissimi sono i frammenti che presentano tracce di decorazione dipinta, di ingubbiatura o di lucidatura. Per quanto riguarda le caratteristiche della lavorazione, il materiale appare abbastanza povero, con una generale presenza di inclusi (sassolini, calcare, sabbia, paglia) e di porosità, spesso dovuta all’esplosione degli inclusi stessi durante la cottura del vaso. Tra le tipologie maggiormente rappresentate dal repertorio documentato a Tell al Mashhad, sono da segnalare le piccole coppe carenate (fg. 1:1-4), dal diametro medio di circa 10-12 cm. Tale tipologia conosce la massima diffusione dopo l'arrivo degli Assiri nella regione. Tra le forme chiuse, invece, appaiono di particolare rilevanza le giare del tipo “Ridged Neck Jar” (Giare con collo crestato fg. 1:6-9). Si tratta di una tipologia particolarmente importante, in quanto viene a costituire proprio uno dei cosiddetti "fossili-guida" dell'epoca del Ferro. Essa infatti appare solamente dopo il 1200 a.C., quando si innescano quei processi sociali, economici e politici, che portano ad un vero e proprio sconvolgimento della situazione storica precedente. L'oggetto più prezioso proveniente dallo scavo appare però essere la lucerna (fg. 2) rinvenuta nel 1999 presso il focolare dell’angolo Nord-Est della stanza 2, che presenta, nella vaschetta, la particolarità di tre elementi verticali, la cui funzione è attualmente impossibile da determinare con precisione: una caratteristica questa che non trova alcun riscontro nella produzione siro-palestinese dell'età del Ferro.
LE ISCRIZIONI
La campagna di scavo 1999 ha portato al rinvenimento di due preziose iscrizioni su argilla. Il frammento iscritto di ansa, con ogni probabilità appartenente ad una giara, proviene dall’ambiente 2, e presenta l'iscrizione "SMN" ("olio”), incisa nell'argilla ancora fresca, prima della cottura del vaso (fg. 3). Lo studio paleografico ha consentito di datare l'oggetto al periodo compreso tra la fine del VII e l'inizio del VI secolo a.C, con confronti paleografici riferibili ad alcune iscrizioni fenicie ed aramaiche contemporanee. In particolare, la datazione sembra più verosimile per la fase iniziale del VI secolo a.C., sotto l'influsso predominante della scrittura corsiva aramaica. La caratteristica di scrivere su un vaso il nome del prodotto contenuto appare abbastanza frequente in Siria-Palestina, trovando dei riferimenti in alcuni frammenti rinvenuti a Tell Keisan e, più recentemente, durante gli scavi eseguiti per la ricostruzione di Beirut, nei quali é attestato lo stesso vocabolo "SMN". A differenza, però, degli esempi conosciuti, in cui le iscrizioni venivano dipinte o graffite sul vaso già cotto, il frammento di ansa da Tell al-Mashhad appare essere l'unico in cui l'iscrizione é stata realizzata prima della cottura. Per l’età del Ferro, si tratta della prima attestazione certa, nella regione, della esistenza di alcune tipologie ceramiche da conservazione appositamente create per un determinato contenuto. Il secondo ostrakon (fg. 4), assai rovinato, proviene dalla superficie del tell. Si tratta di un frammento in cui le lettere sono state incise sulla superficie dell'argilla dopo la cottura del vaso, grazie ad uno strumento forse metallico. In questo esemplare sembrano riconoscibili almeno tre lettere ("LPN...“), per le quali, però, appare impossibile fornire un tentativo di ricostruzione verbale.
I RESTI VEGETALI
Alcuni dei resti vegetali portati alla luce nel corso delle campagne 1999 e 2000 sono stati sottoposti ad analisi di tipo antracologico e carpologico, che hanno permesso di individuare i resti di legno di ulivo, del tipo Olea europaea, la cui presenza testimonia l'effettiva olivicoltura nel sito (attestata peraltro anche dal frammento di ansa di cratere o giara con l'iscrizione "SMN", "olio"). Grazie alla campionatura estesa e sistematica è stato possibile identificare anche dei resti di legno di Salice (Salix) e di Pino di Aleppo (Pinus Halepensis). Le indagini sono state eseguite dalla Dr.ssa Sylvie Coubray (Fondazione “Ing. C.M.Lerici”). Nel caso delle analisi carpologiche, a Tell al-Mashhad sono stati individuati due tipi particolarmente abbondanti di carporesti, nella fattispecie l'Hordeum vulgare (orzo vestito a 4 o 6 file; fg. 5) e la Lens Culinaris (lenticchia – fg. 6). In quest'ultimo sottocampione sono stati individuati anche i resti di una pianta infestante, la Galium Aparine, mentre tra i semi di Hordeum vulgare erano presenti anche dei cariossidi di grano nudo forse relativi a Triticum aestivum/durum, e di Hordeum distichum (Orzo a due file), un cariosside di Avena. Con l’analisi dei carporesti è stata confermata l’importanza della coltivazione dell’olivo, grazie al rinvenimento di numerosi noccioli di olivo, ma sono stati individuati anche vinaccioli (Vitis) e diversi vari tipi di legumi (quali Pisum e Vicia Ervilia). Dal rinvenimento di tali campioni (anche, come detto, in grande quantità) appare possibile iniziare a trarre delle considerazioni preliminari: in particolare la presenza di una grande quantità di orzo permette di comprendere quella che doveva essere l'importanza di tale cereale nell'alimentazione delle popolazioni locali. L'orzo doveva infatti essere di gran lunga il cereale più utilizzato, specialmente per la produzione di farina per il pane, ma poteva anche essere utilizzato per la realizzazione di zuppe e birra. Il pane di orzo, nonostante la sua amplissima diffusione presso tutti i ceti sociali, non doveva essere considerato quello di maggior pregio: ancora all'epoca di Cristo, ad esempio, tale pane, chiamato Cibarius, viene venduto ad un prezzo assai basso per le strade delle città e dei villaggi. Tra i legumi, il più rappresentato è la lenticchia (Lens culinaris). Nell'epoca del Ferro, nella regione viene coltivata soprattutto la lenticchia a semi piccoli, usata soprattutto nelle diete povere per apportare quelle proteine altrimenti presenti solo nella carne.
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