STORIA
DI ROMA Pompeo
e Crasso - L'ultima guerra contro Mitridate
Pompeo
e Crasso consoli
- Pompeo
contro i pirati
- La
fine di Mitridate
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Dopo la conclusione delle numerose rivolte che fecero seguito alla morte di Silla, Pompeo e Crasso uscirono come gli incontrastati protagonisti della scena politica romana. Sebbene i due avessero motivo di osteggiarsi in ambizioni, decisero comunque di trovare un accordo politico che garantisse loro il potere: per il 70 a.C. vennero eletti come consoli, mentre i loro due eserciti mantennero quella funzione di pressione militare sul senato e suoi poteri politici già in voga da molto tempo. Venne abolita la costituzione sillana e venne restaurato l'ordine democratico (si ricordi come Pompeo e Crasso dovevano le loro fortune al regime dittatoriale sillano, così, per opportunità politica, cavalcarono l'onda democratica). Vennero abolite le limitazioni al potere dei tribuni (lex Pompeia Licinia), e promossa dal pretore Lucio Aurelio Cotta una nuova riforma giudiziaria. Sempre nel 70 i censori epurarono il senato da 64 senatori troppo compromessi coi poteri sillani. In sostanza tutto l'apparato dittatoriale sillano fu di fatto demolito. La lunga situazione di instabilità politica e militare che imperversava nello stato romano aveva creato problemi di ordine pubblico e provocato un aumento esponenziale della illegalità. In particolare la politica di Sertorio e le pressioni belliche di Mitridate avevano favorito lo sviluppo incontrollato della pirateria. Questi pirati provenivano prevalentemente dalla Cilicia, la zona sudorientale della Turchia, e da Cipro. I pirati imperversavano nel Mediterraneo, avevano saccheggiato Ostia distruggendo le navi romane attraccate, ed erano sbarcati a più riprese sulle coste della Campania, spingendosi fino alle coste meridionali della Spagna: il prezzo del grano salì alle stelle. Urgeva una soluzione. Nel 67, il tribuno Aulo Gabinio propose di investire uno dei due consoli di poteri straordinari e pluriennali per ciò che riguardava le acque del Mediterraneo. Il senato si oppose alla proposta, nel timore che tali poteri straordinari prendessero la mano a chi li avrebbe esercitati, ma alla fine la lex Gabinia fu approvata e venne fatto il nome di Pompeo. Con 500 navi, 24 legati, 120.000 fanti e 5.000 cavalieri, Pompeo si apprestava a salpare verso i covi dei pirati per debellarli. La sua campagna fu caratterizzata dalla soprendente velocità: in soli 40 giorni ristabilìi l'ordine sulle coste occidentali del Mediterraneo, poi, mandati i legati in avanscoperta, si diresse verso oriente, e in 49 giorni distrusse i covi dei pirati cilici, aggiungendo all'azione militare quella diplomatica. Furono uccisi 10.000 pirati, 800 navi vennero catturate e 120 fortezze distrutte. Il Mediterraneo fu liberato momentaneamente dalla pirateria e i commerci poterono riprendere.
Dopo la pace di Dardano dell'85, che segnò la fine della prima guerra mitridatica (la seconda risaliva al periodo della guerra civile e fu vinta sempre da Silla nell'82 a.C.), Mitridate ritornava alla ribalta. Nel 75 a.C. Nicomede III di Bitinia aveva lasciato in eredità il suo regno ai romani. Questo diede il pretesto a Mitridate di dichiarare guerra alla Bitinia (e a Roma) in un periodo che vedeva gli avversari impegnati nella repressione della rivolta spagnola di Sertorio (lo stesso Mitridate tesse rapporti con il governatore romano ribelle e con i pirati). Da Roma furono inviati i due consoli del 74 a.C. Marco Aurelio Cotta e Lucio Licinio Lucullo. Lucullo, in particolare, riuscì brillantemente a liberare la Bitinia e il Ponto e costringere Mitridate a rifugiarsi presso il genero Tigrane. Questi aveva notevolmente ingradito i suoi possedimenti, diventando uno dei più potenti sovrani dell'Asia Minore (aveva conquistato la Cilicia, la Siria e le coste dell'Asia minore fino all'Egitto). Lucullo si diresse verso l'Armenia e la sua capitale, Tigranocerta. Qui sconfisse Mitridate e Tigrane, accorsogli in aiuto, e i due dovettero rifugiarsi a Artaxana, antica capitale armena. La Siria, intanto, venne restituita a uno dei sovrani seleucidi ai quali era stata sottratta (69 a.C.). All'improvviso però la situazione di Lucullo cambiò. A Roma lo vedevano come un seguace di Silla e il nuovo clima democratico non lo favorì, mentre nelle truppe il malconento aumentava, un pò per la fatica delle marce in un terreno montagnoso e un pò perché i cavalieri cominciarono a osteggiarlo, visto che la disciplina imposta da Lucullo non permise loro di mettere le mani sul bottino. Da Roma giunse nell'67 a.C. il console democratico Manio Acilio Glabrione per sostituirlo. Mitridate sfruttò immediatamente il momento e riconquistò il Ponto e la Cappadocia. A questo punto il tribuno Caio Manilio propose a Pompeo di occuparsi della questione mitridatica. Analogamente a quanto successe con i pirati, dopo un primo tentennamento del senato, la lex Manilia fu approvata e Pompeo fu incaricato di dar man forte a Glabrione (Pompeo si trovava ancora in Cilicia dopo la sconfitta dei pirati). Pompeo cercò subito l'azione diplomatica: proposa a Mitridate la resa (che rifiutò) e strinse un accordo con i Parti in modo che invadessero l'Armenia per tenere occupato Tigrane. Mitridate fu sconfitto una prima volta da Pompeo sull'Eufrate. Egli si ritirò quindi nella Colchide, dopo che Tigrane (occupato dai Parti) gli rifiutò l'aiuto per non inimicarsi ulteriormente i romani. A questo punto Mitridate tentò l'azione definitiva: ormai settantenne tentò di organizzare un'invasione dell'Italia riunendo i popoli barbari del Mar Nero settentrionale e del Danubio. Per fare ciò si installò nel regno del Bosforo, dove la situazione era più che mai instabile (il Re del Bosforo era appena stato usurpato da figlio, con l'arrivo di Mitridate questi fu obbligato a cedergli il regno e a suicidarsi). Mitridate, nel suo tentativo di servirsi dei barbari instaurò un regno di violenza nel Bosforo raccogliendo così l'avversione delle città greche. Una dopo l'altra insorsero Fanagoria, Cheroneso e Teodosia. Vistosi con le spalle al muro, Mitridate rovesciò tutta la sua rabbia su parte della sua famiglia, filogreca, fu così che il suo figlio prediletto, Farnase, si mise alla testa dei rivoltosi. L'esercito e la flotta di Mitridate passò con Farnase, e all'anziano re non restò altro che suicidarsi (temprato dal veleno, chiese a uno schiavo di finirlo, quando già aveva imposto il suicidio alla moglie e alle figlie). Ciò accadeva nel 63 a.C.
Intanto, Pompeo procedeva alla normalizzazione: Tigrane fu costretto al vassallaggio e alla rinuncia delle sue conquiste orientali, mentre il Ponto fu sottomesso (64 a.C.), e, incorpato poi con la Bitinia, fu trasformato in provincia romana. Il Bosforo fu lasciato a Farnase come compenso per il tradimento del padre. Nel 63 a.C., constatato l'invalidità delle decisioni di Lucullo sulla Siria (il monarca seleucide di fatto non aveva poteri e non controllava il territorio), procedette alla sua trasformazione in provincia. Altri regni minori, quali la Cappadocia, la Paflagonia e la Galazia furono resaturati. In
Giudea (Palestina) Pompeo intervenì in favore di Ircano nella
lotta che lo vedeva contrapposto al fratello Aristobulo, il primo sostenuto
dai Farisei, il secondo dai Sadducei.
I Farisei rappresentavano gli interessi del clero e miravano alla costituzione
di un potere forte ecclesiastico contrapposto a quello laico, mentre
i Sadducei avevano fama di pensatori liberi ed eretici, sostenuti dagli
intellettuali e dai commercianti, e miranti a un potere laico e militare. |