AREA GIURIDICO-ECONOMICA

 1. Quando offendere è  reato 

 11. Vicenda Telecom

 2. Primo impiego come presentarsi

 12. Riciclaggio pneumatici
   3. Compra- vendita Immobili   13. No fumo e alcool sul lavoro
   4. Outlet che vai, target che trovi   

 5. Rimborsabilità dei farmaci omega 3

 

 6. Investire in borsa

 

 7. Investimenti :    i fondi azionari

 

 8. Investimenti: ETF: utilissimo, ma non pubblicizzato...

 

 9. Investimenti: i fondi obbligazionari 

 

10. Buoni Ordinari del Tesoro

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando offendere è  reato

Dalle sentenze della Cassazione, come cambia il campionario degli insulti perseguibili penalmente

Può essere insultata la vicina che nutre gatti randagi poiché le ingiurie saranno legittimate dall'aver agito «in stato d'ira» per «il fatto ingiusto altrui»; mentre dare del “frocio” a qualcuno è considerato reato poiché «Si ravvisa nel termine un chiaro intento di derisione e di scherno espresso in forma graffiante» (sentenza 24513).

 

A stabilire il sottile confine tra le parole che determinano un’offesa persegiubile dal codice penale (ingiuria o diffamazione) è la V sezione della Corte di cassazione, i cui giudici si trovano chiamati sempre più spesso ad aggiornare il “dizionario degli insulti”, e quindi a definire, sentenza dopo sentenza, le soglie del senso dell’onore e del decoro.

Sporco negro” nel dicembre 2005 «non denota, di per sé, un intento discriminatorio e razzista di chi pronuncia la frase». Tre mesi mesi più tardi veniva prosciolta dalla stessa accusa anche una donna di Firenze che aveva insultato un collega di colore: potrebbe essere una manifestazione di «generica antipatia, insofferenza o rifiuto» per chi appartiene a una razza diversa.
Passano pochi giorni e, i giudici ribaltano l’orientamento espresso nelle due sentenze precedenti e condannano (sentenza 9381) S. G., di 54 anni, che rivolgendosi ad una bambina di colore in un luogo pubblico, l'aveva apostrofata dicendole: «Vai via di qua, sporca negra». Chi usa l'espressione "negro" nei confronti di una persona di colore non può dunque che avere un intento discriminatorio.

La Cassazione ha respinto il ricorso di un uomo che si era sentito dare del "bastardo, ebete, cretino, drogato" (condannandolo anche a pagare 500 euro alla Cassa delle ammende) e ha confermato l’assoluzione della donna, poiché le ingiurie furono scambiate reciprocamente (sentenza 25008).

Buffone, fatti processare” gridato in un aula del Tribunale di Milano all’allora Presidente del consiglio Silvio Berlusconi da Piero Ricca non costituisce reato, poiché la Corte ha stabilito la legittimità della critica politica, anche accesa, a un personaggio pubblico.
Mentre Stefania Craxi che incontra Francesco Rutelli in un ristorante e lo apostrofa con  “grandissimo stronzo” (dopo che lui aveva augurato la galera a suo padre) è punita con un ammenda di 50 euro (che sceglie di pagare in 36 rate “così per 36 volte posso scrivere dietro al bollettino postale la causale “per aver dato del grandissimo stronzo al sindaco di Roma”).

Gli interventi normativi dei giudici supremi mirano a contenere l’abuso di espressioni “degradanti per il prossimo”, soprattutto quando quest’ultimo appartiene a categorie etniche o sociali diverse dalla nostra.
Contro il linguaggio ritenuto offensivo si sono adoperati anche i paladini del “politically correct”, che continuano a sfornare locuzioni edulcorate di dubbia efficacia: il crollo in borsa è un “ripiegamento del capitale azionario”, l’“ottimizzazione delle dimensioni aziendali” per i licenziamenti in massa, la morte di civili durante un’oparazione militare diviene un “danno collaterale” e se un reparto alleato viene bombardato per sbaglio, si parla di “fuoco amico”...

 

successivo   (PRIMO IMPIEGO: COME PRESENTARSI?)

 

 

 

 

 

CERCA LAVORO

Errori e orrori classici da evitare in sede di colloquio


La prima impressione è quella che conta. Bastano
30 secondi al nostro interlocutore per farsi un'idea di noi. Ecco perché l'inizio di un colloquio di selezione è un momento fondamentale, durante il quale ci giochiamo tutto (o quasi).
Per questo vi segnaliamo alcuni
consigli (seri) molto utili in fase di colloquio, e un'ampia casistica degli errori più diffusi commessi dai candidati proprio nella decisiva, e spinosa, fase iniziale.......

 

La prima impressione è quella che conta
Lo confermano studi approfonditi. E un best seller uscito in America intitolato Blink (battito di ciglia).

Il nostro interlocutore ci mette 30 secondi per farsi un'idea di noi. E, secondo Blink, di solito ha ragione. Ecco perché l'inizio di un colloquio di selezione è un momento fondamentale. Durante il quale ci giochiamo tutto (o quasi).

A seguire troverete un'ampia casistica degli errori più diffusi commessi dai candidati proprio nella decisiva (e spinosa) fase iniziale

Arrivare in ritardo. Non ci sono scuse: a un colloquio di selezione bisogna arrivare almeno cinque minuti prima.

Dimenticare la forma. Non spengono la sigaretta e non buttano la gomma da masticare. Danno del tu alle segretarie e parlano a voce alta. Nell'attesa, non spengono il telefonino ma, anzi, sperimentano le suonerie più fantasiose. Sono invadenti, chiassosi, fuori luogo. E firmano così, ancor prima di aver incontrato il selezionatore, la loro condanna all'esclusione.

Sbagliare vestito. Uomini in jeans e donne in minigonna. Camicie fuori dai pantaloni e scollature profonde. Profumi eccessivi od odori sgradevoli. Orologi vistosi e pettinature troppo elaborate. Chi l'ha detto che l'abito non fa il monaco? Vestirsi coerentemente con l'ambiente in cui ci si trova (e la posizione per cui ci si candida) dimostra equilibrio, intelligenza ed educazione. Chi esce dal coro deve poi dimostrarsi all'altezza del suo ruolo di "guastatore".

Tradirsi con la postura. Che impressione ci fa chi curva le spalle, abbassa lo sguardo, incrocia le braccia, tamburella nervosamente? La stessa (tragica) impressione la facciamo noi agli altri, quando i nostri gesti tradiscono nervosismo, chiusura, ostilità, insicurezza.

Come ripercorrere il proprio iter formativo

In un approccio più moderno di valutazione di un candidato perde importanza il
titolo e ne acquista la
competenza. Ciò significa che si è sempre più spesso giudicati per quello che si sa fare e sempre meno per il proprio cv accademico. Questo succede in particolare con candidati adulti che abbiano già raggiunto alti livelli gerarchici.

Ciò però non toglie che l'area della formazione rimanga centrale nel cv e sia un argomento cardine del colloquio di selezione. A seguire, qualche consiglio per affrontare l'argomento al meglio.

- In primo luogo, vietatissimo presentarsi col proprio titolo e stringere la mano al selezionatore proclamando fieri: «Buongiorno, sono l'ingegner Giorgi!». I titoli accademici non vanno mai esibiti. Il selezionatore è abbastanza accorto da dedurli da solo dal cv.

- In secondo luogo, non cominciare proprio dall'inizio. Difficile da credere, ma c'è anche chi si impegna a fondo nel racconto dei primi anni: dall'asilo alla scuola media. Via tutto! Le aree interessanti sono solo tre: scuola superiore, università, corsi (o master) successivi. E, in genere, si parte dal titolo conseguito più recentemente, per poi procedere a ritroso.

- E' importante spiegare (in modo chiaro e sintetico) il perché delle proprie scelte. Il selezionatore apprezza motivazioni pratiche (migliori possibilità di trovare lavoro, settore in crescita.), ma anche (e forse anche di più) motivazioni personali, legate a interessi e passioni. In ogni caso, mai confessare di aver scelto quell'indirizzo o quella facoltà per i seguenti motivi: "era la scuola più vicina a casa", "i miei genitori hanno insistito tanto", "non mi piaceva niente e così ho tirato a caso".

- Spiegate le ragioni, si passa alle spiegazioni. In modo sempre sintetico, è arrivato il momento di illustrare il proprio percorso nelle sue tappe principali: materie studiate, competenze acquisite, voti ottenuti. Particolare spazio meritano corsi o insegnamenti che abbiano in qualche modo avvicinato al mondo del lavoro.

- La durata degli studi è importante. Chi impiega più tempo della media, è tenuto a spiegare il motivo del suo ritardo: lavoretti paralleli, altri interessi, problemi familiari. Fare finta di niente è più rischioso: il selezionatore è attento e gli scheletri hanno la brutta abitudine di saltare fuori dagli armadi.

- Lo stesso schema va seguito con gli studi superiori, quelli universitari e gli eventuali master. Si deve essere pronti a fornire dei piccoli approfondimenti su temi specifici, come quello che riguarda la tesi discussa.

-         Questo è anche il momento di illustrare ulteriori corsi e seminari a cui si è partecipato. Senza però mai essere pedanti e prolissi (un elenco completo può trovare spazio nel cv o in un elenco da fornire su richiesta). In questa fase del colloquio il candidato deve dimostrare come gli studi abbiano irrobustito la sua candidatura. Senza però averne appagato il desiderio di conoscenza o, peggio ancora, averlo reso una persona arrogante e piena di sé.

Sfida troppo difficile? Certo che no, a patto di evitare
strafalcioni

Nessuno nasce imparato

Ogni settore ha un suo linguaggio, un
frasario ad hoc e una terminologia specifica. Vietato pensare però che tutto ciò sia universalmente noto. È vero che il selezionatore del personale ha un alto livello culturale, è molto informato e sicuramente dinamico. È vero che il suo lavoro lo porta a un contatto quotidiano con un alto numero di profili, settori, aziende e situazioni. E’ anche vero, però, che non è un tuttologo.

Conosce gli aspetti principali di ogni professione, ma non padroneggia ogni lavoro in toto. Questo sarebbe impossibile, inumano.  Vietato, perciò, entrare con lui (o con lei) subito nel vivo, raccontando la propria quotidianità come se si parlasse col vicino di scrivania.

Il pericolo del
gergo tecnico per iniziati è in agguato soprattutto nei settori più tecnologici. Ma il rischio c’è comunque, quindi attenzione. Se proprio si vuole far sfoggio di un linguaggio preciso e puntuale, meglio accertarsi prima che l’interlocutore abbia tutti gli elementi per capirci qualcosa. In alternativa, scendere di un gradino ed esprimersi da persone “normali”.

Il gergo tecnico è perciò ammesso, ma bisogna
saperne fare buon uso, verificando di usarlo nel modo corretto e nel giusto contesto. E senza mai esagerare.  I troppo saccenti che abusano i termini tecnici destano dubbi: vale sempre la massima “est modus in rebus”.

Fare attenzione poi alle
lingue straniere, l’inglese in particolare. Meglio documentarsi bene sull’esatto modo di scrivere i termini stranieri, perché le storpiature sono all’ordine del giorno (vedi know-out, video hotel ecc.).

Non è sempre detto che gli interlocutori (i selezionatori, ma non solo loro) siano degli specialisti e che conoscano tutte le sfumature e i particolari modi di definire un prodotto, una macchina o un impianto.  "Nessuno nasce imparato" soprattutto quando si parla di informatica, di marketing, di impianti di produzione...

Grande varietà anche nel modo di definire le posizioni professionali. In questo caso è buona norma utilizzare definizioni in italiano. Almeno quando possibile. Ed evitare definizioni particolarmente fantasiose,
come quelle che seguono.

 neologismo 
Fa le fotocopie? 
Sono duplicator manager e scannerizzo pagine tutto il giorno.

Previsioni del tempo
Ricerco una posizione di temporaly manager.

La banca del suono
Sono addetto alla preparazione dei fidi e delle filodiffusioni.

Cosa farà?
Sono nella tax force delle vendite.


L’apicultore
Dopo aver fatto il mieling contatto i clienti.

Attenti alle sbronze
Nello scio Rum servo i clienti

Cosa?
Progetto le valvoline di playmaker per il cuore.

Il religioso 
Calcolo i costi del personale, i benefits compresa la provvidenza sanitaria.

Dal fotografo 
Vorrei un’inquadratura regolare, sono stanco di fare l’agente.

Non sono biscottini
Nello stabilimento si realizzano wafers di silicio puro.

Nato a Tradate
Eseguo traduzioni relative al design di mobili moderni e tradizionali e nello stesso tempo faccio da tradunion fra il responsabile del trade marketing e la forza vendite del tradizionale.

Intercedi per me
Mi occupo di finanziamenti relativi all’intercessione del quinto dello stipendio per l’acquisto della casa.


C'è afa
In magazzino preparo il ventaglio delle merci.

Coerente
Prima di laurearmi facevo il fotografo e lì ho imparato a lavorare per obiettivi. 


Non è un medico
Sono internista [lavora su internet]


Non costruisce barche
Da due anni sono barcoddizzatore (responsabile dell’applicazione del codice a barre). 


Il riciclatore a  360°
Dopo essere stato responsabile dell’environment di una società di elettrodomestici sono passato ad un’azienda di smaltimento rifiuti occupandomi di phae out anche per quanto riguarda lo smaltimento acustico e atmosferico.



Un colloquio di selezione è un ponte verso il futuro, verso il cambiamento. Chi è disoccupato, cerca un lavoro. Chi ne ha già uno, ne cerca un altro. Per migliorare la sua posizione, economica ma soprattutto psicologica.
E' dimostrato infatti che gli
elementi umani e professionali (un lavoro interessante, compiti di responsabilità, colleghi collaborativi e capi stimolanti) motivano ben più degli aspetti economici. Studi recenti hanno provato che un aumento di stipendio è di incentivo per 30-40 giorni al massimo. Poi si produce spinti soprattutto dalla propria motivazione interiore.

Questo lo sanno bene i selezionatori, propensi più a favorire persone mosse dall'ambizione che dall'avidità.

Perciò è importante che i candidati esprimano le loro aspirazioni professionali, in modo semplice, diretto e documentato. Viene apprezzato chi parla di obiettivi di crescita, professionale e personale. Chi dimostra di aver contribuito, in passato, a creare team affiatati e produttivi. Ed evidenzia questo come obiettivo futuro. Chi dichiara di voler mettere in pratica ciò che ha imparato a un livello teorico. E chi dimostra di avere voglia di imparare e dà un grande valore all'esistenza di un ambiente stimolante.

Viceversa, pollice verso nei confronti di chi si concentra solo sugli aspetti economici. Esordio drammatico quello del candidato che, con grande naturalezza, come prima domanda si trovò a fare la seguente: "Quant'è la pecugna che si prende?". Fra il vivere per lavorare e il lavorare per vivere c'è insomma una sana via di mezzo.

Naturalmente, l'aspetto economico ha la sua importanza e, prima o poi, va affrontato. Il candidato deve aver ben chiare le sue aspettative economiche ed essere in grado di esporle, in modo chiaro e argomentato. Elementi su cui basarsi sono la propria retribuzione attuale e lo stipendio riconosciuto abitualmente dal mercato al ruolo che si ricopre.

Più in generale, il mercato premia sempre di più persone che presentano una candidatura a 360°, sfaccettata sia a livello professionale (studi, esperienze lavorative, skill) che a livello umano (qualità, aspirazioni, desideri, rapporti familiari e amicali). E che vivono il lavoro come un ambito di crescita e realizzazione. E non una penosa necessità.
Insomma,
la parola chiave è entusiasmo. Chi dimostra un atteggiamento positivo ha buone chance di essere scelto. Al contrario di chi dichiara di voler cambiare spinto dalla paura (di perdere il posto), dalla rabbia (contrasti col capo) o da sentimenti in qualche modo negativi.
Sorridiamo, il colloquio sta per iniziare

Vorrei un 30% in più dell'ultimo stipendio
 

 

successivo    (compra-vendita immobili)

 

 

 

 

 

COMPRA -VENDITA IMMOBILI

Come muoversi

 Conoscere il mediatore non basta.

Bisogna informarsi anche su chi vende e sul perché vende: soprattutto se il venditore non intende rogitare subito.

La ragione è molto semplice: se prima del rogito il venditore fallisce, il potenziale acquirente diventa creditore del fallito e riavrà indietro una porzione degli anticipi versati solo dopo anni.Quindi……….

 

Chi è il proprietario?

 

 Quindi è opportuno stare molto attenti se la casa in vendita è di una società, di un commerciante o di un artigiano.

Se la casa interessa veramente, conviene fare prima qualche indagine sullo stato patrimoniale del venditore.

 

 

L'immobile è effettivamente vendibile?

 

             Il rischio maggiore che si corre quando si avviano le trattative per l'acquisto è che la casa in realtà non sia vendibile.

Il mediatore professionale ha tutto l'interesse di controllare - ma attenzione, sotto lo stretto profilo giuridico non ne ha l'obbligo - che chi vuol vendere abbia le carte in regola, perché in caso contrario perderebbe soldi, tempo e credibilità.

 

I motivi per i quali una casa non è liberamente vendibile possono essere fra i più diversi: dalle irregolarità urbanistiche non sanate (se la casa, ad esempio, ha un sottotetto reso abusivamente abitabile) ai vincoli dell'edilizia convenzionata, per cui l'immobile può essere alienato solo a determinate condizioni.

 

Il mediatore improvvisato, che ragiona con la logica del "mordi e fuggi", si fa pochi scrupoli. A volte può trattarsi di un vero e proprio truffatore, che cerca di intascare soldi da due, tre o più potenziali acquirenti. In questi casi recuperare le somme versate a titolo di caparra, con i tempi della giustizia italiana, non è facile.

Esistono trascrizioni ipotecarie sull'immobile?

 

Altre notizie da conoscere assolutamente sono quelle che riguardano la presenza di trascrizioni ipotecarie sull'immobile.

 

Se sulla casa il vecchio proprietario pagava un mutuo, potrebbe addirittura risultare conveniente non estinguerlo. Il che si verifica spesso nel caso di mutui indicizzati: per chi compra significa pagare lo stesso tasso che pagherebbe accendendo un nuovo mutuo, ma risparmiando le spese necessarie per istruire la pratica.

 

Comunque l'immobile è sempre rogitato solo se libero da vincoli e da ipoteche: quindi non c'è il rischio di trovarsi da pagare un mutuo di cui non si sapeva nulla. Pericolo tutt'altro che teorico quando si acquista una casa nuova direttamente dal costruttore.

Visitate la casa in orari e in giorni diversi

 

             Infine un consiglio pratico: i mediatori spesso presentano la casa in vendita magnificandone i pregi e tralasciandone i difetti.

 

Se però non si conosce bene la zona in cui è situato l'immobile, è meglio, prima di mettere mano al libretto degli assegni, tornare nei dintorni in altre ore del giorno e in altri giorni della settimana.

 

Si potrebbe così scoprire che un giorno il parcheggio è impossibile perché c'è il mercato, o che gli aerei sorvolano il palazzo, o che a cento metri c'è una discoteca o un altro locale particolarmente rumoroso e altri problemi di questo tipo.

 

Il regolamento condominiale

 

             Un'altra raccomandazione utile è quella di leggere, prima di dare il via all'acquisto, il regolamento di condominio. Vi potrebbero essere disposizioni particolari e in contrasto con i propri interessi. Se si ha un cane, ad esempio, è meglio accertarsi che il regolamento non vieti la presenza di animali.

 

Bisognerebbe anche chiedere al venditore i verbali delle ultime assemblee, i riparti delle spese e le ricevute dei pagamenti.

La legge stabilisce che :

- le spese deliberate prima di un passaggio di proprietà, anche se effettuate dopo, sono a carico dell'acquirente che subentra;

- l'amministratore può chiedere all'acquirente le spese non saldate dal venditore negli ultimi due anni.

 

La documentazione sul condominio si potrebbe chiedere anche all'amministratore, ma nella realtà ci si potrebbe sentire opporre un rifiuto, nel nome della privacy, difficilmente contestabile.

 

 

E infine non dimenticate di...

 

             - Valutare la rendita catastale dell'immobile.

 

- Non dare mai somme (ad eccezione delle provvigioni) con assegni intestati all'agente immobiliare.

 

- Non usare mai il termine anticipo, ma caparra perché quest'ultima è disciplinata dal Codice civile a differenza dell'anticipo che non offre sufficienti garanzie in caso di contenzioso.

 

- Al rogito, se il valore catastale dell'immobile è di molto inferiore a quello reale, non dichiarare il minimo, perché, oltre a commettere un reato, si potrebbe rischiare un accertamento da parte dell'Amministrazione Finanziaria.

Patti chiari con l'agente immobiliare

 

             La compravendita di un immobile è l'impegno più gravoso che la famiglia media si assume. Un ruolo incisivo è spesso giocato dall'agente immobiliare che, però, può rappresentare anche un problema. Dal varo della legge 52/96 sulle clausole abusive nei contratti, la protezione del cliente è stata rafforzata.

Le clausole vessatorie inserite nell'incarico sono infatti considerate inefficaci a meno che il cliente - con una trattativa - non ottenga in cambio alcuni vantaggi.

L'onere della prova, in caso d'uso di moduli, ricade sul mediatore.

 

Con gradualità le nuove disposizioni sono state recepite dalle associazioni degli agenti, che hanno riscritto abbastanza radicalmente i loro formulari (anche se resta possibile che ogni singolo agente ne predisponga di propri).

 

Verifichiamo, ora, punto per punto, le caratteristiche e le "trappole" da evitare nel modulo (proposto dal mediatore) per l'incarico dato dal

L'incarico di mediazione e l'esclusiva

 

             L'incarico di mediazione

É il contratto con cui si incarica l'agente immobiliare a trovare un compratore. In nessun caso dovrà trattarsi di un "mandato" o una "procura" a vendere. Infatti, il mandatario ha diritto al pagamento dell'onorario in ogni caso, anche se non trova un acquirente. Se la procura è ampia, il mandatario può ottenere il potere di sostituirsi in tutto al venditore, di fatto esautorandolo.

 

L'esclusiva

L'incarico può essere di due tipi: con o senza esclusiva. Se esiste l'esclusiva, ci si impegna per un certo periodo a non vendere direttamente e a non dare incarico ad altre agenzie. In compenso, si hanno maggiori sicurezze sul fatto che il mediatore si dia davvero da fare per alienare e si evita l'affollarsi di proposte perditempo fatte balenare non solo da acquirenti poco seri ma anche da agenzie che, pur di ottenere l'incarico, si inventano compratori inesistenti.

Penali , durata e caparra

 

            

Penali esagerate

Vessatoria può essere considerata anche la clausola in cui si impone al cliente di versare comunque l'intero onorario pattuito, quando commette infrazioni al contratto di non grande rilievo. Come quando, per esempio, decide di ritirarsi dalla vendita mentre l'agente non ha ancora trovato un acquirente che si sia impegnato.

 

Durata

La durata logica dell'incarico dipende dalla facilità di collocare la casa sul mercato. Quest'ultima varia a seconda del prezzo proposto e del tipo di fabbricato. Per esempio, case di villeggiatura o immobili particolari (ampi, in quartieri a rischio, commerciali in vie di scarso transito) necessitano di più tempo per vendere. Per un immobile commerciabile si oscilla sui quattro mesi di tempo.

 

Caparra

Meglio quella confirmatoria, che lega venditore e compratore alla perdita secca di una certa somma, se inadempienti. Resta però possibile pretendere l'esecuzione del contratto e chiedere i danni.

Clausole vessatorie

 

             L'agente che ottiene l'esclusiva, se da una parte dimostra maggiore serietà, secondo alcuni interpreti dovrebbe concedere qualcosa in più al cliente affinché questa clausola non sia da considerare "vessatoria" (e quindi inefficace).

Ma, anche se il cliente riconosce la correttezza della clausola, trattare è sempre possibile. Gli spazi di contrattazione principali sono due.

 

 

Il primo è la clausola con cui il mediatore rinuncia al rimborso delle spese, nel caso in cui non riesca a concludere l'affare (molti non lo sanno, ma in mancanza di questo codicillo, il rimborso è un diritto).

 

 

Il secondo è l'impegno da parte del mediatore a scoprire e, se possibile, eliminare ogni vincolo alla vendita (indagini ipocatastali, proprietà in comunione, diritti di eredi in caso di donazione eccetera).

 

Va aggiunto che, se il rimborso spese non è escluso, è buona norma fissare un tetto massimo ed esigere le relative pezze giustificative

Le dieci regole d'oro:            

1. Controllare che il mediatore sia iscritto al ruolo presso la Camera di commercio (chiedere il tesserino)

 

2. Controllare che abbia l'obbligatoria polizza di responsabilità professionale

 

3. Incassare la caparra o affidarla a un terzo (notaio) e non all'agente

 

4. Preferire, se possibile, l'incarico in esclusiva

 

5. Non accettare il supero (cioè il patto con cui l'agente si intasca tutto quello che riesce a strappare all'acquirente oltre una cifra prestabilita)

 

6. Non firmare da solo l'incarico, farlo firmare anche all'agente, che così prende impegni

 

7. Evitare i rinnovi automatici dell'incarico, salvo disdetta con raccomandata

 

8. Chiarire se vanno pagate, e in che misura, le spese al mediatore, se non conclude l'affare

 

9. Pretendere durate ragionevoli dell'incarico

 

10. Non accettare penali esagerate

 

successivo  (outlet)

 

 

 

 

 

Outlet che vai, target che trovi

Di di Lorenzo Morelli

l business degli outlet s'impenna e le strategie di marketing per conquistare gli amanti delle griffe fashion si moltiplicano. Negli ultimi dieci anni il fenomeno dei grandi magazzini dedicati alle marche dell'abbigliamento a prezzi stracciati ha avuto un vero boom.
Lungo tutta la penisola sono sorte cittadelle della moda dove le famiglie trascorrono ore e ore in cerca dell'abito di Valentino o i jeans Dolce&Gabbana con il 70% di sconto. Unica accortezza: il modello è dell'anno scorso. Secondo i dati della Sita Ricerca, società di ricerche sul settore tessile, fatto 100 il totale delle spese degli italiani in abbigliamento, il 3,5% avviene negli outlet, mentre nel 2003 era il 2%. Un +45% in un mercato che, fanno sapere da Sita, è fermo da anni. In questo dilagare di villaggi e cittadelle, le aziende che gestiscono gli spazi da affittare alle note marche di abiti si sono specilizzate nei target e hanno messo a punto diverse strategie per conquistare i clienti.
È il caso di McArthur Glen, società che fattura 400 milioni di euro grazie ai centri di Serravalle Scrivia, Castel Romano e da ultimo Barberino del Mugello, che punta soprattutto al target dei giovani e ai turisti.
´Per il lancio di un factory outlet center applichiamo un piano ben preciso diviso in tre fasi', spiega il direttore marketing Cesare Nonnis Marzano, ´i mesi antecedenti l'apertura ci dedichiamo ad attività di below the line e pubbliche relazioni. Dopo l'inaugurazione parte la campagna pubblicitaria prevalentemente su radio e affissioni per informare il pubblico locale e investiamo circa 3 milioni di euro in due anni. L'ultima fase, detta di consolidamento, è dedicata a due tipi di eventi. Nella prima fase organizziamo grandi eventi come concerti per attirare tanta gente e far conoscere la location. Nella seconda fase ci concentriamo su eventi più articolati come la ´Settimana del jazz', che durano sette giorni dalla mattina alla sera. La finalità è di far venire il pubblico e offrire un intrattenimento che consenta di passare anche dai negozi e fare shopping'.
Stessa passione per le griffe, ma interessi diversi per il target a cui mira Fox Town con tre centri in Svizzera e che recentemente ha aperto il quarto outlet a Shangai, in Cina.
´L'outlet è frequentato da diverse fasce sociali', racconta Silvio Tarchini presidente e fondatore, ´ma la maggioranza dei nostri visitatori sono persone con elevata disponibiltà economica. Non è più come anni fa quando l'outlet era una scelta per risparmiare. Oggi le signore si organizzano per venire insieme e spendono cifre importanti'. Foxtown, in linea con il suo target alto, è l'unico a offrire oltre allo shopping un casinò aperto dalle 11 del mattino fino a notte fonda che nel 2005 ha fatturato 80 milioni di euro.
Infine c'è la strategia cosiddetta turistica. Castel Guelfo, con 1,6 milioni di visitatori e 38 milioni di fatturato nella provincia bolognese, fa leva sulla posizione strategica per raccogliere i turisti, italiani e stranieri, in vacanza sulla Riviera romagnola. Così le campagne pubblicitarie e le promozioni sono diverse a seconda della stagione. ´D'estate si punta alla promozione sulla spiaggia, nei locali, discoteche, parchi acquatici e alberghi', spiega Margherita Macchia, responsabile marketing. ´D'autunno si realizzano operazioni di co-marketing in collaborazione con i comuni limitrofi promuovendo eventi, mostre, sfilate e spettacoli nel centro commerciale', conclude Macchia.

 

successivo   (rimborsabilità spese omega 3)

 

 

 

 

 

Omega 3: rimborsabilità

La rimborsabilità, attraverso il S.S.N , degli Omega 3 ( Seacor, Eskim, Eapent) è recentemente cambiata. Il Ministero della Salute ha stabilito che tali farmaci siano sottoposti alla nota 13.

Si riporta la nota 13 in tutta la sua interazza:

 La prescrizione a carico del SSN è limitata ai pazienti affetti da :

-dislipidemie familiari:

 benzofibrato, fenofibrato, gemfibrozil, simfibrato;

atorvastatina, fluvastatina, pravastatina, rosuvastatina, simvastatina;

omega 3 etilesteri.

-ipercolesteolemia non corretta dalla sola dieta:

·         in soggetti a rischio elevato di un primo evento cardiovascolare maggiore (rischio a 10 anni maggiore o uguale 20% in base alle Carte di Rischio del Progetto Cuore dell'Istituto Superiore di Sanità) (prevenzione primaria);

·         in soggetti con coronaropatia documentata o pregresso ictus o arteriopatia obliterante periferica o progresso infarto o diabete (prevenzione secondaria),

atorvastatina, fluvastatina, pravastatina, rosuvastatina, simvastatina;

-in soggetti con pregresso infarto del miocardio (prevenzione secondaria);

omega 3 etilesteri

 Limitatamente all'utilizzo degli alti dosaggi di atorvastatina (40 mg) e di rosuvastatina (40 mg), la prescrizione e la rimborsabilità sono consentite, solo su diagnosi e piano terapeutico di strutture specialistiche delle Aziende Sanitarie, allo scopo di una più adeguata valutazione delle tollerabilità e del profilo di beneficio-rischio.

 L'uso dei farmaci ipolipemizzanti deve essere continuativo e non occasionale. lo stesso, comunque, va inserito in un contesto più generale di controllo degli stili di vita (alimentazione, fumo, attività fisica, etc.).

La strategia terapeutica ( incluso l'impiego delle statine) va definita in base alla valutazione del rischio cardiovascolare globale e non di ogni singolo fattore di rischio, facendo riferimento alle Carte di rischio Cardiovascolare elaborate dall'Istituto superiore di Sanità all'interno del Progetto Cuore. Le carte di rischio dell'ISS saranno sottoposte a continua variazione ed aggiornamento e sono collegate con un progetto di ricerca denominato RiACE (Rischio Assoluto Cardiovascolare_Epidemiologia) promosso dall'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) in collaborazione con il ministero della salute e le Regioni per verificare nella pratica assistenziale della Medicina Generale la trasferibilità, l'applicabilità, i carichi assistenziali e gli esiti della prevenzione cardiovascolare primaria e secondaria.

 Motivazioni:

Le dislipidemie familiari sono malattie su base genetica a carattere autosomico (recessivo, dominante o codominante a seconda della malattia) caratterizzata da elevati livelli di alcune frazioni lipidiche del sangue e da una grave e precoce insorgenza della malattia coronarica. le dislipidemie sono state finora distinte secondo la classificazione di Frederickson, basata sull'individuazione delle frazioni lipoproteiche aumentate. Più recentemente è stata proposta una classificazione basata sull'eziologia molecolare e sulla patofisiologia delle alterazioni lipoproteiche (chilomicronemia, disbetalipoproteinemia, iperlipemia combinata, ipertrigliceridemia, carenza della lipasi epatica, ipercolesterolemia, difetto di ApoB100). La rarità di alcune di queste forme, la complessità delle classificazioni e dell'inquadramento genetico e l'elevato rischio di eventi cardiovascolari precoci suggeriscono di fare riferimento a centri specializzati cui indirizzare i pazienti ai quali viene formulata una ipotesi diagnostica di dislipidemia familiare. Per pazienti con diagnosi familiare tutti i farmaci ipolipemizzanti sono in fascia A.

Ipercolesterolemia non corretta dalla sola dieta in soggetti a rischio elevato di un primo evento cardiovascolare a maggiore rischio a 10 anni uguale o maggiore 20% in base alle carte di rischio del Progetto Cuore dell'Istituto Superiore di Sanità.

Nelle malattie cardiovascolari non è individuabile una causa unica. sono noti diversi fattori che aumentano nella persona il rischio di sviluppare la malattia e predispongono l'organismo ad ammalarsi. I più importanti fattori sono: abitudine al fumo di sigaretta, valori elevati di colesterolemia, ipertensione arteriosa, età e sesso e, inoltre, la scarsa attività fisica, l'obesità e la familiarità della malattia.

l'entità del rischio che ogni persona ha di sviluppare la malattia dipende dalla combinazione dei fattori di rischio o meglio dalla combinazione dei loro livelli.

Vengono considerati a rischio elevato i soggetti che, in base alla combinazione dei 6 principali fattori (età, sesso, diabete, fumo, valori di pressione arteriosa e di colesterolemia), abbiano un rischio uguale o maggiore del 20% di sviluppare un evento cardiovascolare nei successivi 10 anni. tale rischio può essere stimato utilizzando la carta del rischio cardiovascolare elaborata dall'Istituto Superiore di sanità (Progetto Cuore www.cuore.iss.it). sarà al giudizio del medico modulare verso il basso la stima di rischio (obesità, ipertensione, diabete). In tali casi, il medico potrà decidere quale o quali trattamenti farmacalogici privilegiare, anche in base ai livelli dei diversi fattori di considerati, non essendo proponibile assumere medicine per ognuno di essi.

Solo per due molecole (pravastatina e simvastatina) è stato dimostrato che la riduzione dell'ipercolesterolemia è associata alla riduzione dell'incidenza di eventi coronarici. Per le restanti molecole si dispone solo dell'end-point surrogato della riduzione del colesterolo.

 

successivo   (pericoli e vantaggi del'investimento in borsa)

 

 

 

 

 

 Investire in borsa

 

Pubblichiamo in anteprima un estratto del prossimo libro di Salvatore Gaziano, direttore investimenti di BorsaExpert.it. Professionalità, esperienza, acume e buonsenso a disposizione di risparmiatori e investitori, da parte di analista e gestore che il mercato lo vive e lo conosce da tempo

Occorre quindi prima di tutto chiarirsi le idee sulla strategia da adottare e prevedere a priori come ci si comporterebbe di fronte a un evento negativo come quello determinato da una perdita ampia e prolungata.

Mi è capitato diverse volte in questi anni di parlare di argomenti come la “propensione al rischio”, notando come molti risparmiatori di fronte a questi aspetti abbiano le idee confuse, confondendo mezzi con fini, obiettivi con speranze, realtà con fantasia.
Cosa è la propensione la rischio? La definizione classica ci dice che è il livello di rischio accettabile dall'investitore, ottenuto combinando l'andamento storico dei mercati finanziari con l'orizzonte temporale manifestato. In parole povere è capire quanto il vostro “stomaco” e il vostro patrimonio possono sopportare periodi di apnea con rendimenti negativi.
La propensione al rischio è insomma definibile per ciascun individuo ed è legata anche ad elementi soggettivi, come l'età, la professione, il capitale disponibile, gli obiettivi futuri. E soprattutto la reazione psicologica a fasi avverse.
Nella realtà calcolare la propensione al rischio di un risparmiatore non è così facile come spesso viene fatto apparire poiché lo stesso risparmiatore è capace di dare risposte “sinceramente” diverse con mercati diversi. Frequentissimi i casi osservati di risparmiatori che con Borse in discesa (si pensi a fasi come il periodo marzo 2000-ottobre 2002 dove la discesa cumulata dei mercati azionari è stata di oltre il 55%) dichiaravano (complici le perdite subite) ora una bassissima propensione al rischio mentre negli anni precedenti (si pensi al periodo ottobre 1998-marzo 2000) quando le Borse avevano segnato un +105% si dichiaravano (con mercati stile toro scatenato) più coraggiosi di un leone e disposti a investire tutto quello che potevano in azioni e strumenti speculativi.

Una definizione di propensione al rischio non classica ma più comprensibile è quanto siamo disposti a perdere al massimo nelle fasi tendenzialmente ribassiste. Se questa cifra è il 5% o il 10% del nostro capitale vale la pena ricordare che in questi ultimi 33 anni la volatilità massima (la distanza fra massimi e minimi, ovvero quanto avremmo perso nell’ipotesi che avessimo investito nel momento peggiore) dei mercati azionari è stata superiore al 50% per la Borsa italiana. Quella media di circa il 20%.
L’analisi di Jeremy Siegel sugli ultimi 165 anni delle Borse USA, escludendo il periodo 1929-1939, ha indicato la volatilità media dei listini intorno al 14%.


Una volatilità media del 20% per un investitore azionario, anche di medio-lungo periodo, non va trascurata. Tradotta sul proprio capitale significa che in presenza di un rendimento atteso del 5% vi è, una probabilità elevata (circa il 66%) di un rendimento compreso fra due estremi, definiti da una diminuzione dei prezzi del 15% e da un aumento del 25%. Se il rendimento atteso finale è invece del 10%, i due margini intorno al quale il capitale possono oscillare dal –10% al + 30%.

Se una discesa del 10-15% può esasperarci e fare saltare i nervi forse è meglio stare alla larga delle azioni. Se invece, un’oscillazione anche vistosa (+ o – 20%) dei corsi viene vissuta come un fatto normale, senza forti turbamenti, l’investimento in azioni può essere compatibile col profilo di rischio. La volatilità dei mercati azionari non va trascurata e spiega più di ogni indicatore il perché in Borsa nelle fasi di forti rialzi molti investitori vengano prima attratti dalle possibilità di mirabolanti guadagni mentre poi ai primi forti ribassi fuggono a gambe levate. Ed è anche la migliore spiegazione del “premio” che le azioni hanno regalato agli investitori di lungo periodo per la pazienza e coerenza dimostrata.

Una volatilità che per l’investitore di Piazza Affari è stata in certi periodi ben superiore al 20% che rappresenta solo una media. Secondo l’andamento dell’indice Comit un risparmiatore che avesse, infatti, investito a Piazza Affari sui valori massimi della primavera del 1973, nel maggio 1981, nel maggio 1986 o nel marzo 2000, infatti, avrebbe visto il suo capitale successivamente ridursi di oltre la metà negli anni successivi prima di rivedere il capitale iniziale investito risalire.
Questo investendo cioè su un paniere o fondo che replica abbastanza fedelmente l’andamento complessivo di Piazza Affari. Un andamento abbastanza simile negli ultimi decenni a quello di altre Borse internazionali (compresa quella USA) per la crescente globalizzazione dei mercati finanziari.


Le stagioni della Borsa…

Sostenere che “entrare ai massimi” è un esercizio puramente accademico e che non esistono così tanti investitori sfortunati, purtroppo, è un’obiezione facilmente smontabile. A ogni ondata di rialzo, al punto vicino all’apice si registra il maggior numero di sottoscrizioni di quote di fondi azionari o di acquisto di azioni da parte dei risparmiatori. I forti rialzi attirano come api al miele legioni di risparmiatori sospinti in questa scelta da giornali, esperti, promotori e banche che bene conoscono vizi e virtù del presunto homo economicus. “L’uomo razionale – come il mostro di Loch Ness – è stato visto parecchie volte, ma fotografato molto di rado” osserva con acume David Dreman, gestore dall’approccio “contrarian”.

E si alimenta così una micidiale serie di circostanze concatenate in un perverso effetto causa-effetto: i mercati partono lentamente al rialzo nell’indifferenza e nello scetticismo dei più dopo un prolungato periodo di stasi; il rialzo chiama rialzo; i giornali iniziano a parlare in modo crescente dell’andamento della Borsa e dei progressi registrati dalle azioni; molti risparmiatori si sentono attirati dalla sirena dei guadagni facili; le società di capitali collocano in Borsa un numero crescente di nuove aziende e lanciano massicciamente nuovi prodotti finanziari e fondi specializzati; l’euforia contagia uno strato crescente di risparmiatori attirati dai guadagni messi a segno nella convinzione di poterli replicare con facilità; i fondi d’investimento incrementano di mese in mese la raccolta e dirottano i flussi verso la Borsa, spingendo al rialzo le azioni; l’euforia raggiunge il punto massimo e…. Arriva il crollo.

Si scopre improvvisamente che le valutazioni delle azioni sono troppo “tirate”; alcuni operatori iniziano a disfarsi delle azioni a qualsiasi prezzo; la forte discesa preoccupa altri risparmiatori che si accodano alle vendite; la discesa spinge molti risparmiatori a richiedere indietro ai fondi quanto avevano investito nei mesi precedenti; i fondi sono costretti ad accrescere le vendite di azioni per star dietro al crescente numero di riscatti; i giornali parlano in modo sempre più allarmato della crisi della Borsa mentre nubi sembrano addensarsi anche sulle economie come dicono chiaramente gli indicatori economici; le nuove società che volevano quotarsi in Borsa si diradano all’orizzonte e alcune delle matricole recentemente collocate viaggiano a prezzi molto distanti dal debutto; tranne rimbalzi passeggeri la sfiducia prende piede fra gli investitori con scambi sempre più modesti e prezzi in discesa; i resoconti trimestrali delle società mostrano dati in discesa, inferiori alle previsioni più ottimistiche formulate nei mesi precedenti e questo alimenta nuove vendite; scandali finanziari inattesi arrivano a turbare il clima già negativo con tonfi anche clamorosi fra le ex reginette del listino; ci si avvia verso il punto più basso delle Borse in un clima di depressione vera e propria nel quale l’investimento azionario viene sempre più sconsigliato a favore dell’investimento obbligazionario “tranquillo”; inizia una fase di apparente stasi dove i mercati lentamente riprendono a salire con alcuni investitori che tornano a accumulare posizioni…
E così riparte la “giostra”.

La Teoria di Dow

La successione ciclica delle fasi di Borsa è proprio il fondamento della “Teoria di Dow” di Charles Dow e del suo successore Robert Rhea, i padri dell’analisi tecnica. Una teoria che si prefiggeva di prevedere, ma ancora meglio sfruttare i movimenti di mercato, attraverso l’osservazione scientifica dei prezzi. Che si muovono secondo precise fasi. Secondo l’analisi dei cicli di Borsa in un primo momento avviene, infatti, la cosiddetta “accumulazione” ossia una particolare attività di acquisto espletata soprattutto dalle “mani forti” che non hanno problemi di liquidità e intervengono soprattutto quando i prezzi sono più bassi. In questo periodo, che può durare anche qualche anno, le istituzioni che controllano maggiormente il mercato, anche perché sono meglio informate sulla situazione economica e sulle prospettive delle aziende, cominciano ad acquistare i titoli più convenienti imitati da un certo numero di investitori che hanno intuito la situazione. Mancando pertanto la massa, il mercato si muove lentamente verso l’alto, con oscillazioni anche forti nel medio termine.

La seconda fase è la “convinzione”ossia il momento in cui la maggior parte degli operatori istituzionali e degli investitori che seguono costantemente il mercato si è convinta delle possibilità di una buona crescita economica e pertanto cominciano ad acquistare in modo più aggressivo. In questa fase i risultati di chi ha iniziato a investire durante il periodo dell’accumulazione si fanno interessanti e la stampa e i mass media iniziano a parlare in modo più sistematico della Borsa, pubblicando le performance ottime dei fondi d’investimento così come previsioni interessanti per il futuro. La terza e ultima fase del rialzo è la “speculazione” o “euforia”, temuta e riverita da tutti gli analisti tecnici, perché si sa dove inizia ma non si sa mai quando finisce. Coincide con l’entrata in massa degli investitori sul mercato spinti dalle notizie sempre più positive riguardanti l’economia e gli utili societari. Altro motore importante sono i guadagni di molti investitori entrati nelle fasi precedenti che ora incrementano l’approccio più speculativo (anche con capitali a prestito o strumenti derivati a leva), rinfrancati dai successi precedenti e convinti che nulla potrà andare storto. Di fatto le quotazioni iniziano a crescere smisuratamente e i titoli a sopravvalutarsi ampiamente rispetto alle valutazioni storiche per quanto non mancano le voci di economisti e analisti che spiegano che siamo in presenza di una fase nuova.

Un giorno un evento anche casuale o di poco conto rompe questo scenario di “luna di miele” del mercato con gli investitori e arriva il crollo, prima parte della fase successiva, che è quella della “distribuzione”, ossia la vendita di titoli da parte delle mani forti, che si sviluppa su ogni rialzo a partire dal crollo iniziale, impedendo al mercato di raggiungere nuovi massimi. Dopo questa fase arriva il “panico”, contraddistinto da vendite massicce dalla maggior parte degli investitori, che si sviluppa generalmente in seguito alla rottura di un supporto importante per il lungo termine in coincidenza spesso di un evento esterno. In ultima analisi abbiamo la fase della “frustrazione” o “depressione”, durante la quale anche gli ultimi perdono le speranze e vendono con perdite pesantissime, sicuri che il mercato continuerà a scendere e che la Borsa è finita…

Generalmente si tratta degli stessi investitori che avevano acquistato ai massimi prima del crollo. I fondi subiscono pesanti riscatti, ma le prospettive economiche non sono più così negative tanto che le aziende quotate spesso più piccole iniziano a presentare dati economici in netto miglioramento. Si ricomincia con l’accumulazione e in questo alternarsi delle “fasi di Borsa” secondo la teoria di Dow un aspetto importante è assegnato anche ai volumi scambiati dai titoli che confermano o smentiscono il passaggio nelle varie fasi. Maggior volume corrisponde a maggior interesse verso il mercato mentre volumi bassi indicano l’opposto.


Fra paura e speranze…

Possono sorprendere le analogie presenti in molti mega-rialzi e mega-ribassi ma l’andamento ciclico dei mercati e delle economie è un fatto acquisito; meno diffuso fra i risparmiatori spesso la comprensione di come l’andamento dei prezzi sia legato strettamente non solo ai dati economici ma anche al “sentiment” di tutti gli operatori.
A fianco all’analisi fondamentale (che ricerca il “giusto prezzo” attraverso l’analisi dei bilanci e degli indicatori macro-economici) delle società quotate si è sviluppata non a caso l’analisi tecnica che prescinde nella ricerca dell’andamento dei titoli da qualsiasi analisi economica, concentrandosi esclusivamente sull’andamento dei prezzi. La Teoria di Dow formulata oltre un secolo fa dimostra che la maggior parte degli investitori di Borsa si muove spesso secondo una successione “seriale”.
E appare sempre incredibilmente attuale il pensiero formulato nel 1923 (nel libro “Reminescences of a Stock Operator”) da Edwin Lefèfre sull’esperienza di Jesse Livermore, trader ante-litteram per cui “non c’è mai nulla di nuovo in Borsa. Non ci può essere perché la speculazione è vecchia come le colline”. Ciò che accade sul mercato oggi, è accaduto prima e accadrà ancora”. Ovvero “in nessun luogo la storia si concede repliche così spesso e così uniformemente come a Wall Street. Quando si leggono racconti di crescite improvvise o situazioni di panico colpisce con particolare evidenza la differenza minima fra speculazione azionaria e gli speculatori azionari di oggi e di ieri. Il gioco non cambia e non cambia nemmeno la natura umana”.

I movimenti dei prezzi in Borsa secondo Martin J. Pring, analista tecnico fra i più importanti al mondo, riflettono non altro che “le speranze, le paure, la conoscenza, l’ottimismo e l’avidità del pubblico degli investitori”. La somma di questi sentimenti viene espressa dal livello di prezzo tanto che diversi esperti (da J.M. Keynes a Garfield Drew) sono arrivati a formulare un concetto abbastanza simile a quello pirandelliano della supremazia dell’apparire sull’essere. I prezzi delle azioni sono espressione non di quanto valgono i titoli, ma di quanto la gente pensa che valgano.

Ritornando a parlare di propensione al rischio, se il 10% di perdita del vostro patrimonio vi può ottenebrare, se volete investire in azioni e dormire sonni più tranquilli nelle fasi “orso” in Borsa non dovreste ragionevolmente investire più del 20% del vostro capitale.
Il grande gestore Peter Lynch nella lettera ai sottoscrittori del suo fondo ricordava sempre la tendenza del suo Magellan, campione di performance, a essere come una barca costantemente “sotto il rischio di essere inondata dalle acque molto agitate”, ovvero a perdere più del mercato nelle fasi negative. Un modo per preparare i suoi sottoscrittori alle inevitabili fasi difficili e di burrasca dei mercati azionari. Le fasi di risalita successiva hanno sempre premiato abbondantemente i suoi sottoscrittori: ma solo quelli che erano rimasti investiti e non erano scappati. Per questo motivo anche Lynch ricordava sempre il monito di Warren Buffett: le persone che non possono tollerare di vedere le loro azioni perdere il 50% del loro valore non dovrebbero possedere titoli anche tramite fondi d’investimento.

Salvo che non facciate parte di quella schiera di investitori che pensano che la Borsa vada solo su e voi con la Borsa al ribasso siete così in gamba che vi sbarazzerete in un lampo di tutti i titoli. Una presunzione che è costata cara a investitori considerati geniali e onnipotenti (con patrimoni di qualche migliaia di milioni di euro) e che dovreste togliervi dalla testa per il bene delle vostre finanze.

 

successivo   (i fondi di investimento)

 

 

 

 

 

ll contenuto degli articoli non costituisce sollecitazione al pubblico risparmio.  Si declina ogni responsabilità su eventuali inesattezze dei dati riportati. Chiunque investa i propri risparmi prendendo spunto dalle indicazioni riportate lo fa a proprio rischio e pericolo.

Fondi comuni d'investimento: gli azionari

Sono definiti “azionari” quei fondi comuni che possono investire il capitale esclusivamente in azioni. Mentre un investitore privato di solito acquista soltanto alcuni titoli, un fondo azionario abitualmente possiede un gran numero di titoli, appartenenti a settori molto diversi tra loro, e così facendo riduce il rischio associato all’eventuale andamento negativo di un singolo titolo. Un fondo azionario, inoltre, può investire in titoli di mercati particolari, anche magari non facilmente accessibili ai privati (si pensi ai mercati orientali).

Conviene acquistare fondi azionari? E’ realmente preferibile rispetto all’acquisto di un ventaglio di singoli titoli? Vediamo di fare chiarezza e capire come funziona un fondo azionario.

La figura centrale è quella del gestore del fondo. E’ suo compito scegliere i titoli da inserire nel fondo e modi e tempi con cui intervenire in acquisto e in vendita. Naturalmente ci sono gestori più o meno capaci, e cercheremo di capire come fare a valutare le qualità di un gestore (se ci sono).

Una prima cosa che è bene verificare prima di acquistare un fondo azionario è, quindi, la performance del fondo nei 3-5 anni precedenti. Ma come si fa a valutare la bravura del gestore? Esiste un parametro di riferimento, il cosiddetto “benchmark”, che è un indice medio di rendimento di un dato mercato.

Facciamo un esempio per chiarirci le idee. Supponiamo che ci venga proposto l’acquisto di un fondo azionario sui mercati dell’Estremo Oriente, perché il promotore X ci decanta le magnifiche prospettive delle economie di quella parte del mondo. Il nostro amico promotore ci dice: “L’anno scorso il fondo ha reso un ottimo 10 % e quest’anno farà ancora meglio…”, e noi? Dobbiamo credergli? Quanto hanno reso in media i mercati dell’Estremo Oriente? Se andassimo a vedere il “benchmark” e scoprissimo che il rendimento medio di quei mercati è stato – per ipotesi - del 15 %, vedremmo subito che il gestore non si è comportato affatto bene, ha fatto peggio della media e quindi è stato un cattivo gestore. Il confronto con il benchmark è indispensabile per ogni fondo che si rispetti e la legge impone che venga specificato chiaramente all’atto della sottoscrizione: purtroppo, nel caso degli azionari, la grande maggioranza dei fondi esce dal confronto stesso con le ossa rotte.

La seconda cosa che è bene tenere a mente, nel momento in cui si sottoscrive un fondo qualsiasi, ed azionario in particolare, sono i costi. I costi sono di tre tipi:

costi all’ingresso (una percentuale fissa del capitale investito),

costi di gestione (una percentuale annua) e

costi di performance (il gestore si prende il premio se, secondo lui, è stato bravo). Forse vi arrabbiereste se sapeste che, nella maggior parte dei fondi azionari, questi costi superano abbondantemente il 2 % all’anno (a volte arrivano anche al 4 %), e questo anche se il gestore ha fatto peggio del benchmark… E’ quindi indispensabile, prima di acquistare, sapere quanto costa un fondo: spesso c’è una differenza di centinaia o anche di migliaia di euro tra un prodotto finanziario e l’altro.

La terza considerazione riguarda i fondi azionari che investono in paesi con una valuta diversa dalla nostra. In questo caso, al rischio legato all’andamento dei mercati, si sovrappone il cosiddetto “rischio di cambio”, cioè il rischio che l’euro aumenti di valore rispetto alla valuta dei titoli in cui avete investito. E’ il caso, nel 2003-2004, del mercato americano, il cui ottimo recupero è stato completamente annullato, per un investitore italiano, dall’apprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro.

Esistono in commercio molti fondi, specializzati su un’area geografica  o su un particolare settore, come ben sa chi ha perduto i propri risparmi nei fondi high-tech dal 2000 in poi.

Prima di sottoscrivere ogni fondo azionario, bisogna fare molta attenzione ai tre fattori indicati sopra e chiedersi: non ci sono alternative?

 

successivo  (gli E.T.F.: cosa sono e i vantaggi)

 

 

 

 

Il contenuto degli articoli non costituisce sollecitazione al pubblico risparmio.  Si declina ogni responsabilità su eventuali inesattezze dei dati riportati. Chiunque investa i propri risparmi prendendo spunto dalle indicazioni riportate lo fa a proprio rischio e pericolo.

 

ETF: strumento utilissimo, ma non pubblicizzato...

Da un paio d’anni sono presenti in Italia gli ETF, una categoria di fondi ancora poco conosciuta. ETF è l’acronimo di “exchange traded funds”, cioè “fondi scambiati sul mercato” e questa è in effetti la maggiore peculiarità: un ETF è contemporaneamente un fondo d’investimento e un titolo scambiato in borsa, esattamente come se fosse un’azione.

La prima caratteristica di un ETF è quindi la facilità di contrattazione: è possibile comprarlo o venderlo in borsa al prezzo di mercato in ogni momento.

La seconda caratteristica fondamentale di un ETF è il collegamento assoluto all’indice di riferimento. L’ETF del MIB40, ad esempio, replica pedissequamente l’andamento del MIB40, diversamente da un fondo di investimento azionario in cui il gestore sceglie quali titoli acquistare e quali no.

La terza caratteristica è il notevole risparmio sui costi rispetto a un fondo comune del cosiddetto “risparmio gestito”. Le spese annue sono inferiori allo 0,5 % del capitale, non ci sono spese di ingresso, di performance o di trasferimento da un fondo all’altro, mentre recenti analisi hanno calcolato nel 2,5 % del capitale la media delle spese annue sostenute per un singolo fondo di investimento tradizionale.

L’ultima caratteristica – non meno importante – è la possibilità di vendere un ETF allo scoperto, cosa che non è possibile con i fondi d’investimento tradizionali. Se siamo negativi su un certo mercato, possiamo tradurre in concreto le nostre idee.

Come per i fondi di investimento, esistono numerose categorie di ETF che fanno riferimento ai mercati azionari e obbligazionari di tutto il mondo. In Italia al momento sono quotati circa 30 ETF e la lista è disponibile sul sito di
Borsa Italia.

Gli ETF sono convenienti per molti motivi ma la pubblicità che hanno ricevuto è scarsissima, dal momento che tutta l’industria bancaria e finanziaria spinge sui fondi di investimento, sui quali lucra cospicue commissioni senza fornire in realtà – tranne rari casi – un concreto valore aggiunto al cliente.

 

successivo   (fondo obbligazionario)

 

 

 

 

 

Il contenuto degli articoli non costituisce sollecitazione al pubblico risparmio.  Si declina ogni responsabilità su eventuali inesattezze dei dati riportati. Chiunque investa i propri risparmi prendendo spunto dalle indicazioni riportate lo fa a proprio rischio e pericolo.

Fondi obbligazionari

In precedenza si è parlato di fondi azionari e come gli ETF siano più convenienti e più efficienti dei normali fondi comuni. Prima di trattare di altri tipi di fondi è bene chiarire che cos’è una obbligazione (in inglese: bond).

L’obbligazione – come ben sanno le migliaia di persone rimaste vittima dei casi Argentina, Cirio e Parmalat – è semplicemente un prestito, in cui una delle due parti chiede denaro a prestito (l’emittente) e l’altra (il sottoscrittore) offre questo denaro in cambio di un interesse. I rendimenti vengono progressivamente maturati durante il corso del prestito, a scadenze prefissate, mentre, al termine del periodo di durata dell’obbligazione, tutto il denaro prestato viene restituito.

Quindi, diversamente dall’azionista, che è proprietario di una quota della società in cui ha investito, il possessore di obbligazioni è semplicemente un creditore della società stessa e riceverà un interesse prefissato nel momento in cui ha sottoscritto l’obbligazione.

Che cosa è successo nei casi sopraccitati? In parole molto povere, dopo aver chiesto ingenti prestiti agli investitori, le società (o lo Stato argentino) non sono più state in grado nè di pagare gli interessi, né tantomeno di restituire il capitale preso a prestito.

Questo rischio – il rischio di insolvenza da parte di chi emette il bond - esiste sempre quando si sottoscrive un’obbligazione, e di solito è il rendimento stesso del bond a dirci se il rischio è alto o no. Bisogna diffidare, quindi, da chi offre tassi molto superiori al mercato… lo fa perché diversamente non riuscirebbe ad ottenere denaro, e ciò a sua volta avviene perché i conti della società hanno qualcosa di poco chiaro...

Fanno parte delle obbligazioni anche i titoli di Stato, come BOT, CCT, etc. In questi casi è lo Stato italiano che si impegna a pagare un tasso di interesse, con un meccanismo ben noto, ma sono moltissimi gli Stati che emettono bond, ed il rendimento di questi ultimi è inversamente proporzionale alla fiducia che la comunità degli investitori ripone nella solidità finanziaria dello Stato emittente.

Esiste uno strumento che consente a tutti di valutare questa solidità di cui stiamo parlando, ed è il cosiddetto “rating”. Il rating è un voto che alcune società anglosassoni indipendenti danno a gran parte degli emittenti: più è alto e più si possono dormire sonni tranquilli. Obbligazioni senza rating sono estremamente pericolose e la storia recente è costellata di decine e decine di emissioni senza rating finite male per i sottoscrittori.

Un’ultima nota riguarda, anche in questo caso, la valuta: acquistare obbligazioni societarie o titoli di Stato di paesi fuori dall’area dell’euro comporta il rischio ulteriore che la moneta di riferimento del bond si svaluti rispetto all’euro. Può anche accadere il contrario, ma – com’è noto – la legge di Murphy è sempre in agguato.

 

I casi Argentina, Cirio e Parmalat hanno costretto le istituzioni finanziarie italiane a cambiare le regole per la commercializzazione delle obbligazioni societarie e dei paesi “a rischio”.

Che cosa succedeva prima? Le banche acquistavano “all’ingrosso”, cioè al momento dell’emissione, un ventaglio di obbligazioni con i più diversi profili di rischio. In seguito, se durante la vita del bond intravedevano un aumento del rischio, cercavano di vendere le obbligazioni stesse sul “mercato secondario”, cioè al pubblico indistinto dei risparmiatori. Essendo la cultura finanziaria di questi ultimi prossima allo zero, questi hanno acquistato in maniera per lo più inconsapevole titoli obbligazionari ad alto rischio, scaricati dalle banche proprio per questo motivo. Le banche stesse hanno ammesso questa situazione nel momento in cui hanno tentato di rifarsi il trucco con una serie di iniziative per risarcire gruppi di investitori.

Che cosa succede ora? La Banca d’Italia ha impedito alle banche di vendere al pubblico le obbligazioni a più alto rischio. Non solo, molte obbligazioni di nuova emissione presentano ora una soglia minima d’ingresso (50 o 100 mila euro), che le tiene lontane da gran parte delle famiglie italiane.

E’ stata fatta una scelta. Anziché contribuire all’aumento della cultura finanziaria dell’investitore medio, per impedire che gli stessi errori vengano ripetuti si è preferita una sorta di “proibizionismo finanziario”. Col risultato indiretto di favorire la raccolta da parte dei fondi comuni d’investimento.

 

successivo   (i bot)

 

 

 

 

 

Cos'è un BOT?  (Buoni Ordinari del Tesoro)

 

I BOT, Buoni Ordinari del Tesoro, sono titoli di credito emessi dal Tesoro al fine di finanziare il debito pubblico nel breve termine. Tali strumenti presentano quindi una vita di 3, 6 o 12 mesi. Alla scadenza l’investitore riceve una somma di denaro pari al valore nominale complessivo dei titoli posseduti. In altre parole l’incasso a scadenza è noto al momento dell’acquisto dei titoli.
La remunerazione dell’investimento è data dalla differenza tra il valore nominale del titolo (che abbiamo detto essere il prezzo di rimborso) ed il prezzo di acquisto; in altri termini l’investitore pagherà in sede di sottoscrizione una minore somma rispetto a quanto incasserà a scadenza. Da un punto di vista squisitamente tecnico l’interesse, che quindi non consiste in un vero e proprio pagamento di somme di denaro a favore dell’investitore, è considerato anticipato: a conferma vi è il fatto che la ritenuta fiscale sugli interessi viene applicata già al momento della sottoscrizione.
I BOT rientrano nella tipologia di titoli “zero coupon” (senza cedola).
L’emissione è la fase in cui il titolo inizia la sua vita, quando passa dalle mani dello Stato (emittente) all’investitore (sottoscrittore) tramite il suo intermediario (acquisto nel mercato primario). L’emissione avviene tramite asta a cui partecipano gli intermediari autorizzati, ed il prezzo che si determina in questa asta viene detto prezzo di emissione.
Generalmente si ha un'emissione a metà e alla fine di ogni mese. Nel prossimo articolo ci occuperemo nel dettaglio dei meccanismi di asta.
La compravendita di un BOT in un istante intermedio della sua vita, invece, avviene generalmente sul Mot, il mercato telematico delle obbligazioni e dei titoli di Stato. Su tale mercato si trovano quindi titoli aventi una certa vita residua, ad un prezzo corrente di mercato (quotazione) che quasi sicuramente sarà diverso da quello di emissione.
La massiccia diffusione dei BOT e la presenza del mercato regolamentato Mot, rendono questa tipologia di strumenti finanziari estremamente liquida: normalmente è sempre possibile trovare numerosi compratori e venditori.
Il rendimento a scadenza del titolo, come detto, deriva dalla differenza tra prezzo di acquisto o di emissione e prezzo di rimborso. Ad esempio, nel caso di un BOT a dodici mesi con prezzo di emissione pari a 97, il rendimento a scadenza su ogni titolo sarà di 100 - 97 = 3 euro, cioè pari al 3.09% annuo. Nel caso in cui la vita del BOT sia minore di 12 mesi, la formula di calcolo, per ottenere il rendimento effettivo a scadenza annualizzato è leggermente più complessa:

Esempio bot 1

 

Moltiplicando il risultato per cento si otterrà la percentuale che indica il corrispondente rendimento annuo, cioè il rendimento che si otterrebbe in un anno reinvestendo i proventi ottenuti
alle medesime condizioni iniziali.
Da notare che in questo caso il rendimento a scadenza è noto a priori. Stessa operazione matematica va effettuata nel caso in cui si acquisti il titolo sul mercato secondario: l’unica differenza è che ovviamente il denominatore è rappresentato dal prezzo di acquisto e non dal prezzo di emissione.
Il calcolo del rendimento in caso di vendita sul mercato secondario è:

 

Esempio Bot 2

 

Il rendimento annuo a scadenza è un rendimento garantito e incorporato nel titolo stesso. Nel caso di decisione di vendita prima del termine della vita del titolo, invece, ci si espone ad un rischio: l’investitore, infatti, non conosce al momento dell’acquisto il profitto che potrà lucrare, dal momento che questo dipenderà dal prezzo stabilito dal mercato nel momento della liquidazione della posizione.

Il collocamento dei Buoni Ordinari del Tesoro avviene normalmente tramite asta competitiva cui possono partecipare operatori professionali, tra cui le Banche che poi potranno rivenderli ai loro clienti. Infatti la tranche minima che ogni soggetto ammesso a partecipare all'asta può richiedere deve ammontare ad almeno 1.5 milioni di euro, un importo decisamente elevato per i piccoli risparmiatori italiani

BOT - Parte SecondaTale strumento di aggiudicazione prevede (a differenza dell’asta marginale) che ogni richiesta rimanga aggiudicataria al prezzo proposto. Ogni operatore può presentare al massimo 3 domande differenziate nel prezzo di almeno un millesimo di punto percentuale. La richiesta massima presentabile è pari al quantitativo offerto dal Tesoro in asta, mentre la minima, come si diceva è di un milione e mezzo di euro. Le domande rimangono segrete fino alla fase di aggiudicazione.

Nel caso – così frequente da essere considerato ormai la norma – che la domanda superi l’offerta, vengono soddisfatte in primo luogo le richieste a prezzi più alti e poi in maniera decrescente le altre, fino al completo esaurimento della quantità offerta.

Al fine di disincentivare la presentazione di offerte a prezzi eccessivamente bassi, viene calcolato un prezzo di esclusione (PE) al di sotto del quale le domande di sottoscrizione non sono considerate. Per evitare che i titoli abbiano rendimenti troppo bassi e quindi siano sconvenienti per i risparmiatori viene posto anche un limite superiore al prezzo, detto prezzo massimo accoglibile (PMA).

Per ottenere il Prezzo di Esclusione viene calcolato il rendimento corrispondente al prezzo medio ponderato delle richieste che coprono la prima metà dell'ammontare offerto e viene aumentato di 100 basis point (cioè di un punto percentuale). Il prezzo corrispondente a questo rendimento è il prezzo di esclusione.


Il PMA è calcolato sul prezzo medio ponderato della seconda metà dell'importo nominale emesso. Al rendimento corrispondente a tale prezzo medio ponderato si sottraggono 25 punti base (0,25 %) e il prezzo relativo a tale rendimento sarà il PMA.

Nel caso in cui un operatore invii una richiesta con un prezzo superiore a 100 il prezzo sarà considerato pari a 100.

Un decreto del Ministro del Tesoro obbliga l’intermediario a garantire ai sottoscrittori privati il prezzo medio ponderato risultante dall’asta; ne consegue che l’eventuale maggior/minor prezzo pagato dall’operatore, rispetto a quello medio ponderato, costituisca una perdita/utile per il medesimo.

Il tutto può essere chiarito con un esempio. Ipotizziamo che vi siano solo tre operatori partecipanti ad un’asta per 1000 milioni di euro di BOT annuali: la Banca del Nord, la  Cassa del Centro e il Credito del Sud. I tre partecipanti presentano le seguenti richieste espresse in migliaia di euro ai prezzi indicati:

bot

Le proposte di acquisto vengono ordinate in maniera decrescente:

Il PMA viene calcolato sulla seconda metà dell'importo nominale emesso che è 500. Si considerano quindi le proposte Banca del Nord 300 a 97.20 e Cassa del Centro 200 a 97.18. Il prezzo medio ponderato utile ai fini delcalcolo è ((300*97,20) + (200*97,18))/500 = 97,19, pari ad un rendimento del 2.89%. Sottraendo a questo i 25 bps otteniamo 2.64% che è il rendimento relativo al prezzo massimo di acquisto: 100/(1 + 2,64%) = 97,42

Il prezzo di esclusione è invece calcolato sui 400 milioni richiesti da Cassa del Centro a 97.23 e sui 100 milioni di Banca del Nord a 97.20. Il prezzo medio ponderato necessario per il calcolo è di 2.855%; aggiungendo a questo 100 bps otteniamo il rendimento relativo al prezzo di esclusione (3.855%). Il prezzo di esclusione è 96.29.

esempio bot 4

Tutte le offerte sono comprese tra PMA e PE e quindi risultano tutte valide e vengono inserite nel sistema.

I titoli verranno così assegnati: l'offerta più alta è quella di Cassa del Centro (97,23), che per tale prezzo otterrà i 400 milioni di euro in titoli richiesti. I titoli assegnabili rimasti sono 600 milioni: il secondo miglior prezzo è quello di Banca del Nord (97,20), che per tale prezzo otterrà i 400 milioni di euro in titoli richiesti. Rimangono quindi 200 milioni: se li aggiudicherà Cassa del Centro, con la sua offerta di 97,18; in realtà la quantità richiesta era di 300 milioni ma essa supera i 1000 milioni di euro di quantità massima. In sintesi: Banca del Nord sottoscrive 400 milioni, Cassa del Centro sottoscrive 600 milioni, mentre Credito del Sud non sottoscrive nessun titolo.

Esempio 4

Il prezzo medio ponderato d’asta, che il sottoscrittore pagherà, è invece pari a 97,208.

 

successivo    

(vicenda telecom, come si è giunti allo stato di fatto)

 

 

 

 

 

VICENDA TELECOM: CHE FARE?

 

DA “Il Giornale” del 23 settembre: (Scrive Maddalena Camera )

“Giornata pesante in Borsa per il gruppo che fa capo a Marco Tronchetti Provera. Sia Pirelli (-3,34%) sia Telecom (-2,01%) sono scese ieri a piazza Affari. La società della Bicocca è stata la peggiore «blue chip» della giornata. Il titolo è appesantito dallo scandalo delle intercettazioni e dall'incertezza sul futuro dell'azienda delle tlc controllata al 18% tramite Olimpia. Gli analisti di Centrosim ritengono che «le indiscrezioni sulle divergenze di vedute tra il neo presidente Guido Rossi e l'ex numero uno di Telecom Italia, Tronchetti Provera, sull'opportunità di vendere o meno Tim e lo scandalo delle intercettazioni condizionano l'andamento dei titoli della galassia penalizzando anche le società a monte della catena di controllo». Secondo un altro operatore invece «la Borsa è stanca delle alterne vicende di Telecom e dunque vende» (...)”
Commento: il polverone politico sollevato prima dalle “incomprensioni” tra Tronchetti Provera e Prodi e poi dal piano della Presidenza del Consiglio per ristatalizzare la rete fissa (legittimo ma incauto) ha un po’ cancellato la sostanza del problema del gruppo Telecom Italia: i debiti dell’azionista di riferimento.

L’ammontare della posizione debitoria non è in sé eccessivo, tuttaltro, è del tutto in linea con quello delle altre compagnie europee ex-monopoliste. La vera peculiarità di Telecom Italia – che deriva ancora dall’OPA lanciata nel 1999 da Colaninno & c. – è che esiste un gruppo di controllo privato che gestisce le sorti della società con una fortissima leva finanziaria. Quando Tronchetti Provera e i Benetton hanno rilevato le quote da Colaninno, nel 2001, hanno “ereditato” il debito e pensavano di sfruttare gli utili della società per ripianarlo nel tempo; il punto è che hanno pagato per le azioni Olivetti un prezzo troppo alto (equivalente a circa 4 euro per azione Telecom attuale) ed ora sono costretti a “consolidarle” nel bilancio di Olimpia a un prezzo doppio rispetto a quello di mercato, cosa che fino all’anno scorso hanno potuto evitare grazie alla presenza di Intesa ed Unicredit nell’azionariato.

Il problema, in parole povere, non sta nell’andamento del gruppo, che macina utili soprattutto grazie a TIM, ma nell’andamento del titolo, schiacciato verso i 2 euro. Tronchetti ha tentato con Murdoch la strada dell’ingresso di nuovi soci nel capitale, ma il magnate australiano, in cambio dell’acquisto di azioni Telecom e dell’incorporazione simultanea di Sky, voleva un controllo paritetico che Tronchetti non poteva dare, anche per motivi politici. A questo punto la via obbligata, in assenza di nuovi soci di minoranza, è la vendita di asset importanti del gruppo, o la rete fissa a fondi di investimento e alla Cassa Depositi e Prestiti (il mostro di cui abbiamo già parlato e nel cui capitale sono presenti lo Stato e le fondazioni bancarie) oppure addirittura TIM ad acquirenti tutti da definire.

In ogni caso è imperativa la valorizzazione delle attività di Telecom ed è questo il motivo per cui, a nostro avviso, liquidare le azioni Telecom in questo momento non è affatto una buona idea, anzi, con la prudenza che in Borsa è sempre d’obbligo, si possono tentare alcuni acquisti. TIM potrebbe essere nuovamente collocata sul mercato e ne beneficerebbero tutti gli azionisti Telecom.

 

successivo   (riciclaggio pneumatici)

 

 

 

 

 

Riciclare i pneumatici? Una situazione complessa, ma potrebbe esserci una soluzione innovativa.

Che cosa faremo dei vecchi pneumatici, ora che non possono più essere bruciati o abbandonati?

Si possono, per esempio, riciclare le ferrovie abbandonate e ottenere nuove strade (strette strette…)

Problema 1:

dal 7 di Luglio una legge della Comunità Europea ha reso illegale bruciare i pneumatici usati o seppellirli nelle discariche  quindi occorrerà trovare il modo di disporne in altro modo.

Problema 2:

Nel Regno Unito languono abbandonati più di 10.000 chilometri di linee ferroviarie chiuse in una massiccia operazione di taglio costi negli anni 60 (costringendo la popolazione a usare maggiormente l’auto e quindi a consumare più pneumatici che ora sono da riciclare)

Problema 3:

Le strade del Regno Unito (come quelle di buona parte del mondo) sono congestionate e costruirne di nuove è complicato e costoso.

Mescolando insieme questi tre problemi e alcune decine di milioni di pneumatici da riciclare annualmente in Gran Bretagna, potrebbe nascere una soluzione radicalmente innovativa – o almeno così la pensa la Holdfast, un’azienda inglese specializzata in pavimentazioni per linee ferroviarie. La proposta dell’azienda è di riciclare (con poche emissioni inquinanti) i pneumatici per trasformarli in pannelli. E di incastrare questi pannelli fra le rotaie abbandonate. Pavimentando quindi la linea ferroviaria in disuso, in modo da renderla transitabile da veicoli privati o pubblici. In questo modo, argomentano, si potrebbero costruire rapidamente ed economicamente, migliaia di chilometri di nuove strade. O meglio riaprire antichi percorsi, riscattandoli dall’abbandono e smaltendo un po’ di traffico in più.

I numeri presentati dall’azienda sono interessanti: con 350,000 pneumatici si costruisce più di un chilometro e mezzo di superficie – una pavimentazione tra l’altro molto silenziosa e resistente a velocità di transito fino a 80 km/h. Sfruttando percorsi già tracciati e massicciati, la velocità di costruzione della strada sarebbe fulminante: in un test gli operai dell'azienda sono stati in grado di posare quasi 60 metri di pavimentazione al giorno, con una squadra di sole quattro persone – estendibili in un prossimo futuro a 180 metri al giorno. Tutto ciò porterebbe a una notevole convenienza economica: se posare una strada nuova costa circa 28 milioni di sterline al miglio, ripavimentare un binario (triste e solitario) coi pneumatici usati potrebbe costare circa un settimo della cifra.

Esistono chiaramente dei limiti e delle controindicazioni all’adozione del progetto su larga scala. Tanto per cominciare oltre 1600 chilometri di ferrovie abbandonate sono già state ricondizionate e incorporate nel sistema nazionale britannico di piste ciclabili. Un'altra porzione di vecchie ferrovie partono da luoghi dove ormai non vive nessuno e arrivano in posti dove nessuno vuole più andare. E un gran numero di percorsi sono a binario unico: portando quindi alla potenziale costruzione di strade ad una sola corsia ad immediato intasamento.

L'area di maggiore potenziale appare quindi la ripavimentazione di ex-ferrovie all'interno di zone urbane, per trasformarli in percorsi per bus e tram, incentivando l'uso del mezzo pubblico e alleggerendo comunque il traffico. Si tratterà ora di vedere i risultati dei test di resistenza della pavimentazione su un percorso sperimentale – per capire ogni quanto sarebbe necessario sostituire i pannelli derivati dai pneumatici (l'azienda spera ardentemente che, messi alla prova, i suoi pannelli abbiano un chilometraggio superiore a quello delle gomme da Formula 1).

 

successivo   (vietato fumare, ma anche bere in azienda)

 

 

 

 

 

Da oggi nelle aziende italiane non sarà più solo vietato fumare ma anche bere.

Lo prevede la normativa 125/2001 che vieta la somministrazione e il consumo di bevande alcoliche nelle aziende.

Obiettivo: la tutela e la sicurezza sul posto di lavoro.

Qualcuno (leggi) é già corso ai ripari per non togliere ai propri dipendenti il piacere di una birra fresca.

Da settembre nei distributori e nelle mense di Fiat Auto saranno disponibili le bottiglie di Birra Moretti Zero, la birra italiana a gradazione alcolica zero lanciata sul mercato quest’anno da Heineken Italia.

Il claim del progetto scelto da Fiat Auto è "Noi scegliamo 0% alcol, 100% sicurezza".

Previste, inoltre, degustazioni dedicate ai dipendenti e momenti di informazione sul prodotto e sulle modalità ottimali di consumo negli stabilimenti e nelle sedi operative del Gruppo.