Il
brigantaggio in Capitanata
La caduta dei Borboni
ed il plebiscito del 21 ottobre
del 1860 (nel quale la popolazione foggiana si mostrò compattamente
favorevole all'Unità d'Italia) sancirono il definitivo
avvento del nuovo Stato Unitario, la cui ufficialità
venne proclamata il successivo 17 marzo 1861.
La realizzazione dell'unificazione italiana fu il frutto
del sapiente lavoro di
Camillo Benso conte di Cavour
il quale ebbe il merito di saper amalgamare in un unico
progetto le aspirazioni e gli interessi della varie
forze politiche in campo.
Tuttavia, molto storici sono concordi nell'attestare la
rilevanza del peso del fronte moderato, espressione della
borghesia italiana, negli equilibri politici del nuovo
Stato unitario. Un primato che di fatto contribuì a
rendere ininfluente il peso politico delle classi
popolari che pagarono tra l'altro il costo del processo
di industrializzazione che stava investendo il paese.
Queste dinamiche nel meridione d'Italia non tardarono a
manifestarsi nella loro effettiva concretezza ed è per
questo che ai primi entusiasmi post_unitari fece
ben presto eco il disincanto verso il nuovo ordine.
Le condizioni di profonda arretratezza nel quale
versavano gli oltre 7.000.000 di abitanti del Sud della
penisola (quasi un terzo della popolazione totale
italiana) rendevano improbabile una agevole transizione
verso nuove forme di equilibrio sociale ed economico
nell'intero territorio meridionale, dove peraltro la presenza ingombrante del latifondismo rendeva
assolutamente improponibile la cosiddetta quotizzazione
delle terre demaniali e conseguentemente una minore
sperequazione nella distribuzione della ricchezza.
Il risultato fu che le grandi masse di braccianti
agricoli già provate da decenni di difficoltà durante la
dominazione borbonica, sentirono ancor più la
frustrazione del mancato affrancamento dalla miseria e
della incapacità di intravedere un riscatto dalla
loro condizione.
La situazione di estrema gravità costituì il terreno
fertile per la propaganda reazionaria che non perse
occasione per fomentare la sommossa popolare contro la
Casa Savoia, rea di aver - nella sostanza - trascurato
gli interessi delle masse agrarie, in favore di quelli
della borghesia latifondista, della quale la Destra
storica ne era l'autentica espressione politica.
Con la repressione nei confronti di chi, in qualche
modo, era stato colluso con il vecchio regime o che si
era reso colpevole di attività sovversiva contro le
nuove istituzioni, ebbe inizio quella intensa attività
clandestina che passò alla storia sotto la definizione
di brigantaggio.
Il fenomeno che investì principalmente le aree
dell'Irpinia, della Basilicata e del Casertano, si
manifestò con grande intensità anche in Puglia ed in
particolare in
Capitanata.
Guidati da capi più o meno carismatici (ex-braccianti o ex-soldati
borbonici), i briganti di
Capitanata
imperversarono, negli anni tra il 1861 ed il 1865, le zone le zone montuose del Gargano e e le
campagne del
Tavoliere, organizzando innumerevoli
incursioni contro i ricchi proprietari terrieri.
L'errore strategico commesso inizialmente dai
rappresentanti del nuovo Stato unitario fu quello di indugiare e
sottovalutare il fenomeno, ridimensionando l'attività del
brigantaggio ad una mera questione di ordine pubblico
derivante da rigurgiti reazionari di vecchi nostalgici
del regime borbonico.
Nella realtà, il brigantaggio di
Capitanata,
pur partendo da presupposti cospirativi, si rivelò ben
presto in tutta la drammaticità di un profondo disagio
sociale, assumendo livelli tali da indurre le
istituzioni di Casa Savoia a rivedere le politiche di
intervento sociale e militare nel territorio del
Tavoliere
Michele Caruso, uno dei più celebri briganti di
Capitanata
Nonostante il tentativo delle forze
governative di rimediare allo stato di fatto per
contenere la recrudescenza del fenomeno,
tutto il territorio dauno cadde sotto i colpi di
una cruenta guerra civile che fece registrare in tre zone
particolari altrettanti focolai di grande intensità: la
zona a nord del Fortore, ai confini con il Molise e la Campania, la zona del Gargano e il sub_appennino dauno.
Il fenomeno del brigantaggio nella zona di Foggia e
dell'alto
Tavoliere, pur manifestandosi nella atrocità
di alcuni episodi, si mantenne su
livelli meno intensi rispetto ad altre zone della
provincia in quanto, da un lato la conformazione del
territorio mal si prestava agli agguati a sorpresa
(tattica preferita dalle bande brigantesche), dall'altro
il controllo delle forze governative
fu più massiccio in ragione di un maggior dispiegamento
di truppe dell'esercito tra Foggia e
San Severo
Quanto alla consistenza numerica del fenomeno di
Capitanata
esistono diversi studi (tra i più autorevoli
quello dello storico Giuseppe Clemente) che stimano un numero di bande presenti sull'intero territorio
della provincia di Foggia pari a 350, ognuna delle quali composte
tra le 100 e le 400 unità, che nella stragrande
maggioranza dei casi erano giovani tra i venti e i
quarant'anni.
Le bande più famose erano quelle legate ad alcuni dei capi più
carismatici del brigantismo dauno: da Michele Caruso a
Giuseppe Cretinetti (più noto con l'appellativo di
Coppola Rossa); da Crocco a Schiavone; da La Gala a Pasquale Romano;
da Vitullo ad Angelo Maria Lo Zumpo e all'unica "brigantessa"
famosa,
Filomena Pennacchio, oltre ad altri noti
fuorilegge che imperversavano nelle campagne del
Tavoliere
forti dell'appoggio dei reazionari borbonici, ma anche
della connivenza della Chiesa, costantemente preoccupata
dalla minaccia al potere temporale costituita dalla
politica "laicista" del nuovo stato unitario.
Altri volti noti del brigantaggio di Capitanata. Da
sinistra Crocco, Schiavone e Filomena Pennacchio
Come detto, lo scontro fra brigantismo e truppe
dell'esercito sabaudo raggiunse nei cinque anni di vita
del fenomeno in
Capitanata,
livelli di atrocità altissimi con conseguenze disastrose
da entrambe le parti.
Uno degli
episodi più cruenti è menzionato in una delle
opere più famose di
Carlo Villani.
Lo storico nella sua "Cronistoria di Foggia"
racconta i dettagli raccapriccianti della vicenda
dell'agguato perpetrato nel bosco dell'Incoronata
alla diligenza di uno dei signori del luogo, Felice Zicari,
e nel quale vennero trucidati i suoi due figli ed altri
quattro componenti della
spedizione.
L'eccidio, pur provocando una straordinaria indignazione
nella popolazione foggiana, non riuscì a determinare
l'auspicata svolta repressiva nei confronti della forza
devastante del brigantismo.
A nulla valsero i proclami e le minacce dei maggiori
rappresentanti del governo locale; in primo luogo i
generali Cialdini e Fucino.
I primi sintomi di una concreta lotta al
brigantaggio si ebbero quando il generale Pallavicino
impresse una svolta nella politica repressiva di questo
fenomeno.
Le carceri di
Capitanata
cominciarono a riempirsi dei principali artefici di
delitti e dei loro fiancheggiatori, ma molti
studiosi sono concordi nell'affermare che la fine del
brigantaggio ebbe origine laddove il fenomeno non
trovava più terreno fertile, ovvero quando le condizioni
della popolazione agricola migliorava
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