L'Albero

L'albero: forse il legame più forte con la natura!

Fantasie, dicerie, tradizioni, usi favole e leggende!

Da sempre l'uomo ha un rapporto conflittuale con questo essere vivente, ma da sempre non può farne a meno.

Notizie e curiosità, pensieri ed impressioni!

Per i tecnici del settore, invece, le informazioni relative all'albero in tutti i suoi aspeti di gestione e manutenzione possono essere consultate nell'Area Riservata.

Gli alberi dei boschi, quelli dei nostri frutteti e dei nostri parchi hanno una storia lunghissima; essa ha lasciato nel folclore tracce che presto si perderanno, perché stiamo perdendo il rispetto che i nostri antenati avevano per loro. Se vogliamo evitare il massacro che minaccia le nostre foreste, dobbiamo ritrovarlo. Ciò non rappresenta una semplice nostalgia, ma una necessità di giorno in giorno più pressante. Riconoscere il ruolo essenziale degli alberi nella vita della Terra, nella nostra e anche nel nostro inconscio, rammentarsi le loro leggende, quindi le loro virtù, è forse il modo migliore per salvarli. Le credenze che le fecero nascere esprimono un'antica saggezza, e quelle che si considerano superstizioni di solito non sono altro che i frammenti sparsi di una scienza antichissima, che ha cessato di essere incompatibile con quella moderna da quando la biochimica ha finalmente spiegato perché l'ombra del noce poteva essere funesta, perché la corteccia del salice protegge dai reumatismi, o come mai la linfa della betulla elimina l'acido urico. La fitoterapia odierna rimette in vigore antichi rimedi, spesso altrettanto attivi e comunque meno pericolosi delle droghe chimiche. L'etnobotanica va ancora più oltre, perché si dedica a raccogliere, prima che sia troppo tardi, la considerevole somma di rimedi vegetali ignoti a tutti, ma utilizzati con successo da popolazioni che consideriamo selvagge.
La riscoperta di queste pratiche può acquistare tutto il suo significato, e quindi la sua efficacia, solo se parallelamente si riesumano i principi loro sottesi. Fondati sul carattere sacro degli alberi, questi costituivano un sistema coerente, i cui elementi oggi dispersi sono i pezzi di un rompicapo che si tratta di ricomporre. Questi elementi sono i dati trasmessi dal folclore, nel quale sussistono in forma di credenze che si sono potute qualificare come superstiziose, non senza una parvenza di ragione, visto che il loro fondamento era effettivamente scomparso. Ricordiamo che prima di prendere il senso peggiorativo che ha in italiano, superstitio voleva dire in latino "venerazione religiosa, rispetto del sacro", e che il folclore non è altro che il relitto, spesso irriconoscibile, di un'autentica tradizione. Se si risale in questa direzione, si ritrovano i lineamenti di una sorta d'ordine universale che, associando gli alberi agli dei, presentava in maniera mitologica tutto quanto si sapeva delle virtù proprie alle diverse essenze, del ruolo complementare che ciascuna di esse svolgeva nella vita terrestre e poteva svolgere nella vita stessa dell'uomo. Questo sistema di corrispondenze, che univa il soprannaturale e la natura, risale alle remote origini della nostra civiltà.

L'albero

Per quanto possa sembrare strano, la prima difficoltà si incontra proprio nel definire che cosa sono gli alberi. Nel linguaggio comune si usano distinguere le piante superiori in erbe, arbusti e alberi, designazioni queste di categorie morfologiche che sembrano apparire di ovvio significato. In realtà, se si esamina più da vicino il vasto poliformismo del regno vegetale, ci si accorge presto che non esistono distinzioni nette e inequivoche tra queste categorie, ma che si passa dall'una all'altra per stadi transizionali non sempre agevolmente definibili, così che talora riesce difficile ascrivere una pianta all'una o all'altra delle su menzionate categorie.
Una disamina approfondita del problema ci porterebbe troppo lontani dall'assunto, ma in termini convenzionali sono da considerare alberi quelle piante legnose che hanno un fusto perenne ben definito, che a pieno sviluppo presentano cioè un asse principale (fusto o tronco) prevalente sulla massa delle ramificazioni, il quale raggiunga un diametro di almeno 5 centimetri ad altezza di petto e un'altezza di almeno 5 metri; i rami si sviluppano in alto sul tronco a formare una chioma o corona fogliosa variamente conformata a seconda delle specie.
In contrapposto sono da considerare arbusti quelle piante legnose che si presentano ramificate per lo più sin dalla base, nelle quali cioè la massa dei rami predomina sull'asse principale. In questo caso il fusto primario può non superare in dimensioni i fusti secondari e la pianta assume allora un aspetto cespuglioso.
La distinzione tra alberi e arbusti, se pure sancita dall'uso e dalla consuetudine, è dunque convenzionale, in quanto esistono gradualità di passaggi tra gli uni e gli altri, non solo, ma variazioni nelle condizioni di ambiente (clima, terreno) possono a toro volta determinare fluttuazioni tra queste due categorie: specie che dì norma sono arbustive possono, in condizioni di particolare favore, assumere sviluppo e portamento arboreo e viceversa. E altresì riconoscibile uno stadio arbustivo nella maggior parte degli alberi quando si trovano in stato giovanile.
Tutto ciò spiega la ragione per la quale l'elenco delle specie arboree non è rigidamente definito, ma subisce variazioni in più o in meno a seconda degli ambienti per i quali viene redatto e anche dall'interpretazione dei diversi autori.
L'albero, nel suo più completo sviluppo, è una delle manifestazioni più imponenti della Natura, che può essere espressa in termini di longevità, di altezza e di diametri. In termini di longevità, ricordiamo le età massime raggiunte:

  • Sequoia sempervirens (California): da 5000 a 7000 anni;
  • Taxodium mucronatum (Messico): 4000;
  • Juniperus occidentalis (California): 3000;

e per le specie indigene:

  • Castagno: da 2000 a 3500;
  • Cipresso, Tasso: 2000;
  • Peccio, Cirmo: 1200;
  • Farnia: 1000;
  • Abete (bianco): 800;
  • Lance, Pino silvestre: 600;
  • Tiglio: 500;
  • Faggio: 350.

In termini di altezza, le maggiori segnalate sono:

  • Sequoia sempervirens (California): m 120;
  • Eucalyptus amygdalina (Australia): m 112;


e per le specie indigene:

  • Abete (bianco): m 75;
  • Peccio: m 60;
  • Larice: m 57;
  • Cipresso: m 52;
  • Pino silvestre: m 48:
  • Faggio: m 44;
  • Pioppo bianco: m 40.

In termini di circonferenza, ricordiamo:

  • Baobab (Africa): m 46;

e per le specie indigene:

  • Castagno: m 20;
  • Platano: m 15;
  • Tiglio: m 9;
  • Farnia: m 7:
  • Tasso: m 5;
  • Rovere: m 4;
  • Abete (bianco). Cipresso, Olmo: m 3;
  • Peccio, Faggio: m 2.

Limitatamente alle nostre specie indigene e in rapporto alle condizioni ecologiche dei climi temperati, si usano designare alberi di prima grandezza quelli che raggiungono o superano i 30 m in altezza, alberi di seconda grandezza quelli che si innalzano da 20 a 30 m, alberi di terza grandezza quelli che non riescono a superare i 20 (25) m, e piccoli alberi quelli che arrivano al massimo a 8 (10) m d'altezza.
Gli alberi descritti e illustrati nelle schede sono quelli tipicamente indigeni della flora legnosa italiana, ma sono state tenute in considerazione anche alcune specie estranee alla nostra flora aborigena, le quali, da lungo tempo introdotte nel nostro Paese, vi si sono acclimatate e vi si riproducono spontaneamente, così da dover essere ormai considerate come naturalizzate.
La successione e descrizione della specie è fatta in ordine sistematico, con l'indicazione di caratteri differenziali, scelti tra quelli di più facile riconoscimento, che possono permettere la classificazione, ove appena si disponga di materiale idoneo e sufficiente.
Nella parte speciale sono state redatte le descrizioni morfologiche delle singole specie, abbastanza particolareggiate e su schema conforme ai fine di agevolare ragguagli comparativi. Per ogni specie illustrata è precisato l'areale primario e in succinto la distribuzione geografica in Italia, con informazioni sulle esigenze ecologiche per il più razionale impiego in selvicoltura, arboricoltura e altre finalità applicative.
La distribuzione altitudinale è sinteticamente delineata in funzione dei climax vegetazionali cioè per piani e orizzonti di vegetazione, secondo l'inquadramento tradizionale.

Seguono informazioni sui caratteri del legno e le sue applicazioni, nonché su altri prodotti di pratica utilità.
Per quanto riguarda le utilizzazioni del legno nel l'industria cartaria, si ricorda che più o meno tutte te specie legnose, in quanto contengono elevate percentuali di cellulosa, possono essere impiegate. I prodotti fibrosi impiegati in questa industria costituiscono la "pasta per carta" e vanno distinti in due grandi settori: la pasta chimica e la pasta meccanica.
La pasta chimica, a seconda del liscivio impiegato per il trattamento, si distingue in pasta al bisolfito, al monosolfito, alla soda, ecc.; è difficile dire quale pasta chimica sia la migliore, perché ciò dipende sia dalle specie legnose di partenza, sia dalle caratteristiche della lisciviazione. Per paste ottenute con il processo acido, al bisolfito di calcio, si usano quasi esclusivamente gli abeti, perché poco resinosi, e le latifoglie. Con i processi alcalini si possono trattare tutti i legni disponibili, anche se molto resinosi come i pini. Un tempo i processi acidi erano preferiti perché il materiale fibroso ottenuto era più facilmente imbiancabile; oggi si ottiene una buona imbiancabilità anche con i materiali fibrosi ottenuti mediante i processi alcalini. La pasta chimica si chiama correntemente "cellulosa" e ciò per indicare il suo principale componente. Quando la cellulosa non viene impiegata per l'industria della carta ma per scopi chimici, cioè viene destinata a diventare nitrocellulosa, acetato di cellulosa o altri esteri della medesima, dopo l'imbianchimento si effettuano dei trattamenti alcalini che hanno lo scopo di eliminare le ultime tracce di lignina rimaste e di elevare il tenore di alfa-cellulosa; questo trattamento sì chiama "nobilitazione" e "nobile" la cellulosa ottenuta.
La pasta meccanica si ottiene con procedimento esclusivamente fisico; a tal fine si utilizza solo legno di tronchi mediante sfregamento di questi contro mole di pietra naturale o artificiale in presenza di acqua. La pasta meccanica si chiama correntemente "pastalegno". Le specie preferite sono gli abeti, il pioppo e in genere tutti i legni chiari, teneri, privi di resina e di odori molesti. Da qualche tempo si sono poi sviluppate le cosiddette paste semichimiche o mezzepaste, che non sono da confondere con la mezzapasta di straccio. Queste paste semichimiche si ottengono con deboli procedimenti chimici ai quali seguono procedimenti meccanici di ulteriore sfibratura o disintegrazione dei fasci fibrosi.




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