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Approfondimento
Federazione Scacchistica Italiana
Guida Tecnica

3. LE BASI DELL’EFFICIENZA CEREBRALE  

- La preparazione fisica.
Apparirà sorprendente ad un profano scoprire che un giocatore di scacchi, specie se di alto livello, necessiti di una preparazione fisica speciale e scrupolosa: non si vede come questa possa contribuire al rendimento in un torneo, seppur della durata di 8-15 giorni, con mediamente 5-6 ore di gioco quotidiano, ma interamente svolto in posizione assisa! Forse si suppone, al pari di altre discipline statiche quali il tiro al volo e simili, che la preparazione fisica procuri solo un generico senso di benessere per mantenere al meglio la concentrazione e per combattere la tensione di gara.
In realtà, la durata e l’intensità di un turno quotidiano di gioco e del torneo stesso, affaticano il giocatore di scacchi «quasi» quanto una corsa a tappe affatichi il ciclista! Per entrambi è importante la «tenuta» ovvero la resistenza a compiere sforzi prolungati e tale qualità (cosiddetta condizionale) si ottiene potenziando i sistemi fornitori di energia aerobica, di assunzione e trasporto di ossigeno, ecc., per mezzo di attività blande e prolungate (jogging, passeggiate, nuoto prolungato, ginnastica). I giovanissimi, per loro natura, raramente vanno stimolati al movimento fisico, soprattutto se di tipo ludico, ma non è superfluo sottolineare quanto un’attività fisica eccessiva o che impegni precocemente meccanismi energetici immaturi, possa nuocere alla lucidità mentale per lo studio scolastico o gli scacchi, quanto l’inattività.
Un’attività fisica regolare, non impegnativa e possibilmente divertente, giova a tutte le età; essa andrebbe svolta lontano dai pasti, la mattina o nel tardo pomeriggio (gli scacchisti d’elite, durante un torneo, preferiscono muoversi la sera tardi per rilassarsi e favorire il sonno). Inoltre, in dettaglio, con l’attività fisica si migliora il metabolismo dei neuroni poiché si accresce l’afflusso di ossigeno e zucchero al cervello, si facilita la rimozione delle scorie necrotiche delle stesse cellule nervose, si tonificano alcuni sistemi di neurotrasmettitori aumentando l’utilizzazione di molecole quali noradrenalina e dopamina, si eleva la disponibilità di enzimi necessari all’attività cerebrale, si promuove la liberazione di alcuni neuro-peptidi (tra questi le endorfine), si abbassa il livello delle lipoproteine ad alta densità che nuocciono alla circolazione cerebrale, si diminuisce la secrezione di cortisolo, si combatte la depressione, si abbassa la pressione sanguigna, si riducono le fluttuazioni dello zucchero (gli effetti di queste ultime rappresentano autentiche mine vaganti all’interno dei processi ideativi).
Non è senza motivo quindi che i professionisti di scacchi dedichino scrupolosamente parte del loro tempo alla preparazione fisica. L’astro nascente ucraino Rouslan Ponomariov, di appena 15 anni e già grande maestro, pratica jogging (corsa a ritmo blando) della durata di un’ora, sei giorni su sette; a quest’età pochi specialisti di corsa si impegnano con tale frequenza! Comunque, è proprio verso i 15 anni che la resistenza aerobica o generale ha il suo maggior incremento, raggiungendo la massima capacità verso i diciotto anni. Per proporre gradualmente l’allenamento alla resistenza, si ritiene si possa iniziare a partire dai nove anni. Come già detto, nei giovanissimi sarebbe preferibile sostituire le monotone sedute di jogging con uno dei tanti giochi sportivi di squadra, poiché essi ne sono coinvolti emotivamente divertendosi. Obiettivamente, la corsa rimane però il mezzo più puro per sviluppare la resistenza, anche in rapporto al ciclismo e al nuoto, che pur producendo effetti identici, implicano meccanismi biomeccanici non propriamente ideali per la costituzione muscolare umana. Rispetto agli sport di squadra o individuali - come il tennis - la corsa lenta, inoltre, non stimola sistemi produttori di energia non necessari e dispendiosi, quale l’anaerobico-lattacido che richiede altresì lunghi tempi di recupero.
La corsa prolungata e a lento ritmo (max 140 pulsazioni per minuto) può produrre davvero grandi benefici a patto però che si rispettino le regole precise della teoria dell’allenamento fisio-fisico, meglio se con la guida di un esperto allenatore.
Prima di un programma di corsa, dovrebbero svolgersi solo lunghe passeggiate interrotte ogni tanto da tentativi di jogging; quando si è davvero certi di avere lo spirito giusto, sarà bene sottoporsi a rassicurante visita medica-sportiva e provvedere all’acquisto di idonee calzature. La prima seduta non dovrà superare i 15 minuti; ad andatura costante e ciascun passo non dovrà essere più ampio della lunghezza d’un piede: in tal modo, il ritmo si aggirerà sui 6 minuti per chilometro. Ciascuna seduta potrà essere seguita da brevi esercizi di ginnastica. Per lo stretching, inutile cimentarvisi se non si conosce la metodica adatta (rimane comunque una pratica dubbia). Circa l’abbigliamento, data l’importanza della traspirazione, si raccomanda di coprirsi il meno possibile col caldo e di non esagerare col freddo, evitando assolutamente di indossare tute gommose o simili.
La frequenza delle uscite è trisettimanale, a giorni alterni.
Dopo tre o quattro sedute sui 15 minuti, si passerà a tre o quattro sedute di 20 minuti. Analogamente si giungerà a 25 minuti e quindi a 30 minuti dopo circa un mese. Al termine del secondo mese la performance sarà di 45 minuti e alla fine del terzo sarà possibile correre un’ora come Ponomariov. E’ necessario ribadire che la corsa rappresenta comunque uno stress cui è sottoposto il nostro organismo e l’allenamento graduato e prudente serve a far sì che esso possa essere sopportato senza danno e che produca, infine, meritato benessere. Solo in seguito, l’ormai homo currens potrà aumentare il numero delle sedute settimanali a quattro e contemporaneamente innalzerà gradatamente il ritmo (max 5’ e 30» per chilometro). Solo al termine di un anno si potrà (ma non si ritiene essenziale) eguagliare la performance di Ponomariov: sei sedute la settimana al ritmo presumibile di 5 minuti per chilometro.
Gli esercizi di seguito illustrati sono proposti a compimento di un effettivo programma di fitness, per quei distretti muscolari non direttamente impegnati nella corsa.

  1. Flessioni delle braccia simultanee o alternate. Peso dei manubri (da 1 a 6 kg.) variabile in relazione ad età e grado di evoluzione. Iniziare con 15 ripetizioni per braccio. Intervengono i muscoli flessori avambraccio - braccio.
2.       Slanci laterali da tronco flesso a 90°. Sono impegnati prevalentemente i muscoli posteriori del braccio. Iniziare con 5 ripetizioni.
3.       Slanci completi sul piano frontale. Muscoli interessati: Deltoide, Sovraspinato, Gran Dentato e parte alta del Trapezio. 5 ripetizioni.
4.       Slanci laterali su panca o al suolo. Intervengono: Grande e Piccolo Pettorale, Deltoide e Bicipite. 5 ripetizioni.
5.       Distensioni simultanee o alternate. Intervengono i muscoli deputati all’elevazione della spalla, all’abduzione del braccio, all’estensione dell’avambraccio sul braccio. 10 ripetizioni.
6.       Piegamenti delle braccia, protesi al suolo. Intervengono: Gran Pettorale, Deltoide (anteriore), Tricipite, Anconeo, Gran Dentato. Più i gomiti sono distanti più il carico grava sul Gran Pettorale. 5 ripetizioni.
7.       Flessioni tronco - arti inferiori. Impegno prevalente della parte prossimale del Retto dell’addome. 15 ripetizioni.
8.       Flesso - torsione del tronco a sx e dx. 5 ripetizioni. Muscoli interessati: parte prossimale del Retto e muscoli rotatori del tronco (Obliqui e Intercostali).
9.       Sono interessati in prevalenza i muscoli rotatori addominali. 5 ripetizioni.
10.     Partenza con angolazione coscia - addome a 90° circa. Avvicinare le ginocchia al petto. 15 ripetizioni. Muscoli interessati: parte distale del Retto dell’addome.
- La preparazione mentale.
I neurofisiologi non escludono di poter teorizzare, alla stregua delle discipline ad espressione muscolare, sistemi di allenamento per aumentare le capacità cerebrali, anche a scopo specifico. Tali sistemi potrebbero venire utilizzati anche da adulti ed anziani, nei quali, si è riscontrata una apprezzabile elasticità cerebrale (per quanto molto inferiore a quella del giovane) ma scarsamente considerata nelle sue prospettive di utilizzo a scopi individuali e sociali.
La tomografia ad emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica nucleare (RMN) consentono di visualizzare su un monitor il consumo di ossigeno e di zuccheri dei centri cerebrali impegnati in una data attività; i neurofisiologi ritengono, pertanto, che esercitando in modo globale o selettivo le aree cerebrali che sappiamo implicate in certe funzioni, e modulando lo sforzo in relazione al consumo energetico e quindi di ossigeno, sia possibile tracciare uno schema di allenamento generale.
Gli stessi neurofisiologi si affrettano a precisare che ben pochi sarebbero disposti, al fine di ottenere una mente super efficiente a risolvere problemi complessi d’ogni genere e propongono semplicemente di applicarsi con sufficiente costanza ad attività amene quali: enigmistica, scacchi, bridge, tressette, ecc.
Per quanto riguarda l’allenamento specifico agli scacchi, si potrà, con l’ausilio di modelli specifici collaudati in altri sport, formulare un programma di tal specie: si stabilirà il «modello di prestazione standard» cioè si individueranno i meccanismi cerebrali con relative implicazioni energetiche, impegnati in una competizione tipo, della durata media di cinque ore. Di questo tempo metà è riservata alla riflessione avversaria ma comunque, quando il proprio orologio è fermo, si scruterà la scacchiera alla ricerca di piani alternativi o possibilità nascoste, badando nel contempo a controllare sentimenti disturbanti la concentrazione. Del proprio tempo di riflessione (ad esempio: 2 ore e 30’) parte sarà dedicata alle operazioni di carattere valutativo-strategico con impegno generico della visualizzazione; parte potrà destinarsi al calcolo concreto delle varianti che richiede conclusioni più definite. Il precedente modello di prestazione consentirà di formulare un programma di training sia quotidiano che periodico (settimanale, mensile, annuale) in funzione del proprio grado di evoluzione e delle proprie aspirazioni.
Il citato Ponomariov, ad esempio, gestirà le proprie sei - sette ore quotidiane sugli scacchi in modo diverso dagli altri grandi maestri, assegnando priorità soggettive ai vari aspetti della competizione.
Lo stesso cercherà di fare il dilettante o il neofita, con le dovute proporzioni, nel distribuire i ritagli di tempo libero all’ipotetica preparazione competitiva.
Come per i corridori nella maratona - dove i campioni si contendono titoli e primati mentre la gran massa si accontenta di migliorare la prestazione precedente - negli scacchi, ad una ristretta élite di grandi maestri ben allenati, corrisponde una moltitudine di praticanti il cui scopo è possibilmente divertirsi (detestando perdere) e, in ogni caso, di appartenere alla speciale stirpe degli scacchisti, paghi dell’esaltante sensazione di dominio sul proprio cervello.
- L’alimentazione.
Seguire correttamente i dettami della moderna scienza nutrizionale è fondamentale per il benessere e rendimento psico-fisico. La malnutrizione o le carenze alimentari della prima infanzia possono compromettere irrimediabilmente lo stesso sviluppo cerebrale. Anche nell’età adulta i problemi nutrizionali legati ad un apporto insufficiente di alcune sostanze o ad un cattivo assorbimento possono ridurre le funzioni fino a provocare danni irreversibili.
Da un cervello ben nutrito è garantita capacità di concentrazione anche per lunghi periodi, buona memoria a breve e lungo termine, minore tendenza a crisi depressive, ansia e simili.
Non esistono cibi miracolosi o sostanze speciali che facciano diventare più intelligenti; nei comuni alimenti si trova tutto quanto di cui il cervello ha bisogno. Occorre conoscere tali alimenti e le sostanze da essi ricavate per fornire in momenti normali o speciali, il combustibile ed altro, adatti al buon funzionamento cerebrale. Al cervello, come al resto dell’organismo, occorre fornire energia (zuccheri) ed i precursori per la formazione di neurotrasmettitori (proteine, acidi grassi). Sono necessari, altresì, vitamine, sali minerali, oligoelementi ed enzimi.
Gli zuccheri, detti anche glucidi o carboidrati (si trovano nel pane, nella pasta, nel riso, nelle patate, ecc.) sono utilizzati dal cervello sotto forma di glucosio (tramite digestione); a questi, in casi di emergenza, si associano i corpi chetonici, che sono derivati idrosolubili dei grassi. Un adulto deve fornire circa 200 grammi di glucosio al cervello quotidianamente e regolarmente. In ogni litro di sangue si trovano da 0.5 a 1.1 grammi di glucosio. Se il livello si abbassa fino a 0,4 grammi per litro, si ha ipoglicemia ed il cervello né risente con sintomi quali stanchezza, incapacità di concentrazione, mal di testa, ecc. Tali disturbi, escludendo stati patologici, possono comparire anche per eccessivo intervallo tra un pasto e l’altro, oppure per mancanza di determinati nutrienti, per assunzione incongrua di zuccheri, di alcool, di medicinali, ecc.
Le proteine o protidi sono la materia prima per costruire o riparare i nostri tessuti. Sono costitute da aminoacidi, sostanze versatili che svolgono un grande numero di ruoli (precursori per diversi neurotrasmettitori ed ormoni, partecipazione al nostro DNA, ecc.). Le proteine si trovano principalmente nelle carni, uova, pesce, formaggi e nelle leguminose.
I lipidi o grassi: si potrebbe supporre, visto che il cervello utilizza quasi esclusivamente glucosio e ossigeno, che i grassi non abbiano un’importanza di rilievo nella sua fisiologia; invece, sorprenderà sapere che del nostro sistema nervoso il 50% della sostanza secca è costituito da lipidi o, per meglio dire, da determinate forme lipidiche indispensabili per la formazione ed il buon funzionamento delle membrane cellulari ed altri raffinate funzioni.
Le vitamine, «amine della vita», sono indispensabili anch’esse perché consentono i processi biochimici vitali. Per il cervello sono importanti la vitamina A, quelle del gruppo B (B1, B2, B3, B5, B6. B9, B12, biotina), vitamina C e vitamina E.
I sali minerali e gli oligoelementi sono indispensabili quanto le vitamine ad assicurare la perfetta efficienza psico-fisica e come queste ne occorrono in piccolissime quantità quotidiane. La loro co-presenza necessaria è garantita da una alimentazione giusta e variata.
Delle calorie quotidiane necessarie ad un individuo giovane di peso e corporatura media (circa 2500) il 60% dovrà pervenire dagli zuccheri, il 25% dai grassi, il 15% dalle proteine (la percentuale di queste ultime può lievemente aumentare se si è adolescenti o sottoposti a stress fisici straordinari). E’ risaputo che l’acqua, che è innanzitutto l’ambiente dove avvengono i processi biochimici, non produce calorie. Quotidianamente è necessario ingerire una quantità d’acqua pari a 1-2 litri.
- I neurotrasmettitori.
Tra i circa quaranta neurotrasmettitori, cioè le particelle che permettono le trasmissioni informative da cellula a cellula, la serotonina è nota impropriamente «come ormone della felicità». Ad essa sono attribuite le sensazioni di benessere e di sazietà, l’intervento del sonno, l’atteggiamento socievole e gioioso, il controllo degli stati di depressione, ecc.
Il precursore della serotonina è il triptofano, un aminoacido cosiddetto essenziale (perché non producibile dall’organismo ed è quindi necessario ricavarlo da alimenti quali: latte e latticini, pollame e carni in genere, frutta secca, banane, ananas e fichi).
Il triptofano, per essere assimilato dal cervello, richiede la presenza di altri cinque aminoacidi e per la sua ottimale utilizzazione, quella di carboidrati complessi, in quantità prevalente rispetto a protidi e glucidi.
La tirosina è un precursore per tutto un gruppo di neurotrasmettitori, le catecolamine e precisamente dopamina, adrenalina, noradrenalina, epinefrina, norepinefrina.
In generale, ciascun neurotrasmettitore svolge funzioni ben precise nell’ambito delle sinapsi, sia collaborando sia contrastando gli altri. I neurotrasmettitori forniti grazie alla presenza di tirosina inducono lo stato di sveglia e di attenzione e più precisamente:
     -   capacità di concentrazione;
     -   attenzione;
     -   prevalenza dello stato REM del sonno;
     -   aggressività;
     -   fame e inappetenza (noradrenalina e dopamina);
     -   voglia di azione;
     -   sessualità.
La tirosina si trova in alimenti analoghi a quelli fornitori di triptofano.
- La biometereopatia.
Il campo elettrico atmosferico, specie se sovrabbondante di ioni positivi, può influenzare il campo elettrico dei piccoli neuroni (e quindi i neurotrasmettitori) con effetti indesiderati quali: nervosismo, insonnia, difficoltà a concentrarsi, ecc.
Si intuisce quanto questi disturbi possano nuocere all’ideazione scacchistica, ma purtroppo non esistono, a tutt’oggi, prodotti o meccanismi capaci di isolarci dall’ambiente in cui viviamo, almeno in maniera economica.
Qualcosa si può ottenere osservando ancor più scrupolosamente alcune regole di igiene generale con lo scopo di attutire al massimo l’impatto del «cambio di tempo» con la nostra psiche. E’ bene comunque precisare che molte persone non sembrano accusare i disturbi suddetti; ma, se può confortare parzialmente i biometereopatici, pare che queste persone neanche possano beneficiare degli improvvisi guizzi di genialità dovuti a situazioni climatiche di segno opposto.
- L’igiene generale.
Sarà bene tenere in conto alcune regole di sano vivere, non solo allo scopo di ridurre le influenze climatiche negative.
Come abbiamo visto, una corretta alimentazione deve rispettare la percentuale dei nutrienti nell’ambito dell’apporto calorico totale. Inoltre, occorre evitare di affaticare l’apparato digerente, concentrando gli alimenti in pochissimi pasti, specie nell’imminenza di un impegno intellettuale (esami, concorsi, tornei di scacchi, ecc.). Sarà bene, invece, frammentare l’alimentazione giornaliera in cinque o sei pasti leggeri, tenendo in considerazione l’importanza degli zuccheri, quale fonte privilegiata di energia: perciò pane, pasta o riso vanno consumati fino a due tre ore prima dell’impegno, riservando ad altri orari l’ingestione di alimenti  di diversa natura. Poco prima o durante l’impegno intellettuale non dovrebbe essere permesso che bere acqua o bibita zuccherata con fruttosio, il quale pare sia l’unico zucchero che non produca risposta insulinica (evitando di conseguenza crisi ipoglicemica).
L’alcool andrebbe bandito fino a 24 ore prima dell’impegno. Sul caffè i pareri sono a tutt’oggi controversi: si ammette che possa svolgere un’azione stimolante sul cervello, specie se ingerito occasionalmente e non in serie (rischiando doping da caffeina se >250 mg); in ogni caso, comunque, il suo effetto non è indifferente al sonno, la cui durata è mediamente di 8-10 ore nel giovane e può scendere fino a 5-6 ore nell’adulto o anziano. Il fumo, per quanto molti fumatori sostengano di concentrarsi meglio quando avvolti dalla nube grigio-azzurra, è innegabile che riduca l’apporto dell’ossigeno al cervello e ciò equivale ad una definitiva condanna, senza bisogno di accuse addizionali.
- Le motivazioni. Il controllo emotivo. Il training autogeno.
Il gioco in se stesso, insieme all’agonismo, è la motivazione fondamentale (primaria) del praticante uno sport, ed è anche una delle attività che gratificano maggiormente l’homo ludens.
Il gioco, erroneamente collocato dalla convinzione comune tra le attività infantili, è un’esigenza fondamentale dell’uomo di qualsiasi età, cultura e collocazione storica.
Accanto al gioco e all’agonismo si pongono fattori motivazionali di natura secondaria, il cui grado di influenza e significato varia in relazione alla personalità del soggetto sportivo. Questi fattori possono essere di tipo psico-biologico, psicologico, socioculturale e persino psico-patologico (durante un torneo open di scacchi è possibile osservare tutti i diversi tipi di queste motivazioni, attraverso le mosse di gioco o di atteggiamento dei giocatori partecipanti).
Le emozioni sono direttamente collegate alla natura ed alla intensità delle motivazioni. E’ inevitabile che la spinta a raggiungere un qualsivoglia successo porti con sé una componente affettiva più o meno intensa. Però occorre far sì che questa non ecceda, che non generi un tipo di ansia nociva, oltre modo deleteria ai fini di un risultato sportivo. Bisogna cioè, in caso di necessità, attuare un controllo emotivo, ricorrendo talora a tecniche specifiche.
Nel mondo sportivo, il training autogeno è divenuto ormai pratica di massa, sia per la relativa semplicità di apprendimento, sia per la comprovata efficacia a risolvere problemi psicologici (non patologici) connaturati alla competizione.
Il training autogeno è raccomandato specialmente per i bambini: la loro duttilità e fertilità mentale sono l’ideale per l’iniziazione ad una naturale pratica distensiva che nell’adulto, invece, trova spesso scettica resistenza per la memoria di remote tensioni ansiogene irrisolte.
Spiegato in termini semplici, il training autogeno, tramite l’esecuzione degli esercizi inferiori (calma, pesantezza, calore, cuore calmo, respiro regolare, plesso solare caldo, fronte fresca, esercizi di ripresa) tende a rilassare la barriera del sistema nervoso autonomo (simpatico e parasimpatico) per poter inviare messaggi propositivi direttamente al cervello. In sostanza, si tratta di una forma di autoipnosi. Il training autogeno può essere usato negli scacchi, per sedare stati di ansia generici ma anche specifici, causati, ad esempio, dal timore di giocare con un certo avversario, di affrontare un tipo di posizione non familiare, ecc.
- Gli scacchi in età scolare
Il gioco degli scacchi, in quanto nuova disciplina sportiva, è stato accolto con generale consenso dai responsabili scolastici; talora con perplessa curiosità ma comunque riconoscendone i valori squisitamente educativi. Peraltro, a differenza di altri sport che necessitano di spazi ed impianti di cui non tutte le scuole possono disporre, gli scacchi richiedono semplicemente l’impiego di una normale aula, una scacchiera murale, alcuni giochi completi, pochi orologi da torneo e nient’altro.
Un ulteriore privilegio del gioco degli scacchi consiste nel fatto che, in quanto sport, non solo può essere incluso tra le attività curriculari dell’insegnante di educazione fisica, ma anche tra quelle extra curriculari da parte degli insegnanti delle altre discipline come comprovato mezzo di supporto pedagogico (quest’ultimo impiego è stato già sperimentato in varie scuole italiane per iniziativa di lungimiranti insegnanti di matematica). Ecco quindi che, insolitamente, l’insegnante di educazione fisica non solo può condividere l’esperienza di una disciplina «cerebrale» con i colleghi di latino o matematica, ma persino ottenere da questi una implicita collaborazione agli intenti promozionali negli scacchi.
Programmare allora l’attività di preparazione ai campionati studenteschi (obiettivo ultimo delle attività sportive scolastiche) diventa facile: poiché la scuola rimane aperta durante il pomeriggio per le varie iniziative post-didattiche, si stabiliranno giorni ed orari di istruzione per principianti ed altri per gli iniziati; si organizzeranno gare individuali, a squadre tra classi, con altre scuole; ci si potrà iscrivere ad un torneo per corrispondenza, ecc. I giocatori più bravi potranno iscriversi ad un circolo per affinare le arti scacchistiche e coi loro successi accrescere il prestigio del palmares scolastico.
Non è un sogno: tutto ciò è possibile a condizione che nella scuola operi preferibilmente un insegnante di educazione fisica che conosca sufficientemente gli scacchi e che sia ben lieto di sperimentare la inusuale esperienza. Nel caso in cui il referente preferenziale sia digiuno di scacchi o che siano preposti all’iniziativa insegnanti di altre discipline, sarà necessario l’intervento di un operatore delegato dalla Federazione scacchi allo scopo di sostenere iniziative in fermento o di proporne egli stesso.
- L’istruttore-educatore di scacchi.
In tutti gli sport, agli insegnanti di educazione fisica è riservato un canale privilegiato nei percorsi finalizzati al conseguimento di qualifiche di istruttore o allenatore: ciò non deve sorprendere, essi possiedono i requisiti culturali di base per svolgere tali attività, mentre coloro che pur sono stati grandi campioni, dotati spesso di inclinazione all’insegnamento, non sempre sono sorretti da un sufficiente bagaglio di nozioni di fisiologia, psicologia, pedagogia, metodologia, ecc., necessario per poter trasmettere correttamente i propri vissuti. Tra le qualità richieste all’istruttore di scacchi (centri CAS, scuola, circoli, ecc.) la volontà e la capacità di educare sono preminenti. Egli deve soprattutto tendere a sostenere al massimo lo sviluppo delle potenzialità generali dell’allievo, specialmente se riferite all’intelligenza e alla personalità. Ciò non vuol dire assolutamente rallentare le aspirazioni agonistiche degli allievi, anzi, garantirà loro, al momento della sopraggiunta maturità, il massimo rendimento possibile.
A questo punto potrà subentrare l’allenatore - figura indispensabile negli scacchi, come nelle altre discipline sportive - il cui compito precipuo sarà di preparare l’allievo all’agonismo vivo, mai prescindendo dai principi educativi generali.
- La metodologia d’insegnamento.
Gli insegnanti di scacchi, siano essi educatori o allenatori, dovrebbero necessariamente programmare le sedute di lezioni o di allenamento attraverso una metodologia comune che purtroppo, a tutt’oggi, non esiste. Tutto ciò che i giocatori autodidatti e volenterosi pionieri del campo dell’insegnamento utilizzano sono i riflessi parziali, tratti dai vari libri, di metodologie superate o lontane dalla nostra cultura.
Non è questa la sede per esporre i criteri di una nuova metodologia; ci si limiterà ad alcuni principi fondamentali, gli stessi collaudati con successo in varie altre discipline sportive (ad esempio, nel rugby):
- Utilizzare mezzi didattici il più possibile variati e soprattutto divertenti (solo così è possibile coinvolgere attenzione e concentrazione).
- Gli allievi partecipino alle sedute di lezione in forma attiva; anche nell’illustrazione di una partita di maestri, ipotizzare che a muovere i pezzi bianchi o neri siano gli allievi stessi.
- Organizzare gare nella soluzione di problemi vari, con assegnazione di punteggio sia individuale che a squadre.
- Almeno una volta alla settimana stabilire un incontro «serio» tra gli allievi o in simultanea, tra allievi ed educatore (allenatore). Tale incontro avrà la funzione del compito in classe i cui eventuali errori saranno argomento per l’immediata prossima lezione.
- Scacchi ed handicap
Gli scacchi, a differenza di tutte le altre discipline sportive scolastiche, non prevedono il ruolo di «esonerato». Non esistono nemmeno controindicazioni o limitazioni dovute al peso, età, sesso, dimensioni corporee, ecc.
Per gli scacchi non esiste neppure l’handicap.
La «res extensa», ovvero «il corpo compresi gli organi di senso», ha la pura funzione di fornire alimentazione, informazione e mezzi di espressione al cervello, l’unica vera parte essenziale di un insieme accessorio della specie uomo, di cui gli scacchi possono fungere da mezzo espressivo diretto, esonerando, di fatto, le funzioni corporee e sensoriali..
Qualsiasi forma di handicap, vista altrove un limite al successo, qui trova soluzione terapeutica nel comparire prima come rinforzo motivazionale a superare barriere non solo architettoniche, per poi confondersi fino a non esistere.