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Recensione Toxicity tratta da Babylonmegazine.net

SYSTEM OF A DOWN "Toxicity" (American-Columbia/Sony) Una lunga e snervante attesa è terminata. I SOAD, per chi non lo sapesse, sono una delle poche realtà americane che sanno ancora stupire, e questo loro trionfale ritorno lo dimostra a fondo. L'omonimo debut di tre anni fa è stato accolto alla grande per la sua freschezza e "giovane" sfrontatezza. I SOAD del 2001 sono cresciuti e il lunghissimo tour (che toccò l'Italia in quel di Milano in compagnia dei padrini Slayer) è stato indubbiamente fondamentale per la loro crescita e maturazione. Ma parliamo di questo nuovo immenso "Toxicity". Se di primo acchito potrebbe sembrare più scontato o prevedibile del debut, dopo pochi ascolti, si rivela in tutta la sua bellezza ed intensità. "Toxicity" cresce esponenzialmente con gli ascolti (e tre quarti della nostra redazione può confermarvelo) e saprà coinvolgervi in tutti i suoi umori e stati d'animo. Parte con "Prison Song", un palese manifesto "anti-tolleranza zero", si prosegue con "Needles" che affronta la gravità delle dipendenze e "Deer Dance", tre canzoni che dimostrano al 100% che i quattro armeno-americani sanno sia spaccare di brutto che ammaliarci con splendide melodie vocali e strumentali. La sfuriata etno-hard core arriva con "Jet Pilot"; si prosegue con "X" e il primo singolo estratto "Chop Suey" (tra le migliori dell'album). Il violento sarcasmo di "Bounce" fa da ponte per "Forrest" (questa fa piangere ogni volta di più!) e "Atwa", altre due chicche che confermano per l'ennesima volta le doti compositive del quartetto hollywoodiano-armeno. Veniamo alla critica "Science" e a "Shimmy". Poi la immensa title track, "Psycho" e "Ariels". Insomma, sarebbe stupido darvi un'accurata descrizione di ogni traccia, vi rovinerei una sorpresa che, credetemi, sarà tale. 14 tracce per 45 minuti di musica di altissimo livello. L'ironico marchio di fabbrica SOAD è ormai radicato nelle vene artistiche della band e posso azzardare l'ipotesi che sentiremo parlare di loro per molti anni; come sempre le influenze sono svariate e fuse alla perfezione, ma questa volta sono ancora più numerose, perchè oltre alla classica fusione tra metal, hard core, death... vanno ad aggiungersi pesanti reminescenze della loro terra d'origine (l'Armenia, a loro da sempre cara) che sfociano in un uso della chitarra e della voce assolutamente unico; poi troviamo grind core e mille altre cosettine, sparse e più o meno nascoste, fino ad una semi-ballad divina come "Atwa". La voce di Serj è migliorata nettamente e possiamo affermare che i pesanti debiti nei confronti di Biafra e Patton siano svaniti ed abbiano lasciato spazio ad uno stile vocale davvero fuori dalla norma, che più volte ci porta alla soglia della commozione per l'intensità emotiva che riesce ad sprigionare (vedi il finale di "Chop Suey" o la stessa title track e ancora "Atwa"). La chitarra di Daron Malakian tocca livelli assurdi e impensati di schizofrenia e nervosismo, ma sa essere un attimo dopo di una dolcezza da pelle d'oca; davvero notevoli anche i cori di cui si occupa lo stesso Daron, che provano che anche le sue doti vocali non sono da sottovalutare. La sezione ritmica di Shavo Odadjian (basso) e John Dolmayan (batteria) rasenta ormai la perfezione per lo stile proposto, dimostrando una versatilità tra stili diversi quasi unica nelle scene. Degno di nota è pure l'ottimo lavoro dei due tecnici Rick Rubin (produzione) e Andy Wallace (mixaggio), le cui innegabili doti "tecniche" fanno decollare le idee di Tankian & Co. Certo, ci hanno fatto attendere molto tempo, ma se tutte le band evitassero di registrare un disco all'anno (vero Mr. Durst!?!), forse avremmo meno band, ma con più cose da dire (vedi SOAD, vedi Tool: due esempi su tutti!). Impossibile ignorare i System Of A Down: CORRETE A COMPRARLO! Più chiaro di così!?

Voto: 9,5

(Stefano Gaspari)

 

 

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