Non è Rimbaud

Io vivo
del mio male immobile
esternato nei flutti
del solito abbecedario
evento di giornate inermi,
spente quando sola insisto.
Ma l’abisso e lo strano
pungolare critico nell’io
scavato dai pensieri
si ripetono inalienati
sottratti per destino
al crisma del tempo.
Dolce amico
da me avrai soltanto
combinazioni infinite
e diverse di lettere
di idee, ma la grandezza
la sapienza, la verità
e l’immortale
non aspettarti
perché nata
dalla sola cellula remota
tutto l’esistere donato
e onorato un giorno
negli anni non riesco
a significare.
Dolce amico
tu sai sentendolo
che il dolore scibile
mi ha tracciata
per sempre
come un boschivo
di semina
che non s’arrende
e di notte il vento
come te distende.

Apolidi

Fisso l’odierno
distogliere delle apatie
dislessiche ragioni, i ciclamini
allungano il sospiro
e le sordide armate
di violacciocche irretiscono
l’ortodossia del fiume
acqua che ti scorre
dal lembo oculato e premi
la parola a verso sulle
impressioni remando
a dire: “è stagione, è sole
è sufficiente”. A me non basta
che a ribadire stile
dopo stile lo svernare
intrudente delle dorifore
sull’erma stanca delle calci
e nell’anima vacillante
che penzola petalo sciroccale
dalla finestra aria assorta
aspiro violentemente.

Intermezzo

Mi manca
l'individualità
di quella città grigia
mi manca quella
nebbia stretta
e il freddo tesoro
di quelle risaie,
l'acqua insalubre
dei suoi miasmi.
Mi manca quell'odiata
amata città di provincia
che mi ha portato il
dono, archetipo di Dio,
di una sognante disperazione.

Strofica

Ancora le confondo
certe vie,
sarà l'abitudine forse
o il desiderio
di meraviglia,
ma come i bambini
mi perdo
in quello che conosco.

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