Riassunto del capitolo XXXI

Si ritira l'esercito ma lascia dietro di sé oltre che le devastazioni un segno negativo di paurosa potenza distruttiva: la peste che allora sembrava essere costantemente presente all'interno degli eserciti. Le prime vittime furono accertate nel territorio di Lecco. Un soldato italiano militante nell'esercito tedesco la porta a Milano. Primo ad accorgersene e a darne l'allarme alle autorità sollecitando interventi precisi e rapidi; fu il protofisico (una sorta di Ministro della Sanità) Ludovico Settala: ne aveva diretta esperienza essendo passato indenne per quella del 1576. La gente sembra mettersi la testa dentro la sabbia e non ci crede: si dice che si tratta di un 'epidemia di varia natura dovuta alla carestia e agli strapazzi provocati dall'invasione dei lanzi. C'è una sorta di fuga dalla realtà. Si ha tanta paura delle parole che, invece di peste, si parla di febbre pestilenziale. Il governatore Ambrogio Spinola (don Gonzalo era stato sostituito), occupato dalla guerra, risponde alle autorità che facessero loro. lui ha cose più importanti cui pensare. Si riapre il lazzaretto che si vede ogni giorno di più colmare di malati: la maggior parte dei quali muore. Il lazzaretto, data l'insipienza e l'inefficienza dei poteri politici, affidato alla direzione ed amministrazione dei padri cappuccini: questi si adoperano eroicamente per i malati, molti prendono la peste, i più di loro muoiono. Ma la peste non è solo un male di per sé, non semina soltanto sofferenze e morte: scompiglia la vita mentale della gente e l'avvia verso le credenze più folli, verso Pirrazionalità. Non trovando la vera causa dell'epidemia, la gente inventa e dà credito ad alcune motivazioni e cause infondate: si pensa e crede che in giro vadano degli untori che, spinti da ragioni politiche o da perverse tendenze assassine, spargano e imbrattino di cose unte le cose e i luoghi pubblici. Chi ne è toccato, si prende la peste. Si credette di averne trovati alcuni che sottoposti a tortura si dissero colpevoli: furono avviati a morte e là dove c'era la casa di uno, fu eretta una colonna col compito di ricordare alle generazioni seguenti l'infamia di così efferato gesto.

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