Riassunto del capitolo XXIII

Superate le perplessità del cappellano crocifero, il cardinale accoglie festosamente, e quasi scusandosi di non aver preso lui l'iniziativa, l'Innominato. Nulla del comportamento del cardinale è meno che composto, c'è in lui il segno di quella superiorità che si fa amare. L'abitudine dei pensieri benevoli e solenni, la pace interiore, la gioia continua d'una speranza ineffabile gli danno bellezza e fascino. Il cardinale vede con prontezza che nel cuore dell'Innominato s'è aperto un conflitto, una grande crisi che non può avere altro punto di arrivo che il riaccostamento alla Chiesa, la conversione. E qui siamo al punto culminante della crisi. L'Innominato sospinto dalle affettuose parole del cardinale piange e ne accetta l'abbraccio. Si trovano così abbracciati l'uomo incontaminato e l'uomo abituato a portare le armi della violenza e del sopruso. La crisi che lo tra vagliava da tempo e che durante la notte insonne stava per indurlo alla disperazione e al suicidio, ora si risolve: l'Innominato manifesta la volontà di liberare Lucia. A rendere più facile e meno la cosa si incarica di ciò una donna, moglie del sarto del paese, accompagnata anche da don Abbondio, il quale certo quel giorno si sarebbe dato malato, ove avesse potuto immaginare verso quali cose rischiose era avviato. In paese era andato per le pressioni della solita Perpetua. E poiché il destino di don Abbondio è quello di dover chinare la testa su cui si abbattono fendenti pesanti, ci va, al castello, ma la mula su cui è fatto salire, nonostante gli si assicuri che è mansueta, fa di tutto per procurargli altre paure. Le più gravi sono quelle che gli vengono dal mutismo concentrato dell'Innominato. Il cardinale gli ha assicurato che ormai il signorotto è pentito e convertito. Ma è proprio certo? E che cosa potranno fare i bravi malcontenti della soluzione? Finalmente si arriva al castello.

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