Dietro il trasferimento del padre Cristoforo c'è lo zampino astuto del conte Attilio, anche lui attento al prestigio della famiglia messo in pericolo dalla fuga di Lucia e quindi dall'insuccesso del tentativo di sequestro. E poiché nel fallimento della bella impresa avviata da don Rodrigo è coinvolta direttamente o indirettamente tutta la famiglia, il conte Attilio pensa di fare ricorso a colui che della famiglia è il personaggio di maggiore spicco, il conte zio, che fa parte del Consiglio segreto dello Stato, una grande autorità, ma soprattutto un devoto servo del potere spagnolo, ed una testa molto decorata ma sostanzialmente piena di vento. Qualche giorno dopo il colloquio col nipote, il conte zio invita a pranzo a casa sua il padre provinciale dei cappuccini. Il colloquio tra i due è un capolavoro di abilità e di finezza diplomatica: ambedue sono attenti a mollare per qualche parte e a salvare l'essenziale. Cede soprattutto il padre provinciale, il quale capisce che non può mettersi contro la potenza di una famiglia quando è stato offeso il suo onore. Opera quindi con discrezione e accogliendo il suggerimento del conte zio, per sopire e troncare, manda via con urgenza il padre Cristoforo da Pescarenico a Rimini con l'ordine di non interessarsi più dei fatti del paese da cui parte. È un piccolo trionfo per don Rodrigo che si vede spianata la strada verso Lucia. C'è però l'ostacolo del convento e soprattutto quello dell'essere la giovane donna protetta da una suora che appartiene a potente famiglia milanese. C'è una strada, ma è rischiosa. Può riuscirvi un potente feudatario che ha il suo castello non lontano dal territorio su cui impera don Rodrigo. Era un uomo di non comuni qualità e forza: il suo vangelo era di fare ciò che era vietato dalle leggi senz'altro gusto o interesse che quello di governare, e di essere temuto dagli altri. La sua vita era disseminata di violenze, di morti anche per commissione, di delitti: intorno a lui abitava la paura che di lui aveva anche lo Stato che si guardava bene dal fargli guerra. A costui don Rodrigo decide di rivolgersi anche se la cosa gli costa tanto sul piano del prestigio e anche se, in conseguenza del servizio ottenuto, lui da allora si deve avvertire come un dipendente del potente signore, che il Manzoni chiama Innominato.