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Da terra tra due fiumi a terra tra due fuochi. |
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La prima patria della civiltà umana dilaniata dalla crudeltà dei suoi tiranni: quelli vigenti e quelli aspiranti.
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Mesopotamia è un nome che permane a lungo, nell’immaginario di un bambino che si avvia nel lungo e intricato percorso della storia umana. Si tende infatti, piuttosto facilmente, ad adornare di contorni esoterici la sua immagine di “culla delle più antiche civiltà umane” tanto floride quanto i campi che costeggiano il Tigri e l’Eufrate.Inoltre le storie dei suoi popoli, spesso frammiste di leggenda, affascinano e perfino impressionano per la loro lontananza spesso solo temporale.
In tremila anni il cambiamento procede in maniera continua e onnidirezionale, senza peraltro distruggere né tanto meno creare. Oggi gran parte dell’antica Mesopotamia si chiama Iraq. Continua ancora a suscitare interesse, ma solleticando molto di meno la fantasia. Le sue immagini denotano infatti poco di esoterico e molto di drammaticamente reale. I suoi abitanti non hanno più tempo per ricercare tesori né opportunità per strofinare lampade, sono impegnati in un’impresa più ardua: la lotta contro la miseria. Sono diversi infatti i mali che attanagliano i discendenti di assiri e babilonesi. Uno di questi si chiama Saddam Hussein, un tiranno feroce e sanguinario che ,a suo modo, è stato nelle condizioni di esemplificare nella sua pratica politica un compiuto connubio di intolleranza stalinista e razzismo nazista. Con la sua crudeltà e la sua costanza la dittatura di Hussein è stata in grado di diseredare moralmente e materialmente la popolazione irachena, come del resto continuano a fare nei confronti dei propri popoli le molte tirannie che ancora sfidano la civiltà dell’uomo. Ad ogni modo e in maniera piuttosto paradossale, l’Iraq nel suo stato di miseria paga anche proprio l’antichità della sua terra, che a lungo ha covato nel suo intimo quello che ,a dispetto della sua cupezza, è in grado di far ardere e accecare, seppur di avidità: il petrolio. In assenza, infatti, di una democratizzazione della vita sociale e politica, la fruizione di una risorsa naturale per giunta, di enorme valenza come il petrolio è fattore di determinazione di disuguaglianze socio-economiche notevoli e consistenti. Ma in tal senso per l’ Iraq incide anche l’appartenenza a quella parte, la maggior parte, di mondo che nel sistema dell’economia globale opera unicamente in qualità di fonte di risorse naturali, senza poter ambire nemmeno a partecipare al loro utilizzo, affidato unicamente agli infaticabili centri di produzione dell’altra parte di mondo.Dunque da una parte la ferocia di una sanguinaria tirannia, dall’altra l’avidità di un’ ingovernata globalizzazione, è piuttosto intensa la dinamica di forze che denigra la dignità della nazione irachena. Di recente inoltre la situazione è divenuta ulteriormente più complessa, perché effettivamente da quel “maledetto” 11 settembre le cose non sono più come una volta. Oggi l’esemplificazione dell’applicazione in senso sociale del concetto di gagliardia è rappresentata da un popolo (quello statunitense) impaurito, spaventato e che tuttavia, ferito nell’orgoglio, non cede a una stagnante commiserazione, ma reagisce con il suo solito vigore,la sua usuale tenacia, ma senza l’adeguata lucidità. Accetta pertanto che nelle sue istituzioni si stentino liste di “stati canaglia”, si conducano crociate contro “ forze del Male”, si mistifichi palesemente la realtà delle situazioni. Perché il terrorismo non si fonda esclusivamente sulla follia di personalizzazioni di disumana malvagità, fa affidamento e trae supporto anche dall’evidenza dello stato di ingiustizia che condanna in una condizione di imperante miseria la maggior parte degli uomini, quelli stessi uomini che esultano per il rogo di una bandiera a stelle e strisce o che esplodono tra la gente nell’ipnosi di un giusto paradiso. Una lotta concreta contro il terrorismo non può, pertanto, prescindere dall’abbattimento di questo stato di ingiustizia,il che,ad ogni modo, necessita di una generale revisione dell’attuale sistema dell’economia mondiale, di una regolamentazione politica delle sue attività al fine di garantire la fruizione delle opportunità di benessere da esse concesse ad ogni paese, ad ogni nazione, ad ogni uomo. Ma a privilegi consolidati da secoli si rinuncia con enorme difficoltà e così l’antica “terra fra i due fiumi” si appresta a riproporsi nuovamente quale scenario di orrori e devastazioni, perché probabilmente, ma senza alcuna certezza, la crudeltà del suo tiranno può turbare la serenità della parte felice, ma ora impaurita, di mondo.Tutto questo come se già di per sé, l’esistenza di una tirannia a prescindere dalla sua localizzazione geografica, non rappresenti un fattore di ingiustizia, una denigrazione della civiltà umana.
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