ALLENAMENTO FISICO

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Salvatore Ferrara

 

ALLENAMENTO FISICO

 

Quando ci alleniamo, per decidere il numero di ripetizioni da svolgere per ogni esercizio, dobbiamo stabilire di quali combinazioni di forza e di resistenza muscolare abbiamo bisogno.

Se lo sport praticato richiede una combinazione in cui ci sia molta forza e poca resistenza, è necessario programmare serie di 4-8 ripetizioni al massimo.

Se lo sport praticato richiede principalmente forza mista a resistenza, occorre lavorare nell’ambito delle 10-25 ripetizioni.

Se si ha prevalentemente bisogno di resistenza muscolare, più che di forza, il numero di ripetizioni ideale va da 25 a 45.

Se l’esigenza fondamentale è il miglior sviluppo del sistema cardiocircolatorio-respiratorio (CRV), bisogna lavorare sopra le 100 ripetizioni.

 

Numero di ripetizioni

Qualità del rapporto forza/resistenza

1-3

4-8

9-15

16-25

26-35

36-45

46-65

66-75

76-100

oltre

Solo forza

Soprattutto forza + appena un po’ di resistenza m.

Forza + resistenza muscolare

Forza + resistenza muscolare

Resistenza muscolare + un po’ di forza

Resistenza muscolare + un po’ di forza

Resistenza muscolare + appena un po’ di forza

Resistenza m. + un po’ di resistenza cardiovascolare

Resistenza muscolare + resistenza cardiovascolare

Resistenza cardiovascolare + un po’ di resistenza m.

 

Esempi di sports che richiedono soprattutto forza assoluta sono: il sollevamento pesi, le alzate di potenza nella cultura fisica, i lanci nell’atletica leggera; il calcio, il tennis, la pallavolo, le corse brevi, richiedono combinazioni di forza e resistenza; esempi ove è richiesta in massima parte resistenza muscolare sono: la corsa su lunghe distanze, il nuoto, il ciclismo su strada, lo sci di fondo. Tutte queste attività richiedono anche resistenza cardiovascolare e respiratoria.

Quando ci alleniamo per la forza dobbiamo adoperare carichi massimali e fare poche ripetizioni. Aumentando il numero delle ripetizioni non si ottiene un aumento della forza, ma alleneremo la forza mista a  RESISTENZA muscolare. Il risultato che si ottiene per la forza, con un lavoro tra le 3-6 ripetizioni e le 7-10 ripetizioni, non varia di molto perché, quando eseguiamo il massimo delle ripetizioni, la tensione muscolare sviluppata nel muscolo sarà massimale; pertanto l’effetto allenante per lo sviluppo della forza di un alto numero di ripetizioni è ottenuto nell’ultima ripetizione, in cui lo sforzo sarà vicino a quello che facciamo quando solleviamo un grosso carico una volta sola. Tuttavia gli allenamenti basati su un alto numero di ripetizioni comportano un notevole dispendio di energie e producono fatica, quindi se necessitiamo di sola forza pura è conveniente allenarsi in ogni caso con un numero molto basso di ripetizioni.

 

Come Riscaldarsi

 

Riscaldarsi è un obbligo, non abbiate timore di perdere tempo scaldandovi a dovere. Questa regola fondamentale deve essere sempre ben tenuta in considerazione, qualsiasi tipo di attività muscolare pratichiate.

Il lavoro di riscaldamento può essere distinto in due diverse situazioni:

il riscaldamento iniziale ed il riscaldamento specifico per l'esercizio in cui ci si accinge ad impegnarsi.

Il riscaldamento iniziale comporta un lavoro dai 15 ai 30 minuti, che, con esercizi che possono essere di stretching, di ginnastica a corpo libero, di corsa o altro (in base al tipo di sport praticato), ci deve preparare allo sforzo dal punto di vista fisiologico e mentale:

- l'aumento della temperatura corporea previene gli infortuni, sempre in agguato;

- il progressivo incremento del battito cardiaco prepara l'apparato cardiovascolare al lavoro più intenso;

- gli esercizi di allungamento, provocando una maggiore flessibilità, con conseguente minor tensione nei muscoli, oltre a prevenire problemi muscolari e tendinei, creano i presupposti per una miglior performance;

- anche il sistema neuro-muscolare, decisamente importante per la prestazione, dopo un adeguato lavoro di riscaldamento, viene a trovarsi in una situazione ottimale.

Un riscaldamento iniziale ben eseguito deve portarci a sudare copiosamente e ad innalzare il battito cardiaco oltre il coefficiente allenante di 0,6 .

Il riscaldamento specifico pre-esercizio prevede l'esecuzione dell'esercizio medesimo a partire da un carico minimo, aumentando gradualmente l'intensità del lavoro, con utili effetti preparatori alla grande intensità per muscoli e tendini, ma anche per la mente, permettendo, inoltre, di provare l'esatta esecuzione tecnica in situazioni più facili.

Il riscaldamento per il lavoro con i pesi

Il consiglio è di svolgere un riscaldamento generale di 15, 20 minuti che ci conduca a sudare e di effettuare serie specifiche di riscaldamento, prima delle serie vere e proprie di allenamento, per ciascun esercizio, nel modo seguente:

- per le serie di allenamento fino a 5 ripetizioni, eseguire tre serie di riscaldamento;

- per le serie da 6 a 10 ripetizioni, eseguire 2 serie di riscaldamento;

- per le serie oltre le 10 ripetizioni, 1 serie di riscaldamento.

Queste direttive sono valide per tutti gli esercizi tranne lo squat, lo stacco da terra e le distensioni sia su panca che sopra la testa, per questi esercizi è sempre necessario svolgere 3 o 4 serie di riscaldamento, a prescindere dal numero di ripetizioni delle serie allenanti.

Praticando le serie extra di riscaldamento, non abbiate paura di perdere forza per le serie allenanti, se non ci si affretta troppo tra l'ultima di riscaldamento e la prima di allenamento, eseguirete senz'altro al meglio le vostre serie allenanti e soprattutto limiterete notevolmente i rischi di infortuni, rischi che non vanno mai trascurati, in special modo se non siete più giovanissimi.

 

 

Stretching

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Lo stretching (dall’inglese to stretch: allungare, stendere) si identifica con quei gesti naturali di allungamento che fanno parte della nostra quotidianità: tutti noi compiamo, in maniera del tutto spontanea, azioni di autostiramento, allo scopo, per esempio, di prepararci al movimento o di cercare sollievo dalla fatica. Sono gesti istintivi, che spesso facciamo senza rendercene conto, che, però, ormai da anni, grazie ad una sempre maggiore applicazione della ricerca scientifica alla pratica sportiva sono divenuti parte integrante della preparazione per tutte le discipline, in quanto, per esempio:

- aiutano nella prevenzione dei traumi;

- accorciano i tempi della riabilitazione post infortunio;

- accelerano il recupero dalla fatica;

- facilitano la ripresa del lavoro atletico dopo un periodo di inattività;

- favoriscono il rilassamento.

Lo stretching (anche se naturale ed istintivo) deve essere eseguito in modo corretto, in sintonia con il proprio corpo, senza mai eccedere. Risponde alle necessità di tutti, ma, per avere risultati, servono regolarità e capacità di rilassamento.

Oltre agli impieghi che trova in tutti gli sport (in fase di riscaldamento, nel defaticamento e come prevenzione alle lesioni), oggigiorno è stato riscoperto come una vera e propria forma soft di attività fisica, che privilegia il benessere migliorando la capacità rilassamento, l’elasticità muscolare, la mobilità delle articolazioni ed il tono muscolare.

Lo stretching può essere:

- dinamico (caratterizzato da una estensione graduale che arriva ai limiti dell’allungamento stesso);

- statico (consiste nel mantenere per un certo tempo una determinata posizione).

Entrambi possono a loro volta essere eseguiti in modo:

- attivo (l’allungamento viene raggiunto attraverso la contrazione dei muscoli antagonisti);

- passivo (vi è il ricorso all’aiuto di attrezzi specifici o di un partner).

La forma di stretching più diffusa fa riferimento agli studi dell’americano Bob Anderson. Egli distingue nel suo sistema tre fasi. Le prime due non attivano il riflesso estensorio e non procurano dolore, situazioni, invece, indotte dalla terza fase.

 

Le tre fasi del metodo Anderson

Prima

consiste nel cercare una tensione facile, da mantenere dai 10 ai 30 secondi senza molleggiare, fino ad arrivare ad una tensione media, a questo punto la sensazione di tensione dovrebbe diminuire pur mantenendo la posizione, è la fase che prepara alla tensione di sviluppo

Seconda

è la fase dello sviluppo, è conseguente e deve essere forzata e mantenuta per altri 10 – 30 secondi, è qui che otteniamo l’aumento della flessibilità

terza

è la fase del sovrastiramento, non dovrebbe essere mai raggiunta, procura dolore ed è controproducente

 

 

Per comprendere meglio lo stretching è utile chiarire alcuni concetti relativi al sistema neuro-muscolare, iniziando dal riflesso di allungamento o riflesso estensorio.

Con tale termine si indica un meccanismo di autodifesa che, quando un muscolo è allungato eccessivamente, per salvaguardarlo da possibili traumi, ne provoca la contrazione senza l’intervento della volontà. I muscoli sono dotati di diversi tipi di recettori che ne sovrintendono il funzionamento. L’integrità del sistema muscolare è affidata ai FUSI NEURO-MUSCOLARI e agli ORGANI DEL GOLGI. I fusi neuro-muscolari sono dei corpuscoli collegati in parallelo alle fibre muscolari, delle quali seguono passivamente i movimenti, per cui ad un allungamento delle miofibrille se ne accompagna sempre uno identico dei fusi, che, in pratica, sono dei sensori che funzionano registrando la tensione a cui sono sottoposte le fibre del muscolo. Quando si verifica un eccessivo allungamento, tale da far temere dei possibili danni, questi “sensori” inviano un impulso al midollo spinale, che, autonomamente, senza l’intervento dei centri cerebrali, trasmette un segnale di ritorno che provoca la contrazione del muscolo. I riflessi estensori più sviluppati sono quelli dei muscoli posturali, cioè di quei muscoli che assicurano l’equilibrio del corpo.

Ecco spiegato il motivo per cui quando si arriva ad allungare un muscolo all’eccesso, fino al dolore, si avverte una decisa resistenza. Stirarsi troppo è pericoloso e controproducente, infatti, vi è un forte rischio di infortunio abbinato ad una perdita, piuttosto che ha un miglioramento, di elasticità.

Il riflesso estensorio è caratterizzato:

- da una rapida entrata in azione;

- da una forza direttamente proporzionale a quella dello stiramento subito dal muscolo;

- dalla cessazione in contemporanea con quella dell’eccessivo allungamento.

Viceversa, gli organi del Golgi, che sono localizzati nella zona intermedia tra muscolo e tendine, entrano in azione quando si verifica una contrazione particolarmente intensa (tale da far temere lesioni) adducendo quale risposta il completo rilassamento del muscolo (inibizione autogena).

 

Riflesso di allungamento

reazione ad un allungamento eccessivo

provoca la contrazione muscolare

utilizza quali sensori i fusi neuromuscolari

Inibizione autogena

reazione a una contrazione eccessiva

provoca il rilassamento muscolare

utilizza come sensori gli organi del Golgi

 

Le informazioni di cui sopra, ci permettono di formulare una serie di regole di fondamentale importanza:

- è assolutamente necessario condurre la tensione di stiramento molto lentamente, per non incorrere nel “riflesso di allungamento”, che provocherebbe la contrazione del muscolo;

- il tempo minimo di mantenimento della posizione di stretching deve essere di circa 10 secondi;

- per quanto riguarda i tempi massimi, occorre tenere presente che nella posizione di allungamento l’impulso del nervo alle miofibrille (fatto che determina il miglioramento dell’elasticità) arriva ogni 6/8 secondi, dopo di che si registra una diminuzione della tensione che consente il mantenimento dello stiramento per altri 10/12 secondi, risulta, quindi, basilare percepire lo svolgimento del processo e regolarsi di conseguenza, dalla sintonia con il proprio corpo si ricaverà l’indicazione precisa dei tempi di tensione.

 

 

Benefici dello stretching

A:

sul sistema

muscolare e tendineo

B:

sulle articolazioni

C:

sul sistema cardiovascolare e respiratorio

D:

sul sistema nervoso

 

A:

1) incremento della flessibilità e dell’elasticità di muscoli e tendini;

2) miglioramento della capacità di movimento;

3) eccellente mezzo di riscaldamento;

4) prevenzione di traumi e lesioni;

5) ottimo strumento di defaticamento.

 

B:

1) stimolazione della lubrificazione articolare;

2) riduzione delle malattie degenerative;

3) rallentamento della calcificazione del tessuto connettivo;

 

C:

1) miglioramento del sistema respiratorio;

2) effetti positivi sulla circolazione;

3) diminuzione della pressione arteriosa;

4) aumento della capacità polmonare;

 

D:

1) sviluppo delle percezioni del proprio corpo;

2) attenuazione dello stress;

3) azione rilassante e rassenerante;

 

 

è  opportuno distinguere tra:

1) stretching praticato come forma di riscaldamento per altre attività;

2) stretching svolto nella fase di defaticamento;

3) stretching inteso come attività fisica autonoma.

Nella prima situazione viene svolto blandamente, senza forzature, nel rispetto delle regole di un buon riscaldamento generale che precede un intenso lavoro fisico. Lo stretching risulta, infatti, ideale per preparare il corpo sia dal punto di vista muscolare ed articolare (aumento della flessibilità, aumento della temperatura corporea, incremento dei battiti cardiaci e della circolazione, aumento dei processi metabolici), che da quello mentale (innalzamento del livello di vigilanza, aumento della concentrazione, crescita della prontezza dei riflessi).

Nella fase di defaticamento è indispensabile:

- per riportare i muscoli alla loro normale lunghezza;

- per facilitare l’assorbimento delle tossine indotte dallo sforzo e, conseguentemente, il pronto recupero;

- per evitare l’insorgenza dei dolori muscolari tipici del giorno dopo.

Concepito come attività atletica vera e propria, adita al miglioramento della flessibilità e dell’elasticità muscolare, risulta un tale impegno fisico da dover richiedere a sua volta una fase di riscaldamento, che potrebbe essere, per esempio, o una corsa molto blanda o una ginnastica a corpo libero un molto leggera.

Consigli su come programmare gli allenamenti di stretching:

- le sedute devono essere precedute da un profondo rilassamento e praticate in una atmosfera serena e distesa, per questo motivo è bene fissare gli allenamenti quando si è certi di avere tempo a sufficienza per fare gli esercizi, senza fretta e senza ansie;

- cercare i movimenti e le tensioni con naturalezza, assecondando sempre il proprio corpo, senza mai forzare;

- scegliere gli esercizi in funzione delle proprie capacità, procedendo per gradi, evitando le posizioni che per adesso ci procurano disagi;

- svolgere gli esercizi sempre nel modo corretto;

- non trascurare mai alcun distretto muscolare;

- non rimbalzare per arrivare all’allungamento;

- non spingere la tensione fino al dolore;

- uscire dalla posizione sempre lentamente, mai di scatto;

- in caso di condizioni di flessibilità asimmetrica, insistere sulla parte più rigida;

- variare spesso gli esercizi.

 

La frequenza di allenamento ideale varia dalle 3 alle cinque sedute settimanali, un’unica seduta settimanale non da risultati rilevanti.

 

E’ da dire che tale pratica non ha più valore assoluto nella pallavolo se non nei casi in cui gli atleti abbiano assoluta o impellente necessità di svolgere questo tipo di attività.

 

 

La resistenza

 

 

È la capacità di proseguire per un lungo periodo un’attività muscolare (per esempio: l’abilità di fare il massimo delle ripetizioni con un determinato carico), nel regime isometrico la resistenza si riferisce al massimo tempo in cui si riesce a reggere un peso o mentre si produce una certa forza contro un oggetto immobile.

Può essere intesa come: RESISTENZA GENERALE (se riguarda un’attività che impegna più gruppi muscolari unitamente all’apparato CARDIOVASCOLARE-RESPIRATORIO), RESISTENZA MUSCOLARE (se riguarda un ristretto gruppo muscolare e la capacità di utilizzo dei substrati energetici locali).

In base alla durata dell’attività possiamo distinguere:

-resistenza di lunga durata (vi è un impegno prevalentemente aerobico, con forte coinvolgimento del sistema cardiovascolare-respiratorio; il tempo di svolgimento supera i 10 minuti fino ad anche oltre le tre ore);

-resistenza di media durata (si utilizzano sia il meccanismo aerobico sia quello anaerobico lattacido, il lavoro si protrae dai due ai 10 minuti);

-resistenza di breve durata (il meccanismo predominante è sicuramente la aerobico lattacido, l’impegno va dai 45 secondi ai due minuti, è richiesto un certo sviluppo della RESISTENZA ALLA FORZA e della RESISTENZA ALLA VELOCITA’.

Le proprietà che principalmente influenzano la resistenza sono:

-la vascolarizzazione muscolare e il diametro e numero dei capillari,

-il contenuto nel sangue di ossigeno, zuccheri e acidi grassi nelle quantità ottimali,

-l’efficienza dell’apparato cardiovascolare-respiratorio e le dimensioni della muscolatura cardiaca (ipertrofia e volume),

-una bassa frequenza cardiaca a riposo,

-il volume del sangue e dei globuli rossi,

-la capacità di assorbimento ed utilizzo dell’ossigeno,

-le motivazioni psicologiche, la forza di volontà e la capacità di concentrazione,

-il massimo consumo di ossigeno,

-la quantità di fibre muscolari rosse.

L’allenamento per migliorare la resistenza deve essere condotto ad una velocità vicino alla soglia anaerobica, deve portare al giusto utilizzo della miscela glicogeno-grassi e dell’ossigeno, deve perseguire il miglioramento della capillarizzazione muscolare e deve portare ad un aumento dell’attività degli enzimi mitocondriali.

I principali metodi di sviluppo della resistenza possono essere:

-metodi continui,

-metodi intervallati.

Il metodo intervallato più efficace è sicuramente l’interval training.

Tra i metodi continui dobbiamo distinguere quelli a velocità costante e quelli con cambio di ritmo (FARTLEK).

Nel caso di velocità costante, se decidiamo per un lavoro lungo (oltre i 60 minuti), dovremo mantenere una frequenza cardiaca calcolata applicando un coefficiente allenante di 0,6; per un’attività intermedia (tra i 30 e i 60 minuti) il coefficiente allenante da considerare è di 0,7-0,8; mentre è di 0,9 per allenamenti sotto i trenta minuti.

 

INTERVAL TRAINING

 

 

Corsa interrotta da pause, si differenzia dalle RIPETUTE, in quanto il recupero e’ incompleto.

L’effetto allenante variera’ in funzione della lunghezza del percorso (e quindi della velocita’ di percorrenza) e del tempo di recupero

 

Corsa: tecniche di allenamento

 

 

Il fartlek

 

 

Per FARTLEK si intende la corsa continua con variazioni di ritmo. L’atleta corre per piu’ o meno lunghi tratti, ma in questo caso l’intensita’ dello sforzo non si mantiene uniforme, ma presenta continue variazioni, dovute per esempio:

1.alla presenza di salite

2.alle variazioni di velocita’ dell’atleta.

Il principio fisiologico che caratterizza il FARTLEK e’ che nei tratti nei quali l’intensita’ dello sforzo e’ maggiore, vi deve essere a livello dei muscoli produzione di acido lattico e quasi sempre anche accumulo, nei tratti dove l’intensita’ dello sforzo e’ ridotta l’organismo deve eliminare tale l’acido lattico che dai muscoli e’ passato al sangue; questo avviene grazie all’intervento del fegato e di altri organi quali: i reni, il cuore ed anche alcuni muscoli che hanno a disposizione piu’ ossigeno di quanto gliene serva. Quanto piu’ velocemente l’acido lattico viene allontanato dal sangue, tanto piu’ facilmente passera’ dalle fibre muscolari al sangue.

Il FARTLEK, quindi, non serve soltanto a migliorare i meccanismi aerobici di produzione dell’ATP, ma anche ad aumentare la velocita’ alla quale, pur essendoci produzione, non c’e’ accumulo di acido lattico.

 

La frequenza cardiaca mirata o allenante

Corrisponde alla frequenza cardiaca che ci si propone di mantenere durante l’allenamento considerando un coefficiente allenante che determinerà il livello di intensità.

FREQUENZA ALLENANTE = FREQUENZA A RIPOSO + COEFFICIENTE ALLENANTE X (FREQUENZA MASSIMA – FREQUENZA A RIPOSO).

Per frequenza a riposo si intende il numero di battiti cardiaci al minuto rilevati al mattino appena svegli, la frequenza massima si ottiene sottraendo a 220 il numero corrispondente all’età del soggetto. Il coefficiente allenante indica il grado di intensità dell’allenamento: un valore di 0,6 determina un lavoro blando, un valore di 0,9 equivale ad un’attività molto pesante, a indici intermedi corrispondono livelli intermedi di carico.

Per esempio, se un’atleta di 30 anni con una frequenza cardiaca a riposo di 60 battiti, si prefigge un lavoro a bassa intensità deve mantenere durante l’allenamento una frequenza di 138 battiti:

60 + 0,6 x (190 – 60) =

60 + 0,6 x 130 =

60 + 78 = 138.

 

Allenamento a piramide

 

È una metodica che prevede, per ogni esercizio, un certo numero di serie, partendo da una percentuale di peso bassa o media per terminare con pesi molto elevati o massimali. La salita viene effettuata aumentando ad ogni serie il peso di circa il 5% rispetto al massimale, ovviamente mano a mano che si sale cala il numero delle ripetizioni per ogni serie, fino ad arrivare ad una serie di un'unica ripetizione con il 95-100% del massimale. Terminate le serie in salita, con lo stesso criterio si ridiscende al peso di partenza. I tempi di recupero tra le serie sono di circa 2-3 minuti.

E’ un metodo molto utile per raggiungere buoni livelli di forza massimale, da adottare comunque in periodi di non agonismo, come allenamento di mantenimento e richiamo della forza.

Per i giovani si parte normalmente con un peso intorno al 50-55% del massimale e si arriva, prima di ridiscendere, ad un massimo del 75-80%.

Invece gli atleti evoluti partono dal 75% , raggiungono un apice del 95-100%, per poi ridiscendere al 75%.

 

Muscoli

Il sistema muscolare visto anteriormente e posteriormente

I MUSCOLI sono organi capaci di contrarsi, in seguito ad uno stimolo adeguato, determinando il movimento del corpo o di sue parti. Costituiti da tessuto muscolare sono avvolti da una membrana elastica che li mantiene in sede durante la contrazione. Vengono distinti in base al tipo di tessuto muscolare che li costituisce in lisci o striati; e in base alla possibilità di controllare volontariamente o meno la contrazione: in volontari o involontari.

I muscoli volontari si chiamano anche scheletrici, perché sono quasi tutti uniti alle ossa per mezzo di cordoni fibrosi, detti tendini; i muscoli volontari costituiscono circa la metà del nostro peso corporeo.

Quando un muscolo viene sollecitato per compiere un movimento si contrae, cioè si accorcia e nello stesso tempo diventa più grosso. Ogni movimento attivo di un muscolo comporta la sua contrazione, ma il muscolo potrà poi rilassarsi, riacquistando la lunghezza originaria, soltanto per azione di un altro muscolo, capace di agire in senso opposto, e perciò detto antagonista.

Ogni articolazione del nostro corpo dispone di coppie di muscoli: flessori ed estensori, che funzionano gli uni al contrario degli altri.

I muscolo hanno bisogno di energia per compiere lavoro, questa energia deriva dalla trasformazione di energia chimica accumulata nelle molecole di una sostanza di fondamentale importanza biologica: l’adenosintrifosfato o ATP e liberata nel corso dei processi della respirazione cellulare.

Solo una frazione dell’energia chimica utilizzata viene però la trasformata in lavoro meccanico, il resto si trasforma in calore.

La forza prodotta da un muscolo dipende dal numero di fibre che vengono stimolate a contrarsi, e non dal grado di contrazione di ogni fibra, motivo per cui il muscolo esercita il massimo sforzo quando tutte le fibre si contraggono.

In un muscolo le fibre di un’unità motoria reagiscono in un modo indipendente da quello delle altre: a livello di singola unità, la contrazione segue da legge del tuo o nulla, ossia le fibre dell’unità non possono contrarsi parzialmente, ma se l’intensità dello stimolo risulta superiore a un valore minimo, detto soglia, sotto il quale la contrazione non avviene, allora tutte le fibre si contraggono al massimo.

E’ possibile una gradualità della risposta allo stimolo, in quanto possono contrarsi, in base all’intensità della stimolazione: una, due, tre, tutte le unità motorie, per ognuna delle quali vale però sempre la legge del tutto o nulla. È evidente che un muscolo formato da un elevato numero di unità neuromotrici è in grado di offrire una vastissima gamma di risposte, passando dalla minima alla massima contrazione.

L’intenso esercizio muscolare contribuisce all’aumento delle dimensioni delle fibre muscolari ma non del loro numero: ogni singola fibra diventa più grossa.

La stanchezza si manifesta quando i muscoli non reagiscono agli stimoli provenienti dai nervi e quindi non si contraggono; ciò può essere causato da eccessivo esercizio muscolare, da insufficiente circolazione del sangue, da mancanza di cibo e di ossigeno, o da malattia.

L’organismo si sente affaticato per progressivo accumulo nei muscoli di acido lattico, prodotto che si forma nel corso della scissione di sostanze, come il glicogeno, destinate a fornire energia per la contrazione muscolare in condizioni anaerobiche, ossia in mancanza di ossigeno.

L’afflusso ai muscoli di sangue ossigeno consente una graduale eliminazione dell’acido lattico, che viene in parte trasformato in acqua e anidride carbonica e in parte ritrasformato in glicogeno, il che consente ai muscoli il ritorno alla normalità e la scomparsa della sensazione di fatica.

I muscoli quando si contraggono compiono un lavoro. Avendo bisogno di energia la ricavano dalla combustione delle sostanze nutritive portate dal sangue che in essi circola. In attività, nel bruciare i materiali energetici, utilizzano una quantità di ossigeno 20 o 30 volte maggiore di quando sono in riposo. L’energia chimica potenziale, contenuta nei materiali nutritivi, viene trasformata in energia termica, meccanica, elettrica. L’energia meccanica e’ necessaria a far scattare il sistema contrattile ed a produrre lavoro muscolare. Nella combustione si formano anche sostanze di rifiuto, che il sangue provvede ad eliminare. Quando il sangue, non riesce a portar via del tutto queste sostanze, si forma un accumulo di veleni che provoca la sensazione di affaticamento muscolare. In condizioni normali, i nostri muscoli presentano un particolare stato di tono, vale a dire uno stato permanente di contrazione parziale, il quale consente l’equilibrio statico del corpo e dei suoi organi. Il tono muscolare e’ quindi l’espressione dello stato della continua attività muscolare.

Le unità motorie del muscolo sono fondamentalmente di due tipi: unità motorie lente (fibre rosse), unità motorie rapide (fibre bianche).

 FINE PRIMA PARTE