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Salvatore Ferrara ALLENAMENTO
FISICO Quando
ci alleniamo, per decidere il numero di ripetizioni da svolgere per ogni
esercizio, dobbiamo stabilire di quali combinazioni di forza e di resistenza
muscolare abbiamo bisogno. Se
lo sport praticato richiede una combinazione in cui ci sia molta forza e poca
resistenza, è necessario programmare serie di 4-8 ripetizioni al massimo. Se
lo sport praticato richiede principalmente forza mista a resistenza, occorre
lavorare nell’ambito delle 10-25 ripetizioni. Se
si ha prevalentemente bisogno di resistenza muscolare, più che di forza, il
numero di ripetizioni ideale va da 25 a 45. Se
l’esigenza fondamentale è il miglior sviluppo del sistema
cardiocircolatorio-respiratorio (CRV), bisogna lavorare sopra le 100
ripetizioni.
Esempi
di sports che richiedono soprattutto forza assoluta sono: il sollevamento
pesi, le alzate di potenza nella cultura fisica, i lanci nell’atletica
leggera; il calcio, il tennis, la pallavolo, le corse brevi, richiedono
combinazioni di forza e resistenza; esempi ove è richiesta in massima parte
resistenza muscolare sono: la corsa su lunghe distanze, il nuoto, il ciclismo
su strada, lo sci di fondo. Tutte queste attività richiedono anche resistenza
cardiovascolare e respiratoria. Quando ci alleniamo per la
forza dobbiamo adoperare carichi massimali e fare poche ripetizioni.
Aumentando il numero delle ripetizioni non si ottiene un aumento della forza,
ma alleneremo la forza mista a RESISTENZA
muscolare. Il risultato che si ottiene per la forza, con un lavoro tra le 3-6
ripetizioni e le 7-10 ripetizioni, non varia di molto perché, quando
eseguiamo il massimo delle ripetizioni, la tensione muscolare sviluppata nel
muscolo sarà massimale; pertanto l’effetto allenante per lo sviluppo della
forza di un alto numero di ripetizioni è ottenuto nell’ultima ripetizione,
in cui lo sforzo sarà vicino a quello che facciamo quando solleviamo un
grosso carico una volta sola. Tuttavia gli allenamenti basati su un alto
numero di ripetizioni comportano un notevole dispendio di energie e producono
fatica, quindi se necessitiamo di sola forza pura è conveniente allenarsi in
ogni caso con un numero molto basso di ripetizioni. Come
Riscaldarsi Riscaldarsi
è un obbligo, non abbiate timore di perdere tempo scaldandovi a dovere.
Questa regola fondamentale deve essere sempre ben tenuta in considerazione,
qualsiasi tipo di attività muscolare pratichiate. Il
lavoro di riscaldamento può essere distinto in due diverse situazioni: il
riscaldamento iniziale ed il riscaldamento specifico per l'esercizio in cui ci
si accinge ad impegnarsi. Il
riscaldamento iniziale comporta un lavoro dai 15 ai 30 minuti, che, con
esercizi che possono essere di stretching,
di ginnastica a corpo libero, di corsa o altro (in base al tipo di sport
praticato), ci deve preparare allo sforzo dal punto di vista fisiologico e
mentale: -
l'aumento della temperatura corporea previene gli infortuni, sempre in
agguato; -
il progressivo incremento del battito cardiaco prepara l'apparato
cardiovascolare al lavoro più intenso; -
gli esercizi di allungamento, provocando una maggiore flessibilità, con
conseguente minor tensione nei muscoli, oltre a prevenire problemi muscolari e
tendinei, creano i presupposti per una miglior performance; -
anche il sistema neuro-muscolare, decisamente importante per la prestazione,
dopo un adeguato lavoro di riscaldamento, viene a trovarsi in una situazione
ottimale. Un
riscaldamento iniziale ben eseguito deve portarci a sudare copiosamente e ad
innalzare il battito cardiaco oltre il coefficiente allenante di 0,6 . Il
riscaldamento specifico pre-esercizio prevede l'esecuzione dell'esercizio
medesimo a partire da un carico minimo, aumentando gradualmente l'intensità
del lavoro, con utili effetti preparatori alla grande intensità per muscoli e
tendini, ma anche per la mente, permettendo, inoltre, di provare l'esatta
esecuzione tecnica in situazioni più facili. Il
riscaldamento per il lavoro con i pesi Il
consiglio è di svolgere un riscaldamento generale di 15, 20 minuti che ci
conduca a sudare e di effettuare serie specifiche di riscaldamento, prima
delle serie vere e proprie di allenamento, per ciascun esercizio, nel modo
seguente: -
per le serie di allenamento fino a 5 ripetizioni, eseguire tre serie di
riscaldamento; -
per le serie da 6 a 10 ripetizioni, eseguire 2 serie di riscaldamento; -
per le serie oltre le 10 ripetizioni, 1 serie di riscaldamento. Queste
direttive sono valide per tutti gli esercizi tranne lo squat, lo stacco da
terra e le distensioni sia su panca che sopra la testa, per questi esercizi è
sempre necessario svolgere 3 o 4 serie di riscaldamento, a prescindere dal
numero di ripetizioni delle serie allenanti. Praticando
le serie extra di riscaldamento, non abbiate paura di perdere forza per le
serie allenanti, se non ci si affretta troppo tra l'ultima di riscaldamento e
la prima di allenamento, eseguirete senz'altro al meglio le vostre serie
allenanti e soprattutto limiterete notevolmente i rischi di infortuni, rischi
che non vanno mai trascurati, in special modo se non siete più giovanissimi. Stretching
Lo
stretching (dall’inglese to stretch: allungare, stendere) si identifica con
quei gesti naturali di allungamento che fanno parte della nostra quotidianità:
tutti noi compiamo, in maniera del tutto spontanea, azioni di autostiramento,
allo scopo, per esempio, di prepararci al movimento o di cercare sollievo
dalla fatica. Sono gesti istintivi, che spesso facciamo senza rendercene
conto, che, però, ormai da anni, grazie ad una sempre maggiore applicazione
della ricerca scientifica alla pratica sportiva sono divenuti parte integrante
della preparazione per tutte le discipline, in quanto, per esempio: -
aiutano nella prevenzione dei traumi; -
accorciano i tempi della riabilitazione post infortunio; -
accelerano il recupero dalla fatica; -
facilitano la ripresa del lavoro atletico dopo un periodo di inattività; -
favoriscono il rilassamento. Lo
stretching (anche se naturale ed istintivo) deve essere eseguito in modo
corretto, in sintonia con il proprio corpo, senza mai eccedere. Risponde alle
necessità di tutti, ma, per avere risultati, servono regolarità e capacità
di rilassamento. Oltre
agli impieghi che trova in tutti gli sport (in fase di riscaldamento, nel
defaticamento e come prevenzione alle lesioni), oggigiorno è stato riscoperto
come una vera e propria forma soft di attività fisica, che privilegia il
benessere migliorando la capacità rilassamento, l’elasticità muscolare, la
mobilità delle articolazioni ed il tono muscolare. Lo
stretching può essere: -
dinamico (caratterizzato da una estensione graduale che arriva ai limiti
dell’allungamento stesso); -
statico (consiste nel mantenere per un certo tempo una determinata posizione). Entrambi
possono a loro volta essere eseguiti in modo: -
attivo (l’allungamento viene raggiunto attraverso la contrazione dei muscoli
antagonisti); -
passivo (vi è il ricorso all’aiuto di attrezzi specifici o di un partner). La
forma di stretching più diffusa fa riferimento agli studi dell’americano
Bob Anderson. Egli distingue nel suo sistema tre fasi. Le prime due non
attivano il riflesso estensorio e non procurano dolore, situazioni, invece,
indotte dalla terza fase.
Per
comprendere meglio lo stretching è utile chiarire alcuni concetti relativi al
sistema neuro-muscolare, iniziando dal riflesso di allungamento o riflesso
estensorio. Con
tale termine si indica un meccanismo di autodifesa che, quando un muscolo è
allungato eccessivamente, per salvaguardarlo da possibili traumi, ne provoca
la contrazione senza l’intervento della volontà. I muscoli sono dotati di
diversi tipi di recettori che ne sovrintendono il funzionamento. L’integrità
del sistema muscolare è affidata ai FUSI NEURO-MUSCOLARI e agli ORGANI DEL
GOLGI. I fusi neuro-muscolari sono dei corpuscoli collegati in parallelo alle
fibre muscolari, delle quali seguono passivamente i movimenti, per cui ad un
allungamento delle miofibrille se ne accompagna sempre uno identico dei fusi,
che, in pratica, sono dei sensori che funzionano registrando la tensione a cui
sono sottoposte le fibre del muscolo. Quando si verifica un eccessivo
allungamento, tale da far temere dei possibili danni, questi “sensori”
inviano un impulso al midollo spinale, che, autonomamente, senza
l’intervento dei centri cerebrali, trasmette un segnale di ritorno che
provoca la contrazione del muscolo. I riflessi estensori più sviluppati sono
quelli dei muscoli posturali, cioè di quei muscoli che assicurano
l’equilibrio del corpo. Ecco
spiegato il motivo per cui quando si arriva ad allungare un muscolo
all’eccesso, fino al dolore, si avverte una decisa resistenza. Stirarsi
troppo è pericoloso e controproducente, infatti, vi è un forte rischio di
infortunio abbinato ad una perdita, piuttosto che ha un miglioramento, di
elasticità. Il
riflesso estensorio è caratterizzato: -
da una rapida entrata in azione; -
da una forza direttamente proporzionale a quella dello stiramento subito dal
muscolo; -
dalla cessazione in contemporanea con quella dell’eccessivo allungamento. Viceversa,
gli organi del Golgi, che sono localizzati nella zona intermedia tra muscolo e
tendine, entrano in azione quando si verifica una contrazione particolarmente
intensa (tale da far temere lesioni) adducendo quale risposta il completo
rilassamento del muscolo (inibizione autogena).
Le
informazioni di cui sopra, ci permettono di formulare una serie di regole di
fondamentale importanza: -
è assolutamente necessario condurre la tensione di stiramento molto
lentamente, per non incorrere nel “riflesso di allungamento”, che
provocherebbe la contrazione del muscolo; -
il tempo minimo di mantenimento della posizione di stretching deve essere di
circa 10 secondi; -
per quanto riguarda i tempi massimi, occorre tenere presente che nella
posizione di allungamento l’impulso del nervo alle miofibrille (fatto che
determina il miglioramento dell’elasticità) arriva ogni 6/8 secondi, dopo
di che si registra una diminuzione della tensione che consente il mantenimento
dello stiramento per altri 10/12 secondi, risulta, quindi, basilare percepire
lo svolgimento del processo e regolarsi di conseguenza, dalla sintonia con il
proprio corpo si ricaverà l’indicazione precisa dei tempi di tensione.
A: 1)
incremento della flessibilità e dell’elasticità di muscoli e tendini; 2)
miglioramento della capacità di movimento; 3)
eccellente mezzo di riscaldamento; 4)
prevenzione di traumi e lesioni; 5)
ottimo strumento di defaticamento. B: 1)
stimolazione della lubrificazione articolare; 2)
riduzione delle malattie degenerative; 3)
rallentamento della calcificazione del tessuto connettivo; C: 1)
miglioramento del sistema respiratorio; 2)
effetti positivi sulla circolazione; 3)
diminuzione della pressione arteriosa; 4)
aumento della capacità polmonare; D: 1)
sviluppo delle percezioni del proprio corpo; 2)
attenuazione dello stress; 3)
azione rilassante e rassenerante; è
opportuno distinguere tra: 1)
stretching praticato come forma di riscaldamento per altre attività; 2)
stretching svolto nella fase di defaticamento; 3)
stretching inteso come attività fisica autonoma. Nella
prima situazione viene svolto blandamente, senza forzature, nel rispetto delle
regole di un buon riscaldamento generale che precede un intenso lavoro fisico.
Lo stretching risulta, infatti, ideale per preparare il corpo sia dal punto di
vista muscolare ed articolare (aumento della flessibilità, aumento della
temperatura corporea, incremento dei battiti cardiaci e della circolazione,
aumento dei processi metabolici), che da quello mentale (innalzamento del
livello di vigilanza, aumento della concentrazione, crescita della prontezza
dei riflessi). Nella
fase di defaticamento è indispensabile: -
per riportare i muscoli alla loro normale lunghezza; -
per facilitare l’assorbimento delle tossine indotte dallo sforzo e,
conseguentemente, il pronto recupero; -
per evitare l’insorgenza dei dolori muscolari tipici del giorno dopo. Concepito
come attività atletica vera e propria, adita al miglioramento della
flessibilità e dell’elasticità muscolare, risulta un tale impegno fisico
da dover richiedere a sua volta una fase di riscaldamento, che potrebbe
essere, per esempio, o una corsa molto blanda o una ginnastica a corpo libero
un molto leggera. Consigli
su come programmare gli allenamenti di stretching: -
le sedute devono essere precedute da un profondo rilassamento e praticate in
una atmosfera serena e distesa, per questo motivo è bene fissare gli
allenamenti quando si è certi di avere tempo a sufficienza per fare gli
esercizi, senza fretta e senza ansie; -
cercare i movimenti e le tensioni con naturalezza, assecondando sempre il
proprio corpo, senza mai forzare; -
scegliere gli esercizi in funzione delle proprie capacità, procedendo per
gradi, evitando le posizioni che per adesso ci procurano disagi; -
svolgere gli esercizi sempre nel modo corretto; -
non trascurare mai alcun distretto muscolare; -
non rimbalzare per arrivare all’allungamento; -
non spingere la tensione fino al dolore; -
uscire dalla posizione sempre lentamente, mai di scatto; -
in caso di condizioni di flessibilità asimmetrica, insistere sulla parte più
rigida; -
variare spesso gli esercizi. La
frequenza di allenamento ideale varia dalle 3 alle cinque sedute settimanali,
un’unica seduta settimanale non da risultati rilevanti. E’
da dire che tale pratica non ha più valore assoluto nella pallavolo se non
nei casi in cui gli atleti abbiano assoluta o impellente necessità di
svolgere questo tipo di attività. La
resistenza È la capacità di proseguire per un lungo periodo un’attività muscolare (per esempio: l’abilità di fare il massimo delle ripetizioni con un determinato carico), nel regime isometrico la resistenza si riferisce al massimo tempo in cui si riesce a reggere un peso o mentre si produce una certa forza contro un oggetto immobile. Può essere intesa come: RESISTENZA GENERALE (se riguarda un’attività che impegna più gruppi muscolari unitamente all’apparato CARDIOVASCOLARE-RESPIRATORIO), RESISTENZA MUSCOLARE (se riguarda un ristretto gruppo muscolare e la capacità di utilizzo dei substrati energetici locali). In
base alla durata dell’attività possiamo distinguere: -resistenza
di lunga durata (vi è un impegno prevalentemente aerobico, con forte
coinvolgimento del sistema cardiovascolare-respiratorio; il tempo di
svolgimento supera i 10 minuti fino ad anche oltre le tre ore); -resistenza
di media durata (si utilizzano sia il meccanismo aerobico sia quello anaerobico
lattacido,
il
lavoro si protrae dai due ai 10 minuti); -resistenza
di breve durata (il meccanismo predominante è sicuramente la aerobico
lattacido, l’impegno va dai 45 secondi ai due minuti, è richiesto un certo
sviluppo della RESISTENZA
ALLA FORZA
e
della RESISTENZA
ALLA VELOCITA’. Le
proprietà che principalmente influenzano la resistenza sono: -la
vascolarizzazione muscolare e il diametro e numero dei capillari, -il
contenuto nel sangue di ossigeno,
zuccheri e acidi grassi nelle
quantità ottimali, -l’efficienza
dell’apparato cardiovascolare-respiratorio e le dimensioni della muscolatura
cardiaca (ipertrofia e volume), -una
bassa frequenza cardiaca a riposo, -il
volume del sangue e dei globuli rossi, -la
capacità di assorbimento ed utilizzo dell’ossigeno, -le
motivazioni psicologiche, la forza di volontà e la capacità di
concentrazione, -il
massimo
consumo di ossigeno, -la
quantità di fibre
muscolari rosse. L’allenamento
per migliorare la resistenza deve essere condotto ad una velocità vicino alla
soglia anaerobica, deve portare al giusto utilizzo della miscela
glicogeno-grassi e dell’ossigeno, deve perseguire il miglioramento della
capillarizzazione muscolare e deve portare ad un aumento dell’attività
degli enzimi
mitocondriali. I
principali metodi di sviluppo della resistenza possono essere: -metodi
continui, -metodi
intervallati. Il
metodo intervallato più efficace è sicuramente l’interval
training. Tra
i metodi continui dobbiamo distinguere quelli a velocità costante e quelli
con cambio di ritmo (FARTLEK). Nel
caso di velocità costante, se decidiamo per un lavoro lungo (oltre i 60
minuti), dovremo mantenere una frequenza cardiaca calcolata applicando un coefficiente
allenante di 0,6;
per un’attività intermedia (tra i 30 e i 60 minuti) il coefficiente
allenante da considerare è di 0,7-0,8; mentre è di 0,9 per allenamenti sotto
i trenta minuti. INTERVAL
TRAINING
Corsa
interrotta da pause, si differenzia dalle RIPETUTE, in quanto il recupero e’
incompleto. L’effetto
allenante variera’ in funzione della lunghezza del percorso (e quindi della
velocita’ di percorrenza) e del tempo di recupero Corsa:
tecniche di allenamento Il fartlek
Per FARTLEK si intende la
corsa continua con variazioni di ritmo. L’atleta corre per piu’ o meno
lunghi tratti, ma in questo caso l’intensita’ dello sforzo non si mantiene
uniforme, ma presenta continue variazioni, dovute per esempio: 1.alla
presenza di salite 2.alle
variazioni di velocita’ dell’atleta. Il
principio fisiologico che caratterizza il FARTLEK e’ che nei tratti nei
quali l’intensita’ dello sforzo e’ maggiore, vi deve essere a livello
dei muscoli produzione di acido lattico e quasi sempre anche accumulo, nei
tratti dove l’intensita’ dello sforzo e’ ridotta l’organismo deve
eliminare tale l’acido lattico che dai muscoli e’ passato al sangue;
questo avviene grazie all’intervento del fegato e di altri organi quali: i
reni, il cuore ed anche alcuni muscoli che hanno a disposizione piu’
ossigeno di quanto gliene serva. Quanto piu’ velocemente l’acido lattico
viene allontanato dal sangue, tanto piu’ facilmente passera’ dalle fibre
muscolari al sangue. Il
FARTLEK, quindi, non serve soltanto a migliorare i meccanismi aerobici di
produzione dell’ATP, ma anche ad aumentare la velocita’ alla quale, pur
essendoci produzione, non c’e’ accumulo di acido lattico. La frequenza cardiaca mirata
o allenante Corrisponde
alla frequenza cardiaca che ci si propone di mantenere durante l’allenamento
considerando un coefficiente allenante che determinerà il livello di intensità. FREQUENZA
ALLENANTE = FREQUENZA A RIPOSO + COEFFICIENTE ALLENANTE X (FREQUENZA MASSIMA
– FREQUENZA A RIPOSO). Per
frequenza a riposo si intende il numero di battiti cardiaci al minuto rilevati
al mattino appena svegli, la frequenza massima si ottiene sottraendo a 220 il
numero corrispondente all’età del soggetto. Il coefficiente allenante
indica il grado di intensità dell’allenamento: un valore di 0,6 determina
un lavoro blando, un valore di 0,9 equivale ad un’attività molto pesante, a
indici intermedi corrispondono livelli intermedi di carico. Per
esempio, se un’atleta di 30 anni con una frequenza cardiaca a riposo di 60
battiti, si prefigge un lavoro a bassa intensità deve mantenere durante
l’allenamento una frequenza di 138 battiti: 60
+ 0,6 x (190 – 60) = 60
+ 0,6 x 130 = 60
+ 78 = 138. Allenamento a piramide È una metodica che prevede,
per ogni esercizio, un certo numero di serie, partendo da una percentuale di
peso bassa o media per terminare con pesi molto elevati o massimali. La salita
viene effettuata aumentando ad ogni serie il peso di circa il 5% rispetto al
massimale, ovviamente mano a mano che si sale cala il numero delle ripetizioni
per ogni serie, fino ad arrivare ad una serie di un'unica ripetizione con il
95-100% del massimale. Terminate le serie in salita, con lo stesso criterio si
ridiscende al peso di partenza. I tempi di recupero tra le serie sono di circa
2-3 minuti. E’
un metodo molto utile per raggiungere buoni livelli di forza massimale, da
adottare comunque in periodi di non agonismo, come allenamento di mantenimento
e richiamo della forza. Per
i giovani si parte normalmente con un peso intorno al 50-55% del massimale e
si arriva, prima di ridiscendere, ad un massimo del 75-80%. Invece
gli atleti evoluti partono dal 75% , raggiungono un apice del 95-100%, per poi
ridiscendere al 75%. Muscoli Il sistema muscolare visto anteriormente e posteriormente I MUSCOLI sono organi capaci di contrarsi, in seguito ad uno stimolo adeguato, determinando il movimento del corpo o di sue parti. Costituiti da tessuto muscolare sono avvolti da una membrana elastica che li mantiene in sede durante la contrazione. Vengono distinti in base al tipo di tessuto muscolare che li costituisce in lisci o striati; e in base alla possibilità di controllare volontariamente o meno la contrazione: in volontari o involontari. I muscoli volontari si chiamano anche scheletrici, perché sono quasi tutti uniti alle ossa per mezzo di cordoni fibrosi, detti tendini; i muscoli volontari costituiscono circa la metà del nostro peso corporeo. Quando un muscolo viene sollecitato per compiere un movimento si contrae, cioè si accorcia e nello stesso tempo diventa più grosso. Ogni movimento attivo di un muscolo comporta la sua contrazione, ma il muscolo potrà poi rilassarsi, riacquistando la lunghezza originaria, soltanto per azione di un altro muscolo, capace di agire in senso opposto, e perciò detto antagonista. Ogni articolazione del nostro corpo dispone di coppie di muscoli: flessori ed estensori, che funzionano gli uni al contrario degli altri. I muscolo hanno bisogno di energia per compiere lavoro, questa energia deriva dalla trasformazione di energia chimica accumulata nelle molecole di una sostanza di fondamentale importanza biologica: l’adenosintrifosfato o ATP e liberata nel corso dei processi della respirazione cellulare. Solo una frazione dell’energia chimica utilizzata viene però la trasformata in lavoro meccanico, il resto si trasforma in calore. La forza prodotta da un muscolo dipende dal numero di fibre che vengono stimolate a contrarsi, e non dal grado di contrazione di ogni fibra, motivo per cui il muscolo esercita il massimo sforzo quando tutte le fibre si contraggono. In un muscolo le fibre di un’unità motoria reagiscono in un modo indipendente da quello delle altre: a livello di singola unità, la contrazione segue da legge del tuo o nulla, ossia le fibre dell’unità non possono contrarsi parzialmente, ma se l’intensità dello stimolo risulta superiore a un valore minimo, detto soglia, sotto il quale la contrazione non avviene, allora tutte le fibre si contraggono al massimo. E’ possibile una gradualità della risposta allo stimolo, in quanto possono contrarsi, in base all’intensità della stimolazione: una, due, tre, tutte le unità motorie, per ognuna delle quali vale però sempre la legge del tutto o nulla. È evidente che un muscolo formato da un elevato numero di unità neuromotrici è in grado di offrire una vastissima gamma di risposte, passando dalla minima alla massima contrazione. L’intenso esercizio muscolare contribuisce all’aumento delle dimensioni delle fibre muscolari ma non del loro numero: ogni singola fibra diventa più grossa. La stanchezza si manifesta quando i muscoli non reagiscono agli stimoli provenienti dai nervi e quindi non si contraggono; ciò può essere causato da eccessivo esercizio muscolare, da insufficiente circolazione del sangue, da mancanza di cibo e di ossigeno, o da malattia. L’organismo si sente affaticato per progressivo accumulo nei muscoli di acido lattico, prodotto che si forma nel corso della scissione di sostanze, come il glicogeno, destinate a fornire energia per la contrazione muscolare in condizioni anaerobiche, ossia in mancanza di ossigeno. L’afflusso ai muscoli di sangue ossigeno consente una graduale eliminazione dell’acido lattico, che viene in parte trasformato in acqua e anidride carbonica e in parte ritrasformato in glicogeno, il che consente ai muscoli il ritorno alla normalità e la scomparsa della sensazione di fatica. I muscoli quando si contraggono compiono un lavoro. Avendo bisogno di energia la ricavano dalla combustione delle sostanze nutritive portate dal sangue che in essi circola. In attività, nel bruciare i materiali energetici, utilizzano una quantità di ossigeno 20 o 30 volte maggiore di quando sono in riposo. L’energia chimica potenziale, contenuta nei materiali nutritivi, viene trasformata in energia termica, meccanica, elettrica. L’energia meccanica e’ necessaria a far scattare il sistema contrattile ed a produrre lavoro muscolare. Nella combustione si formano anche sostanze di rifiuto, che il sangue provvede ad eliminare. Quando il sangue, non riesce a portar via del tutto queste sostanze, si forma un accumulo di veleni che provoca la sensazione di affaticamento muscolare. In condizioni normali, i nostri muscoli presentano un particolare stato di tono, vale a dire uno stato permanente di contrazione parziale, il quale consente l’equilibrio statico del corpo e dei suoi organi. Il tono muscolare e’ quindi l’espressione dello stato della continua attività muscolare. Le unità motorie del muscolo sono fondamentalmente di due tipi: unità motorie lente (fibre rosse), unità motorie rapide (fibre bianche). FINE PRIMA PARTE
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