Roberto Sensoni:

Bob Seamann...

"GLI ULTIMI CENTO GIORNI"

- la strana storia di un feroce serial killer -

 

 

INTRODUZIONE

Dopo dodici opere dedicate al «suo eroe» Ulisse Schittzer, Roberto Sensoni prova qui a tracciare la figura di Bob Seamann, investigatore dei Corpi Speciali dell’F.B.I., riuscendo pienamente nel suo intento. La storia si svolge negli Stati Uniti, in una New York orbata delle Torri Gemelle, ed è un complicatissimo intrico di azione e machiavellismi. La caccia al serial-killer divoratore di fegati umani e collezionista di occhi, si risolverà con un colpo di scena inatteso, lasciando interdetto il lettore. Buona la trama, ricco l’intreccio, da maestro la gestione della suspense.

Cosa pretendere di più?

(M.T.)

 

Premessa

 

Bob Seamann non è uno stinco di santo. Segue i principi dell’onestà e della giustizia, questo sì, anche se, per risolvere i guai, ha il vizio di affidarsi all’istinto, che non è proprio per nulla simile a quello di un’educanda in un collegio femminile. Pare, inoltre, che il nome che porta sia fasullo, ma, in tutta onestà, non sappiamo fornirvi l’originale, e neppure la sua nazionalità. Sappiamo che non sempre si è comportato da cittadino esemplare e che ha scontato qualche anno in uno dei più terribili penitenziari per lungodegenti, qua negli States. Negli ultimi anni, pare sia stato arruolato nei Servizi Segreti, come uomo di fatica, con il nome di Agente RS54. La notizia è praticamente certa, ma la nostre fonti sono piuttosto lacunose. La sua età presunta è sui 45, ha un fisico decisamente atletico, è alto 180 cm., ha la barba e porta gli occhiali scuri anche a letto. Ah! Sembra preferisca affrontare le questioni più spinose con una vecchia Luger semiautomatica.

Tutti noi abbiamo qualche mania…

Ma passiamo ad altro.

In particolare, al racconto della sua ultima avventura.

 

 

 

 

 

PRIMO GIORNO

 

Un insolito incontro.            

 

 

Thomas, un operatore di borsa dotato di un certo prestigio, vedeva ridursi, giorno dopo giorno, i margini di guadagno, e ciò era una vera maledizione. Messa in vendita la prestigiosa villa con vista sul ponte di Brooklin, lasciato dalla moglie e abbandonato dai domestici, si era ridotto a vivere nell’unica stanza che riusciva a mantenere pulita: quella da letto, anche se nessun collega, per il momento, ne era venuto a conoscenza.

Ultimamemente, inoltre, rimasto in pratica il solo frequentatore di un ufficio che, sino a poco tempo prima, contava ben tredici impiegati, iniziava a soffrire di fastidiose cefalee e di fosfeni alquanto disturbanti. I fosfeni, in particolare, quei fastidiosi lampi di luce che apparivano quando meno se lo aspettava, lo preoccupavano non poco, tendendo questi, non raramente, ad assumere la forma di vere e proprie visioni.

Occupandoci brevemente del suo carattere, Thomas non faceva nessuna fatica ad ammetterlo: era un ateo, un senza Dio. Anzi, mi correggo: un agnostico. Gli atei lo  infastidivano. La loro è quasi una religione, una fede solidissima che non prevede un Creatore, un Primus Movens, una Causa Prima. Credono nel Caso, nella Scienza, nel Dimostrabile. Lui non credeva a nulla: dubitava. In ogni caso, era uno che cercava…

Non si accontentava di soluzioni preconfezionate, come fanno i credenti e gli atei. Non ha mai avuto grandi speranze di risolvere il suo rebus, in verità, ma è andato avanti lo stesso, tutta una vita, sperando di operare dignitosamente nel rispetto degli altri e delle leggi impresse nelle dieci tavole e donate da Mosè all’umanità.

Una cosa non facile, in quei tempi…

Ma veniamo ai fatti.

Partiamo dal primo degli ultimi cento giorni della sua esistenza…

Non diversamente da buona parte del genere umano, egli si trovava in quell’età di mezzo nella quale, realizzatisi bene o male i propri sogni, si inizia a percepire una sottile inquietudine, e si tende a desiderare un radicale mutamento del corso della propria vita.

La calma piatta non aveva mai fatto per lui e, credo, per nessun essere umano dotato di una certa intelligenza. Soprattutto, non faceva per lui in quel particolare momento.

Ebbene, che ci crediate o no, quel giorno incontrò Dio (O, magari, il Diavolo, chissà…!).

(Se esiste il Bene, deve esistere pure il Male: non c’è via di scampo. E, se esiste un essere superiore, deve inglobarli in sé ambedue. Dove andrebbe a finire, altrimenti, la sua Onnipotenza?)…

Al termine del lavoro, quel giorno, si trattenne in ufficio più a lungo del solito per sbrigare alcune pratiche burocratiche. Ad un certo punto, dalla penombra, emerse una sorta di luce, che si fece via via più intensa, sino a dar corpo ad una sorta di ambiguo essere che si materializzò, dal nulla, sulla sedia di fronte a lui.

"Cristo! - disse tra sé, un po' sorpreso - ".

"Sbagliato! - rispose l'anziano signore cornuto dalla candida barba - Io sono il Padre... ".

"Oddio! Non mi dire che... ".

"Indovinato! Sono Dio. Il tuo Dio... ".

“Ma… le corna, allora?”.

“Io sono l’Assoluto. In me, esistono tutto il Bene ed il Male dell’Universo… “.

“Dunque, il Diavolo… “.

“Non è mai esistito, almeno come entità separata. Le vostre convinzioni hanno qualche falla, indubbiamente. La faccenda della Trinità, ad esempio: Io sono Uno e Quadruplo! Che Trino e Trino…! Quante estremità ha la Croce? Rispondi… ”.

“Quattro?”.

“Bravo! Vedo che sei un tipo sveglio. Un’estremità rappresenta il Padre, le altre, rispettivamente, il Figlio, lo Spirito Santo, e Lucifero… “.

“Il Diavolo!”.

“Giusto. Vi siete intenzionalmente dimenticati della quarta estremità, quella piantata nelle viscere della terra e che rappresenta la parte malvagia della mia natura. Avete seguito la politica dello struzzo, a quanto pare… “.

“Prodigioso…! “.

“Beh, non molto, in verità… Ma veniamo a noi: sono venuto per farti un importante annuncio. Morirai esattamente fra cento giorni… “.

“Ah! Bella notizia! Sarà poi vera?”.

“Non hai che da attendere, Thomas – rispose l’Essere che avevo davanti, sorridendo misteriosamente, con l’aria di congedarsi – “.

“No, no! Aspetta! Perché proprio io? Intendo: come mai, Voi Lassù, fra tanti esseri umani, avete scelto proprio me?”.

“Ah, ah, ah, ah! – fece l’ambiguo personaggio, trasformandosi in una palla di luce – Ti abbiamo sorteggiato! Un giochino che facciamo ogni tanto per rompere la monotonia dell’eternità “.

Scomparsa la vivida luminosità, la stanza ripiombò nella penombra.

Thomas gettò la penna sul foglio che aveva davanti, e dette un’occhiata in giro: niente e nessuno! Che avesse avuto le traveggole per il troppo lavoro? Certo, c’era da dubitarne. Tuttavia, qualcosa (non so bene che…) lo spinse a prendere la cosa per buona.

Alzò gli occhi verso l’orologio a muro (certe visioni, vere o allucinatorie che siano, hanno il potere di farti perdere il senso del tempo): la lancetta più corta stava sulle nove, mentre quella più lunga era dalle parti del sei…

Le ventuno e trenta! Bisogna che vada subito a casa, – si disse – altrimenti, rischio di non cenare neppure stasera”.

Si alzò di scatto dalla poltrona girevole, e si diresse verso l’attaccapanni per prendere il giaccone. Eravamo oltre la metà di dicembre e, la sera, faceva già piuttosto fresco. Quella in particolare, era una serata di pioggia. Di lenta, noiosa, e continua pioggia…

 

 

 

Immagini oniriche.

 

Sistemate le minuscole incombenze di casa (la vita da single non è tutta rose e fiori…), se ne andò sparato a letto. Lo stress di una giornata oltremodo faticosa ed improduttiva non gli aveva neppure permesso di prendere sul serio le vicende occorsegli. L’intenzione era quella di coricarsi e dedicare un minimo d’attenzione all’inverosimile annuncio che gli era stato fatto, prima che il sonno, ed il conseguente oblio, lo cogliessero impreparato.

Non era mica una faccenda da sottovalutare, cribbio!

Se quel tipo la raccontava giusta, gli rimanevano soltanto, sì e no, novantanove giorni di vita. Da quel che gli risultava, nessun individuo si era mai trovato nella sua situazione. In un certo senso, poteva considerarsi un precursore, una sorta di avanguardia dell’umanità futura, che, con il progresso della scienza, sicuramente, arriverà a conoscere pure l’ora esatta, ed il minuto, della dipartita.

Un fortunato, forse...

Pensate a quanti scompaiono sul più bello della loro esistenza. Magari, i poveretti hanno ancora un sacco di cose da sistemare, una montagna di idee da realizzare, qualche sfizio ancora da togliersi e… Niente! Pufh! La morte se li porta via…

Una vera tristezza…!

A lui, invece, era stata concessa la possibilità di dedicarsi con tutto il suo essere a quelle cose che, in genere, ritenendo di avere davanti un sacco di tempo a disposizione, gli altri rimandano.

Con quella ridda di pensieri in mente, incerto, ma, tutto sommato, soddisfatto della sua nuova condizione, si lasciò cogliere dal sonno.

D’un tratto…

“Dio non gioca a dadi! – disse una voce dall’accento tedesco, mentre un volto baffuto, prima indistinto, si andava pian piano definendo sul fondo della scena – “.

“No: sorteggia i mortali con i numeri della tombola! Ah, ah, ah! – rispose un essere cornuto in primo piano, lasciandosi andare ad una fragorosa risata – “.

“E = MC²! – ribadì il primo, ora decisamente somigliante ad Albert Einstein – “.      

“Stupido! Le leggi della fisica le ho create io, a mio capriccio. Ma chi ti credi di essere? – controbatté il secondo – “.

“No, no, ragazzi! Facciamola finita! – disse la voce di Thomas, a quel punto, emergendo dal buio assoluto – Dio giocherà pure a dadi, ma ha il merito di aver fatto il mondo… “.

“Sì, l’ho fatto per avere un gioco con cui trastullarmi. Ah, ah, ah!”.

“Tu non sei Dio. Sei un volgare impostore. Anzi, sei il Diavolo!”.

“Thomas…! Tu non capisci proprio niente! Io sono Uno e Quadruplo! Te l’ho detto: morirai esattamente fra cento giorni. Goditi la vita, se ci riesci… Ah, ah, ah!”.

“Via, via, figura immonda! Vattene via… “.

“E = MC²…!”.

“Zitto, imbecille… “.

“Ma, ma, ma… “.

“Ah, ah, ah, ah, ah…! Ah, ah, ah, ah, ah…!”.

L’ultima risata fu così fragorosa, che il nostro amico si risvegliò.

Per fortuna!

Non avrebbe retto un minuto di più a quell’incubo insulso.

Con la mano tremante, gelida, e sudata accese la lampada sul comodino e guardò l’orologio: erano appena le tre.

Le tre del novantanovesimo giorno di vita: tutto quel che restava…

 

 

 

SECONDO GIORNO

 

 

Godersi la vita.

 

  Si alzò. Il letto gli era divenuto insopportabile. E poi, che riposarsi a fare se, nel giro di tre mesi, giorno più  giorno  meno, avrebbe dovuto abbandonare  tutto?

Spalancò la finestra: la pioggia, resa obliqua dalla spinta del Libeccio, continuava ad imperversare sulla città. Più in lontananza, là dove l'arancio dei lampioni alogeni si stemperava nel buio più profondo, poteva intravvedere le bianche creste dei frangenti rincorrersi sull'acqua e colpire con violenza i massi stesi a protezione del molo.

No, non sarebbe stata una bella giornata, quella. Thomas già sentiva crescere in sé la paura di sprecarla inutilmente.

Eh, già! Si fa presto a dire: goditi la vita, goditi gli ultimi giorni che ti restano.

Mica facile!

Se uno, come lui, ha sinora anteposto il lavoro ad ogni altra cosa, rischia di trovarsi inguaiato.

Ecco! Ciò che gli mancava era, in realtà, la cultura del divertimento, la capacità di dedicarmi alle frivolezze, capacità di cui, al contrario, gli appariva piena la vita degli altri, di quei tizi che, fino a ieri, aveva considerato ingiustamente soltanto degli stupidi, degli insulsi smidollati.

Una bella fregatura...

Chiuse la finestra della camera da letto e ne uscì per andare a sedersi dietro alla scrivania dello studio. Davanti a lui c'era una scatola di Partagas. Ne accese uno. Non aveva mai fumato sigari alle tre del mattino.

Stai a vedere che comincio ad imboccare la strada buona –  pensò – “.

Dunque, che fare? Da dove cominciare, insomma?

Meditò a lungo, ma, più meditava, più la mente si svuotava. Niente! Non gli veniva in mente niente…

Aggiungere qualche storia di sesso alle innumerevoli di cui era già tempestata la sua esistenza? Non era una grande idea: piacere reale vicino allo zero, alti consumi di energie psichiche e denaro... No!

Darsi alle spese pazze, e spendere tutto il denaro che si possiede per comprare quello di cui si era sempre privato? Sì! Per farcire la tomba di oggetti inutili, alla maniera dei Faraoni...! No, no!

Licenziarsi e fare il giro del mondo? Già! Chissà, poi, in che posto di merda gli sarebbe toccato morire! No, no, no!

Approfondire la propria cultura? Bravo! Proprio quel che ci vuole, per un moribondo... No! No! E poi: No!

Darsi alla pratica del Cristianesimo? Convertirsi? No, troppo tardi. Se egli fosse stato Dio, si sarebbe sputato in un occhio, per il disprezzo…

Diventare uno spietato killer seriale e togliere dalla faccia della terra tutti coloro che lo avevano sempre infastidito, i rappresentanti delle categorie umane che aveva sempre odiato?

Non male! Un’idea un tantino più affascinante, finalmente… “.

In effetti, la lista ce l’aveva già. Era tutta una vita che la preparava, così, per gioco: era chilometrica, e stracolma di possibili candidati.

Si trattava soltanto di trasformare il gioco in realtà: una cosa non troppo difficile, tutto sommato…

Un lampo di malvagità brillò, improvvisamente, negli occhi di Thomas.

In quel preciso istante, nasceva uno dei più feroci serial killer che la storia ricordi…

 

 

 

TERZO GIORNO

 

 

Il solito risveglio…

 

  Per addormentarmi le avevo provate tutte. Avevo cominciato con il contare le gocce d’acqua che cadevano dal rubinetto del vicino bagno, leggermente incontinente; poi, vista l’inefficacia, ero passato a soggetti più classici, quali la conta delle pecore che saltano lo steccato; infine, lasciando vagare libera la mente, mi ero dato ai dollari. Sì, avete capito bene: mi ero messo a contare i biglietti di banca che, entrando da un’immaginaria finestra lasciata socchiusa, affluivano rabbiosamente, quasi bisticciando fra loro, dentro un cassetto della mia scrivania. Ci credereste? Dopo ore di inutili tentativi, quest’ultimo, finalmente, mostrò tutta la sua efficienza: caddi addormentato subito dopo il terzo miliardo.

Mica male (anche se mi ero accontentato forse troppo presto)…

Peccato che, dopo una manciata di minuti (almeno, a me parve così…), il telefono sul comodino cominciò a squillare…

Dapprima mi sembrò di percepire un suono di trombe; poi, attraverso successivi mutamenti di ritmo e tonalità, il rumore assunse il timbro di una bitonale della polizia; infine, una voce umana, scaturita da chissà quale bolgia infernale, si sovrappose agli altri suoni, fino ad oscurarli.

Era la voce di Johachim...

"Il telefonooo...! Suona il telefonooo! - compresi infine, risvegliandomi del tutto - ".

Accesi la luce, allungai una mano verso la cornetta e la sollevai. Dal maledetto apparecchio, tuonò la voce del commissario Fischer:

"Bob! Maledizione, Bob! Sveglia! E' meglio che tu venga qua a dare un'occhiata. E' pane per i tuoi denti... ".

"Pane? Ma che caz... !".

"Park Avenue, zona est, subito dietro al Museo. Ti aspetto fra quindici minuti - ribatté, serafica, la voce dell'uomo di legge - ".

Subito dopo, chiuse la comunicazione.

L'illusione di aver sognato si dissolse nel preciso momento in cui il mio socio apparve sulla soglia della camera nel suo pigiamino celeste, stropicciandosi gli occhi...

"Scommetto che era quel pazzo furioso di Fischer - fece Jo, tra uno sbadiglio e l'altro - ".

"Vedo che il sonno non ti annebbia il cervello più di tanto! - risposi, mettendomi a sedere sul materasso - Certo che era lui! Chi vuoi che sia, a quest'ora di notte?".

"Problemi seri, immagino... ".

"C'è pane per i nostri denti, ha detto... Né una parola di più, né una di meno... ".

"Sento aria di omicidio... ".

"Anch'io, Jo. E di quelli brutti... ".

“Preparo il caffè?”.

“Ottima idea. Se non mi sveglio, rischio di rovinare la sceneggiata al commissario… “.

“In che senso?”.

“Nel senso che, appoggiato ad un muro, con gli occhi chiusi e mezzo addormentato, non potrò vedere un granché, né sbalordire di fronte alla sua immensa intelligenza… “.

“Okay! Compreso. Ti preparo un litro di caffè. Poi, schizzeremo via come fulmini… “.

Non schizzammo, ovviamente.

Piuttosto, andammo verso la meta con la moderata urgenza che il caso richiedeva.

Questo sì…

I morti (lo sanno tutti…) non scappano.

 

 

 

L'albero di Natale.

 

  Giunti sul posto, ci trovammo di fronte ad uno spettacolo veramente insolito, intonato, oserei dire, al periodo pre - Natalizio…

Ma veniamo al quid: sapete bene che sono un tipo delicato, e che non mi piace insistere su particolari raccapriccianti: per questo motivo, cercherò di di essere molto breve nel descrivere quel che vidi in quella maledetta notte...

Non appena Johachim ed io svoltammo in Park Avenue, non potemmo fare a meno di notare, proprio all'altezza dell'ingresso est del Central Park, almeno una decina di auto della police con i lampeggianti accesi e roteanti, che fendevano l'oscurità densa di quella zona con le loro lame di luce.

"A quanto pare, siamo arrivati - pronunciarono le mie labbra, ancora impastate di sonno e quasi disconnesse dal cervello - ".

"Fermati qui, Bob - rispose Jo, grattandosi la testa quasi glabra - Meglio fare qualche passo a piedi e schiarirsi le idee con l'aria fresca, prima di presentarsi a Fischer... ".

"Mi sento i muscoli delle gambe ancora un po' impacciati, ma... Okay! Penso sia meglio così. Scendiamo".

L'aria era veramente frizzante, come si addice ad un dicembre newyorkese, e la pioggia sottile, che aveva imperversato per quasi tutta la settimana sulla città, aveva finalmente smesso di bagnare uomini e cose, cosicché la nostra breve passeggiata fu esattamente corroborante come avevamo sperato.

"Alt! Il pubblico non è ammesso - disse uno sgarbato agente alle prime armi, bloccandoci fuori del perimetro del nastro di recinzione - ".

"Sono Bob Seamann, e questo è il mio socio. Ti conviene avvertire il commissario Fischer che siamo arrivati - gli risposi, decisamente infastidito - ".

"Falli entrare, Clark! - tuonò in lontananza la voce di Fischer - Garantisco io... ".

"Entrate! - fece il pivello, a quel punto, indicando con la mano il percorso da seguire - ".

"Grazie! - risposi, quasi trattenendo la parola tra i denti, e tirandomi dietro per il bavero un Jo più spaesato che mai - ".

Un grande abete, forse il più grande di tutto il parco, era addobbato come si conviene per un Natale cristiano, e troneggiava, sfavillante di luci, a circa cinquanta metri da noi. Lo raggiungemmo in meno di un minuto. Il commissario, attorniato da una nube di scagnozzi, si reggeva al tronco con il palmo aperto della mano destra, mentre, con la sinistra, faceva evidenti cenni indirizzati a noi. Voleva che lo raggiungessimo il più in fretta possibile, il burocrate...

Il guaio doveva avere dimensioni inusitate, almeno a giudicare dalla concitazione dei suoi gesti e dalla scenografia...

"Salve, Fischer! Notte movimentata, eh? - feci, con un po' di strafottenza - ".

"Ti presento il signor Mitchell, Bob - rispose Fischer, altrettanto strafottente - Gli hanno cavato gli occhi, lo hanno impiccato all'albero di Natale, e gli hanno estratto l'intero contenuto dell'addome con una precisa un'incisione lungo la linea alba. I suoi organi sono stati divorati dai cani randagi del parco. Puoi vederne alcuni cadaveri qua attorno, se aguzzi bene la vista. Il tizio non è molto presentabile, ma noi lo abbiamo riconosciuto al volo... ".

"Non sarà proprio quel Mitchell?!".

"Proprio lui: il presidente della Lega Gay... ".

"Questo solleverà un bel vespaio... ".

"Già...! Completa il quadro dando un’occhiata al materiale con cui sono legati i suoi polsi, dietro alla schiena. Fammi questo favore, Bob: ti prego… ".

Incuriosito, mi portai alle spalle della vittima, accesi la torcia elettrica, ed osservai...

"Cazzo! Code di gatto! Code di gatto nero!".

"Già! Tagliate di fresco e cucite fra loro con del robusto nylon chirurgico… ".

"E gli occhi? Che fine hanno fatto?".

"Spariti! Il brav’uomo, probabilmente, vuole iniziare una collezione e se li è portati via con sé… ".

"Non li avranno mangiati i cani?".

"Ne ho viste di tutti i colori, in questi anni, caro Bob. Sono pronto a scommettere che li ha presi l’assassino… ".

"Quindi, secondo te, ci troviamo di fronte al debutto di un assassino con le caratteristiche del killer seriale… ".

"Perché? Non lo pensi anche tu?".

"Io aspetterei la prossima mossa: è più prudente… ".

"Io dovrei impedirla, la prossima mossa, Bob, non aspettarla… ".

"Domattina in Centrale?".

"Alle nove in punto. Ti aspetto, Bob. Saluti anche a te Jo… ".

Johachim rispose con un gesto del capo.

Intanto, la pioggia aveva ricominciato il suo maligno stillicidio, lento e sottile come una tortura cinese.

Da lontano, volli dare un’ultima occhiata alla scena del delitto. Come succede di solito in casi del genere, c’era troppo casino. Tutta quella gente non avrebbe fatto altro che cancellare tracce ed ingarbugliare le uniche prove oggettive che avrebbero potuto essere repertate…

Nauseato dall’insulsa ripetitività dell’andazzo, risalii in macchina e mi diressi verso casa…

 

(Segue...)