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Relazione Bonfanti

Ultimo aggiornamento:15-01-04

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Relazione Bonfanti

 

Relazione del Coordinatore Regionale Battista Bonfanti

24-10-03

Gentili Signore e Signori,

Amiche e amici,

Benvenuti al primo Congresso regionale della Margherita lombarda.

Saluto anzitutto i graditi ospiti per il loro gesto di simpatia e voi tutti delegati, presenti nonostante i disagi che avete dovuto superare.

Colgo l’occasione per congratularmi a nome di tutti con i Sindacati confederali per la riuscita della manifestazione di oggi.

Al di là del merito che (fino a quando non ci saranno le pensioni padane promesse dallo statista di Cassano Magnago) è di interesse nazionale, noi vogliamo anzitutto condividere il principio: la pretesa del Presidente del Consiglio di by-passare le rappresentanze sociali, di raccordarsi direttamente con la gente, o addirittura con l’audience, è la più pura manifestazione di quel peronismo mediatico che sostanzia il suo far politica.

Difendiamo dunque insieme il modello di democrazia partecipativa che abbiamo costruito in questi cinquant’anni.

Sottolineo l'aggettivo primo per due ordini di considerazioni.

Anzitutto per significare che non era affatto scontato che arrivassimo qui.

Quella che io ho sempre chiamato la "scommessa della Margherita" può dirsi, dal punto di vista organizzativo e politico, una scommessa vinta in Lombardia.

Oggi, dietro il nostro simbolo ci sono 13.229 donne e uomini in rappresentanza di 937.638 elettori organizzati in centinaia di Circoli, facenti riferimento a 12 Assemblee provinciali con gruppi dirigenti scelti e legittimati dalla base degli iscritti e degli amministratori.

Quest'ultimi sono migliaia presenti negli Enti locali di tutta la regione.

 

 

 

Lo sforzo per conseguire questo risultato ha assorbito le energie di centinaia di quadri periferici che, senza alcun mezzo o sostegno finanziario esterno, hanno lavorato duro in questi mesi.

Chi sa cosa vuol dire costruire e radicare un partito può ben valutare l'entità dell'impegno.

Ai quadri e a tutti i gruppi dirigenti provvisori che hanno retto le realtà locali e regionale, ai miei collaboratori, al gruppo parlamentare e regionale, ai responsabili di settore  va il mio ringraziamento e quello di tutto il Congresso.

Dei 12 coordinatori provinciali ben 9 sono alla loro prima esperienza e la gran parte appartiene alla fascia d'età dei quarantenni: a significare che con questo congresso è stata chiamata alla stanga, come diceva De Gasperi, una generazione nuova, giovane e allo stesso tempo matura anche per nuove e più alte responsabilità. Dobbiamo essere fieri di poter mettere in campo queste nuove energie.

A questi amici e a quanti attorno a loro si sono messi al lavoro, il Congresso deve mandare un messaggio di incitamento a far bene, a fare squadra, a condividere impegni e progetti.

La dimensione regionale farà la sua parte creando luoghi e opportunità di incontro e di crescita comune. 

Questo è dunque il primo Congresso della Margherita lombarda: indica un approdo: ci siamo finalmente arrivati!, ma indica anche un punto di partenza: il primo di una serie che noi vogliamo sia lunga e soprattutto gloriosa.

Gli sviluppi della storia politica del nostro Paese (e quindi dei partiti che la animano) non sono ipotecabili da nessuno, sono, in larga misura, in "grembo a Giove" come dicevano gli antichi, però una cosa deve essere certa per tutti: noi non ci sentiamo incompiuti o imperfetti, bisognosi di integrazioni o di aggiunte perché il "progetto Margherita", ancorché in fase di realizzazione, ha in sé l'ispirazione e la completezza necessaria per essere soggetto politico autonomo, compiuto, con un target

 

 

elettorale preciso, alimentato da culture politiche di riferimento sperimentate e collaudate.

Non siamo un albergo a ore per soste fugaci e nemmeno un tram che collega due stazioni.

Non abbiamo valigie da fare e disfare perché ciò che ci serve, lo portiamo nella mente e nel cuore.

Dico questo non per un pur necessario orgoglio di partito, ma perché chi ci sollecita additando una nostra presunta leggerezza, dovrebbe semmai guardare in casa propria.

Quando abbiamo immaginato l'impresa della Margherita abbiamo pensato ad un soggetto politico vero capace di ricomporre in sé culture politiche affini ma distinte, che, nell'epoca del proporzionale, per quasi 50 anni hanno convissuto e dialogato,

fecondandosi a vicenda, nel governo del Paese a partire dal disastro bellico fino al crollo del Muro.

In una ideale quadreria di famiglia esse sono riassumibili nei ritratti di Sturzo, De Gasperi e Moro, di Gobetti, Croce e Einaudi, La Malfa, Spinelli e parte della galassia azionista e via discorrendo.

Le nostre comuni radici sono lì, in quelle culture che hanno prodotto le politiche dei governi che hanno fatto grande il nostro Paese.

Certo, sono radici: inutili, in sé, se non danno vita ad un albero.

Ma questo compete a noi: attualizzare l'azione e il pensiero di quegli uomini nel crogiuolo delle scelte politiche dell'oggi.

Quando nell'autunno del '99, al Congresso di Rimini, da Popolari cominciammo a delineare quello che poi sarebbe diventata la Margherita, noi avevamo in mente questo progetto. Infatti molti popolari vi intravidero il progetto del P.P.I. di Martinazzoli  che nel manifesto politico del gennaio 1994 così si esprimeva: "... un partito aconfessionale, laicamente aperto a quanti ne condividono valori e ispirazione".

 

 

 

Il risultato elettorale del 2001 e il Congresso di Parma hanno poi sanzionato politicamente e organizzativamente quella intuizione.

Nel solco di questo lavoro di fondazione abbiamo costruito la Margherita che è qui a Congresso.

A questa Margherita, come agli altri soggetti dell'Ulivo, Romano Prodi ha rivolto l'invito a fare fronte comune nell'imminente campagna elettorale nel nome di una idea dell'Europa che rischia di essere emarginata dalle politiche dei governi di destra.

Discuteremo più compiutamente questa proposta nell'Assemblea straordinaria prevista a Bologna il 14 e il 15 p.v. ma alcune puntualizzazioni sono già oggi necessarie.

La proposta avanzata nell'intervista al Corriere del 18 luglio scorso non ha in sé alcun carattere provocatorio, semmai va valutata nel suo essere o meno lo strumento più adatto per quello scopo e non è casuale il fatto che a completamento richieda una riforma della legge elettorale con soglia di sbarramento e l'abolizione della preferenza.

La questione è diventata più complicata quando qualcuno (D'Alema e Veltroni in primis) l'ha utilizzato per porre all'o.d.g. dell'agenda politica la creazione del "partito del centro-sinistra" o ancora "il partito dei riformismi" o quello che io chiamo "il partito democratico di stampo clintoniano".

Non mi soffermo sulle motivazioni addotte a sostegno del progetto: una però non è per noi accettabile e cioè il dovere di superare la frantumazione del centro-sinistra.

Il contributo in questa direzione noi l'abbiamo già dato riducendo da quattro a uno i soggetti in campo: sarebbe ora che la sinistra facesse lei un analogo sforzo e allora probabilmente il campo del centro-sinistra sarebbe più sgombro.

E poi siamo certi che una fuga in avanti come quella non determini nuove frantumazioni a destra e a sinistra dell'ipotetico partito dei riformismi?

 

 

 

E' appena di ieri la vicenda del governo D'Alema.

Quella accelerazione politica produsse d'un solo colpo 3 o 4 nuovi partiti: le forzature in politica alla lunga presentano il conto.

Ma entrando nel merito: di che riformismi parliamo? Del riformismo debole o del riformismo forte o del riformismo strumentale o di tutti e tre?

E cioè di Roosvelt o di Popper?

Certo, le due prospettive non sono incompatibili ma esprimono tuttavia approcci distinti, uno più attento alle dinamiche economiche e produttive, l'altro propenso a guardare la società nel suo divenire e al sistema delle istituzioni come garante di sviluppo e libertà.

Ma è solo un accenno, per dire che gli annunci vanno sostanziati da riflessioni più complesse e più vere.

La proposta della lista unitaria non può nemmeno essere il cavallo di Troia necessario alla sinistra post-comunista per chiudere i conti con il suo passato e a noi per riverniciare di modernità le nostre radici.

Pagheremmo entrambi un prezzo esorbitante: le identità politiche non si predeterminano a priori ma si definiscono nel farsi della storia: continuiamo a fare opposizione insieme, a governare insieme le Comunità locali e il Paese (se possibile) e a poco a poco verificheremo il grado di convergenza e la capacità di realizzare sintesi di governo.

Non è vero che a tutt'oggi abbiamo risposte uguali agli stessi problemi (potrei citare centinaia di esempi), è vero però che in questi anni molte cose ci hanno avvicinato e ci avvicinano ancor più.

Proseguiamo su questa strada, senza salti nel buio, con la consapevolezza che non è del politico aver ragione fra vent'anni, questo è semmai del profeta.

 

 

 

Al politico compete l'oggi e il dipanarsi del domani più prossimo perché deve rispondere ai bisogni e alle domande dei suoi contemporanei, non dei posteri.

Ma la lista unitaria non può neppure essere finalizzata ad anticipare al 2004 il confronto previsto per il 2006.

Se questo avvenisse (ovviamente in modo favorevole a noi) ne saremmo lieti e gratificati ma caricare di tale valore gli appuntamenti elettorali del 2004 sarebbe a nostro avviso assai rischioso.

Su questo governo e su questa maggioranza di destra sta sempre più consolidandosi un giudizio pesantemente negativo, forse il più negativo in assoluto in politica: quello di essere una accozzaglia di inetti, di incapaci, di classe dirigente inadeguata.

Stanno impietosamente cadendo i veli, il trucco e il cerone con il quale hanno incantato milioni di elettori che oggettivamente avevano interessi opposti a quelli di Berlusconi e soci ma che hanno creduto alla magia dell'imprenditore che avrebbe arricchito tutti come aveva arricchito se stesso.

Così non è e ora sta montando la reazione e noi dobbiamo assecondarla ma senza la pretesa di capitalizzarla subito.

La Destra è ancora forte nei gangli della società, nell'informazione (ovviamente…), nei rapporti internazionali, nei centri di potere che orientano l'opinione pubblica.

Il pregiudizio contro di noi è ancora tenacemente radicato nella coscienza di troppi italiani e i mass-media del padrone lo alimentano ininterrottamente con campagne scandalistiche, con ossessive richieste di legittimazioni che non ci riguardano.

Trasformare l'appuntamento europeo in una sfida all'O.K. Korral è a mio avviso un modo per offrire una ciambella di possibile salvataggio ad una leadership che sta percorrendo la fase calante della propria parabola.

Non mi soffermo ad argomentare questa valutazione per ragioni di tempo.

 

 

 

La competizione giocata sulla telegenia, su messaggi semplicistici, su slogans da spot pubblicitario impoverisce le potenzialità del centro-sinistra e avvantaggia la destra populista e parolaia, capace di solleticare la pancia dell'elettorato qualunquista.

La proposta di Prodi ha invece una ricaduta positiva se è funzionale a rafforzare la sua leadership nel centro-sinistra aiutandoci a superare le incomprensioni e le divisioni di questi anni e se punta a riaffermare in Italia e fuori un'idea di Europa che i governi di destra e certe lobbies di potere hanno progressivamente incrostato con gli egoismi nazionali.

Vogliamo riaffermare l'Europa di De Gasperi e Schumann, di Adenauer e Spinelli, l'Europa che i nostri padri ci hanno additato come obiettivo primario per la

salvaguardia della pace anzitutto e poi per lo sviluppo e la crescita nostra e di tutti i popoli. L'approvazione della Convenzione dovrebbe segnare una tornata di rilancio, anche se noi avremmo preferito una Convenzione più avanzata arricchita anche ad esempio dal richiamo all'art.11 della nostra Costituzione e alle radici cristiane. Ma è meglio questo passo, pur piccolo, in avanti rispetto alle prospettive di un fallimento.

Quell'idea di Europa infatti oggi è appannata, le culture politiche che l'hanno a suo tempo proposta si sono imbastardite, i referenti organizzativi e parlamentari sono diventati contenitori-omnibus nei quali convivono posizioni spesso in contraddizione fra loro.

Legare la lista unitaria alla creazione di un gruppo nel Parlamento europeo che faccia da nuovo polo di attrazione per forze autenticamente europeiste diventa una esigenza politica che può giustificare anche i rischi elettorali.

La posizione espressa dalla nostra Assemblea federale di inizio ottobre è una posizione di equilibrio e di coerenza rispetto alle questioni in gioco.

Non dobbiamo dimenticare che sarà decisiva la capacità di tenere insieme tutte le forze del centro-sinistra, tenerle insieme non in nome di un generico antiberlusconismo ma di un progetto di società più convincente e persuasiva.

 

 

 

Inutile nascondersi le diversità che ci sono nel nostro campo, ma le diversità sono una risorsa se non sono giocate l'una contro l'altra, se sono sollecitate a dare il meglio di sé per un progetto comune nel quale ognuno riconosca una parte di sé.

Con questo spirito noi abbiamo lavorato e lavoreremo in Lombardia: rafforzare l'Ulivo anzitutto ma al contempo valorizzare quanto fuori e attorno all'Ulivo c'è, è cresciuto e si sta radicando.

Ci riferiamo anche ai movimenti e ai sommovimenti che la nostra società esprime in una continua tensione tra il sociale e il politico, tra il privato e il pubblico.

Il centro-sinistra deve essere interlocutore di questi nuovi soggetti e lo può essere nella misura in cui le sue diversità sono promotrici di dialogo e confronto.

In una realtà come la Lombardia così complessa e articolata gli sforzi in questa direzione vanno raddoppiati.

Ma gli appuntamenti che ci attendono sono troppo importanti per non farlo.

Il rinnovo delle Amministrazioni provinciali di Milano, Brescia, Bergamo, Lecco, Sondrio, Cremona, Lodi e di centinaia di Comuni grandi e piccoli sarà l'occasione per ridisegnare la presenza nostra e dei nostri alleati in tutta la regione.

Dobbiamo arrivare all'appuntamento facendo sinergia tra i diversi livelli istituzionali, dimostrando un profilo riconoscibile nell'impostazione programmatica.

Molto s'è fatto in questi mesi, altro ancora dovrà essere fatto a livello locale e regionale.

Nello slogan di questo Congresso abbiamo voluto riassumere la direttrice di marcia del nostro cammino.

Anzitutto vogliamo essere un partito al servizio della società lombarda capace di favorire e assecondare i processi di crescita e refrattario ad ogni tentazione di prevaricazione della politica o dell'istituzione sulla persona e sul suo legittimo protagonismo.

 

 

 

A noi però compete il dovere di individuare, indicare e perseguire quel "bene comune" che altrimenti rischia di essere compresso nello scontro inevitabile tra gli interessi forti e quelli deboli. "Bene comune" per noi non è una astrazione astorica, quasi categoria morale e quindi apolitica.

"Bene comune è l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi come ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e

più speditamente" dice la "Gandium et spes" e cioè, per usare un linguaggio più laico realizzare la "società delle pari e migliori opportunità".

La politica dunque non come presa d'atto asettica della dinamica sociale, ma come protagonista attiva nella costruzione di nuovi equilibri sempre più rispettosi della dignità umana, dei bisogni fondamentali, dei diritti civili e sociali.

Protagonista attiva, ma non solitaria, attraverso un dialogo/confronto con i soggetti sociali che organizzano gli interessi legittimi presenti nella società.

Vogliamo una società più aperta nel senso popperiano del termine, non timorosa dell'altro, disponibile all'incontro con le culture, con le opportunità, con il futuro.

Siamo però consapevoli che questo obiettivo è perseguibile solo se costruiremo una società più sicura.

Una società insicura è inevitabilmente portata a ripiegarsi su se stessa, a chiudere la porta ad ogni relazione esterna, ad incattivirsi contro chiunque sia percepito come portatore di potenziale pericolo.

E soprattutto una società insicura non pensa e non progetta un futuro, anzi si alimenta dei fantasmi peggiori del suo passato.

Una società più sicura dunque, contro le minacce alla convivenza civile proveniente dalla guerra, dal terrorismo, dalla criminalità organizzata e quella di strada, ma ancor più contro l'imprevisto e l'imprevedibile, contro la perdita del posto di lavoro, contro

 

 

la devianza sociale, contro i rischi di povertà, di malattia, di solitudine e di abbandono.

Non dobbiamo mai dimenticare che milioni di lombardi vivono nell'arco della loro esperienza umana queste ansietà e queste paure.

In particolare la solitudine nella dimensione fisica e psicologica, familiare e sociale sta diventando il dramma e l'incubo della nostra società che sempre più sembra connotarsi come "società della solitudine" o "dell'abbandono"  nella  quale  finire  per essere o diventare "solo" sembra essere una esperienza inevitabile di alcune fasi della nostra vita.

E allora, sicurezza non è solo poter scendere a passeggiare sul marciapiede sotto casa, ma anche alzarsi al mattino e sapere che se ci si ammala c'è un medico e un ospedale che ti cura, che se la fabbrica chiude c'è un sindacato che ti difende, che se si subisce un torto o una ingiustizia c'è uno Stato riparatore che ti risarcisce.

Non si tratta di riesumare lo Stato che provvede a tutto dalla culla alla tomba ma di dare senso al nostro stare insieme.

Che senso ha infatti lo stare insieme, l'accettare limiti e vincoli al nostro vivere sociale, essere cioè parte di una organizzazione statuale se poi nel momento del bisogno, della malattia o della vecchiaia siamo soli?

Nella riscoperta di una sorta di darwinismo sociale (la società del rischio) si è teorizzato in questi ultimi decenni un'idea vecchia dello Stato, lo Stato ottocentesco che irrompeva nella vita dei cittadini soltanto attraverso la consegna della cartella esattoriale o della cartolina precetto.

Osservava Vanoni, (ecco una ascendenza lombarda delle nostre radici!): come può un cittadino amare uno Stato siffatto? Non vogliamo uno Stato paterno e neanche impiccione, ma uno Stato responsabile si, responsabile verso chi non ce la fa, chi è ammalato o inabile, ma anche verso chi cerca lavoro, chi vuole sicurezza, chi vive un bisogno o uno svantaggio.

Nessuno può essere lasciato a se stesso.

 

 

 

E infine una società prospera e solidale.

Abbiamo sempre diffidato delle visioni pauperistiche dello sviluppo: la crescita e la ricchezza economica sono necessarie per realizzare nel concreto quei diritti sociali che sostanziano il diritto di cittadinanza.

E tuttavia non vi è dubbio che da noi la ricchezza individuale spesso fa premio di gran lunga su quella collettiva, con esempi clamorosi di disuguaglianza e soprattutto di uso sfacciatamente privatistico delle risorse, come quelle ambientali, che sono di tutti.

La prima distinzione di una società prospera risiede non nel reddito pro-capite ma, se mi è permessa l'espressione, nel lavoro pro-capite e cioè nell'opportunità di impiego che essa offre ai cittadini che lo cercano.

La disoccupazione forzata del giovane o del padre di famiglia è forse la manifestazione più drammatica di quella "solitudine" a cui facevo prima riferimento.

Occorrono opportunità di lavoro vero che, pur nelle forme di flessibilità già sperimentate e altre da sperimentare, offra però al giovane la possibilità di progettare il suo futuro, di ancorarlo ad un reddito ragionevolmente sicuro, di concorrere a costruire il domani di tutti.

Qualcuno ha polemicamente osservato che la nostra società ha surrettiziamente introdotto un limite alla "libertà di maternità" attraverso l'aumento della incertezza nella stagione della fecondità.

Occorrono politiche del lavoro che si pongano l'obbiettivo di "pieno impiego" come condizione necessaria per un benessere sociale vantaggioso per tutti.

Aggiungo anche: un lavoro per la vita e non per la morte.

Troppe morti bianche, troppi incidenti: è inaccettabile che la Lombardia continui ad essere terra di caduti del lavoro.

 

 

 

Certamente vi concorrono molti fattori incluso il modello di sviluppo che si è imposto.

La cosidetta "fabbrica diffusa" disseminata nella "città infinita" che va dal Ticino al Garda si presta a nascondere forme di sfruttamento inaccettabili, a utilizzare procedure sommarie, a sottovalutare i rischi.

Ma detto ciò non basta a giustificare un fenomeno che ci umilia tutti.

E infine una società più solidale.

In questo contesto la solidarietà non può essere espressione di un sentimento compassionevole ma di un dovere imprescindibile.

Sappiamo dai nostri maestri che la libertà (primo e supremo diritto dell'uomo) esige l'esercizio della responsabilità senza la quale la stessa libertà trascende nell'arbitrio e nell'individualismo.

E la solidarietà nasce dalla coniugazione della libertà con la responsabilità, figlia dunque di un diritto e di un corrispondente dovere, essa deve essere esercitata anzitutto verso se stessi, e poi la propria famiglia, la propria Comunità locale e nazionale.

Non parliamo di un sentimento ma del comportamento costante nel tempo di chi sa assumere  su di sé compiti e doveri perché si sente partecipe di questa ricerca e costruzione del bene comune di cui ho parlato.

In tal senso è manifestazione di solidarietà pagare le tasse secondo il dovuto prima ancora che fare il volontariato in opere di soccorso, senza nulla togliere alla nobiltà di quest'ultimo gesto. E ricordiamo che giustizia sociale significa sì dare a chi non ha ma anche "chiedere ad ogni individuo tutto ciò che è necessario per il bene comune”.

Certo, non compete solo alla politica costruire una società siffatta, anzi, compete in primis alle donne e agli uomini che fanno la Comunità, ai corpi sociali, alla cultura, ma la politica può, deve assecondare, accompagnare, indicare.

 

 

 

Per far questo deve avere riferimenti etici alti, superare la discrasia tra etica personale e etica politica, fare appello all'etica della convinzione e della responsabilità, avere come obiettivo primario e esclusivo appunto il bene comune: espressione che suona strana in un'epoca nella quale appare naturale che chi vince fa quello che gli pare senza alcun vincolo, identificando tout court il bene comune con la volontà della maggioranza.

In una democrazia autentica chi è investito della responsabilità di governare (non di comandare!) deve avvertire acutissima l'esigenza di tener conto di tutti i cittadini, di dialogare con la società e con le sue rappresentanze organizzate, di non contrapporre ma di comporre, di non dividere ma di far convivere.

Assistiamo invece ad un modo di governare simile ad una campagna elettorale ininterrotta, dai toni sopra le righe con l'obiettivo di provocare, di produrre reazioni scomposte, tenendo il Paese in una agitazione perenne.

C'è da meravigliarsi se qualcuno comincia ad essere stanco di tutto ciò?

A volte ci si chiede da dove venga questo modo di intendere la funzione e il ruolo di governo. Se si guarda oltre gli slogans sembra di capire che il leghismo inteso come categoria politica abbia contaminato la politica ben oltre il Po.

Quel leghismo che abbiamo visto all'opera, lontano dai riflettori dei media, nelle centinaia di piccoli comuni della fascia prealpina dove i consiglieri comunali subiscono quotidianamente l'umiliazione dell'esposizione pubblica della bandiera di partito, (per non dire di quella città che ha disegnato sul selciato della piazza principale il sole delle Alpi).

Si tratta di quel leghismo che nella sua fase ascendente aveva fatto intravedere una promettente capacità di innovazione politica  e  istituzionale  per  poi  avvitarsi  su  se

stesso, su una leadership furba quanto autoreferenziale, incapace di parlare a tutti i lombardi e ancor meno agli italiani.

 

 

 

Fa una certa impressione osservare i leghisti in Consiglio regionale seguire zitti zitti gli ordini di Formigoni votando provvedimenti contro i quali avevano fatto le barricate, ma quelle vere, nella passata legislatura.

E' bastata una cena ad Arcore per trasformare in un gregge di pecorelle un gruppo di oppositori irriducibili.

Al massimo viene loro permesso di aprire qualche scaramuccia polemica con AN o con gli sparuti centristi su problemi lontani ed evanescenti e nulla più.

Tutto questo a maggior sicurezza di Formigoni che da tempo oramai appare assai distaccato dalle quotidiane miserie del governo lombardo e molto più stimolato dall'idea di girare per il mondo per promuovere sé e qualche volta la Lombardia.

Nella passata legislatura noi ci siamo opposti anche con durezza alle politiche della destra guidata da Formigoni ma gli abbiamo anche riconosciuto capacità di governo unita ad una forte spinta propulsiva.

Oggi anche questo riconoscimento è immeritato; da tempo la Giunta non produce nulla di innovativo, approva ogni tanto Progetti di legge osannati nelle conferenze stampa di rito ma lasciati a marcire nelle Commissioni perché la maggioranza non li condivide.

E' praticamente da luglio che il Consiglio Regionale non tratta una delle tante questioni importanti per la nostra regione.

Ci si accapiglia per mozioni e o.d.g. che non producono, anche approvati, alcun effetto mentre le numerose proposte di legge depositate dalle opposizioni non vengono iscritte all'o.d.g.

In questo clima affiora sempre più spesso l'insofferenza di gruppi interni a Forza Italia che colgono ogni occasione di voto segreto per mandare segnali alle controparti

o allo stesso Formigoni che, proprio per non patire queste miserie, non frequenta, se non raramente, il Consiglio.

 

 

 

 

Questa descrizione sommaria dello stato delle cose in altri tempi si concluderebbe con la presa d'atto della ineluttabilità di una crisi.

Questo non accade perché l'apparato istituzionale messo in piedi dalla Legge di riforma costituzionale n.1 del 1999 (votata anche dal centro-sinistra) è di una tale rigidità che solo un atto di suicidio politico di Formigoni potrebbe sbloccarlo, ma chi glielo fa fare?

Così assistiamo alle istituzioni che tengono in piedi le maggioranze anche se queste puzzano come il pesce andato a male.

A questo si aggiunge lo spettacolare fallimento della stagione costituzionale annunciata con enfasi in campagna elettorale (chi se ne ricorda più?) che nulla ha prodotto perché la Commissione speciale ad hoc costituita è legata al mancato via libera dato da Formigoni.

Si sussurra che quest'ultimo già avrebbe nel cassetto il testo della riforma bell'e pronto, e che aspetta solo l'approssimarsi del tempo scaduto per estrarre la sua proposta e, sull'onda dell'urgenza, farla ingoiare a tutti.

Osiamo credere che non sia così perché altrimenti si andrebbe ad uno scontro istituzionale dagli esiti imprevedibili.

Le istituzioni non sono proprietà private di alcuno e la società lombarda saprebbe reagire di fronte a un tale scippo.

Noi, le nostre idee sullo Statuto le abbiamo ripetutamente espresse: siamo per un cancellierato con sbarramento elettorale e sfiducia costruttiva.

Riteniamo tale formula più rispondente ai bisogni della Lombardia, assicurando governabilità ma anche rappresentanza.

I due concetti non vanno disgiunti ancor meno contrapposti ma riassunti in una sintesi efficace e funzionale.

Sul resto del fronte niente di nuovo.

 

 

 

Proseguono tra mille contraddizioni l'applicazione e il contestuale smontaggio della sciagurata legge 31 della riforma sanitaria.

Da fiore all'occhiello della giunta formigoniana quella riforma sta diventando una vera e propria palla al piede, un incubo che non si può smentire ma che si fa sempre più minaccioso.

Il sistema sanitario lombardo, da sempre uno dei migliori in Europa, sta sgretolandosi, perdendo pezzi.

La rete ospedaliera inadeguata e sempre più obsolescente, la chiusura di reparti e servizi, l'impoverimento delle attrezzature, l'assoluta mancanza di attività preventiva, l'insufficienza cronica del personale infermieristico e persino la disillusione degli investitori privati nonché la debacle del privato no-profit sono altrettanto croci disseminate sul cammino della riforma.

I tentativi di tener a galla la barca, anche quelli più temerari, non paiono essere alla lunga di alcuna efficacia.

E' giunto il momento che i cittadini lombardi chiedano conto a questa Giunta delle sue inadempienze e dei suoi fallimenti.

Dove sono le autostrade, le ferrovie, gli interporti promessi in questi nove anni?

Dove sono le nuove aree a verde, i nuovi parchi, le bonifiche annunciate?

Dove sono i progetti di una nuova formazione professionale?

Dove sono le nuove politiche di sostegno alla piccola e media industria, all'agricoltura, al turismo, all'artigianato così enfaticamente promessi nella fittissima convegnistica regionale?

(Ci si chiede quanto gli assessori possano dedicarsi ai problemi di competenza dovendo correre da un convegno all'altro a promuovere se stessi e il loro presidente).

Dove sono non le nuove ma almeno le vecchie politiche culturali?

 

 

 

E i servizi alla persona, (un tempo vanto della nostra regione: basti pensare a Svevo, Garavaglia, Toia, Rivolta) sempre più scaricati sulle spalle dei Comuni o peggio ancora delle famiglie?

Ecco, a volo d'uccello, una panoramica che fa giustizia della politica parolaia di una destra che ha esaurito compiti e funzioni.

In questo contesto le opposizioni hanno costruito una unità di azione sostanziale anche se il confronto davanti all'opinione pubblica con la maggioranza ci è reso impossibile dall'oscuramento mediatico.

Cerchiamo di supplire come possiamo e a questo proposito credo vada riconosciuto al gruppo regionale una generosità anche materiale che lo onora e che è utile al partito tutto.

Con "Comunità lombarde" agenzia e giornale raggiungiamo oltre 17.000 persone in tutta la regione e ringraziamo quanti danno il loro contributo sottoscrivendo l'abbonamento.

Ancora molto ci resta da fare sul versante programmatico. I rapporti dentro l’Ulivo ma anche con R.C. come pure con i Comunisti Italiani, l’Italia dei Valori, i Repubblicani sono eccellenti e non sussistono problemi di comprensione allo stato attuale.

Noi siamo pronti ad essere forza alternativa di governo.

Tra il materiale congressuale potrete trovare anche documenti programmatici precisi e puntuali sulle più rilevanti questioni regionali. Segnalo all'attenzione dei Congressisti in particolare il manifesto politico-programmatico.

Abbiamo idee, storia, uomini e progetti: abbiamo quanto ci abbisogna per essere protagonisti della nostra stagione politica.

Agli alleati con i quali governiamo molte realtà locali e insieme facciamo opposizione in Regione, rivolgiamo un invito cordiale e rispettoso a rinsaldare le fila, a non farsi prendere nessuno dalla smania della casacca, a scegliere tra i candidati

 

 

quello che ha maggiori chances, a continuare a dar prova insieme di buon governo e a valorizzare il molto che abbiamo fatto.

A voi amici delegati e alle migliaia di iscritti e di amministratori che rappresentate, consegno il dovere di essere uniti: il compito che vi assumete è troppo alto per essere svilito in distinguo insopportabili.

Al gruppo dirigente del partito compete il ruolo di guida, di realizzare l'unità nella compattezza e nel mettersi al lavoro insieme, nessuno escluso.

Ai parlamentari, consiglieri regionali e dirigenti tutti l'onere di fare squadra, di esaltare le rispettive professionalità politiche, di rendere visibile il volto della Margherita lombarda.

Alla società e ai cittadini di questa nostra grande Regione rivolgo l'appello a non immiserirsi in un gretto provincialismo autarchico ma ad aprirsi con coraggio e fiducia.

Noi siamo in Europa e nel mondo,  noi siamo il mondo.

Nessun traguardo ci può essere precluso se abbiamo fiducia in noi stessi e nelle nostre idee.

 

   

 

Ultimo aggiornamento: 15-01-04