La voce agli alunni

Nelle nostre classi la realtà è multiculturale.
I ragazzi provengono da tutte le parti del mondo. Molto spesso non hanno scelto di migrare, hanno solo seguito la famiglia e stanno faticosamente cercando di integrarsi nella nuova realtà. Oltre ai compiti propri di tutti gli adolescenti, si trovano a crescere e a definire la propria identità tra due culture, tra modelli di riferimento differenti. Hanno bisogno di essere ascoltati ed accolti affinché questa difficoltà si possa trasformare in opportunità e risorsa. Non dimentichiamoci, quindi, di concedere loro spazi e tempi  e di dare voce ai loro sentimenti.

In questa pagina vogliamo dare la parola a loro.  A volte scritte a volte verbali, queste testimonianze sono state raccolte dagli insegnanti dopo un certo periodo di tempo trascorso in Italia da questi nostri allievi venuti da lontano. Sono anche lavori di classe e riflessioni confidenziali che noi abbiamo mascherato e alterato per non renderne riconoscibili i protagonisti, pur tentando di lasciare intatta la freschezza dell'autonarrazione.

I bambini e i ragazzi ricordano, a distanza di tempo, quali sono state le difficoltà incontrate e gli aiuti ricevuti al momento dell' ingresso in Italia e nelle nostre classi; quali le nostalgie di abitudini, affetti, riferimenti che a volte si sbiadiscono col tempo e a volte, invece, si ricordano con più rammarico (soprattutto quando il qui e ora è segnato da fallimenti e solitudini).

Quelle che seguono sono le loro risposte e le loro riflessioni. -  Un no alla guerra da chi l'ha vista

Kosovo

Nei primi tempi mi è mancata la libertà di parlare.

Per accogliere un compagno nuovo bisogna cercare di capire le sue dificoltà, che cosa gli manca e sopratuto bisogna cercare di non ridere delle sue parole non ben pronunciate, e non come fano i miei compagni con me.

La disciplina nel mio paese erano più educati, e i rapporti con gli insegnanti si aveva più rispetto.

Il mio primo giorno (di scuola) era molto dificile. Mi sentivo spaventato, lontano da tutti ed non sapevo comunicare con gli altri perché non sapevo la lingua neanche un po.

Cina

Il primo giorno io avevo paura perché non capivo niente. La maestra mi ha chiamato alla lavagna per fare matematica e mi è piaciuto perché ero bravo.

I compagni mi hanno fatto giocare con loro in classe, ma poi fuori no.

Cina

Io volevo venire in Italia, ma mio papà mi diceva sempre dopo dopo dopo...

Mio papà mi diceva che abitavamo vicino a Venezia. Io ho guardato nel libro e pensavo di stare vicino al mare. Il paese dove sono adesso è piccolo e prima non mi piaceva tanto. Le case qui sono piccole (pochi piani) in Cina erano altissime e qui hanno le persiane mentre noi avevamo tende colorate.

Dall'aereo sono arrivata di notte, ma mi ricordo che c'era tanta luce che non mi aspettavo.

In Cina i bambini sono più obbedienti. le maestre con le bacchette di legno picchiano i bambini e li fanno restare in piedi fino alla fine in fondo all'aula. I bambini stanno seduti e fermi e quando si alzano non fanno rumore.

 

Nigeria

"Mi chiamo Mamadou e ho 15 anni. Sono arrivato in Italia 2 anni fa con la mamma e un fratello che oggi ha 19 anni. Mio padre è qui già da 15 anni e da un anno è senza lavoro. Io aiuto a casa andando col borsone per le strade a vendere tappetini, calzini, fazzoletti e altre cose del genere. Ho cominciato questo lavoro subito, dal primo giorno che sono arrivato in Italia, quando non capivo una sola parola d'italiano. Da allora non ho mai smesso: appena finisco la scuola, mangio qualcosa a casa e dopo alle due del pomeriggio sono già sulla strada. È così anche tutti i giorni di festa e di vacanza: parto la mattina e torno la sera tardi. Mi fermo solo quando piove forte. L'unico giorno che non sono andato a lavorare è stato l'anno scorso quando siamo andati con la mia classe a Venezia, a vedere chiese e palazzi, ma anche il mare… Però quel giorno non ho portato niente a casa. Quest'anno i miei compagni vanno tre giorni in Toscana: mi piacerebbe andarci. L'insegnante mi ha detto di non preoccuparmi per la cifra da pagare, che ci avrebbe pensato lei e non avrebbe detto niente in classe, ma devo pensare anche a casa mia.

Frequento la terza media e in questa scuola mi trovo bene: ero stato in un'altra scuola appena arrivato, ma lì non stavo bene. Mi piace venire a scuola, anche se non sono molto bravo a scrivere in italiano. Mi piace l'educazione fisica e l'educazione artistica: in palestra mi piace correre per tutta l'ora e fare di tutto e mi sembrano lontani il mio borsone e tutti i campanelli da suonare e tutti i rifiuti che mi sento dare e qualche volta anche gli insulti. A volte mi arrabbio con qualche mio compagno che mi offende e allora bisticciamo… So di sbagliare, ma a volte non riesco proprio a fermarmi.
Un insegnante di nascosto mi ha dato della biancheria per cambiarmi più spesso, ma sudo tanto e non sempre riesco a farmi una doccia.

A vendere vado lontano, non a Montebelluna e nei paesi vicini per non farmi vedere dai miei compagni e dagli insegnanti. Prendo l'autobus o il treno e vado anche lontano: a Cortina, a Padova, in Friuli. Nel periodo di Natale a Cortina un giorno sono caduto tre volte scivolando sul ghiaccio, ma non mi sono fatto tanto male. Un giorno ho visto in lontananza un mio professore, volevo cambiare strada, ma non c'erano traverse e allora mi sono girato dall'altra parte: ma penso che lui mi abbia riconosciuto, anche se non mi ha mai chiesto niente. Nei giorni buoni riesco a portare a casa 20 o 30 euro che do alla mamma. Anche mio fratello va a vendere col suo borsone e anche lui consegna i soldi alla mamma per la spesa. 
È dura girare col borsone pesante e suonare i campanelli e i cani che abbaiano arrabbiati e sembrano riconoscermi da lontano. Sono pochi quelli che ci aprono. Una volta a Feltre stavo facendo vedere i miei tappetini ad una signora, quando ad un certo punto si è messa a urlare che le avevo rubato 50 euro dal taccuino che teneva in mano. Io ho avuto molta paura, volevo lasciare lì i soldi che avevo e scappare via, ma lei mi teneva e ha chiamato i carabinieri, che sono venuti subito. Io ho svuotato le tasche, loro hanno rovesciato il borsone, ma non hanno trovato niente mentre la signora ancora urlava. Per fortuna di lì a poco è arrivato in macchina il figlio della signora che allarmato vede i carabinieri e poi dice che è stato lui a prendere quei soldi per fare benzina… Ho avuto tanta paura: quella volta volevo proprio lasciare questo lavoro, ma come fare quando arrivi a casa e ti chiedono quanti soldi hai guadagnato… Il giorno dopo ho ripreso il mio borsone, ma per un po' non sono tornato a Feltre. 
Comunque anche se qui è dura, non vorrei ritornare nel mio paese.

Mio papà da un anno non ha un lavoro e non fa molto per cercarne uno. Io sono arrabbiato con lui. 

Se supererò l'esame (chissà se farò bene il compito d'italiano!) vorrei nel prossimo anno frequentare una scuola per diventare meccanico e aggiustare le automobili, ma non so se potrò farlo con la situazione che ho a casa.
In questa scuola mi trovo bene. Spesso a scuola sono stanco e mi addormento sul banco, soprattutto durante il Ramadan, ma non mi sgridano gli insegnanti per questo, anzi una volta ho sentito la mia insegnante che diceva agli altri ragazzi di abbassare la voce per non svegliarmi. Mi sgridano invece quando bisticcio con qualcuno e mi mandano in presidenza e io prometto di non farlo più.
In classe mia ci sono anche due compagne che vengono dal Kossovo: anche loro sono islamiche e fanno il Ramadan. Io penso però che la vera religione è la nostra: loro sono venuti dopo e non conoscono bene le cose. Io faccio il Ramadan però è una fatica digiunare! Mi pesa di più non poter bere durante il giorno, ma qualche volta non ho rispettato proprio tutte le regole. 
Quest'anno è arrivato in classe un altro ragazzo che proviene dal mio paese. Lo hanno messo vicino a me per aiutarlo a farsi capire. Sta imparando presto, anche perché lui a scuola c'è andato per tanti anni in Nigeria. Lui è fortunato: può stare a casa nel pomeriggio e va anche a giocare a calcio in una squadra del paese.
Si, lui è proprio fortunato.

Macedonia

Io vivo in Italia ormai da sei anni, la mia famiglia si è trasferita per problemi familiari e di lavoro. Nei mesi prima mi avevano annunciato che sarei partito per un paese chiamato Italia e la prima cosa a cui avevo pensato era che dovevo lasciare tutto e tutti. Dell'Italia non sapevo niente. 
Non mi aspettavo né gioie né delusioni ma sapevo soltanto avrei dovuto cominciare una nuova vita con altre persone; io l'Italia ero molto ansioso di conoscerla, e la cosa più evidente tra l'Italia e il mio paese è che l'Italia è più grande del mio paese e che c'è una religione diversa. 
Ma la cosa che mi manca moltissimo del mio paese sono le persone che conoscevo. 
Sinceramente del mio primo giorno di scuola non mi ricordo molto, ma so che non ero tanto a mio agio, forse perché ero da poco in un nuovo stato e con compagni che non conoscevo e per di più non sapevo nemmeno la loro lingua e allora mi ricordo che alle elementari quelle quattro ore erano infinite per me che me ne stavo solamente al mio banco. 
Ricordo molto bene l'accoglimento degli insegnanti che erano molto gentili e disponibili perché al corrente dei miei problemi, invece i miei compagni non si sono impegnati molto ad unirmi a loro, ma forse ero io che preferivo starmene in disparte. 
Per capirmi con i miei nuovi compagni mi erano bastati tre o quattro mesi, ma ho dovuto cambiare tre scuole e quindi ricominciare per tre volte da zero ed invece per comprendere la lingua italiana dei libri di testo e cominciare a studiare mi è servito più tempo. 
Secondo me per accogliere bene un ragazzo straniero in Italia, a scuola, si deve, nel periodo in cui gli si sta insegnando la lingua italiana, cercare di fargliela insegnare bene perché da troppa pressione potrebbe andare a finire che si infastidisce e quindi che lasci perdere anche quel po' di interesse che aveva; e anche cercare di unirlo nell'ambiente di classe e così anche con gli altri.

Kosovo

Sono in Italia da un anno e mezzo e la mia famiglia ci è venuta per i soldi. Io mi aspettavo una nuova vita, persone gentili, che ero felice a scuola, che studio, che sto con i compagni. Sono rimasto delusa. Nel mio paese c'era l'amore con gli amici, invece qua non c'è tanto amore, se ti vedono che sei straniera non ti guardano neanche con un occhio (certa gente sì, altri no).
Del mio paese mi manca l'affetto, perché là mi amavano di più.
Per aiutare un ragazzo ad inserirsi occorre trattarlo bene, da amico, non come un ragazzo straniero.

Romania

Vivo in Italia da un anno e sei mesi. La mia famiglia è stata spinta a venire in Italia perché nel mio paese non c’è lavoro e non ci sono tanti soldi per comprare tutto quello che si vuole. Ho saputo il giorno prima che dovevo partire per l’Italia: sono rimasta sorpresa. Sapevo poco dell’Italia: qualcosa mi aveva raccontato il papà e mi aveva portato delle foto dell’Italia. Io me la immaginavo grande e molto bella. Della mia nuova vita mi aspettavo che tutto sarebbe stato come nel mio paese. Quando sono arrivata in Italia l’ho trovata bellissima e molto grande. Sono rimasta con il fiato sospeso nel vedere com’era bello l’appartamento. La mia più grande impressione è stata quella di trovare una lingua difficile. Mi ha fatto impressione anche la scuola grande e bella, con tanti bambini. Anche la gente mi sembrava strana perché parlava una lingua che non capivo, però era gentile. In Italia gli appartamenti e le case sono più grandi, la chiesa è più grande. I negozi sono tutti diversi. Anche la scuola è diversa.
Mi mancano molto i miei cugini, gli amici e i nonni.
Del mio primo giorno di scuola in Italia ricordo che tutti i bambini erano addosso a me e mi chiedevano come mi chiamo. Mi ha colpito molto vedere una scuola così grande e bella. I compagni mi hanno accolto bene e mi chiedevano se volevo giocare con loro e gli insegnanti erano molto gentili con me. La differenza più evidente è che nella mia scuola  non si faceva ginnastica e non c’erano tante schede come qua in Italia.
Ho impiegato due mesi per capirmi un po’ con i miei nuovi amici.
Mi sono serviti almeno quattro mesi per poter leggere un pochino nei libri e ho cominciato a studiare dopo tanto tempo.
Nel periodo in cui stavo imparando la lingua italiana mi mancava qualcuno che mi aiutasse a studiare.
Per accogliere bene un ragazzo straniero bisogna chiedergli se vuole giocare con noi in ricreazione.

Slovenia

Io sono una ragazza di quindici anni e vivo in Italia da cinque anni.Quando avevo circa sei anni mio padre è andato a lavorare in Italia. Io, mio fratello e mia madre siamo rimasti in Slovenia , però mio padre tornava a casa ogni due settimane e durante le vacanze estive ci portava in vacanza in Italia. Dopo circa quattro anni mio padre ha chiesto a me e a mio fratello se volevamo andare ad abitare in Italia e noi conoscendo già questo paese volevamo trasferirci, perché l’Italia ci è piaciuta.
L’unica cosa che ci è dispiaciuta è lasciare i miei amici e parenti.
Durante le vacanze io e mio fratello andavamo da una ragazza per imparare l’italiano e questo ci ha permesso di fare nuove conoscenze e amicizie.
Una cosa che non comprendevo è perché i ragazzi non si incontravano durante le vacanze per stare insieme, invece in Slovenia i ragazzi durante le vacanze, ma anche durante il periodo scolastico, stanno sempre fuori con gli amici a divertirsi.
Del mio paese mi manca la scuola, gli amici, i parenti, perché con loro ho trascorso una parte della mia vita.
A scuola le insegnanti mi hanno accolta bene ed erano molto gentili con me e mi hanno regalato il grembiule e per me questa era una cosa strana, perché in Slovenia non si porta.
I miei compagni all’inizio non mi parlavano, però dopo qualche ora si sono avvicinati a me e hanno cominciato a parlarmi e a pormi delle domande, però io stavo sempre zitta, perché non capivo cosa dicevano.
Un’altra cosa che mi ha colpito molto sono stati i due giorni di rientro settimanali, mentre nel mio paese si va a scuola una settimana al mattino e una al pomeriggio.
L’insegnante di italiano mi ha fatto imparare l’italiano in circa tre mesi, però per impararlo ho faticato molto, perché mi davano molti compiti per casa, infatti in un anno scolastico ho scritto dodici quaderni solo per la materia di italiano.
All’inizio durante le verifiche le insegnanti mi lasciavano il libro, ma dopo circa cinque mesi non me lo permettevano più, perché mi ritenevano abbastanza intelligente da riuscire a completare la verifica.
Le insegnanti erano molto contente di me, perché dicevano che ero una ragazza che ha voglia di imparare e i miei risultati si vedevano nei giudizi finali.
Una cosa che vorrei dire alle insegnanti ma soprattutto ai ragazzi, che per accogliere bene a scuola un ragazzo straniero bisogna farlo sentire a suo agio e che non bisogna giudicare una persona per il colore della pelle o per la religione, perché una persona si guarda come è all’interno.
Io per la mia fortuna mi sono trovata bene sia con i compagni e con le insegnanti, perché già all’inizio mi hanno accolta con felicità e con un giudizio positivo e questo mi ha fatto sentire molto bene e auguro a tutti i ragazzi di trovarsi bene nelle loro nuove scuole.

Kosovo

In Italia sono arrivata quasi tre anni fa. Il motivo è che c’era la guerra e mio padre era in Italia e io e i miei nonni e zii, la mamma, mio fratello eravamo arrivati in Albania e mio padre è venuto lì e io e mia mamma, mio padre e il fratello siamo venuti in Italia.Io non sapevo che saremo partiti. Pensavo che mio padre è venuto a trovarci e a portare i soldi.Sapevo che in Italia parlavano un’altra lingua. Io la immaginavo che c’erano delle belle cose, belle case, vestiti, negozi.
Nella mia nuova vita aspettavo che era bella e stare soli, non andare nella casa dell’amico di mio padre.Quando sono arrivata in Italia ho trovato delle cose diverse dal mio paese, ci sono rimasta delusa.
La prima impressione era la casa, le città, la gente, la lingua e la scuola.
La cosa che mi manca di più è la mia famiglia (nonni, zii, zia, cugino, il cugino di mio padre, il bambino di mia zia)
La differenza è il comportamento, le feste, un po’ la lingua.
Di più mi mancano i miei parenti, i miei amici e la casa.
Del mio primo giorno di scuola ricordo che volevano portarmi alla scuola media, ma io dovevo andare in quinta elementare.
Mi ha colpito di più quando i ragazzi giocavano e ero sola.
I compagni volevano che io giocassi con loro, ma io non sapevo parlare. Le maestre volevano che io imparassi la lingua.
Per capire un po' l'italiano ho aspettato tanto tempo, circa cinque mesi. Mi è mancato di fare le cose che fanno i compagni.
Per aiutare un ragazzo ad inserirsi, siccome lui non capisce,occorre fare con i gesti e piano piano imparare qualcosa della lingua italiana.

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La mia famiglia è venuta in Italia per lavoro, io quando ho saputo che dovevo venire in Italia ho pensato male, ma poi ho pensato che era il meglio per me e la mia famiglia, mi immaginavo che l’Italia era bella e sapevo che era un paese un po’ tranquillo. Mi aspettavo di vivere bene in Italia la mia vita con nuova gente.Quando sono arrivata in Italia l’ho trovata bella, però sono rimasta un po’ sorpresa e un pochino delusa. La prima impressione è stata la lingua, la gente, la scuola.
Non comprendo i comportamenti, gli atteggiamenti di quegli italiani che pensano che siamo maledetti.
La differenza tra l’Italia e il mio paese è che il mio paese ha meno lavoro, ed è più povero, invece l’Italia ha più lavoro ed è più ricca.
Del mio paese la cosa che mi manca è il mio paese ed i miei parenti, soprattutto mia cugina e mia amica.
Quando penso il giorno che sono arrivata in Italia ricordo che ho iniziato la scuola ed ero felice, quando ho iniziato mi ha colpito di più di vedere i miei compagni e gli insegnanti, poi quando sono entrata in classe i miei compagni e gli insegnanti mi hanno ascoltata con attenzione. Le differenze che ci sono con i compagni e con gli insegnanti del mio paese è che con loro sono più libera a parlare perchè è la mia lingua. Ho impiegato tre mesi per capirmi con i miei nuovi compagni e per comprendere l’italiano dei libri di testo e cominciare a studiare ci ho messo quattro/cinque mesi. Quando ho iniziato a scuola non mi è mancato niente del mio paese perché pensavo solo a imparare la lingua italiana.
Secondo me, per accogliere bene un ragazzo straniero, bisogna capirlo e non offenderlo.
alunna di scuola media

Croazia

Io vivo in Italia già da sette anni circa.I miei genitori hanno lasciato il paese d'origine perché in Croazia c'era poco lavoro e venivano pagati poco.Non ho mai saputo di essere partita, da piccola pensavo che il mio paese d'origine fosse l'Italia poi però quando sono tornata in Croazia perché i miei genitori volevano vedere i loro genitori  mi hanno spiegato tutto. Pensavo che fossi un'italiana d'origine.Sapevo tutto come non sapevo niente.
Io immaginavo che l'Italia fosse già il mio paese d'origine, ma quando ho capito che non lo era ho immaginato una vita difficile.
Quando sono ritornata dal viaggio ho capito tutto e sono rimasta molto delusa che non me l'hanno detto prima.
La mia prima impressione è stata la via la casa e la lingua strana che vi sentivo parlare.
Le cose che non comprendo degli italiani sono gli atteggiamenti che hanno non sgridano i figli e tutto il resto.
La differenza più evidente tra il mio paese e l'Italia è la lingua il carattere e il mangiare. Gli italiani mangiano la pasta invece che i croati poca perché dicono che non fa bene.
Del mio paese mi manca un po' tutto i parenti, amici, casa e le abitudini diverse dei croati.
Il mio primo giorno di scuola ero molto imbarazzata anche se conoscevo già i miei compagni perché ho fatto anche l'ultimo anno dell'asilo. Mi ricordo tanti bambini che piangevano perché cercavano la mamma io invece non piangevo.Dopo giorno per giorno ho conosciuto i compagni e mi sono ormai abituata a vivere in Italia.
I compagni e le insegnanti il primo giorno mi hanno accolto bene come se fossi un'italiana ma nel passare del tempo hanno cominciato a tenermi lontana a non farmi giocare con loro le insegnanti preferivano altri bambini cioè se loro dicevano stupida io gli dicevo asino dava l'avviso a casa solo a me e no agli altri che mi hanno detto stupida.
Per capire i miei compagni ci ho messo quasi tutti i cinque anni.Alla fine della quarta ho capito che i miei compagni mi prendevano in giro , si prendevano gioco di me. Solo in quel tempo ho capito che amici avevo.
Visto che avevo fatto l'asilo sapevo leggere e scrivere come i miei compagni perché io avevo imparato quelle piccole cose all'asilo con i miei amici, solo che scrivevo male.
Mentre stavo imparando la lingua italiana mi è mancato un po' tutto: gli amici della Croazia, i nonni e un po' tutto.
Per accogliere un ragazzo straniero io cercherei di aiutarlo , stargli vicino aiutarlo con i compiti ,non essere razzista, volergli bene e seguirlo nei lavori che fa, dirgli in modo giusto come si fanno tutte le cose, senza sgridarlo più di tanto.

Marocco

Sono in Italia da quasi 6 anni.la mia famiglia è venuta qui per il lavoro.
Quando ho saputo che sarei partita pensavo di cambiare vita, invece per niente, me la sono trovata peggio di prima.
Dell'Italia non sapevo niente, ma me la immaginavo come un "paradiso".
Mi aspettavo di fare nuovi amici, di vivere in un'altra casa, di cambiare città.
Quando sono arrivata in Italia, l'ho trovata come tutti gli altri paesi, però sono rimasta molto delusa.
La mia prima impressione è stata la gente perché la immaginavo più gentile.
I comportamenti degli italiani che non capisco è che certi vogliono essere sempre primi, certi si credono i più belli e certi troppo vanitosi.
La differenza tra il mio paese e l'Italia è l'affetto nel senso che lì a scuola, ad esempio non c'era una persona che non aveva amici, e una cosa che mi ha veramente fastidio è che quasi tutti ti credono chi sa chi e se ci passi vicino si allontanano come se tu fossi piena o pieno di macchie.
Del mio paese mi mancano le abitudini, la famiglia, gli amici e tanto altre cose che non mi vengono in mente.
Del mio primo giorno di scuola ricordo che non capivo niente e mi ha colpito di più il modo di fare delle persone.
I compagni erano abbastanza gentili nel senso che certi mi prendevano in giro, invece le maestre molto bene.
Ho iniziato a capire i miei compagni dopo3/4 mesi, ma a rispondergli perfettamente a un anno (forse anche di più).
Ho iniziato a fare le stesse cose dei miei compagni , a capire i libri di testo e a studiare dopo circa 3 anni (più o meno).
La cosa che mi è mancata principalmente è il resto della mia famiglia.
Secondo me per accogliere bene un ragazzo straniero è di fare a meno di prenderlo in giro

Cina

Sono venuto in Italia perché la mamma e il papà volevano che io studiassi la lingua italiana perché è bella.
 Il papà era venuto in Italia perché desiderava un secondo figlio, un maschio. Ma il presidente della Cina non lo permetteva, così il papà si è trasferito in Italia.
La mamma, quando sono nato io, ha perso il lavoro; insegnava matematica nella scuola elementare. Ora in Italia lavora in un laboratorio di abbigliamento. Anche il papà lavora nello stesso posto, anche mia sorella, perché lì lavorano solo famiglie cinesi.
Ho saputo che sarei venuto in Italia due settimane prima di partire. Quando la mamma me lo disse io ero tutto felice, avrei voluto partire il giorno dopo.
Io sapevo che l'Italia era molto bella perché il papà l'aveva vista.
Dalla mia nuova vita mi aspettavo di vivere contento in Italia.
Quando sono arrivato in Italia ho trovato il papà che abitava in una casa: era una sorpresa bellissima. Sono rimasto sorpreso anche della scuola, del supermercato grande, con tanta gente. Le strade sono pulite. Mi piacciono i cartoni animati e la pasta col pomodoro.
La mia prima impressione è che avevo paura di andare a scuola.
Ho trovato strano vedere tante persone che mangiavano prosciutto perché mi sembrava carne cruda. Di diverso c'è che la gente va in chiesa, da noi non ci va. La domenica si fa una gita in bicicletta.
In questo paese le case sono più basse che nel nostro paese. Qui se giri in macchina non vedi tante persone a piedi come nel mio paese. Dopo cena si va a fare una passeggiata, qui no.
Del mio paese più di tutto mi mancano i nonni.
Ricordo che il primo giorno di scuola avevo molta paura. All'inizio stavo un po' in disparte, ma quando ho imparato l'italiano mi è piaciuto di più venire a scuola. Mi ha colpito molto che qui la scuola è più piccola.
All'inizio i compagni mi davano le botte, invece gli insegnanti erano gentili. 
I compagni mi deridevano perché parlavo una lingua per loro strana quando mi trovavo con un bambino del mio paese. Ora mi vergogno a parlare nella mia lingua.
Per capirmi con i compagni ci sono volute tre settimane e per cominciare a leggere e a studiare ci sono voluti tre mesi.
Nel periodo in cui stavo imparando la lingua italiana mi è mancato l'aiuto dei compagni.
Se ci fosse un ragazzo straniero io vorrei aiutarlo ad imparare l'italiano, ne sarei molto felice.

Macedonia

In Italia io vivo da sette mesi.I motivi che hanno spinto la mia famiglia a lasciare il paese d'origine è quello che non c'era lavoro.Quando ho saputo che partivo ho pensato a tante cose. Come sarà qua e come lascerò il mio paese. La verità non è tanto facile.
Il mio padre mi raccontava tante belle cose per l'Italia. La immaginavo un po' diversa dal mio paese.
Io, nella mia nuova vita non aspettavo qualcosa di nuovo.
Quando sono arrivata in Italia sono rimasta sorpresa.
Del mio paese mi manca proprio tutto. La gente, la casa, la città e altre cose.
Del mio primo giorno di scuola in Italia mi ricordo tante cose. Come ad esempio come sono entrata nella aula e tutti i miei compagni mi guardavano, come li ho conosciuti. Avevo un po' di paura perché non sapevo nulla, la lingua soprattutto.
I compagni e gli insegnanti mi hanno accolto benissimo. Loro si sono comportati con me in modo gentile come io con loro.
Per capirmi con i miei nuovi compagni ho impiegato quasi tre settimane e per comprendere l'italiano dei libri di testo e cominciare a studiare 2-3 mesi.
Nel periodo in cui stavo imparando l'italiano mi è mancato un po' i miei cugini e cugine.
Per accogliere un ragazzo straniero a scuola si può fare quello di comportarsi bene con lui o lei come hanno fatto con me. Spiegarsi con parole più semplici, non sgridarlo perché può prendere paura.