F. E K. DALLA GUERRA ALLA PACE
(Attività alternativa ora di religione)

Ciao, siamo F. e K., siamo nate a G. rispettivamente nel '90 e nel '91. La nostra infanzia l'abbiamo vissuta nel paese di G., nel comune di S. Abbiamo trascorso una vita tranquilla fino ad un certo punto. Non siamo andate all'asilo perché non c'erano gli asili in quel periodo, siamo andate subito in prima elementare, F. a sette invece K. a cinque anni e mezzo. La nostra famiglia viveva in un'unica casa formata da quattro stanze al piano superiore e due al piano sotto, più due bagni e il salotto che era grande quanto due stanze. Dietro la casa c'era un grande prato con molti alberi e subito dopo un boschetto pieno di animali selvatici come lepri, volpi e molti uccelli.

La situazione prima della guerra
Nel 1989, l'autorità serba ha tolto l'autonomia al Kosovo perché lo voleva conquistare. Da quel momento, la situazione è peggiorata ogni anno, perché la pressione da parte della polizia serba, diventava sempre più forte per noi Albanesi, rendendo la nostra vita dura, perché ci veniva tolta la libertà di movimento. L'anno più critico è stato il 1997, quando le proteste degli Albanesi determinarono molti arresti da parte della polizia serba. Si sentiva nell'aria che la guerra era vicina. La polizia serba aveva costituito dei centri di controllo in alcuni punti del nostro paese. Uno di questi si trovava proprio a G, il paese dove abitiamo. Per questo motivo eravamo costretti a fuggire nel bosco, aspettando che la polizia se ne andasse. Poteva capitare anche di dover rimanere nascosti per un giorno intero.Questa situazione è andata avanti fin tanto che la NATO ha preso la decisione di bloccare l'esercito serbo.

L'inizio della guerra nel nostro paese
Era giovedì 25 marzo 1999. Quella sera siamo usciti in giardino, spaventati da un forte boato che veniva dal cielo. Ci siamo resi conto che era in corso un bombardamento aereo.Lo zio ci aveva spiegato che la NATO stava attaccando l'esercito serbo. L'indomani mattina all'alba, abbiamo lasciato la casa, per raggiungere quella di un nostro cugino che era in un posto più sicuro, dove ci siamo fermati per circa dieci giorni. In seguito, ci siamo spostati in un altro paese del Kosovo dove siamo rimasti per tre giorni e tre notti, sei famiglie in una casa non ancora sistemata. Fuori si sentivano i rumori spaventosi delle bombe, sempre più vicine a noi. Di notte nessuno dormiva, perché i Serbi stavano bruciando tutte le case vicine. La mattina seguente abbiamo scoperto che i Serbi avevano occupato tutto il paese e poi chiedevano alla popolazione kosovara: oro, soldi e altre cose di valore in cambio della vita. La nostra famiglia si era rifugiata dentro una casa mentre nostro zio per convincere i Serbi ad andarsene aveva dato loro circa trecento marchi tedeschi, era l'unico modo per evitare che diventassero violenti.

la nostra casa distrutta

così l'ho vista

Cronaca della fuga
Il nostro viaggio è iniziato sul rimorchio del trattore dello zio che era stato ricoperto da un telo scuro. Sotto il telo erano stati sistemati dei divanetti per farci sedere, accanto ai bagagli. Sul rimorchio siamo saliti in undici persone, non si stava scomodi, ma di certo la paura era molta, perché ad ogni passo c'erano i militari serbi. Il viaggio da Prizren a Morina è durato tre giorni e due notti. Uno dei problemi principali era quello di trovare il cibo e l'acqua. Per la verità, gli Americani ci avevano consegnato dei pacchi con dei viveri, non potevamo utilizzarli, perché i Serbi minacciavano di uccidere chiunque fosse stato trovato con prodotti americani. Durante il viaggio la mamma e la nonna erano riuscite a fare del pane con la farina di grano turco cucinato in alcune stufe trovate lungo la strada. Oltre al pane mangiavamo anche delle salsicce cotte sul fuoco. Ovviamente, per tre giorni non abbiamo potuto né lavarci né cambiarci e tra l'altro la mamma aveva lasciato i nostri vestiti più belli a casa, nella speranza che prima o poi saremmo tornati. Nel paese di Morina che si trovava al confine tra l'Albania e il Kosovo, ci siamo fermati per tre giorni e due notti. In questo paese la gente non era molto ricca, anzi piuttosto povera, ma noi abbiamo trovato una famiglia che ci ha ospitato nella propria casa. Loro stavano al primo piano invece a noi hanno dato il secondo, composto da due camere. Pochi metri più lontano dalla casa, c'era una fontana in cui andavamo a prendere l'acqua con la padrona e con il suo asino. Noi avevamo lasciato il trattore nel cortile della casa e per questo eravamo costretti qualche volta  ad andare a controllare  perché c'erano persone che rubavano. La guerra ormai si avvicinava anche a Morina e noi siamo stati costretti ad andare via. A quella famiglia avevamo lasciato settanta marchi tedeschi come ringraziamento anche se loro ci avevano detto che non c'era bisogno di pagare. Dopo tre giorni, abbiamo raggiunto la città di K, per alcune notti abbiamo dormito sul rimorchio del trattore. Per fortuna, vicino a noi c'era la famiglia della nostra mamma. Per questo ci sentivamo sollevati perché così potevamo sapere se stavano bene o no. Dopo tre giorni siamo riusciti a trovare un appartamento libero dove ci siamo stabiliti per una settimana. Proprio in quei giorni una rappresentante dell'ONU, Jakushi Ogatta, responsabile dei diritti umani, era venuta a visitare il paese per capire la situazione in cui si trovava tutta la nostra gente. Passati tre giorni ci siamo trasferiti nell'appartamento che avevamo trovato. Lì, viveva una famiglia di cinque persone, la quale ci ha ospitato per una settimana. Avevamo solo una stanza, eravamo in undici persone, lì mangiavamo, dormivamo e per fortuna avevamo un bagno e abbiamo potuto lavarci. Non avevamo lo spazio per lasciare le cose, infatti dentro la stanza c'era tanto disordine. Dopo aver passato una settimana a K, ci siamo trasferiti a Durazzo, in una casa, trovata dalla sorella di nostra nonna, presso la famiglia J., che ci ha ospitato. Questa famiglia era molto gentile e ci ha offerto tre delle loro stanze, mentre loro hanno dormito in cinque persone in una sola stanza. Ci hanno dato persino da mangiare. A Durazzo, siamo rimasti sei settimane e per tutto questo tempo ci hanno fatto pagare solo settecento marchi tedeschi. Durazzo, come città, non era molto sicura perché c'erano molti criminali, ma anche economicamente non era molto ricca. Vicino a noi, anche i fratelli di nostra nonna avevano trovato una sistemazione. Lì, a Durazzo ogni settimana arrivavano cibo, vestiti e aiuti umanitari per i profughi. Poi è venuto nostro papà dall'Italia, per sistemarci i documenti e per portarci in Italia. Papà e lo zio, andavano quasi ogni giorno a Tirana per ultimare tutte le pratiche. La famiglia J. era stata molto ospitale e ci ha dato un aiuto veramente grande. Insomma, Durazzo è stata una delle tante città dell'Albania che ha ospitato moltissimi Kosovari. Passate sei settimane, nostro papà aveva preparato tutti i documenti e finalmente era arrivato quel giorno, la partenza verso un nuovo paese. Per l'Italia, però, non siamo partiti tutti assieme, ma solo la nostra famiglia; i nonni, lo zio e la sua famiglia ci hanno raggiunto dopo una settimana. Il viaggio per l'Italia è durato due giorni. Da Durazzo fino a Bari abbiamo viaggiato in nave, da Bari fino a Treviso con il treno e da Treviso fino a S., con lo zio in macchina. Dallo zio siamo rimasti dieci giorni, fino a quando il papà non ha trovato una casa a M.. Dopo sei mesi abbiamo cominciato la scuola, in terza elementare, insieme e piano piano abbiamo imparato l'italiano. L'Italia per noi sembrava un mondo diverso dal nostro. Posti nuovi, persone diverse, paesaggi diversi, insomma un altro mondo. Le città, le strade, le case ecc... Tutto è così diverso dal Kosovo. Le città non sono così popolate, hanno molti negozi ma pochi supermercati (solo adesso hanno cominciato ad essere più presenti), ci sono meno monumenti e pochi palazzi importanti. Le strade sono più strette, non tutte sono asfaltate e le case non sono tutte così belle. Solo pochi si possono permettere il lusso di avere una casa ben costruita, soprattutto dopo la guerra. La lingua italiana non è molto difficile. Ci sembrava difficile all'inizio, ma con l'aiuto delle maestre, tutto era più facile. Ogni giorno uscivamo dall'aula con l'insegnante di lingua, così abbiamo imparato a scrivere, a leggere e a studiare. I nostri compagni di classe, tentavano di farci capire che erano nostri amici, ma noi scappavamo, perché avevamo paura e le uniche cose che sapevamo dire erano: " Mi chiamo..., via... ,sì, no e ciao". Il tempo passava e noi non ci rendevamo conto che diventavamo sempre più brave a parlare in italiano.Adesso ci troviamo bene qui in Italia, abbiamo degli amici e dei professori che rispettiamo e ai quali vogliamo molto bene. Resteremo qui in Italia fino a quando in Kosovo non tornerà la pace.

Ecco due nostre poesie

NON VOGLIO LA GUERRA
Non voglio la guerra,
voglio la pace,
ogni persona che muore
è una vita spezzata,
è un sogno perso,
è un sorriso mancato,
è una voce che si perde.
Occhi che non vedono
mani che non toccano.
Non voglio la guerra
voglio la pace,
per crescere e giocare
per ridere e amare.
            

LA SCATOLA DI COLORI
Ho comprato una scatola di colori,
alcuni vivi, alcuni smorti.

Ho comprato il nero, per l'infelicità,
ho comprato il blu, per la paura,
ho comprato il rosso, per il sangue.

Ho comprato il rosa, per le facce felici,
ho comprato l'azzurro, per il cielo aperto,
ho comprato il verde, per i prati...

Ma allora,cosa manca?
Manca il celeste, per il mare che non ho mai visto 
e il giallo per la gioia che ho nel cuore!