San Quirico di Valleriana: Un gioiello di arte, storia e tradizioni locali.

Testo elaborato dalla D.ssa Angela Moro

Schizzo del castello di S. QuiricoDa San Quirico passava una strada antichissima, conosciuta fino dalla preistoria (numerosi oggetti neolitici sono stati ritrovati nei pressi del paese), ma la prova più evidente è la presenza degli ospizi per pellegrini disseminati lungo il sentiero che collegava i paesi più a nord della valle, come possiamo leggere nel Catalogo delle Chiese lucchesi del 1260. Si deduce che la strada sia stata sempre molto frequentata, se pensiamo che aggirava tutte le montagne circostanti per ridiscendere verso la mansione romana di Ad Martis, segnata nella tavola Peutingeriana e poi arrivare a Bientina, Pisa e Volterra. San Quirico è posto in una valle detta Valleriana e l’origine di tale nome è ancora oggi sconosciuta. Alcuni pensano ad "una valle di Ariani" che occupavano i territori; sull’arianesimo a Lucca esistono molti studi, ma nessuno di questi menziona minimamente il castello. Altri pensano ai molti rii che solcano la valle e da qui il nome. Però gli studi più recenti e molto attendibili si rifanno ad un fundus romano, chiamato "fundus arianus", denominato nel medioevo castrum. A San Quirico esiste un toponimo "Castrognano" che forse risolve molti dubbi : ecco la sede dell’antico accampamento romano e quindi il primo nucleo abitato del paese (tesi avvalorata anche da alcune pietre stradali dell’epoca ancora presenti in loco e dal ritrovamenti di reperti di ceramica nera databili al I° sec. A.C.). Ma le prime notizie sicure del paese come nucleo di una certa consistenza si hanno solo nel 980, quando il Vescovo di Lucca Gherardo I allivella i beni della "Ecclesia S.Quirici de Arriano". Nel 1304 il paese cadde in disgrazia a causa diSchizzo della chiesa nel 1700 pestilenze e carestie, arrivando a sommare non più di 20 abitanti; i Savi di Lucca emanarono un decreto con il quale esoneravano per dieci anni dalle pene, tutti coloro che avessero deciso di ripopolare il castello. E così avvenne! Nello statuto lucchese del 1308 si legge già menzionato il Podestà di S. Quirico e con il trattato di Venezia del 1388, San Quirico passò sotto la giurisdizione di Lucca, mentre altri paesi della sopraccitata valle, Castelvecchio, Vellano e Sorana restarono a Firenze. Però la storia di San Quirico è un po’" tutta sua", fatta essenzialmente dei contrasti sempre astiosi con il vicino castello di Castelvecchio (che da sempre rivendica la supremazia per antichità del loco) e quindi per l’epoca il tafferuglio, forse banale, ma sanguinoso, avvenuto fra i due paesi nel 1433, non doveva essere inusuale. Nel mese di agosto quelli di Castelvecchio andarono col Cavaliere e con la famiglia del Vicario di Pescia a San Quirico, calarono con la forza due campane della torre campanaria e le portarono nel loro paese dicendo che erano loro. I sanquirichini in questa occasione usarono molta diplomazia e tramite un mediatore riottennero quello che gli spettava. Nel 1451 invece le lotte furono accese per la questione dei confini e continuarono per quasi un secolo, in maniera più o meno violenta e degenerarono nel 1538 quando gli abitanti di Pontito si allearono con quelli si San Quirico e insieme uccisero tre di Castelvecchio, dopo aver razziato in paese. Il Vicario di Pescia avvisò del fatto anche Cosimo de’Medici, ma il fiorentino, che odiava i lucchesi, invece di sopire gli animi li accese ancora di più e con il suo benestare Morgante da Castiglione, capitano delle bande di Pescia, si recò a San Quirico per impadronirsene. Purtroppo per lui, questi terrazzani si difesero molto bene ed egli fu costretto a retrocedere sconfitto. Da quel momento, però, Castelvecchio fu sorvegliato e protetto in modo speciale dai pesciatini che avevano paura di rappresaglie. Leggendo i documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Lucca, notiamo subito la cura che la repubblica lucchese aveva per San Quirico, suo baluardo in territorio fiorentino. Riforniva spesso il castello di "baraglioni di polvere e di moschetti e spingarde" per la difesa della fortezza. Addirittura presso il citato archivio, è conservato un documento del 1607 intitolato: "Instrumentum pacis inter homines Castrivetris et Sancti Quirici Vallis Arriane". Occorre ricordare un manoscritto di basilare importanza per la storia locale: lo statuto del 1612, conservato sempre a Lucca nella serie Statuti delle comunità soggette. Il documento è importante perché rivela che il castello doveva avere grande prestigio ed autonomia, tale da garantirsi delle proprie leggi. Il codice consta di 234 carte precedute da disegni a penna con l’arma della Repubblica e lo stemma dell’antico comune (un lupo del suo colore in campo bianco). Le leggi entrarono in vigore il 17 giugno e tutti gli uomini maggiori di 18 anni, prestarono fedeltà al comune. Ma l’importanza del documento sta nella serie di disposizioni riguardanti la vita economica, il cui reddito era dato dall’allevamento del bestiame, dalla pastorizia, dal taglio del legname, dalla raccolta delle ulive, dell’uva e delle castagne. Per limitare i danni vi erano 12 guardie segrete, che incoraggiavano la coltura degli orti nei propri terreni senza sconfinare e vigilavano sugli allevamenti. Il comune proibiva di vendere ai forestieri, imponeva a questi, se volevano dimorare in paese, forti tasse (oggi si chiamerebbero di soggiorno). Vietava ai detti forestieri di cacciare e raccogliere frutti anche dei boschi. I paesani dovevano uscire dalle due porte, pagando un pedaggio e l’oste non doveva servire il vino dopo il tramonto. Era vietato e severamente punito intonare canti profani e ballare presso la casa sotto l’oratorio della Madonna (ubicato davanti alla Chiesa Principale) dove si riuniva il Consiglio Comunale. La pietà religiosa era tenuta in grande considerazione, erano molti gli oratori e le confraternite sempre pronti a celebrare funzioni. In paese vi era anche un maestro comunale, il cui salario era di 50 scudi Terrilogio del 1700 l’anno. Naturalmente le rubriche economiche danno molto rilievo alla cura riservata ai boschi, in particolare ai castagneti che offrivano la più grande fonte di sostentamento del castello dal Medioevo fin quasi ai nostri giorni. Severissime erano le pene (in alcuni casi si arrivava anche alla morte) a chi oltraggiava, deturpava o danneggiava le piante proprie e altrui. La raccolte delle castagne doveva avvenire dopo il 20 di ottobre e l’essiccazione era sorvegliata con somma cura. Ricordiamo che l’economia di scambio avveniva principalmente in farina dolce. Le rubriche del documento sono tutte notevoli per la storia paesana, ma risulterebbero troppo lunghe in questa sede e perciò sono state presentate le più significative. Nei due secoli successivi, il paese perde un po’ della sua identità corporativa e la storia si fonde in maniera meno particolareggiata con le vicende generali storiche dell’epoca. Una notizia degna di nota, risale al 1799 quando il paese si trovò suo malgrado, nella zona di transito di due eserciti nemici: da una parte i francesi diretti a Genova e dall’altra gli austro-russi che li inseguivano. Numerosi erano i bonapartisti presenti in paese, che esprimevano le loro idee di libertà anche con scritte sulle facciate delle case e in questa occasione l’appoggio ai francesi non mancò. Vennero suonate a raccolta le campane per difendersi e per avvertire l’esercito d’oltralpe che il nemico era vicino, favorendo un’azione difensiva. Dopo aver razziato il castello gli austro-russi se la presero con la campana più grande, che fu gettata dalla torre campanaria. Ma questa non si ruppe! I soldati tentarono di frantumarla con mazze senza riuscire a scalfirla. Le cronache raccontano che si fece avanti un paesano, Gio Quirico Fontana, che disse : "Volete proprio romperla? Ebbene la romperò io". Prese una spina d’acciaio, la pose dalla parte opposta da dove batteva e con un solo colpo questa si ruppe. Alcuni anni dopo le campane ritornarono ancora più sonanti alla loro sede. A questo proposito occorre ricordare che i fonditori di campane di S.Quirico erano rinomati in tutta la penisola e la loro arte risale al medioevo (in alcune case si possono ancora vedere delle lucertole scolpite nelle pietra, simbolo di questa arte, a testimonianza della presenza di tali maestri); i più conosciuti appartenevano alle famiglie Angeli, Fontana e Magni. Avvicinandoci a tempi piùMonumento ai Caduti della 1^ e 2^ guerra mondiale recenti, un ricordo meritano i caduti durante la prima guerra mondiale: partirono per il fronte 126 soldati e di questi ne morirono 19; il paese li ricorda sempre anche grazie ad una edicoletta celebrativa che reca i loro nomi e le loro foto. Il 1920 viene ricordato in paese, almeno dai più anziani, con grande terrore: la mattina del 7 settembre un violento terremoto interessò tutta la valle e numerose case del paese andarono distrutte; fortunatamente le vittime non furono molte, ma con la ricostruzione degli edifici, il paese iniziò a perdere le originali costruzioni marcatamente medioevali, che vennero riedificate sì uguali alle originali, ma lasciarono sempre un po’ di nostalgia. Ma la grande paura doveva ritornare in maniera più violenta nel paese e in tempi non tanto lontani, infatti il ricordo è ancora vivo e nitido in tante persone. La sera del 17 agosto 1944, due ufficiali tedeschi erano stati invitati a cena in una casa del paese e tutto sembrava svolgersi per il meglio. Alle ore 23 circa, lungo la strada che conduce a Aramo, s’imbatterono in sei soldati tedeschi disertori e a sparare fu uno di questi, di nome Franz. In quel periodo la legge tedesca parlava chiaro in caso di uccisione di uno di loro: 10 italiani per 1 tedesco! Il giorno 19, al mattino, giunsero a S. Quirico molti soldati, i quali, dopo aver circondato il paese perché nessuno ne uscisse (ma gli uomini validi erano fuggiti la stessa sera del 17) avevano l’ordine di bruciare tutto senza lasciare scampo alle persone. Per fortuna questo non avvenne, perché prima di appiccare il fuoco, non si sa per quale atto di generosità, fu consentito agli abitanti di lasciare le loro case e portarsi via poche cose. Poi la catastrofe: tutto bruciava eccetto poche case e la vicina chiesa. In questa erano stati radunati gli anziani, gli ammalati e una donna con un bambino partorito due giorni prima. Alle ore 16 il comandante comunicò al pievano che sarebbero stati fucilati 20 uomini dei 47 fermati in mattinata lungo la strada Pietrabuona - Pescia. Si trattava di persone di varie località toscane che dopo essere state costrette a lavorare per i tedeschi alle fortificazioni sulla Lima, erano state rimesse in libertà e tornavano alle loro case. Vennero condotti nelle vicinanze del cimitero del paese con un camion, sul luogo scelto per l’esecuzione, uno dei prigionieri scappò, ma venne inseguito e ucciso. I restanti 19 furono fucilati, tra le ore 17 e le 18, suddivisi in tre gruppi; agli anziani del paese che avevano scavato le fosse, venne ordinato di trasportare i corpi nel cimitero e di seppellirli. Oggi in questo luogo riposa ancora uno di quegli sventurati. Per questo episodio di grande crudeltà la città di Pescia è stata insignita della medaglia di bronzo al valore civile. La ricostruzione del paese è stata lenta e difficoltosa, ancora negli anni sessanta, circa il 50% delle abitazioni era distrutta e annerita e il ricordo della tragedia era presente sino a pochissimi anni fa. Oggi il paese ha ripreso la sua struttura di castello medioevale, perché la planimetria urbana non è mai stata sfalsata, grazie all’accortezza dei suoi abitanti che non hanno mai ripudiato il loro passato di glorioso castello della Repubblica lucchese.