Kansas City Blues: chapter 1

Blues, jazz e malavita: il feeling inconfondibile del sound di Kansas City
di Guido Marenco


La storia cominciò con l'arrivo a Kansas di ondate di musicisti professionisti e dilettanti, provenienti sia dal sud che dall'est.
Tuttavia, esisteva all'epoca anche una "scena" locale, caratterizzata soprattutto da cantanti di blues e da piccole formazioni che facevano un misto di blues e di jazz. I nomi non sono celebri tra gli appassionati italiani ed europei, ma è probabile che negli Stati Uniti qualcuno si ricordi di loro, in primo luogo di Julia Lee, nata nel 1902 proprio a Kansas City.
Suonava il pianoforte, ma da bambina aveva suonato il violino nell'orchestra del padre e si era esibita nella formazione del fratello George Lee, la Novelty Singing.
Di lei Paul Oliver ricorda: "Era una brava cantante con uno stile molto vicino allo swing, fu perciò in grado di adattarsi molto presto alla versatilità dello swing di Kansas City." (1)
Negli anni '40 lavorerà con i Kansas City Stompers di Jay McShann e poi con l'orchestra di Tommy Douglas. Trasferendosi ad Hollywood per un paio d'anni, riscuoterà un notevole successo con Boy Friends, ed anche con pezzi più legati alla tradizione blues come Julia's Blues e Young Girl's Blues.
Altro personaggio notevole, anche per la corpulenza ed i lineamenti molto virili, fu Lottie Beaman, detta "Palla di burro di Kansas City", ma non si può dimenticare Laura Rucker, anch'ella pianista, come Julia Lee., versatile e molto popolare nel Sud-Ovest.
Un nome che non ricorre nella monografia di Oliver (ricca ma non rifinita a sufficienza) è quello di Ada Brown.
Nata a Kansas City il 1 maggio del 1890 in una famiglia di musicisti, tra cui il cugino James Scott noto pianista e compositore di ragtime, incise con Bennie Moten il celebre Evil Mama Blues per la Okeh nel 1923. Attiva poi nel circuito dei TOBA e dei vaudeville, apparirà al fianco di Fats Waller nel film Stormy Weather, dove interpretò That Ain't Right.


Julia Lee

la copertina del cd di Stormy Weather e quella di un disco con Laura Rucker

I collezionisti incalliti ed i cacciatori di rarità musicali non dovrebbero rinunciare, inoltre, ad inseguire in qualsiasi formato possibile alcune incisioni di Jim Jackson cantante e chitarrista blues nato ad Hernando, Mississippi, nel 1880, ed interprete di vecchie canzoni minstrels come Travellin' Man e In The Jailhouse Now.
Per quanto la questione sia controversa, egli fu l'autore di un blues intitolato Kansas City Blues, che era diventato un hit dell'epoca. A contestare la paternità del brano era stato Robert Wilkins, anch'egli nativo di Hernando, di sedici anni più giovane, attivo nei medicine shows itineranti attraverso Mississippi, Arkansas, Alabama.
Jim Jackson suonava sovente accompagnato al pianoforte dal nero albino Speckled Red e lo spettacolo risultava divertente e spiritoso: i due si scambiavano battute pungenti e non si può dimenticare che proprio Speckled Red (vero nome Rufus Perryman) fu il più noto cultore di un genere: The Dirty Dozen, in cui dominavano il turpiloquio e l'insulto.
La sporca dozzina era una successione di versi recitati " a turno (ed in feroce antagonismo) da due o più contendenti" (2).
Nelle dirty dozen non si badava al controllo delle parole e quindi il celebrato Eminem non ha inventato nulla di nuovo (e di particolarmente seducente). "Il fine della perfidamente elaborata gara, suggerisce il lessicologo Clarence Major, è quello di testare la resistenza emozionale dei vari individui, la capacità di controllare la rabbia." (2)
Francamente non saprei...però per farsi un'idea ecco una dirty dozen classica di Speckled Red:
I like your mama, like your sister too,
I did like your daddy, but your daddy woudn't do,
I met your daddy on the corner the other day.
You know by that, that he was funny that way,
so now, he's funny mistreater, a robber and a cheaster,
Slip you in the dozen, your papa is your cousin
your mama do's the Lawdy Lawd...


Certo non era infrequente questo tipo di spettacolo anche nei postriboli e nelle piazze di periferia dove si radunava soprattutto un pubblico nero e di straccioni, ma non possiamo escludere che qualcosa del genere sia passato anche nei locali più costosi ed esclusivi.
All'inizio degli anni '30 Kansas City era un centro di grandi e medi affari legati all'agricoltura ed all'allevamento. Veniva dunque visitata da commercianti all'ingrosso e businessmen che soggiornavano per qualche giorno, trovando piacevole e desiderabile trascorrere la serata in qualche locale ove fosse possibile bere, danzare od anche solo ascoltare musica.
Di certo sappiamo che in città il proibizionismo non fu mai applicato come nel resto degli Stati Uniti, e Kansas City diventò così una sorta di zona franca, una piccola Casablanca nel cuore degli USA che non risentiva in modo particolare degli effetti della grande crisi del '29.
Tra politici, polizia locale e malavita esisteva un trattato di non belligeranza che in in alcuni casi sfumava in un'aperta collaborazione. C'era un granduomo che dominava la scena: Tom Pendergast, ed il signor Lazia, capo della polizia, era un suo intimo.
Scriveva Gian Carlo Roncaglia: «Egli, infatti, non si era accontentato di "comprare" poliziotti e amministratori pubblici, giudici ed assessori: aveva sin dall'inizio degli anni venti saputo guardare ben più lontano (non correndo tra l'altro i rischi che portarono Al Capone a pagare molto cara la "posizione" raggiunta), ripescando nella piccola città di Indipendence un modesto commerciante fallito, facendolo eleggere a giudice di contea nel 1922 valutandone acconciamente la "malleabilità", per portarlo infine, dodici anni dopo, al Senato degli Stati Uniti.
Quell'uomo si chiamava Harry Truman...» (3) Il quale sarebbe poi diventato Presidente degli Stati Uniti.
Con simile capacità di manovra si capisce perchè Pendergast riuscì a fare di Kansas City una città dove si poteva bere liberamente whisky di contrabbando, soprattutto nei suoi locali.
L'impero di Pendergast durò fino al 1938, quando venne infine processato ed imprigionato per evasione fiscale. E' davvero interessante notare come la fine del granduomo coincise con il tramonto della scena jazz di Kansas City: Tutto il meglio o si era trasferito all'est, in particolare a New York e Chicago, o si era spento.


Torniamo all'inizio. In breve e sotto il ferreo controllo della malavita, i locali si moltiplicarono. Sorsero piccoli club, con un pianista che suonava e cantava, od accompagnava qualche cantante. E nacquero anche locali più grandi, capaci di ospitare orchestre e ballerini.

Per tutto un periodo l'orchestra più nota fu quella capeggiata da Bennie Moten, un tipo che si era fatto le ossa al Rainbow di Denver, e che in gioventù aveva suonato ragtime, incidendo, tra l'altro, il celebre Twelfth Street Rag del 1927.
Con Moten suonavano solisti che sarebbero diventati presto famosi, se già non lo erano. Uno dei cantanti era Jimmy Rushing, al piano sedeva Harlan Leonard (poi rimpiazzato da Count Basie); Oran "Hot Lips" Page soffiava nella tromba; Eddie Durham tormentava il trombone; Ben Webster, Eddie Barefield e Buster Smith cavavano dai loro sassofoni un inconfondibile groove.
Webster è conosciuto, spero, come uno dei più grandi sassofonisti di sempre. Qualche parola in più è doverosa per Buster Smith, che Charlie Parker indicò come uno dei suoi massimi ispiratori.
Purtroppo, che io sappia, non esistono incisioni di Smith antecedenti l'esplosione di Parker. Abbiamo, al contrario, registrazioni posteriori che documentano un vaga somiglianza, anche se, indubbiamente, l'arte di Parker pare infinitamente più innovativa.



L'orchestra di Moten si esibiva in locali come il Reno Club, il Sunset Cafe ed il Subway Club.
La musica era un sound "nero"intriso di blues.
Fu questo che diede alla musica di Kansas City un feeling del tutto particolare.
Rispetto al jazz che si faceva allora a New York, o sulla West Coast, o persino a New Orleans, il sound di Kansas City aveva dunque un pathos ed un'intensità del tutto speciali.
Nello swing newyorkese il blues si era diluito, per così dire, in un trattamento estetico-orchestrale, raffrendandosi, anche se, di primo acchito, si ha sempre l'impressione di un gran ritmo e di una certa concitazione. Gli arrangiamenti e gli impasti orchestrali avevano preso il sopravvento, dando vita, insieme, sia a qualcosa di più formale che di musicalmente più libero.
Non sempre le differenze sono così vistose, ma qualsiasi approfondimento si voglia condurre porterà a focalizzare le stesse; del resto, l'unica verifica possibile rimane quella dell'ascolto dei documenti sonori disponibili.
Di Bennie Moten, nella collana Classics, sono raccolte diverse registrazioni: la più raccomandabile è quella riferita a brani incisi nel triennio 1930-32. Rappresenta una sorta di summa del jazz classico.
Contiene una assoluta rarità - Count Basie che canta, in modo peraltro non eccezionale - Somebody Stole My Gal, oltre che brillantissime performances di Ben Webster e del trombettista Hot Lips Page.
Brani come Lafayette, Milenberg Joys, Prince Of Wails, Toby, Moten Swing rappresentano il meglio di questo periodo e di questo stile particolare.

Una seconda orchestra si era fatta strada, prima della prematura scomparsa di Bennie Moten nel 1935. Era quella guidata dal contrabbassista Andy Kirk e fortemente caratterizzata dalla presenza della pianista Mary Lou Williams. Il vero nome della ragazza era Mary Elfrieda Scruggs. Nata ad Atlanta nel 1910, Mary Lou Williams fu l'unica donna non-cantante che abbia avuto una certa importanza nella storia del jazz fino alla soglia degli anni '60.
Va detto, tra l'altro, che la Williams, come solo alcuni grandi musicisti (Ellington, Monk, Mingus, Miles Davis) sapranno fare, non legherà le sue fortune ad un solo genere, questo blues-jazz pieno di feeling, ma saprà attraversare diverse tappe nell'evoluzione del linguaggio jazz, producendo opere e performances di valore anche nei decenni successivi alla 2 guerra mondiale.

Mary Lou Williams & Andy Kirk

Secondo Gunther Schuller (4) l'orchestra di Kirk era un'eccellente formazione e Kirk era un uomo di profonda modestia. Rilevata la band diretta da Terrence Holler, i Black Clouds of Joy, nel 1929, fu ascoltato a Tulsa da George Lee (il fratello di Julia) e questi, band leader a sua volta, lo raccomandò per un lungo ingaggio al Pla-Mor Room.
Jack Krupp, che era responsabile delle incisioni dell'etichetta Brunswick ascoltò Kirk e subito lo reclutò per una seduta di prova. Fatalità volle che all'ultimo momento Marion Brown, pianista di Kirk venisse a mancare. Così al piano sedette proprio Mary Lou Williams, che divenne presto la stella dell'orchestra insieme al sax tenore Dick Wilson.
«La discografia di Kirk ha inizio nel tardo 1929 con due matrici incise a Kansas City per Vocalion. a nome di John Williams and His Memphis Stompers. Lotta Sax Appeal è più che altro una vetrina per John Williams, che suona il sax baritono con timbro burbero e stile a colpi di lingua rigido e datato. I solisti migliori sono il trombonista Allen Durham (cugino di Eddie Durham) in due chorus di sorprendente fluidità e nitida esecuzione, e Mary Lou Williams, il cui assolo sfoggia accordi ricchi e uno swing per l'epoca sorprendente. Stompin' Slow and Low, una serie di assolo tenuti insieme debolmente, è tipico del periodo, nella sua primitività. » (4)
Poi l'orchestra incominciò ad incidere per la Brunswick col suo proprio nome. « Due precoci assolo di piano del 1930 confermano che la Williams ha già il pieno controllo di tutta la tastiera; e anche che non è già una caposcuola, bensì una grande assimilatrice. Un elevato eclettismo ne contrassegnerà l'intero arco creativo, le sue principali influenze essendo dapprima Hines, Johnson, Waller e talora Willie "The Lion" Smith, cui avrebbe aggiunto Tatum e Wilson, ed ancora più tardi lo stile a blocchi di Milt Buckner.» (4)

Assunta la denomizione di Twelve Clouds of Joy, la band di Kirk cominciò a spopolare. Per cinque anni, fino al 1936, tennero banco in diversi locali di Kansas City ed effettuarono persino qualche spedizione al Savoy di New York.

Non sono del tutto chiare le ragioni per le quali Mary Lou abbandonò l'orchestra di Andy Kirk. Fatto sta che la formazione, a dimostrazione dell'importanza del ruolo della Williams, declinò rapidamente, pur potendo contare su solisti d'eccezione come i trombettisti Howard Mc Ghee e Fats Navarro, che faranno poi moltissima strada.
Da notare, inoltre, che il pianista che rilevò il posto, come ancora ricorda Schuller, non era affatto male. Si chiamava Kenneth Kersey e nel 1942 incise con Kirk un formidabile Boogie Woogie Cocktail che spopolò nei juke box per almeno un paio d'anni.

Dal canto suo, la Williams conobbe qualche successo, sebbene, per la verità non sempre accompagnato da giusti riconoscimenti per la qualità della sua musica.
Un cd certamente rappresentativo è il Mary Lou Williams della Classics che contiene registrazioni effettuate nel 1944 grazie all'iniziativa di un prodottore molto attivo come Mose Asch, che allora lavorava per etichette come la Stinson e la Folkways.
Blues e boogie sono ottimamente rappresentati da brani come Mary's Boogie, Drag'Em e St Louis Blues.
Il cd si raccomanda perchè contiene diverse formazioni e diversi stili. Ruotano attorno alla Williams autentiche stelle come il trombettista Frank Newton, il clarinettista Edmond Hall ed il trombonista Vic Dickenson ed i vertici di questa session sono raggiunti nell'esecuzione di alcuni classici del repertorio della pianista: Roll'Em (arrangiato anche dalla stessa per Benny Goodman), e Little Joe From Chicago.
Sempre in questo cd, possiamo inoltre ascoltare momenti della collaborazione con il clarinettista Claude Green ed il trombettista Dick Vance, mentre ben documentato è l'incontro con il sassofonista Don Byas, insieme ad una memorabile incisione realizzata con il trombettista Bill Coleman.

Count Basie giunse in città dopo una vita di vagabondaggi giovanili, spesso consumati in lunghi ed estenuanti viaggi in treno. Era nato a Red Bank nel New Jersey, nel 1904, ed il suo maestro era stato "Fats" Waller, il grande pianista. Ma William Basie fu anche influenzato dallo stile di James P. Johnson e di Willie "The Lion" Smith.
Una lunga tournèe al seguito del musical Gonzel White lo portò dritto a Kansas City, dove si imbattè subito nell'eccitante spettacolo di Walter Page And His Original Blue Devils, che sfilavano per le vie di Kansas City per reclamizzare lo spettacolo serale.
Proprio quella sera, Count andò nel locale dove suonava la band di Page, sedette al pianoforte e diede vita ad una memorabile jam session. Era il suo esordio sul palcoscenico di Kansas City, la città che fece in sostanza la sua fortuna, iniziando però con un evento del tutto rovinoso. Il carrozzone del musical Gonzel White dichiarò fallimento. I musicisti ed i cantanti furono licenziati e Count Basie si trovò improvvisamente senza lavoro e senza un cent. Seguendo l'ispirazione, girò qualche locale in cerca di un ingaggio, che trovò quasi subito in un cinema. Doveva semplicemente sedere al pianoforte e commentare le immagini dei films muti che venivano proiettati sullo schermo.

Il resto della storia alla prossima puntata.


note:
(1) Paul Oliver - La grande storia del blues - Anthropos
(2) Luciano Federighi - Blues On My Mind - L'Epos
(3) Gian Carlo Roncaglia - Una storia del jazz (vol 2°) - Marsilio editori
(4) Gunther Schuller - Il Jazz/l'era dello swing/ Le grandi orchestre nere - EDT

Menu

bullet What's New!

indice

bullet vintage