blues, soul, jazz, doo woop & dadaumpa


Il Jazz dei settanta
i vecchi leoni ruggiscono ancora
di Guido Marenco

Luglio del 1975, una sera alla Philarmonic Hall di New York. Piatto ricco, mi ci ficco. Vanno in scena gli Oregon, successo travolgente. Segue Keith Jarrett, standing ovation. Tocca a Thelonious Monk. C'è apprensione tra gli organizzatori: arriverà in orario? Arriverà?
Piatto troooppooo ricco. Non si deve mai osare così. Eppure era l'unico modo per far vedere Monk a tanta gente nuova.
Racconta Laurent de Wilde: "Tootie (il figlio di Monk, nda) dice che, nel corso di tutti quei preliminari temeva di essere spettatore impotente del sacrificio di suo padre, immolato sull'altare della giovinezza e della novità. In che modo un vecchio artista in disarmo può conquistare un pubblico così evidentemente moderno? [...]
Poi si alza il sipario... i cuori si stringono... e in poche battute Monk cancella la musica che lo ha preceduto. Spazzati via gli Oregon, Jarrett, i microfoni, il pubblico, il tempo che passa, il frastuono, la solitudine, l'oblio. Volate via le novità, il modernismo, il bel pianoforte, le nuove dimensioni. Qui, parla la verità. I mean You, Ba-lue Bolivar ba-lues-are, We see, Misterioso, Round Midnight... Il pubblico non si sbaglia, e gli offre un'immensa, inestinguibile ovazione." (1)

Vi sembra esagerato metterla così?
Tranquilli, avete ragione.
Eppure, sotto un certo punto di vista, è plausibile raccontarla in questa maniera. La palpabile differenza di classe tra Monk e gli altri è evidente. Se Jarrett era un campione, Monk veniva da un altro mondo, fuori del tempo, persino fuori della musica che voi umani avete sentito finora.
Non poteva non essere un successone. Era Monk la vera novità, altro che Oregon!

E si capisce perchè solo riascoltando Monk e, per la precisione, i dischi che ancora fece nei settanta. Raccomandato Something In Blues And The Man I Love, stampato dalla Black Lyon. Morirà nel 1982, estinguendosi. Il meglio di sé l'aveva dato in precedenza. Ma, non è superfluo risentire la sua musica nella versione settanta, alla vigilia dell'ultimo saluto.
Ancora l'esagerato de Wilde ci spiega perchè. "In tre ore registra tredici brani da solo, e nelle tre ore seguenti nove brani in trio. In sei ore di studio, l'equivalente di tre cd. Questo è lavorare. All'antica. lasciate girare i nastri, io mi occupo del resto. Blakey ritrova istantaneamente la sua intesa con il pianista, e se su alcune esecuzioni sbuccia un dettaglio di un tema di Thelonious (non registrano insieme dal '58), dà prova in questa occasione di avere questo dono raro di potersi sbagliare suonando comunque giusto. Mc Kibbon (il bassista, nda) segue passo passo con una baldanza talvolta cieca (alcune versioni in solo sono effetti delle prove per il contrabbassista; quando si ascolta Crepuscole with Nellie si sente molto lontano, in sottofondo, Mc Kibbon che cerca di afferrare a orecchio le note di basso), ma che importa, Monk è ai comandi. Non appena ci si prenda la briga di fargli suonare la sua musica come la sente, consegna il proprio messaggio con una chiarezza e una convinzione inalterabili. Ricevuto chiaro e forte. [...] a cinquantaquattro anni continua a estrarre suoni nuovi da questa tastiera che ha tanto duramente lavorato...un pianoforte? cos'è? come funziona? è carico, che ne dite? se premo qua, cosa fa? Ed estrae da questo grosso mobile accordi spessi e profondi, da cui si innalzano come da se stesse melodie esitanti ma robuste. Venti volte si crede che stia per sbilanciarsi verso una delle sue numerose composizioni, venti volte ci pare di riconoscere una concatenazione di accordi che richiamano un'aria nota, ma no, continua a solleticare la musica sempre più lontano, più a lato." (idem)

Un assolo di sax è spesso niente più che una canzone senza parole, e non è raro che riesca a dire persino di più e meglio, toccando tutti i registri della sensibilità umana e condensandoli in un fraseggio essenziale. E' arte simbolica, anche quando sembra molto diretta.
Maestri di queste cose erano stati in passato Lester Young e Charlie Parker, Sonny Rollins ed, ovviamente, John Coltrane.
Negli anni '70 solo Rollins era ancora vivo e vegeto, come tuttora del resto.
Next Album
del '72 segnava la fine di un periodo di ritiro durato sei anni. Grande musica con The Everywhere Calypso e Skylark. Ma non rappresentava l'inizio di un nuovo cammino, se non per il fatto, più che altro tecnico, di un approccio al sax soprano in Poinciana. Anni di ripensamento i sessanta, anni di ulteriore ripensamento anche i settanta. Ma tra un ritiro e l'altro escono dei dischi, e Rollins non lesina apparizioni in pubblico, cambiando spesso partners. I live di questo periodo sono leggendari e non è escluso, lo spero, che saltino presto fuori tracce preziose, riedizioni extended ed inediti di studio. Comunque sia una boccata d'aria fresca e unplugged in mezzo ai troppi suoni elettrici. Bisognerà però aspettare il 1985 per avere il Solo Album, la prova che l'uomo che suonava il sax in solitudine sul ponte era un genio.
Sulla scia di Rollins, e secondo molti sullo stesso piano qualitativo, c'era Dexter Gordon.
Io ho consigliato vivamente le incisioni realizzate per la Steeplechase nel biennio 1974-1976, quasi tutte in Danimarca, ed in piccola parte a New York. Gordon era un poeta sottile e finissimo, di straordinaria sensibilità. Pur non facendo una musica particolarmente innovativa, riuscì sempre ad affascinare migliaia di appassionati. Nel 1977, dopo anni di ininterrotto dominio da parte di Rollins, la critica di Down Beat lo scelse come miglior sassofono tenore. Il risultato si ripetè negli anni successivi, fino al 1980, quando tornò a vincere Rollins.
Volendo proseguire l'esame dei sassofonisti neri, non la finiremmo più! Ma, prima di chiudere un paio di nomi almeno dobbiamo farli: Sonny Stitt per Constellation vinse il referendum di Down Beat nel 1973 nella sezione dei migliori album. Riconoscimento importante per un musicista che aveva dato molto sia coi Messangers di Art Blakey che con proprie formazioni.
Altro must le incisioni di Joe Henderson e quelle di Pepper Adams. In particolare, di quest'ultimo, pare raccomandabile il live Julian del '75, ovviamente dedicato a Julian Cannonball Adderley. Purtroppo non l'ho mai sentito!

Personalmente sono rimasto impressionato dalle suites di Duke Ellington, uno dei più grandi musicisti del secolo e non solo rispetto al jazz, che ancora a tarda età seppe produrre indiscussi capolavori quali la New Orleans Suite (nel 1971 fu il miglior disco dell'anno secondo i critici intervistati da Down Beat) e la Liberian Suite: A Tone Parallel to Harlem, del 1973.
I vecchi leoni sapevano ancora ruggire, ma anche quelli della generazione posteriore non erano da meno.
Charles Mingus, colpito da una grave crisi psicologica e fisica, oltre che da traversie economiche che lo costrinsero a riparare in California per sfuggire alla morsa dei debiti, riuscì comunque a riemergere e fece del suo meglio con Changes One e Changes Two, poi con la stupenda Cumbia Jazz Fusion, che conteneva la musica composta per il film Todo Modo (ma non venne utilizzata come colonna sonora). Trattasi di capolavori, credetemi, anche se furono gli ultimi.
Purtroppo, gli anni '70 lo videro in seguito ammalarsi gravemente, costretto su una sedia a rotelle, ed infine morire il 5 gennaio del 1979. Come spesso accade, tutta la sua grandezza fu riconosciuta pienamente solo a morte avvenuta.

Ma al di là di questi autentici masterpieces, fare l'elenco dei prodotti di classe realizzati dai musicisti delle generazioni precedenti richiederebbe un tempo...infinito.
Count Basie, ad esempio, colpì ancora nel segno con Basie And Zoot, dove per Zoot si intende Zoot Sims, splendido sassofonista bianco dal glorioso passato.
Il pianista Bill Evans realizzò ancora grandi dischi, in particolare Cross-Currents del 1977, con Warne Marsh e Lee Konitz, fantastici soffiatori che avevano suonato ( e studiato) con Lennie Tristano.
Ma sono da discoteca anche il Tokio Concert del 1973 a Alone Again del 1975.
Anche Dave Brubeck e Paul Desmond fecero sentire il peso della loro classe con Duets, del 1975.
Jimmy Giuffre, scarsamente attivo in quegli anni, si mise nuovamente in luce con IAI Festival, un disco di duetti con Lee Konitz, il chitarrista Bill Connors ed il pianista Paul Bley.
Anche Phil Woods, interessante sassofonista bianco, realizzò con Music Du Bois, del 1974, un disco raccomandato dai critici.
Non si dovrebbero inoltre trascurare personaggi quali Gerry Mulligan e Chet Baker, insieme ad altri meno noti protagonisti del cool e del cosiddetto jazz della West Coast.
La loro reunion del 74 documentata da un live rimane un pezzo basilare per ogni discoteca. Erano della partita il bassista Ron Carter, il chitarrista John Scofield (all'esordio discografico), Bob James al piano e al piano elettrico, il trombonista Ed Byrne, oltre al batterista Harvey Mason Sr ed al percussionista vibrafonista Dave Samuels.
Di Chet Baker in particolare giudico imperdibili You Can't Go Home Again/ Te Best Things For You del 1977 insieme a Once Upon A Summertime ed alla recentissima scoperta (recensita dal sottoscritto) Oh You Crazy Moon, registrato però nel '78.

Il trombonista Bob Brookmayer merita almeno una citazione per Back Again, un disco ristampato in cd dalla Sonet e poi dalla Gazell, realizzato nel '78 con importanti sidemen quali Thad Jones, il pianista Jimmy Rowles, il bassista George Mraz e il drummer Mel Lewis.
Altro personaggio da ricordare il sassofonista tenore Teddy Edwards, in gioventù paragonato a Wardell Gray e Dexter Gordon, per due dischi molto interessanti, Feelin's del 1974, con Conte Candoli alla tromba, e Ray Brown al contrabbasso, e Inimitable del '76, con il pianista Duke Jordan.

Leoni ancora più vecchi, protagonisti dell'era dixie come il trombonista Vic Dickinson, i trombettisti Yank Lawson e Billy Butterfield, il sassofonista Bud Freeman, sembrarono conoscere una seconda giovinezza formando la World's Greatest Jazz Band. Il disco da avere è What's New dell'Atlantic, ma c'è anche un Live, ristampato in cd, descritto come assolutamente delizioso.

Parlando di grosse formazioni, sembra giusto cominciare con Gil Evans, il capo orchestra canadese co-responsabile di Miles Ahead, uno dei più bei dischi di sempre, ma che risaliva al 1957. Il suo lavoro sulle musiche di Jimi Hendrix è imperdibile, ma occhio a tutto il resto, a partire da There Comes a Time del 1975 ed al Live in Tokio di poco posteriore.
In tema di big band va ricordata quella del trombettista Thad Jones e del batterista Mel Lewis. Nel '77 i due daranno anche vita ad un lavoro in quartetto: Thad Jones and the Mel Lewis Quartet,di assoluta qualità.
Eccellenti anche gli album di Toshiko Akiyoshi, nata in Cina nel 1929, ma di chiara origine giapponese, maritata al sassofonista Charlie Mariano. Pianista, leader, arrangiatore, attiva fin dagli anni '50 e '60, fu però nei settanta che raggiunse la piena maturità realizzando ottime cose in sodalizio con Lew Tabackin, un sassofonista bianco. Buoni anche i dischi realizzati con piccole formazioni.

Sia Woody Herman che Benny Goodman erano ancora attivi. Il primo, che molti indicano come uno dei migliori band leader di sempre (insieme ad un top costituito da Lunceford, Ellington e Basie), riuscirà ancora a convincere con due album almeno: Raven Speaks del 72 ed Early Autumn per la RCA del 76. Quest'ultimo fu realizzato con il concorso di alcuni grandi sassofonisti, tra cui Jimmy Giuffre, Stan Getz e Joe Lovano.
Quanto a Goodman, non può mancare in ogni collezione il Live At Carnagie Hall: 40th Anniversary Concert. L'orchestra di Benny è irrobustita da partecipazioni del tutto speciali: Lionel Hampton, Mary Lou Williams, la vocalist anni '30 Martha Tilton, i trombettisti Varren Vache e Jack Sheldon, il batterista Connie Kay, il sax tenore Buddy Tate. Goodman non aveva timore di affrontare anche un repertorio moderno e pop. Un pezzo di Stephen Sondheim, Send In The Clowns, e ben due brani di Lennon-McCartney (Yesterday e Rocky Raccoon) sono a testimoniarlo.

Tra gli intepreti vocali bisogna fare subito un nome: Ella Fitzgerald.
Cercare Fine and Mellow del 1974. Qui Ella fu accompagnata da Tommy Flanagan, Ray Brown, Louie Bellson, Clark Terry, Zoot Sims, Lockjaw Davis e Harry "Sweets" Edison.
Che dire poi di Nina Simone, Sarah Vaughan, Helen Merrill e compagnia bella? Non basterebbero altre dieci pagine per parlare delle grandi vocalists. E' il tipo di musica che maggiormente mi attrae, il mio punto debole. Toglietemi tutto ma lasciatemi Sarah Vaughan!!!
Consigliatissimi tutti i dischi, tutti, nessuno escluso.


Note:
(1) Laurent de Wilde - Thelonious Monk himself - Minimum Fax



Guido Marenco - 2 novembre 2003







Mystery Train -
guernica@playful.com -3 novembre 2003




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