Chet Baker

Oh You Crazy Moon - Enja

 

Raschiando il fondo del barile si è aperto un altro barile, sicchè il flusso delle registrazioni effettuate da Chet Baker sembra infinito. Ma ciò non è un male, soprattutto quando la qualità è di questo livello.

Il cd raccoglie il meglio di un concerto realizzato a Ludwisburg nel 1978. Chet era accompagnato da un trio composto dall'eccellente Phil Markowitz al pianoforte, Scott Lee al contrabbasso e Jeff Brillinger alla batteria.
Esordio mozzafiato con The Touch Of Your Lips, una ballad standard composta da Ray Noble nel 1936 e portata al successo dal vocalist della sua orchestra, Al Bowley.
Non ci sono aggettivi in grado di raccontare l'emozione che ho provato al primo ascolto. Ero in macchina ed andavo ad una grigliata nel patio losangeleno del reverendo Blind Slim Fast. Mi sono venute le lacrime agli occhi come spelando cipolle. E via proseguendo...

Bellissima, deliziosa, perfino più gradevole di come l'aveva concepita Wayne Shorter, che ne è l'autore, ecco Beatiful Black Eyes, un brano bossa nova aromotizzato Bahia dall'andamento pigro e dinoccolato, dove la tromba di Chet cazzeggia, cazzeggia, cazzeggia. 14 minuti e 30'' di puro piacere che mette alegria.

Oh you Crazy Moon, altro classico, di Jimmy Van Heusen e Johnny Burke: ha fatto danzare cheek to cheek milioni americani e non solo. Chet canta, come solo lui sapeva fare, due righe appena sopra il bisbiglio, con dizione impeccabile ed un senso del ritmo strepitoso. E quando comincia a suonare, ecco, io vado in afasia, perchè alla fine, non rimangono che due aggettivi ancora significanti da digitare sulla tastiera: unico ed irripetibile.
Nota di merito al pianista, trascinato al meglio di un lirismo umido come rugiada da Chet.

Love For sale, del grande Cole Porter. Il nostro re Mida trasformava in oro tutto quel che toccava, ma questa volta, era forse meglio lasciar stare.
Interpretazione luccicante e talentuosa, niente da eccepire ma, la lettura che ne danno i nostri non rende, a mio avviso, lo spirito dell'originale.
E' un'altra cosa.
Il che non significa che sia brutta. Il jazz è questo: stravolgimento e licenza di evadere, la musica più licenziosa che esista.
Però Cole Porter è un autore difficile da rendere se non sei sulla sua stessa lunghezza d'onda. Bravissimo il pianista Markowitz, il più porteriano del gruppo.

Nessuna riserva, al contrario, su Once Upon A Summertime, un affresco di Michel Legrand che fa tanto Bill Evans.
Magico Chet, riuscitissimo l'interplay, da elogiare, ancora, questo Markowitz che tratta il piano come Ben Webster trattava il sax: poche note, ma sempre quelle "maledettamente giuste".

Ed infine, bisogna essere d'acciaio per non provare un rimescolamento inguinale a partire dal muladhara chakra, che sale, sale, sale, fino alla pineale (che per Cartesio era la sede dell'anima). My Funny Valentine, classico di Rodgers e Hart, è una delle mie preferite, e questo, forse, spiega lo sconvolgimento neuronale. Ma, credo, che anche chi non conosce questo pezzo, potrebbe reagire allo stesso modo.

Cinque stelle, o trenta e lode, al dott. Baker, the balladeur?


gm - 26 aprile 2003 - 'round midnight

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