In basso: iscrizione in memoria della
fondazione di Pacilio Surdo.
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San Salvatore de Drapparia
La chiesa che vediamo accanto
all’arco detto di Arechi, in fondo alla via dei Mercanti, è un ampliamento,
realizzato nella prima metà degli anni ottanta del Cinquecento, del piccolo
luogo di culto edificato in onore del Santissimo Salvatore da Pacilio Surdo ed eretto canonicamente il 24 maggio 1423.
Fra il 1515 e il 1535 vi si trasferisce la confraternita dei mastri
sartori, già eretta nella chiesa di San Giovanni a Mare e poi trasferita
in quella del convento di San Francesco di Paola. Nel 1725 il suo sito è
indicato vicino al sopportico della dogana de grani.
Nel giugno 1990, durante scavi
condotti nella chiesa nel quadro di ricerche tese al recupero dei resti del
palazzo di Arechi, viene rinvenuto un gruzzolo di monete composto da 51
follari di rame, 6 denari d’argento e 7 tarì d’oro. La stratificazione delle
strutture murarie rivela una fase romana, che completa in parte le
informazioni sulle terme del I-II secolo già note; possenti mura in
laterizio di recupero, assegnabili alla costruzione arechiana, in parte
utilizzate come fondazioni della chiesa stessa; tracce di un balneum
posteriore alla fase longobarda; un battuto pavimentale riconducibile
all’età angioina; tracce che lasciano intuire la presenza di botteghe
artigiane nella fase immediatamente precedente la costruzione dell’oratorio
di Pacilio Surdo, circostanza quest’ultima confermata da documenti
d’archivio che trattano di botteghe cedute da Marco Antonio Serluca e da
Ludovico Coduto per la realizzazione dell’accennato ampliamento della prima
metà degli anni ottanta del Cinquecento.
Nella prima edizione di
Salerno Sacra, e in tanti altri autori che da quella pubblicazione
attinsero a piene mani senza alcuna analisi critica delle fonti, questa
chiesa è confusa con San Salvatore de Dogana, detta anche de Fundaco.
L’equivoco nasce dal fatto che un documento del marzo 1268 cita la chiesa di
San Salvatore de Fundaco come posta vicino ad archi, il che fece pensare
all’arco di Arechi, vicino al quale, come abbiamo visto, San Salvatore de
Drapparia è sita; ma quel documento riporta anche un altro elemento che
nessuno fra gli autori che sostiene l’identificazione fra i due luoghi di
culto sembra aver colto: San Salvatore de Fundaco è detta in Giudaica, ossia
nell’area adiacente all’asse viario costituito attualmente dalla via
Giudaica, dalla piazza Sant’Agostino, dal largo Dogana Regia e dalla via
Masuccio Salernitano. Il 29 maggio 1269 il principe Carlo scrive al suo
vicario in Principato per significargli, che, essendo vacante la chiesa di
San Salvatore in Fundico, di cui a lui spetta la nomina del cappellano, egli
la conferisce al chierico Riccardo Scillato, figlio di Tommaso. Nella
relazione della visita pastorale del 1515 è detta oratorium sancti
Salvatoris de dohana, con la precisazione che è maxime vetustum,
di patronato del principe di Salerno. Nel 1567 è detta santo Salvatore
della doana vecchia e si ordina al beneficiato Giulio Villano di
ripararla che gia sta in atto de andare tutta a ruina et da vicini ne è
stata fatta istanza che se ripari, per il pericolo che vi è di cascare et
cascando rovinare gli edifici contigui. Il 15 gennaio 1616, in corso di
visita pastorale, si ordina di non celebrarvi e di ridurla ad uso profano.
Nel 1618 si conferma l’avvenuta sconsacrazione. Il 24 gennaio 1626 per
l’ultima volta si accede al sito della Cappella di San Salvatore de
Dogana, nel territorio parrocchiale dei Santi Dodici Apostoli, semplice
beneficio di patronato Regio.
Ritornando alla nostra San
Salvatore de Drapperia, attualmente essa presenta un aspetto barocco
caratterizzato dal portale sormontato da tre puttini in altorilievo.
L’intera facciata e suddivisa in due ordini: il primo presenta due lesene
con capitelli corinzi che sostengono un timpano spezzato racchiudente un
finestrone con stucchi a cartiglio e grata; il secondo presenta un timpano
curvilineo con oculo centrale e cornice aggettante; concludono il tutto due
pinnacoli e un fastigio reggicroce. L’interno presenta una pianta ottagonale
chiusa da un’ampia cupola con lanterna. Per consentire la campagna di scavi
archeologici cui sopra si accennava, furono rimossi l’altare settecentesco
con la tela raffigurante la Vergine in trono con santi, opera della
scuola dei Solimena, e altre dell’Ottocento napoletano raffiguranti
rispettivamente la Vergine Assunta con san Giuseppe e san Nicola vescovo
e Il Crocifisso adorato da sant’Omobono, protettore dei mercanti di
stoffe e dei sarti, che nella Drapperia svolgevano le loro attività.
Per
saperne di più.
G. Crisci, Salerno Sacra,
2a edizione postuma a cura di V. de
Simone, G. Rescigno, F.
Manzione, D. De Mattia,
edizioni Gutenberg 2001. Su San Salvatore de Drapparia: I, pp. 103-105. Su
San Salvatore de Dogana: I, pp. 73-74. |