il sito di storia salernitana

a cura di Vincenzo de Simone

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San Michele Arcangelo

 

La chiesa che vediamo attualmente fa parte della ricostruzione, avvenuta agli inizi del Seicento, dell’antico monastero di San Michele e Santo Stefano, del quale la prima notizia giunta fino a noi risale al marzo 1039, essendone badessa Sichelgaita.

Nella storiografia salernitana, essa è tradizionalmente confusa, per un equivoco in cui incorse lo studioso Michele de Angelis nell’ormai lontano 1924, con una chiesa omonima, San Michele o Sant’Angelo poi detta de Puteo, fondata prima del maggio 991 dal conte Guido e dalla moglie Aloara con l’apporto di Guaiferio, fratello di Guido, a meridione dell’attuale via dei Mercanti, nei pressi dell’odierna chiesa del Santissimo Crocifisso. Questo equivoco, poiché la chiesa di Guido e Aloara risulta dalla documentazione giunta fino a noi sita nei pressi della porta comunemente detta Elina, più correttamente di Elino, portò Michele de Angelis ad immaginare tale porta posta lungo l’attuale via San Benedetto, mentre studi recenti ne hanno individuato il sito poco prima dello sbocco della via dei Mercanti sulla piazza Sedile di Portanova.

Il monastero di San Michele e Santo Stefano, per alcuni aspetti non secondari della vita che si svolgeva fra le sue mura, fu sottoposto al controllo degli abati della cappella di San Pietro a Corte, che esercitavano i diritti di conferma dell’elezione della badessa, di ricezione dei voti delle monache, di correzione delle religiose erranti, di controllo sulle inservienti e sul cappellano, di concessione delle licenze per l’ingresso di estranei nella clausura. A sua volta, il monastero deteneva il diritto di patronato sulla chiesa parrocchiale di San Michele di Serino derivante dal fatto che nel 1275, per donazione dell’ultimo erede di Giovanni da Serpico, aveva acquisito la proprietà feudale di quel casale, con tutti i diritti propri dei feudatari, compreso quelli della nomina del parroco locale, della ricezione dell’obbedienza dagli abitanti del feudo, del titolo di baronessa a favore della badessa pro tempore.

Per effetto della riforma dei monasteri cittadini di Sisto V del 10 giugno 1589 le monache del San Michele e quelle del Santa Sofia, benedettine, vennero unite alle consorelle del San Giorgio. Secondo il progetto della Santa Sede, il nostro monastero doveva rimanere disabitato; in realtà, per motivi che ci sfuggono, già il 4 novembre 1589 lo troviamo occupato dalle altre benedettine del Santa Maria Monialium. Quanto tempo queste vi si trattenessero è difficile dire, non essendo giunti fino a noi documenti che ci permettano di conoscerlo. Certo è che il 15 gennaio 1619 una comunicazione della Santa Sede inviata all’arcivescovo Lucio Sanseverino dispone la creazione di una nuova comunità monastica nel San Michele, che viene definito nuovamente fabbricato. Il 20 aprile successivo l’arcivescovo stabilisce che la nuova comunità appartenga all’ordine francescano di Santa Chiara.

Il monastero è soppresso nel 1866. I locali sono adibiti ad ufficio provinciale di leva; la chiesa è affidata al clero secolare; alle clarisse è lasciata la disponibilità di alcune stanze, fino alla morte dell’ultima di esse.

 

La chiesa, preceduta dall’atrio quadrangolare dalla severa facciata seicentesca, presenta un interno barocco di elegante fattura, ad unica navata con volta a botte unghiata e quattro cappelle; essa conserva numerosi dipinti settecenteschi, alcuni dei quali della scuola di Angelo Solimena. Notevole, nella prima cappella di destra, l’opera di Giovanni Battista Rossi San Francesco che detta la regola alle clarisse, del 1766; lo sormonta una raffigurazione di san Lorenzo.

Sulla controfacciata del portale d’ingresso vi è il coro chiuso da una grata lignea che consentiva alle clarisse di assistere, non viste, alle celebrazioni. Sul fondo della navata si staglia il bell’altare settecentesco, il cui paliotto reca lo stemma francescano: una croce fra due braccia incrociate, impreziosito da marmi policromi e rilievi scultorei; lo sovrasta la grande tela raffigurante La Pentecoste inserita in una ricca cornice barocca dai profili dorati. Il dipinto, datato 1748, è opera di Michele Ricciardi (1672-1753) molto attivo nel salernitano nella prima metà del ‘700. Alla destra, sopravvive il comunichino attraverso il quale le clarisse ricevevano l'Eucarestia.

 

Per saperne di più. G. Crisci, Salerno Sacra, 2a edizione postuma a cura di V. de Simone, G. Rescigno, F. Manzione, D. De Mattia, edizioni Gutenberg 2001. Su San Michele Arcangelo: III, pp. 48-52. Su Sant’Angelo de Puteo: III, pp. 37-39.

Inoltre. Sul sito della porta di Elino: V. de Simone, L’identificazione della via che conduceva alla porta di Elino, in «Rassegna Storica Salernitana», 17, 1992, pp. 257-266; V. de Simone, Il sito del castello di Terracena, in «Rassegna Storica Salernitana», 32, 1999, pp. 9-21.

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