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a cura di Vincenzo de Simone

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la Cattedrale

 

La Cattedrale attuale fu edificata da Roberto il Guiscardo sull’area della chiesa di San Matteo de Archiepiscopio, demolendo la quale fu rinvenuta la tomba dell’Apostolo, e su quelle di immobili allo scopo donate dalle famiglie de Ruggiero e Santomango.

La precedente chiesa vescovile sotto il titolo di Santa Maria, certamente già esistente, compare per la prima volta nel Chronicon Salernitanum in relazione alla morte di Arechi II (787) che, avendo trasferito la residenza principesca da Benevento a Salerno, in essa fu sepolto. La storiografia salernitana, tradizionalmente, ha ubicato questa antica Cattedrale sullo stesso sito ove sarà edificata quella normanna, ma studi recenti hanno portato ad individuarla nella parte orientale dell’area attualmente occupata dal palazzo arcivescovile. La stessa storiografia ha ritenuto che per l’edificazione guiscardiana fosse demolita anche un’altra chiesa, quella San Giovanni Battista che secondo il Chronicon Salernitanum sarebbe stata edificata accanto all’antica Cattedrale dal vescovo Pietro, cognato del principe Grimoaldo regnante dal 787 all’806. Non esistendo altra notizia di questa San Giovanni Battista, rimane problematico attribuire un valore all’espressione accanto, per cui si può anche ritenere che effettivamente essa fosse all’estremità orientale dell’area poi della Cattedrale normanna e anche si può ipotizzare che, con il trasferimento del corpo dell’Apostolo in città (954) assumesse il titolo di San Matteo e l’appellativo de Archiepiscopio essendo, all’epoca, per quanto è dato conoscere, la sola chiesa, oltre la Cattedrale, di pertinenza dei vescovi pro tempore.

Una tesi ampiamente ripetuta vuole che l'arcivescovo Alfano avrebbe suggerito di conformare la costruzione alla chiesa di Montecassino, ma i costruttori avevano in mente un ben più alto esempio, ben radicato nella memoria collettiva pur se già andato perduto: la basilica costantiniana del Santo Sepolcro a Gerusalemme (si veda alla pagina collegata a questa scheda). Ancora secondo la tradizione, la cripta già sarebbe stata pronta ad accogliere le reliquie dell’Apostolo nel 1081 e la Cattedrale sarebbe stata consacrata da Gregorio VII nel 1084 o nei primi mesi del 1085. In realtà, relativamente a questa fase è giunto fino a noi un solo documento, ossia la lettera del 18 settembre 1080 con la quale Gregorio VII, reso edotto dall’arcivescovo Alfano del rinvenimento delle reliquie dell’Apostolo demolendo la chiesa di San Matteo de Archiepiscopio, si congratula per l’evento ed esprime la propria soddisfazione per l’iniziativa del Guiscardo di dotare la città di una nuova chiesa vescovile. Alla consacrazione, si accedeva alla Cattedrale attraverso un atrio informe, poiché di questi esisteva soltanto il colonnato e il loggiato sulla facciata; gli altri lati del quadriportico e il campanile saranno aggiunti entro la metà del XII secolo.

Dopo tre secoli e mezzo dalla costruzione, la fondazione guiscardiana desta serie apprensioni per le condizioni statiche delle strutture murarie. Il primo a darcene notizia è Gaspare Mosca, il quale si esprime in termini generici ma sufficienti a farci conoscere le apprensioni dell’arcivescovo Orsini (1440-1449). Coevo di Mosca, l’architetto Fabio Bruno, nel novembre 1589, dopo gli interventi promossi dagli arcivescovi Piscicelli, de Rocha, de Torres, Seripando, Marsilio Colonna, redige una relazione sulle allarmanti condizioni della Cattedrale suggerendo la costruzione di altre strutture di sostegno simili a quelle già esistenti; ma i lavori, nonostante l’interessamento di Filippo II, stentano ad avviarsi. Sarà l’avvento dell’arcivescovo Bolognini (1591-1605) a sbloccare la situazione: oltre i già previsti lavori per la messa in sicurezza della basilica superiore, si interviene sull’archiepiscopio e sulla cripta.

Il terremoto del 5 giugno 1688 ripropone drammaticamente il problema della stabilità della Cattedrale. Il 20 maggio 1689 la Regia Camera della Sommaria impartisce al preside della Regia Udienza di Salerno l’ordine di far valutare i danni da tecnici esperti; ma soltanto il 10 marzo 1691 l’architetto Arcangelo Guglielmelli presenta una breve relazione cui segue un progetto di attuazione degli interventi necessari. Il 28 aprile i lavori risultano avviati; termineranno negli ultimi mesi del 1696. In una relazione dell’8 febbraio 1697 indirizzata alla Regia Camera della Sommaria l’architetto elenca dettagliatamente le ricostruzioni eseguite chiedendo il saldo delle proprie competenze.

Toccherà all’arcivescovo Bonaventura Poerio (1697-1722) rendersi conto dell’inadeguatezza di quanto eseguito. Contatta dei capimastri di Cava; questi, il 7 febbraio 1698, presentano un progetto che si rivelerà fallimentare, per cui i lavori, anche per mancanza di fondi, risultano sospesi nel 1704. Finalmente la secolare questione giunge nelle mani dell’architetto romano Carlo Buratti. Poerio si trova davanti all’alternativa di ricostruire la Cattedrale dalle fondamenta, distruggendo quanto rimane dell’impianto guiscardiano, o rimaneggiare al meglio l’esistente: sceglie la seconda soluzione. Agli inizi del 1705 i lavori risultano avviati. L’arcivescovo non avrà la soddisfazione di vederli ultimati; morirà il 18 novembre 1722. Il 29 marzo precedente risultavano completate anche negli stucchi le navate laterali, ancora mancante del tetto e degli intonaci quella centrale. Toccherà a monsignor de Vilana Perlas (1723-1729) portare a termine l’opera. Il 17 aprile 1726 si soddisfa l’ultima quota di trecentocinquanta ducati dovuta al mastro napoletano Antonio Martinetti, stuccatore, secondo il contratto stipulato tramite l’architetto Ferdinando Sanfelice. Seguiranno interventi minori, ma il più è fatto.

Oggi l’accesso principale all’atrio, delimitato dal quadriportico formato da colonne di spoglio, avviene tramite le rampe di scale che l’arcivescovo Carafa (1664-1675) fece sostituire all’originaria scalea semicircolare e attraverso la porta dei Leoni, che trae il nome dal portale arricchito dalle sculture di un leone e di una leonessa che allatta il cucciolo.

L’ingresso centrale della Cattedrale è costituito dalla porta di bronzo prodotta a Costantinopoli e offerta dai coniugi Landolfo Butromile e Gisana Sebaston. L’impianto dell’interno conserva la forma basilicale a tre navate con il transetto rialzato, proprio della fondazione guiscardiana, ancorché rivestita del barocco di inizio Settecento fondamentalmente dell’architetto Carlo Buratti, anche se non dovettero mancare interventi del Sanfelice e di altri: recenti restauri hanno messo in luce, al di sotto di esso, i resti della decorazione a mosaico e dell’architettura originaria nel transetto, gli affreschi delle navate di destra e di sinistra, le colonne inglobate nei possenti pilastri.
Le cappelle laterali, sei per ciascuna navata, presentano quadri settecenteschi di buona fattura, fra i quali il San Gennaro di Solimena e La Pentecoste di Francesco de Mura.

Nella navata centrale, sulla sinistra, è collocato l’ambone donato dall’arcivescovo Romualdo II Guarna (1153-1181). In esso è straordinaria la fusione tra mosaico e scultura. La stessa preziosità scultorea e musiva è presente nel coevo ambone d’Ajello, nel cereo Pasquale e nel muro di recinzione del coro, opere che, per l’altissima rilevanza degli esiti formali conseguiti, possono essere considerate un unicum nel panorama artistico dell’epoca. Di eguale pregio artistico è il pavimento del coro e del transetto, dono dell’arcivescovo Romualdo I (1121-1137), in cui marmi e tessere multicolori giocano all’infinito nella variazione del motivo bizantino della circonferenza intorno a cui si intrecciano meandri a motivi geometrici complessi. Alla base del catino absidale, la cui decorazione musiva è stata realizzata ex-novo nel 1954, si staglia la cattedra detta di Gregorio VII, ritrovata durante i restauri del 1932.

L’abside di destra conserva la decorazione a mosaico raffigurante L’Arcangelo Michele e San Matteo benedicente fra i Santi Fortunato, Giovanni, Giacomo e Lorenzo fatto eseguire, tra il 1258 e il 1266, da Giovanni da Procida. Nel sarcofago sono racchiusi i resti di papa Gregorio VII, morto a Salerno nel 1085.
Anche databili al XIII secolo sono i mosaici raffiguranti Il Battesimo di Cristo dell’abside di sinistra, successivamente integrati ad affresco. Nella navata corrispondente è collocato il sepolcro quattrocentesco, opera di Baboccio da Piperno, della regina Margherita di Durazzo.

Dal transetto si accede alla sagrestia dove si apre la Cappella del tesoro, riccamente affrescata da Filippo Pennino alla metà del Settecento. Vi sono conservati preziosi arredi sacri che vanno dal XIV al XIX secolo.

La cripta è costituita da un’aula in tre navate trasversali al transetto della Cattedrale, sotto il quale si estende, dalla cappella delle Reliquie, semicircolare, che si configura come abside della navata centrale, e da tre altre cappelle di forma analoga che si aprono lungo la parete orientale, in corrispondenza delle absidi della chiesa superiore; ciascuna navata è ripartita in nove campate con volte a crociera poggianti su colonne. Fra il 1600 e il 1616 fu completamente trasformata, secondo i canoni barocchi dell’epoca, da Domenico Fontana; egli racchiuse in pilastri le colonne originarie, concepì la volta in riquadri ottagonali alternati ad altri circolari delimitati da stucchi e dipinti ad affresco, costruì il doppio altare centrale di San Matteo con la statua bifronte in bronzo. Il Fontana si avvale della collaborazione di Belisario Corenzio e della sua bottega (1606-1608) per i dipinti, raffiguranti storie della vita di Cristo tratte dal Vangelo di san Matteo, e del Naccherino per la statua dell’Apostolo (1606). Nel 1763 la cripta è ricoperta da marmi policromi da Francesco Ragozzino che si integrano e rispettano pienamente il presupposto decorativo concepito dal Fontana; egli, probabilmente, realizza anche i busti dei vescovi, collocati in ovali lungo le pareti.

 

Per saperne di più. G. Crisci, Salerno Sacra, 2a edizione postuma a cura di V. de Simone, G. Rescigno, F. Manzione, D. De Mattia, edizioni Gutenberg 2001. Sulla Cattedrale normanna: I, pp. 29-51. Sulla Cattedrale antica: I, pp. 26-27. Su San Matteo de Archiepiscopio: I, pp. 28-29.

Inoltre. V. de Simone, L’ubicazione dell’antica Cattedrale dei vescovi salernitani, in «Rassegna Storica Salernitana», 15, 1991, pp. 179-184.

 

 

 

 

 

 

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la sacrestia.

 

 

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