ALTRE OPERE VERISTE

Rosso Malpelo

La superstizione popolare ritiene che chi ha i capelli rossi è cattivo.
Malpelo si chiamava così perchè aveva i capelli rossi , ed aveva i capelli rossi perchè era Malpelo.
Anche sua madre lo chiamava così ed aveva dimenticato il suo nome di battesimo. Lo vedeva solo la sera quando tornava dal lavoro con pochi soldi; e siccome era malpelo si poteva credere che ne avesse sottratti un pò, e per questo la sorella maggiore lo prendeva sempre a calci.
Tutti lo schivavano e lo prendevano a calci e pugni. Quando c'era ricreazione Malpelo andava a mangiare in un angolo il pane, come una bestia uguale a lui. Era sempre sporco ed era conosciutissimo tanto che dove lavorava veniva chiamata "la cava di Malpelo" e questo faceva innervosire il padrone. Il padre di Malpelo chiamato da tutti Misciu Bestia era morto in quella cava, e Malpelo perse così l'unica persona che gli volesse bene. Malpelo Bestia era morto per guadagnare qualche soldo in più. Era rimasto a lavorare anche quando i suoi compagni erano andati a casa, e la colonna che doveva abbattere gli cadde addosso. Aveva fatto la morte del sorcio. Malpelo si graffiava la faccia e con le unghie scavava e si distrussero e staccarono dalle dita, e gli venne anche la schiuma alla bocca. Quando vollero tirarlo fuori di là fu difficile perchè non avendo più le unghie per graffiare, mordeva come un cane, e dovettero tirarlo via con la forza.
Non mangiava più e il pane lo buttava al cane. Malpelo si sfogava coll'asino, sbilenco e macilento.
Dopo la morte del padre sembrava gli fosse entrato il diavolo in corpo e lavorava come una bestia. Sapendo che era malpelo nessuno lo confortò mai, ma lo continuarono a prendere a sberle ancor più spesso. Con tutti era una bestia inferocita: si comportava come tutti lo trattavano e avevano trattato il suo povero padre.
Malpelo era diventato amico di un ragazzino venuto da poco a lavorare nella cava, il quale si era rotto il femore e non poteva più fare il manovale. Lo chiamavano Ranocchio per il suo problema. Malpelo credeva che per vivere si doveva imparare a prendere calci e pugni, e per ciò abituava Ranocchio alle botte.
Malpelo diceva al suo amico che se accadeva di dare botte, di darne più che si può, così la paura degli avversari li può tenere a distanza.
Malpelo anche se lo picchiava spesso gli voleva veramente bene, tanto che sovente gli dava la sua mezza cipolla accontentandosi del pane, dicendo che era abituato a mangiare poco.
Quando davano la colpa di qualcosa a Malpelo e lo picchiavano, Ranocchio diceva al suo amico di discolparsi, ma Malpelo diceva che tanto lui era Rosso Malpelo e nessuno gli avrebbe creduto.
Anche la madre di Malpelo era disperata di avere lui come figlio. A Malpelo sarebbe piaciuto fare il manovale, il carrettiere, il contadino, ma il suo destino era di proseguire il lavoro di suo padre.
Il carrettiere disse che quando avrebbero finito i lavori si sarebbe trovato il cadavere del padre.
Un giorno venne ritrovata una carpa del padre.
Da quel di Malpelo aveva sempre paura di vedere il piede nudo del padre, e per questo andò a lavorare in un altro punto della galleria. 2 o 3 giorni dopo scopersero il cadavere del padre e per la prima volta M: indosò camicia e calzoni quasi nuovi.
In quei giorni era morto anche l'asino, di vecchiaia e di botte e lo avevano buttato lontano.
Malpelo pensava che se quell'asino non fosse mai nato sarebbe stato meglio.
Il padrone mandava spesso Malpelo lonato, in posti dove nessuno sarebbe andato (per paura) ma tanto lui era Malpelo e se non fosse tornato nessuno sarebbe andato a cercarlo.
Una bella notte d'estate Malpelo guardava la luna e le stelle e pensò che per lui (abituato a vivere sotto terra) dovrebbe esserci sempre buio.
Ranocchio gli raccontava che lassù c'era il paradiso, dove andavano le persoone buone, e che era vero perchè glielo aveva detto sua madre. Ma Malpelo diceva che se anche suo padre era stato buono si trovava ancora sotto terra.
Un giorno mentre Malpelo picchiava Ranocchio, quest'ultimo sputò sangue. Malpelo si spaventò e disse che non aveva potuto fargli molto male e per dimostrarglielo si dava pugni in faccia e sulla schiena.
Ranocchio si era ammalato e Malpelo spese i suoi unici soldi per curarlo.
Ranocchio mise di andare a lavorare e Malpelo lo andava spesso a trovare.
Qualche giorno dopo Ranocchio morì. In quel periodo venne a lavorare alla cava uno che non s'era mai visto, uno che era scappato di prigione e che si era messo a lavorare lì.
L' ex detenuto diceva a Malpelo che era meglio la prigione che lavorare in quella cava, ma di non temere perchè uno come Malpelo in prigioone ci sarebbe andato presto. Aveva torto, perchè Malpelo morì in quella cava come suo padre. Si doveva eslporare un nuovo passaggio ma c'era il pericolo di smarrirsi e di non tornare mai più indietro. Malpelo andò in esplorazione con i suoi arnesi e non se ne seppe più nulla di lui.
I ragazzi della cava da quel giorno ebbero paura di nomionare il suo nome e di vederselo apparire davanti coi capelli rossi e gli occhiacci indiavolati

Fantasticheria

 

Il racconto che presenta l'esaltazione dei valori patriarcali è divisibile in quattro blocchi. I primi due contengono la risposta dell'autore alla domanda postagli dall'amica aristocratica. Il terzo è un'anticipazione dei personaggi che in seguito saranno presenti nei Malavoglia. L'ultimo è l'enunciazione dell'ideale dell'ostrica vale a dire l'eroico attaccamento dei miseri alla propria condizione e la celebrazione della rassegnazione coraggiosa al proprio destino. Al mondo aristocratico e raffinato della giovane dama, di cui l'autore era stato affascinato all'inizio della sua stagione creativa, il Verga contrappone il mondo degli umili e degli oppressi, con la loro vita semplice e povera ma più autentica perché fondata sulla rassegnazione eroica al proprio destino. Vita fatta di valori semplici, di sentimenti e di dolori autentici e non d'atteggiamenti convenzionali e falsi come la società aristocratica. Al mondo della città. caotico e turbinoso, in continua trasformazione, egli contrappone la società arcaica siciliana fatta sì di ritmi sempre uguali, di miseria e lavoro, di gerarchie immutabili, d'egoismi individuali, di violenza della natura, ma per questo più vera perché capace che accettare fino in fondo la durezza della lotta per la vita. Alle "irrequietudini del pensiero vagabondo" lo scrittore contrappone "i sentimenti miti, semplici che si succedono calmi, inalterati di generazione in generazione". Ma come esprimere questo mondo attraverso il canone dell'impersonalità secondo l'ottica verista? Nella novella il Verga lo spiega bene "Bisogna farsi piccini, chiudere tutto l'orizzonte fra due zolle e guardare col microscopio le piccole cause che fanno battere i piccoli cuori". In questo modo, adottando il punto di vista di chi vive quella realtà, la lontananza che separa il mondo borghese da quello dei poveri, è superata con la fantasticheria. La superiorità di classe che non permette d'immedesimarsi a fondo nei personaggi rappresentati, è superata attraverso il rimpicciolimento. In conclusione, si può affermare che questa novella-saggio, manifesto della poetica verista del Verga, è importante poiché, oltre ad introdurre ideali e canoni veristi quali il canone dell'impersonalità , la religione della famiglia e l'ideale dell'ostrica, rompe con tutti i temi presenti nella sua precedente produzione letteraria. Nella novella, infatti, come in quasi tutte le altre, presenti nella raccolta Vita da campi, sono superate le tematiche romantiche riguardanti amori aristocratici e si affermano temi fondamentali che hanno per oggetto il mondo delle plebi meridionali, mondo che in seguito sarà presente nel romanzo I Malavoglia.

l'inizio del romanzo:

Una volta, mentre il treno passava vicino ad Aci- Trezza, voi, affacciandovi allo sportello del vagone, esclamaste: «Vorrei starci un mese laggiu'!».
Noi vi ritornammo e vi passammo non un mese, ma quarantott'ore; i terrazzani che spalancavano gli occhi vedendo i vostri grossi bauli avranno creduto che ci sareste rimasta un par d'anni. La mattina del terzo giorno, stanca di vedere eternamente del verde e dell'azzurro, e di contare i carri che passavano per via, eravate alla stazione e, gingillandovi impaziente colla catenella della vostra boccettina da odore, allungavate il collo per scorgere un convoglio che non spuntava mai. In quelle quarantott'ore facemmo tutto ciò che si può fare ad Aci- Trezza: passeggiammo nella polvere della strada e ci arrampicammo sugli scogli; col pretesto di imparare a remare vi faceste sotto il guanto delle bollicine che rubavano i baci; passammo sul mare una notte romanticissima, gettando le reti tanto per far qualche cosa che a' barcaiuoli potesse parer meritevole di buscarsi dei reumatismi; e l'alba ci sorprese in cima al faraglione - un'alba modesta e pallida, che ho ancora dinanzi agli occhi, striata da larghi riflessi violetti, sul mare di un verde cupo, raccolta come una carezza su quel gruppetto di casuccie che dormivano quasi raggomitolate sulla riva, mentre in cima allo scoglio, sul cielo trasparente e profondo, si stampava netta la vostra figurina, colle linee sapienti che vi metteva la vostra sarta, e il profilo fine ed elegante che ci mettevate voi. - Avevate un vestitino grigio che sembrava fatto apposto per intonare coi colori dell'alba. - Un bel quadretto davvero! E si indovinava che lo sapeste anche voi dal modo in cui voi modellaste nel vostro scialletto, e sorrideste coi grandi occhioni sbarrati e stanchi a quello strano spettacolo, e quell'altra stranezza di trovarvici anche voi presente. Che cosa avveniva nella vosytra testolina allora, di faccia l sole nascente? Diceste soltanto ingenuamente: " Non capisco come si possa viver qui tutta la vita".