Ferdinando Mezzasoma

 

 

 

Nasce a Roma il 3 agosto 1907 da una famiglia piccolo borghese (il padre era impiegato alla Banca d’Italia a Perugia dove la famiglia si trasferisce). Perde il padre nel 1920 ed è costretto, ancora adolescente, a fare piccoli lavori saltuari per aiutare la famiglia. Ma non trascura lo studio e si diploma in ragioneria, poi si laurea in scienze economico-commerciali. Dopo un breve lavoro come contabile in una autorimessa diventa segretario dell’avv. Amedeo Fani che, nel settembre 1929 diventa sottosegretario agli Esteri e si trasferisce a Roma portando con sé il segretario. Si iscrive al movimento fascista il 30 giugno 1931. La sua carriera politica in seno al PNF inizia negli anni trenta (esattamente nel 1932), quando, venuto meno il suo rapporto con Fani che cessa dal suo incarico, viene nominato segretario del  Gruppo Universitario Fascista (GUF) e membro del direttorio federale di Perugia (1932-35). Promosso alla carica di vicesegretario generale dei GUF (1935-37), entra come membro di diritto nel direttorio nazionale del PNF nel gennaio 1937. La responsabilità di questa carica gli impedirà di partecipare alla campagna d’Etiopia, come aveva chiesto di fare. Il 23 febbraio 1939, viene nominato vicesegretario del Partito, carica che ricopre, per oltre tre anni, con i segretari Starace, Muti, Serena e Vidussoni.

 Allo scoppio della guerra, nel 1940, si arruola volontario quale tenente nel 7° Rgt di artiglieria da campagna della divisione “Cremona” e partecipa alla campagna sul fronte occidentale guadagnandosi una medaglia di bronzo. Poi, con la 1^ Divisione C.N. “23 marzo” partecipa alla prima fase della campagna in Africa settentrionale, dove guadagna una medaglia d’argento.   Nel marzo 1942 è vicepresidente della Corporazione carta e stampa e direttore generale della stampa italiana presso il Ministero della Cultura Popolare, incarichi che detiene fino al 25 luglio 1943, impegnandosi attivamente anche nell’organizzare i Littoriali della cultura e dell’arte e nel diffondere gli ideali del Fascismo tra le nuove generazioni.

 Apprezzato giornalista e collaboratore di vari giornali ufficiali del regime (“Dottrina fascista” e “Roma fascista” fra i più noti) in cui si firma con lo paseudonimo di “Diogene”, è direttore dell’”Assalto” di Perugia (1934-35) e condirettore di “Libro e Moschetto”, l’organo dei GUF. Nel 1937 pubblica Essenza dei GUF , distribuito capillarmente a tutte le organizzazioni giovanili inquadrate dal regime.

 Il 25 luglio 1943 Mezzasoma era in Umbria con la famiglia (La moglie Anna Deri, ungherese, sposata il 6 gennaio 1938 e le tre figlie Attilia, Giuseppina e Vittoria). Immediatamente scese a Roma al Ministero della Cultura Popolare per passare le consegne del suo incarico, rifiutando l’invito del nuovo ministro del governo Badoglio di rimanere al suo posto. Dopo di che ritornò in Umbria con la famiglia. Ma subito dopo aver appreso, la sera del 15 settembre, che Mussolini aveva ripreso il suo posto a capo del Fascismo e aveva nominato Pavolini segretario, la mattina del 16 si precipiò a Roma per incontrarlo e riaprire con lui, al palazzo Wedekind in Piazza Colonna, la sede del Partito Fascista Repubblicano.

  Nella Repubblica Sociale Italiana è Ministro della Cultura Popolare che si sistemerà prima a Venezia poi a Salò a Villa Amadei. Questo Ministero svolgerà funzioni complesse fra cui  la gestione dei rapporti fra il governo della RSI e i territori dell’Alto Adige e della Venezia Giulia dove occorreva contrastare i tentativi dei tedeschi di affievolire l’italianità di quelle terre. Ma il compito più oneroso fu certamente quello di controllare la stampa italiana in un periodo come quello. Dovrà prendere decisioni anche dolorose come quella di togliere a Carlo Borsani la direzione di “Repubbloica Fascista”, che stava assumendo un atteggiamento di invito alla fratellanza, generoso ma non realistico in quel momento. Per questa sua intransigenza si scontrerà ripetutamente anche con Junio Valerio Borghese, contrario alla soppressione del suo foglio personale “Orizzonte”. Trasferitosi a Milano il 19 aprile 1945 con Mussolini e altri ministri, il 25 prenderà commiato dai suoi fidi collaboratori fra cui Giorgio Almirante. Dispone che tutti rimangano a Milano. Lui solo seguirà il Duce a Como. Ad Almirante, che, abbracciandolo, gli chiede che ne sarà di lui, risponde: “Sono un Ministro di Mussolini, vado a morire con lui”.

  Rimarrà, infatti,  fedele a Mussolini fino all’ultimo e lo seguirà fino a Dongo, dove sarà uno dei 16 uccisi il 28 aprile 1945.

 

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