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Francesco Rossi Simposio (Capitolo I)
Prefazione Questo libro è stato ispirato da altri due: il "Secretum" del Petrarca e le "Massime e riflessioni" di Goethe. Il primo ha dato lo spunto occasionale, il secondo tutto il resto. Nel Secretum il Petrarca immagina di dialogare con S. Agostino in presenza della "verità"; facendo valere le ragioni del Poeta umanista di fronte all'autorità della fede. Con esso Petrarca mette a nudo le proprie debolezze umane, le sue incertezze e le sue pene, anche se riconosce le verità spirituali sostenute dal Santo. Mentre ero preso dalla sua lettura, mi è capitato di acquistare in libreria l'altro: le Massime di Goethe. Del grande genio tedesco già conoscevo alcune opere più grandi, in particolare Il Faust e i romanzi, che mi avevano largamente affascinato, "I dolori del giovane Werther", "Le affinità elettive" e "la vocazione teatrale di W. Meister", inoltre lo consideravo un autore già familiare, in quanto avevo seguito le frequentazioni della sua casa da parte del giovane Schopenhauer, un filosofo da me molto stimato. Dopo aver cominciato a leggere le massime di Goethe, mi sono lasciato tentare dal desiderio di poter dialogare con lui, al modo come Petrarca dialogava con S. Agostino e anche un po' come un comune mortale dell'età antica avrebbe potuto fare se avesse potuto partecipare ad un 'convivio' fra gli Dei. Da qui è nata l'idea di questo Simposio, nel quale io ribadisco, punto per punto, ai pensieri di Goethe, con l'unico intento di far emergere dalle grandi verità del Maestro, altre verità più piccole, rimaste per lo più nascoste, che riguardano l'uomo e il suo destino. Schopenhauer, anche se non è formalmente presente, è un po' l'ispiratore della mia posizione e per me punto di riferimento e testimone di "verità". Lo stile che ho scelto è quello delle massime, come era anche nel libro di Goethe; esso permette un'espressione più sintetica , più efficace e forse più libera, inoltre non impegna il lettore a dovere sempre stare a seguire due testi: questo libro può essere infatti letto indipendentemente dall'altro. Naturalmente devo riconoscere i debiti che quest'opera ha nei confronti di quella, anche se i risultati di questa (buoni o cattivi che siano) non sono in nessun modo da addebitare né a Goethe, né a Schopenhauer, essendo solo le mie più intime convinzioni. Debbo anche dire, per non ingenerare confusioni o parallelismi indebiti, che in me non c'è nessuna pretesa di eguagliare il famoso libro di Goethe, o di mettere la mia opera in qualche modo a quello stesso livello; anzi riconosco subito che quella sta a questa come il sommo cielo sta all'infima terra, essendo quella opera di un genio immortale e questa di uno sconosciuto, un signor nessuno. Anche per questo motivo ho scelto il titolo di Simposio, proprio perché mi sento nelle condizioni di uno che si è invitato indebitamente, da solo, ad un banchetto con le divinità. Quando si è ad un Simposio la scelta dei vini spetta al simposiarca; in questo caso è stato Goethe che ha imposto a me, volta per volta, l'argomento , esponendolo con tutta la sua lucidità ed autorità; a me non rimaneva che bere alla sua coppa, gustare il sublime vino in essa contenuto, ed esprimere infine il mio modesto parere, come ho regolarmente fatto, punto per punto. Ne è venuta fuori una specie di opera parallela, un libro gemello, a dire la verità un po' gobbo, storpio e brutto: in tutto un'immagine negativa di quello, ma pure a quello fratello. Se mi è concesso indulgere alla metafora, direi che questo appare per me gemello di quello, come erano gemelle, per il poeta Jimenez, le grandi orecchie dell'asino Platero; ambedue sempre pronte ad ascoltare la natura e i suoi infiniti e lusinghieri richiami. Certo, l'orecchio di Goethe non è paragonabile al mio e ciò che lui ascolta è il 90% di ciò che può essere sentito da tutti noi; il suo è l'orecchio più sensibile del poeta , sempre pronto a cogliere i minimi e impercettibili richiami della natura, è l'orecchio della ragione somma del genio, teso a percepire gli enigmi della natura e a carpire i suoi più nascosti segreti: è insomma l'orecchio dritto di Platero. Il mio orecchio invece, nato storto e reclinato in basso, sente soprattutto il richiamo dell'asino, i suoi turbolenti desideri, la sua ostinata volontà; per quanto cerchi con la ragione di ascoltare ciò che proviene dall'esterno, non sente altro che la volontà dell'asino, di Platero. Queste due orecchie, pur così diverse, sembrano tuttavia insieme dar meglio il quadro di ciò che sente Platero, fuor di metafora, di ciò che sente l'uomo. L'uomo infatti ha sia il genio poetico che l'istinto animale; è nobile e volgare insieme; razionale e irrazionale, mansueto e testardo come Platero. Nell'uomo, divino e umano convivono, nell'impasto di ragione e volontà. Né è da dire che può tuttavia bastare a rendere conto di ciò che è veramente l'uomo la sola ragione perché essa comprende anche la volontà ma ne dipende in tutto, tanto che non può ritenersi neanche formalmente libera da questa. La ragione rende l'uomo simile alla divinità perché ci dà l'illusione di comprendere tutto, eppure essa è la parte di noi che è mortale; mentre la volontà, che da sola senza la ragione niente comprende, è la parte di noi immortale che il tutto pervade. Dunque la ragione, che l'uomo ha sempre preso ad esempio della propria somiglianza con Dio sembrerebbe quella parte invece di noi più umana; mentre la volontà che, presa da sola, vuole sempre tutto, è insoddisfatta di tutto, irrequieta ed egoista si presta più a rappresentare il divino che è in noi? E' dunque questo l'uomo? Un essere irrazionale ed egoista nella sua parte che è più simile a Dio , la volontà e un misero mortale nel suo corpo e nella sua parte non del tutto erroneamente divinizzata , la ragione? Sembra questo l'enigma dell'uomo che determina in lui, dal momento in cui se ne accorge,la caduta di tutti gli dei e il desiderio nuovo che cada anche l'ultima divinità, quella più tirannica che si annida dentro di noi:l'Ego. Tutto ciò non è avvertito da Goethe, per il quale divinità, ragione, verità e vita stanno ancora bene tutte insieme, dalla stessa parte, senza apparente conflitto. Per tale suo olimpico e sereno equilibrio Goethe appartiene, a buon diritto, alla generazione dei grandi uomini di cultura prima della caduta degli dei, anzi , per la sua stessa genialità, appartiene egli stesso alle divinità dell'olimpo, prima della loro caduta. A determinare questa caduta si dice che abbiano contribuito in tanti, uomini di cultura e filosofi del secolo passato, ma io vedo soprattutto la figura di un uomo che aveva conosciuto bene lo stesso Goethe: Arthur Schopenhauer. Dopo di lui il rapporto dell'uomo con la filosofia e il suo destino non è stato più lo stesso. Egli è stato il primo filosofo ad essersi scrollato di dosso la divinità; anzi, si potrebbe dire che egli abbia rubato dal cielo il fuoco (la volontà) e ne abbia fatto il dono agli uomini, ripetendo il mito di Prometeo. Solo che il fuoco di Schopenhauer , questa volta, non porta niente di utile all'uomo: esso è solo il simbolo di una conquista più prosaica: la semplice verità. E come Prometeo fu incatenato alla rupe di un monte e condannato, per quel gesto, a farsi rodere il fegato da un'aquila, così il filosofo e chiunque segue la sua filosofia sembra che debbano condannarsi da sé a soffrire, più degli altri, l'eterno dolore degli uomini; senza sperare nella salvezza e con l'unica consolazione di avere per sé come per gli altri solo il rimpianto e la compassione per il comune destino. Questo libro vuole rendere conto anche di questo fatto insieme al cambiamento culturale e al crollo delle comode certezze dell' uomo europeo, in un delicato momento della sua storia, nel passaggio dal Genio di Goethe (l'ultimo assiso accanto agli dei) a quello di Schopenhauer (il primo che ha visto cadere definitivamente quelle divinità). Nel compito che mi sono dato, scrivendolo, c'è anche quello di ricercare qualche verità sull'uomo senza preconcetti, senza mantenere nessuna questione sul cuore. Dalle affinità elettive (diario di Ottilie )Quando proiettiamo tanto le nostre aspettative nel futuro, denunciamo inconsapevolmente e certissimamente la nostra infelicità presente. Ma chi è disposto a riconoscerlo? Dovemmo anche ammettere che nella vita siamo tutti dei giocatori incalliti che arrivano a perdere l'intero patrimonio ma non il vizio di giocare. L'uomo è un animale ben strano: per natura è portato a vivere e a stare insieme ai suoi simili, anche se ne farebbe volentieri a meno. Detesta i luoghi affollati ma li ricerca continuamente nella speranza incoffessata che l'occasione possa procurargli qualche svago e il caso possa fargli incontrare un amico, in mezzo alla folla degli sconosciuti. Siamo ormai tutti così immersi in un'economia di mercato che, per quanto si faccia vita ritirata, nessuno di noi sfugge più al ruolo di produttore e di consumatore. E' pertanto inevitabile che il nostro lavoro perda quella connotazione etica che aveva un tempo, quando non tutto ciò che si faceva aveva un valore di mercato. Insomma, qualsiasi lavoro si faccia (insegnanti o artisti, parroci o medici), siamo diventati tutti un po' mercanti. Che siamo anche tutti un po' partecipi dell'illusione, ad un grado che può arrivare fino all'autoinganno, si può costatare da questa semplice osservazione. Tutti sappiamo che la gratitudine è la cambiale meno pagata: promettiamo di ricambiare un favore quando lo abbiamo ricevuto ma raramente manteniamo la promessa, semplicemente perché ce ne dimentichiamo . Quante volte dobbiamo incontrare una persona , prima di ricordarci che gli dobbiamo riconoscenza? . E quando facciamo un favore agli altri, non possiamo ritenerci contenti se, per il piacere che abbiamo concesso, non veniamo ripagati con una maldicenza o con uno sgarbo? Eppure, quando incontriamo qualcuno che ci deve riconoscenza - come scrive Goethe - ci aspettiamo sempre di essere ripagati. Conoscere ciò che di diverso hanno i vari popoli è sapere; riconoscerlo nei minimi particolari è erudizione; saper accettare queste diversità è cultura; ma è sapienza saper vedere, al di là delle diversità, l'identico che è in tutti noi. I politici, gli educatori e in genere gli oratori parlerebbero molto meno se tenessero conto di quante volte vengono fraintesi; l'uomo saggio parla poco perché sa quante volte fraintende gli altri. E' una verità incontestabile che quando si ripetono tanto i discorsi altrui, si capiscono sempre meno e si finisce poi per alterarli. Si possono spiegare anche così gli esiti rivoluzionari di certi movimenti di massa, in questi ultimi due secoli. Bisogna riconoscere che l'adulazione è un veleno ma può far bene se somministrato a piccole dosi, con moderazione, come nelle cure omeopatiche. Bisogna solo fare attenzione che non crei assuefazione. Se il discorso ne è privo, anche se viene detta una sacrosanta verità, questa spesso suscita avversione e viene respinta. Quando da un grande educatore fuoriesce un cattivo allievo (il che avviene più frequentemente di quanto siamo disposti a credere) bisognerebbe riflettere su questa massima di Goethe: "Ogni parola che si pronuncia suscita l'idea del contrario". Le idee di certi cattivi filosofi sono spesso nate, per reazione, alle parole dei loro più degni maestri. In certe conversazioni le persone mettono in campo tutta la loro arte dialettica; sembra che si svolgano in un campo di battaglia o in un letto nuziale, anziché in un innocente salotto: esse si snodano così fra contraddizione e adulazione. Certe compagnie pericolose si possono notare già nella giovane età, fra i ragazzi, da un particolare che in esse emerge: fra i membri del gruppo regna un forte antagonismo , uno spirito di concorrenza assai spietato, non disgiunto da una certa emulazione. Il carattere di certi uomini si rivela osservando non solo ciò che essi trovano ridicolo, ma anche da ciò che prendono in seria considerazione e che costituisce materia delle loro passioni. Il ridicolo per Schopenhauer nasce da un conflitto fra il pensiero e l'intuizione, fra la rappresentazione astratta e quella intuitiva; esso può essere condotto ad un sillogismo nel quale una premessa maggiore certa viene unita ad una minore insospettata, fatta valere solo con un trucco, che crea appunto il riso. Goethe completa questo pensiero, quando sostiene che la natura del contrasto, fra le cose che sono messe in collegamento in maniera innocua per i nostri sensi, è di tipo "etico". In questo modo ci mette anche un po' di malizia , o meglio - per così dire - la coda del diavolo. La gente di scarso valore intellettuale e morale ride in modo artificioso, senza naturalezza; per cui si può ben dire che il riso è prerogativa di tutti gli uomini e cartina di tornasole: esso rivela subito l'uomo stupido, distinguendolo da quello intelligente. Il riso è insomma una lente d'ingrandimento che permette di osservare meglio l'uomo: quando è naturale definisce la sua naturale intelligenza, quando è artificioso definisce la sua stupidità. Scrive Goethe: "L'uomo dell'intelletto trova quasi sempre tutto ridicolo, l'uomo della ragione quasi niente." L'uomo dell'intelletto è l'uomo semplice e spontaneo, invece l' uomo di sola ragione è il cosiddetto "uomo serio". Questi ritiene sempre che siano in perfetto accordo il proprio pensiero e la realtà, mentre per l'uomo intelligente la realtà non è sempre così semplice, per cui è più disposto al riso dell'altro. Senilità. Alcuni uomini, giunti ad una certa età, si rendono conto che fare la corte alle ragazze è un mezzo per ringiovanire; pensano bene allora che l'unico modo per ritardare l'invecchiamento è quello di farsi un'amante. Così facendo ingannano in una sola volta la natura e… la moglie. Un mezzo sicuro per conquistarsi una persona è parlare bene dei suoi difetti. Goethe è stata certamente una persona oltremodo amabile se sapeva apprezzare i difetti dei suoi amici così tanto da ritenerli necessari e da rammaricarsene se essi avessero perduto tali loro peculiarità. Si dice che non campi a lungo, chi ha il difetto di essere troppo disponibile con gli altri. Questo è comunque il difetto che gli altri ci perdoneranno sempre più facilmente. Le nostre passioni sono tali che non è difficile che esse possano portare un qualsiasi nostro difetto a un tale grado di perfezionamento da poterlo far apparire come una virtù. D'altra parte esse possono rendere così odiose certe nostre buone qualità, da farle percepire agli altri come i nostri peggiori difetti. Esse sono la manifestazione della nostra vera essenza e sono alimentate da un fuoco che è radicato tanto intimamente che anche quando scompaiono in noi, dopo che le abbiamo combattute, spesso, come arabe fenici, risorgono dalle loro ceneri. Le grandi passioni sono le malattie dell'anima contro cui hanno dovuto combattere i grandi uomini e le persone veramente sante; gli altri non le hanno nemmeno conosciute: si lasciano travolgere dalle piccole. E' vero che la confessione di fronte alle persone che amiamo è una cura efficace per curare il male della passione che si annida in noi: essa è la via di mezzo che hanno praticato i grandi uomini come S. Agostino con le "Confessioni" o il nostro Petrarca , nel suo libro troppo poco conosciuto, "Secretum". Voler fare qualcosa, avere un sogno, un progetto, una spinta a fare; basta una sola cosa di queste per poter essere un organismo in crescita, per poter edificare se stessi. Tutto possiamo imporre nella vita a noi stessi e agli altri, tranne che le conseguenze: queste si impongono da sé. Per conoscere gli altri veramente bisogna osservarli nel loro ambiente abituale; per conoscerci intimamente basterebbe che ci guardassimo quando siamo soli, senza mentire a noi stessi. L'abitudine che un po' tutti abbiamo di giudicare gli altri quando vengono a farci visita e di esprimerci con severe censure, è da considerare una forma di difesa naturale dell'animale che è in tutti noi, ma del tutto innocua, tanto da non doversi prendere in seria considerazione. Se invece il nostro giudizio nasce da un'osservazione attenta di un'altra persona nel suo ambiente, allora non possiamo permetterci giudizi superficiali di "legittima difesa": ci è posto l'obbligo dell'oggettività. Il borghese è l'evoluzione naturale del troglodita: il primo ottiene con l'educazione e la legislazione ciò che quest'ultimo riusciva ad ottenere con la forza e neanche con quella. La stessa evoluzione l' ha avuta nei rapporti con le donne il borghese gentiluomo. Il fatto che poi certe donne preferiscano in amore il troglodita è una questione di gusti sui quali c'è poco da dire. Una cosa su cui dovremmo riflettere tutti è che nel corso della storia umana la ragione e l'educazione si sono evolute da quelle del selvaggio a quelle dell'uomo moderno, mentre il carattere dell'uomo è rimasto pressoché invariato: è questo che determina le scelte e le decisioni degli uomini, anche quando esse sono collettive, come in politica, e riguardano il destino di popoli e nazioni. E' bello poter pensare invece che proprio l'educazione possa mettere in rilievo le caratteristiche individuali e la personalità di ciascuno; è un fatto di civiltà. Si potrebbe dire che nella vita, come in società, riescono a trarre i maggiori vantaggi le persone colte, quando sono le une contro le altre armate. Per prevalere sugli altri, fa ancora scuola il machiavellismo. Un tempo esso si applicava in politica, nei rapporti fra gli Stati; oggi si studia nelle scuole manageriali e si applica nelle imprese, nei laboratori scientifici e nei centri di ricerca, ovunque si competa per avere il predominio sulle risorse e sulla vita. Nessuno è più odioso di un uomo di cultura maleducato; egli smentisce nei fatti quello che pretende di essere di diritto e perde insieme alla faccia anche la propria onorabilità. Esso tuttavia non perde l'individualità: l'elemento di distinzione, "l'Egregio", rimane a qualificarlo, ma solo in negativo. Nella seduzione i tempi si sono notevolmente abbreviati, ma non è venuto meno un certo modo di fare, una "finesse" che qualifica il vero seduttore; per cui certi uomini, cattivi seduttori, commettono con le donne sempre lo stesso errore: prima le avvicinano con noncuranza, poi passano - troppo artificiosamente - alle confidenze, finendo per apparire ai loro occhi inevitabilmente goffi e ridicoli. Se c'è una ragione etica nell'atto cortese, non è nel raggiungimento dello scopo che esso si propone, ma nel riconoscimento, che anticamente era implicito in ogni gesto di pura cortesia verso il prossimo, che l'altro che mi sta di fronte, conta più di me stesso: è il mio Signore. Il contegno è un'assunzione intima del comportamento che non deve essere confusa con l'atteggiamento,( più esteriore e limitato all'apparire). Esso è uno specchio della persona intera, del suo carattere e della sua cultura. La "cortesia del cuore" che Goethe vede apparentata con l'amore, trova la sua ragione d'essere nel fondamento etico dell'altruismo. (vedi anche massima 38). Essa è una dote naturale della persona; se non si ha non c'è nessuna ragione o educazione che ce la faccia acquisire. La condizione più bella e semplice è sempre quella della volontà pacificata nell'amore, ossia della non volontà( noluntas). Non siamo mai tanto lontani dalla felicità come quando abbiamo ottenuto la cosa tanto desiderata. Nessuno è più schiavo di chi persegue senza limiti i propri desideri; nessuno forse è più libero di chi si assoggetta umilmente a servire un altro, nel bisogno, con amore. La libertà , come la felicità, non si lasciano mai assaporare; ma si può dire che sia uomo veramente libero solo chi abbia la forza e il coraggio di accettare serenamente ogni condizionamento esteriore. Per vincere le grandi diversità fra gli uomini, per dar sollievo ad un grande bisogno, non c'è altro mezzo che l'amore, che la compassione. C'è qualcosa di terribile e beffardo per la stessa idea di civiltà e progresso nel fatto che gli stupidi e i mediocri, associandosi insieme, siano spesso riusciti a cancellare, in ogni epoca, i meriti di uomini superiori, per anteporre le proprie insulse opere e potersene così avvantaggiare. Gli eroi non possono essere giudicati dai loro camerieri. I mediocri non possono capire il valore di un genio, né saprebbero scoprirlo o riconoscerlo, quando vi si trovassero di fronte. Ma questo è il punto: i mediocri sono tanti e sono capacissimi di mettere in seria difficoltà un uomo di talento, soprattutto quando si trovano nei posti di comando, e di riuscire, a volte, a distruggerlo umanamente e professionalmente. Spesso per un mediocre non c'è piacere maggiore che quello di impedire l'affermazione e il successo di una persona di talento; se , nonostante tutto, questi riesce a farsi apprezzare, per il mediocre invidioso rimane sempre la consolazione e il piacere di assaporare il detto di Goethe: "Anche il genio non è immortale". I grandi uomini hanno in comune con il proprio secolo almeno una debolezza; gli uomini santi sentono come propria più grande debolezza proprio il legame con il secolo. Credo anch'io, come amava dire Schopenhauer, che il mondo sia equamente diviso fra malvagità e follia; credo anche che siano poche le persone del tutto malvagie o del tutto folli, del tutto stolte o savie, è molto più comune vedere mischiati vizi e virtù nelle stesse persone. Se è vero - come scrive Goethe - che "solo i mezzi matti e i mezzi savi sono veramente pericolosi ", sarei propenso a credere che gli uomini siano più pericolosi di quanto lasciano trasparire e appaia, solo che non sempre lo dimostrano. Perché diventi pericoloso bisogno, che all'uomo ne sia data l'occasione. Una sentenza perfetta: "Non si sfugge al mondo in modo più sicuro che con l'arte, e non ci si unisce ad esso in modo più sicuro che con l'arte" (Goethe) Nel momento della massima felicità non abbiamo bisogno di niente, salvo che dell'amore che ce l'alimenta; nel momento della massima pena abbiamo bisogno di ritrovare noi stessi negli altri e non v'è sentimento che ci aiuti a farlo meglio di quello della compassione, cioè ancora dell'amore. Ma forse è anche vero che in ambedue i momenti "abbiamo bisogno - come scrive Goethe - dell'artista" che è in noi, perché la capacità di amare è un'arte che non tutti hanno in ugual misura. L'arte si occupa del reale e dei suoi confini: del possibile e dell'impossibile. Essa è lo strumento per eccellenza che ha l'uomo per trattare con facilità ciò che è difficile; in quanto tale permette di poter intuire l'impossibile L'arte è un arco teso fra realtà e possibilità . Raccogliere è più remunerativo che seminare, ma non sempre è altrettanto creativo.
Da "Kunst und alterthum" (ingenuità e umorismo) L'arte è una cosa seria non per l'oggetto che essa tratta (se è nobile, sacro o volgare), né per il fine che l'artista si pone; essa è seria per il modo in cui tratta l'oggetto e per la sua "visione" particolare, l'unica fra quelle che l'uomo ha della realtà che aspiri ad essere definita insieme la più "soggettiva" e la più "oggettiva" , quindi la più completa delle visioni. La visione della natura che è propria dell'arte figurativa "è ingenua - come scrive Goethe - ossia moralmente piacevole"; anche Schopenhauer esprime lo stesso pensiero, laddove scrive: "le arti parlano il linguaggio ingenuo e infantile dell'intuizione, non quello astratto della riflessione" ("Il mondo …" meridiani, Mondadori, p.1268). Ma questa non è la sua caratteristica principale. Ogni autentica opera d'arte dà una risposta alla domanda "Che cosa è la vita?" di tipo intuitivo e immediato che è perfettamente giusta, anche se ogni artista la dà in un modo proprio. Per questo motivo la caratteristica principale dell'opera d'arte è piuttosto questa: essa offre una visione "oggettiva", ossia scevra da ogni desiderio estraneo che non sia quello della pura contemplazione; essa è dunque una rappresentazione 'vera', ingenua e non volgare. In ciò sta anche il suo contenuto etico. L'arte è quindi doppiamente nobile. Da ciò deriva il fatto che, in genere, l'artista vive per essa, senza secondi fini, dedicando spesso ad essa la propria vita. In ciò l'artista si differenzierà sempre da tutti gli altri cosiddetti "professionisti", che usano il proprio lavoro per vivere. L'artista è temerario e persino temuto e ostacolato perché la sua visione divergente scardina le gerarchie e i valori costituiti; la sua azione è sempre innovativa, talvolta rivoluzionaria: non vi sarebbe vero progresso senza le persone di genio e di talento. L'arma più odiosa che viene usata dalla gente comune e mediocre contro di loro è l'indifferenza. Le vere rivoluzioni nel corso della storia umana non sono state fatte dagli uomini politici e dalle masse nelle piazze, ma dagli artisti e dagli uomini di genio nel chiuso delle loro stanze. La comicità riesce ad unirsi ad un tipo di espressione artistica (ad es. il cinema o il teatro) meglio dell'umorismo forse perché essa stessa è più intuitiva, rispetto a quello che è un prodotto della ragione, e quindi adotta procedimenti più simili a quelli dell'arte. D'altra parte l'umorismo, che è comunque uno degli elementi propri dell'uomo e anche dell'artista, non sembra propriamente necessario alla sua arte non solo perché è più astratto ma anche perché esso si presta meglio a distruggere che a ricostruire. Forse sarebbe bene, prima di parlare dei risultati di certe opere artistiche, porsi il problema di che cosa sia "morale" nell' arte, senza pregiudizi , censure o bigotti moralismi; cioè se essa abbia anche un fondamento "etico" e quale eventualmente questo sia. "Ci sono dei mali - scriveva Proust - da cui non bisogna cercare di guarire perché ci proteggono dai mali più gravi"; lo stesso potere di questi mali ce l' hanno certi errori. Ci sono degli errori che facciamo nel corso della nostra vita la cui natura è tale che , non solo non possiamo eliminarli, ma dobbiamo costruire su di essi tutta la nostra esistenza. Né dobbiamo credere che l'edificio che abbiamo così costruito sia necessariamente instabile e destinato a crollare. Esso può rivelarsi anzi un qualcosa di eccellente, capace di gratificarci e di dare un senso nuovo alla nostra precaria e debole esistenza. La vita è tale che potremmo tutti definirci, in un certo senso, figli del caso e dell'errore. "L'errore più singolare - come scrive Goethe - è quello che si riferisce a noi stessi e alle nostre forze", ma possiamo sempre sperare che il caso ponga rimedio alle nostre deboli mire. Ciascuno di noi può infatti costatare più volte nel corso della propria vita che certi presunti errori ci sono poi tornati utili nel corso del tempo. Ciò succede assai spesso anche perché i fini che ci poniamo nella vita sono vaghi, incerti, mutevoli e spesso entrano in conflitto fra di loro per cui ciò che ci appariva in lontananza e in prospettiva, appetibile, lo vediamo con un'altra ottica quando si avvicina e si realizza infine in tutt'altra condizione. Per cui possiamo dire che per quanto ci impegniamo a progettare e a ridisegnare il futuro nel corso della nostra vita, il filo della nostra esistenza si dipana con un percorso a zig-zag che alla fine risulta molto più condizionato dal caso che dalle nostre intenzioni. Da "Kunst und alterthum" (cose proprie e appropriate in sentenze) Se l'uomo si ritiene più di quel che è , non riuscirà a compiere tutto ciò che si esige da lui. Anche il fantastico deve avere un proprio ordine altrimenti trapassa nell'assurdo e ci sconvolge. Il capolavoro fa l'artista. Certi libri sembrano scritti non perché i loro autori pensassero veramente qualcosa quando li stavano scrivendo, ma perché essi si aspettavano che il lettore riuscisse a pensare qualcosa, leggendoli. Altri battono un qualche argomento alla moda per vedere se non riescono a far rumore. Trovarsi ad avere a che fare con delle "mezze verità" è a volte molto peggio dell'inganno completo (dice bene Goethe); purtroppo è la condizione in cui si viene a trovare abitualmente l'opinione comune, il cosiddetto "genio dell'umanità". Essa forma il tanto deprecabile "gusto del vago" che è una caratteristica dell'uomo comune di tutti i tempi; è resa possibile non solo come difesa della propria mediocrità, ma anche per coprire l'assenza di giudizio. La natura raramente dà in eccesso e quello che riesce a dare in più da una parte spesso lo toglie dall'altra. Per cui capita spesso che persone particolarmente dotate sul piano artistico e intellettuale siano poi nella vita in difficoltà, a volte fino a soccombere (Van Gogh, Pavese…l'elenco è lungo) La maggior prova di rispetto che un autore possa dare al suo pubblico è quella di scrivere, senza tenere conto di un pubblico particolare. Un autore deve scrivere prima di tutto per l'uomo, per se stesso. La sapienza è la conoscenza più un valore aggiunto che ne fa una "verità". Un errore rivela una malefatta; due errori la coprono. Un "pensiero libero" che non si accorge quanto esso sia legato allo spirito dell'uomo, alla sua volontà, è solo un pensiero "a spasso". Le cose davvero complicate non si possono rendere semplici, oltre un certo limite. Ma se qualcuno tende a rendere complicate le cose semplici, fino a farne degli enigmi incomprensibili, c'è da domandarsi se ha solo una mente confusa o se ha qualche interesse personale a farlo. Molti pseudo intellettuali complicano le cose oltremodo anche per mantenere una posizione di privilegio (il latino di Don Abbondio). "La mosca tira il calcio che può". Si comincia a diventare saggi nella vita quando si riesce a capire di aver seguito inutilmente "false tendenze". "La generosità procura sempre favore, specialmente quando è accompagnata dall'umiltà". (Goethe) Forse, ma quanti mercanti o prostitute, sempre a caccia di favori, si sono lasciati convincere a farne uso? In realtà esse sono doti naturali, virtù impagabili che alcune rare e belle persone esercitano, senza chiedere contropartite. Esse, quando sono unite insieme nella stessa persona, fanno capire anche ai profani quale sia la natura della "grazia". "Prima del temporale si alza per l'ultima volta con violenza la polvere, che presto sparirà a lungo". Questa massima di Goethe si applica bene a molte ideologie rumorose e già tramontate che hanno infestato il secolo appena trascorso: esse sono comparse ad annunciare terribili temporali poi sono scomparse, come polvere. Forse non basta l'esperienza di una vita, forse è necessario reincarnarsi più volte - come è creduto in certe filosofie orientali - per arrivare a capire che da una parte vi sta la "volontà" che tutto deforma , dall'altra la "non volontà". (Noluntas). La democrazia, nella quale tutti viviamo comodamente in uguaglianza di diritti e doveri, non deve farci dimenticare che la natura , come amava dire Schopenhauer, "è aristocratica", avendo dotato gli uomini di qualità molto diverse fra di loro. Quelle fisiche vengono valorizzate dagli sport di tutti i tipi, i campioni sportivi vengono giustamente osannati dalla folla negli stadi e pagati a suon di miliardi; ma quanto si dovrebbero valutare le qualità intellettuali, morali o le capacità artistiche? Come dovrebbero essere ricompensate queste che sono di gran lunga più importanti di quelle? Basterebbe non ostacolare chi le possiede. Le persone eminenti non sono invidiabili: esse sono perseguitate dalla loro stessa fama, vessate dalle folle di cui sono il simbolo. Per capire come sono fatti gli altri basta osservare le persone che incontriamo nel corso della nostra vita; per capire l'uomo dobbiamo anche dialogare con alcuni grandi che non vivono più e familiarizzare con loro. Se sei rana devi sguazzare nell'acqua, ma se sei uomo di cultura vai alla fonte: leggi un classico. Non si finisce mai di imparare dalla propria lingua e dal confronto con quelle di altri popoli; niente di più facile per un professore di sentirsi, all'occasione, un ignorante. L'errore più comune che ci possiamo trascinare dietro, invecchiando, è quello di credere che ci è più difficile sbagliare: è una presunzione; il più delle volte riusciamo solo a capire meglio i nostri errori. Le teorie scritte da certi filosofi e pensatori quando erano ancora giovani mantengono sempre un po' della loro freschezza e un certo fascino; anche se fanno degli errori e non possiamo condividerle, questi si fanno facilmente perdonare. Quando invece avviciniamo il loro pensiero più maturo,sentiamo maggiormente il rifiuto perché avvertiamo che l'errore non è stato cancellato ma solo nascosto, tramite un'operazione di lifting. Allora si ha proprio l'impressione di roba invecchiata, inutile e rancida. Un conflitto con il potere, continuato nel tempo, può piegare e mettere in crisi anche le personalità più straordinarie ed eminenti. La storia è piena di esempi. Il nazionalismo esasperato è "un vicolo cieco" della natura. Ecco un argomento di riflessione per i nostri storici, per rileggere gli eventi politici del novecento. Una metamorfosi in senso inferiore che si è svolta attraverso il prendere e il dare, il guadagnare e il perdere potrebbe essere quella avuta dal capitalismo occidentale, attraverso la sua lunga evoluzione: una commedia umana, speculare e rovesciata rispetto a quella dantesca. Se ognuno avesse il coraggio di confessare pubblicamente qualcosa della propria natura, considerato antipatico - come ha fatto recentemente una principessa con i suoi sudditi - susciterebbe subito, come quella, una reazione compensativa di sincera simpatia. Ogni uomo, anche quello più sano, si troverebbe un po' malato se riflettesse più sul fatto che il proprio istinto naturale cozzi troppo spesso contro i suoi principi morali. Sarebbe un'esigenza di cultura, anzi di civiltà, che l'uomo riuscisse a vincere tre guerre epocali che sta combattendo, con risultanti purtroppo tutt'altro che incoraggianti, contro l'uso del tabacco, dell'alcool e degli stupefacenti. "E' la sola azione quella che ti concerne, mai i suoi frutti; non dipendere dal frutto del karma ( azione) e neanche devi attaccarti alla non-azione" (Bhagavad-Gita II, 47) Certi pseudo scrittori , privi di idee, menano a casaccio la penna sul foglio bianco, credendo ogni volta di scolpire qualche pensiero. Che la lingua francese abbia avuto origine dal parlato, la dice lunga sul carattere dei francesi e sulla loro abitudine salottiera a rimanere molto a tavola a fare conversazione; la lingua tedesca dovrebbe aver avuto tutt'altra origine a giudicare dalle sue lunghe parole composte e dalla struttura della frase che pone il verbo sempre in fondo. Quest'ultima caratteristica rende sempre la conversazione un po' sospesa; da cui viene l'abitudine dei tedeschi ad esclamare spesso "Ach so!" (Ah cosi!) un po' troppo spesso , quando l'interlocutore termina la propria frase. Il tedesco sembra una lingua più adatta per ragionare, ma nella conversazione , a confronto con l'altra e anche con l'italiano, sembra abbastanza arida. Forse anche per questo motivo le lingue neolatine, nate dal parlato volgare, hanno visto nascere la poesia amorosa, le chanson de geste e la novellistica, mentre il tedesco si è imposto nella filosofia. La legge di natura si capisce da sé ma non vale interamente per l'uomo; egli ha una propria legge di libertà, la quale non è licenza di fare ciò che vuole, ma ciò che è compatibile con i principi etici e con la morale che ha dentro di sé. Scrivere la storia è un modo per liberarsi dagli errori del passato, filtrandoli con gli errori della propria epoca. Chi pretende di "fare la storia" dovrebbe sempre tenere conto, prima di agire,, che scarica addosso agli altri, a coloro che verranno, un passato nel quale non si riconosceranno. Purtroppo non c'è alternativa: o si comprende o siamo costretti ad essere posseduti da ciò che non comprendiamo. Quando ci si avvicina ai grandi autori, come Goethe, si ha quasi l'obbligo di essere creativi perché essi ci tramandano in ogni occasione "idee pregnanti". Il favore disinteressato va saputo riconoscere: se proviene da persona facoltosa è segno di magnanimità, se viene da persona umile indica sempre una grande forza morale. Non c'è niente di così assolutamente serio che, in determinate circostanze e detto in un certo modo non possa essere trattato con effetti di comicità; tuttavia bisogna riconoscere che se il comico è prevalente può portare ad un cambiamento di genere. La vita stessa può essere un dramma se viene affrontata nel suo aspetto assolutamente serio, oppure una commedia se si mettono in evidenza i suoi aspetti più comici e grotteschi (Vedi "La vita è bella" di R. Benigni). A volte, quando dobbiamo portare a compimento un lavoro importante per la nostra vita di cui siamo veramente convinti, vengono le forze che ci mancavano e che non pensavamo di avere; riusciamo a vincere allora anche le nostre malattie e le nostre abituali debolezze. Possiamo dire allora che la nostra stessa volontà di operare ci rigenera e ci guarisce. Ma quante volte, grandi uomini impegnati in lavori importanti, hanno ceduto per mancanza di forze e sono morti senza riuscire a terminare la loro opera? Non erano convinti dell'importanza di ciò che avevano intrapreso o piuttosto non sono riusciti a commisurare le loro forze? In effetti ciò che più fa difetto all'uomo è la prospettiva. Egli si pone compiti che, prima o poi, saranno superiori alle sue forze proprio perché opera come se non dovesse mai morire. Non è lo spirito che gli viene a mancare ma il corpo; non invecchia la volontà (questa non diminuisce , semmai aumenta), perdiamo invece la forza e la ragione. Sono quest'ultime che fanno defaillance, fallimento. Non c'è giudizio , se non retrocede il volere. L'osservazione di Goethe, si presta a definire una tendenza: ad epoche artistiche colte e manierate, subentrano spesso correnti artistiche più naturali, forse un po' retrograde, ma con sicuro "effetto rigenerante". Una nazione, come una persona, non riesce a dare giudizi su di sé, se non dopo che ha imparato a conoscere i costumi delle altre, senza giudicare; non può giudicare le altre (nazioni o persone) se non dopo che ha espresso severi giudizi su di sé. Certi che sono sempre a contraddire, denunciano solo la propria insicurezza e il loro bisogno di essere comandati. Sul banco della tortura parla il supplizio non il condannato e ammutolisce l'uomo. Infastidisce, anzi indispettisce gli uomini non il fatto che il vero sia complesso ma la "verità" nuda e semplice, la semplice verità; tutti dovremmo riflettere che fatichiamo a comprenderla perché essa non fa sempre il nostro vantaggio. La verità non è al servizio dell'uomo come la tecnica, non è al servizio di nessuno ed è per di più scomoda: una sola verità mette a nudo tanti comodi errori. "Esecro coloro che dall'errore si costruiscono tutto un loro mondo e tuttavia esigono incessantemente che l'uomo si renda utile." Se dovessimo condividere questo giudizio di Goethe, sarebbero da esecrare i tre quarti dell'umanità attiva , ad esclusione dei soli non occupati che sarebbero tuttavia da compiangere per un altro motivo. Tutti gli uomini purtroppo , di tutte le civiltà senza eccezione, hanno edificato e costruiscono il mondo sulla base di un errore (quello che Schopenhauer definisce errore innato) : quello di credere ad esempio che siamo venuti in questo mondo per essere felici, per goderci la vita e il mondo stesso si costruisce e si organizza sulla base di questo principio , come scrive Schopenhauer, per cui "nutriamo la folle speranza di farlo valere, fino a quando il destino ci afferra bruscamente e ci mostra che nulla è nostro, mentre tutto è suo…" ("L'arte di essere felici" Massima n°1). Un altro errore ad es. è quello di credere che la ricerca della verità sia utile all'uomo ; da qui lo sviluppo delle conoscenze e della scienza, da qui l'idea di progresso. Ma la ricerca dell'utile, il progresso non sono la stessa cosa della ricerca della verità. I filosofi e i saggi di ogni tempo hanno denunciato questi errori, ma chi ha dato loro ascolto? Certe verità sono troppo scomode, perché non vanno d'accordo con la vita sulla quale si conforma l'opinione comune, e allora si dimenticano. La scuola è quell'istituzione che cerca di curare la formazione della persona che sarebbe ancor più necessaria se non si compiacesse troppo dei successi che dipendono da essa in minima parte, né cercasse di nascondere gli insuccessi che da essa dipendono e che sono presenti in grande quantità. Una dottrina scientifica, per quanto elaborata sia, non può essere tuttavia convalidata sulla base di principi di verità, giacché - come insegna Popper - alla filosofia delle scienze è concesso solo la falsificazione, la confutazione delle teorie scientifiche; essa va fatta non solo sulla base della loro logica interna (coerenza delle premesse con le conseguenze) ma anche confrontandola con l'esperienza. Alcune riflessioni di Goethe, come la 120, hanno origine dai suoi lavori pionieristici di osservazione scientifica , nei quali rivela di essere attento osservatore dei fenomeni naturali e geniale precursore di teorie, come quella sui colori, che lo vide in polemica con lo stesso Newton. Alla teoria sui colori Goethe lavorò per tutto il periodo 1813-1814, in collaborazione con il giovane Schopenhauer; questi tuttavia arrivò ad elaborare una propria teoria, in parte innovativa rispetto a quella di Goethe. Il carteggio fra i due è di grande interesse non solo per conoscere la storia di questa teoria scientifica ma anche per capire meglio come i due grandi spiriti guardano al mondo. Schopenhauer si aspettava che il maestro aiutasse il giovane allievo a divulgare la nuova teoria che nella sostanza confermava le intuizioni di Goethe e correggeva solo qualche errore minore. Purtroppo il giovane S. non ebbe il sostegno sperato e rimase solo a "pigiar l'uva" che aveva vendemmiato insieme al grande maestro. La natura dell'uomo non sarebbe così nobile e grande se essa non scaturisse dalla sua immane miseria e dal suo tragico destino. "Ciò che è stato sotterrato da gran tempo viene sotterrato di nuovo". (Goethe) Questa massima si adatta bene al comportamento che tenne Goethe con il giovane Schopenhauer, in seguito alla scoperta della "teoria sui colori". Egli prima lo sollecitò e lo incoraggiò a ricercare e ad approfondire, poi , quando vide che l'allievo non era in assoluto accordo con il maestro , la lasciò cadere, forse indispettito dalla determinazione con cui il giovane Schopenhauer la sosteneva. Lancio questa ipotesi, forse Goethe non sopportò che il suo scolaro lo sopravanzasse e sfogò il suo disappunto in questi epigrammi: "Volentieri sopporterei di fare il maestro se almeno gli scolari non volessero diventare subito maestri" e "Ciò che tu hai ben pensato, se assimilato dagli altri si rivolgerà contro te stesso". Lasciò così che la teoria dell'allievo venisse dimenticata e non fece niente per farla conoscere, anzi ne fu il becchino. Così l'orientamento della scienza moderna sulla vista e sui colori si dovette ricostruire. Esso ha poi avuto un'impostazione fisiologica simile a quella data da Schopenhauer ed è arrivato a conclusioni analoghe ma per altra via, ripartendo da zero. Ciò che viene scoperto da un giovane d'ingegno, può venire sotterrato subito, anche dagli ingegni più affermati e non sempre purtroppo viene dissotterrato di nuovo. Quanto tempo si è inutilmente discusso, quante intelligenze si sono perdute in disquisizioni e sofismi vuoti e , quel che è peggio, quanti conflitti dietro alla dialettica di Hegel e alle sue antitesi. "A certi spiriti bisogna lasciare i loro idiotismi" solo finché rimangono nel chiuso delle loro menti e delle loro scuole, anche perché questi verranno comunque considerati indispensabili dai loro adepti. Anche una mediocre produzione letteraria può avere valore se il suo contenuto tiene conto della natura e della vita. Scrive Goethe: "La neve è una purezza mentita". Scrive Don Lido, un parroco del mio paese, che si è dilettato nella poesia: "Candida neve hai ovattato intorno cose belle e cose orripilanti pianificato tutto e ingentilito in una vana e orrida finzione. Basta il dolco dell'aria e un po' di sole E accanto al verde al bosco e alle aiuole, ecco: c'è l'acqua putrida stagnante, rifiuti, concio e altro luridume. Perché lo spreco di candore dura Poco, e nasconde tanto di sozzura?" (Poesie inedite) Talvolta un grande e un piccolo poeta possono avere gli stessi sentimenti e intuire le stesse metafore. Per apprezzare le idee altrui bisogna prima avere ben formati i concetti propri. Se si esprimono concetti ben fondati sull'intuizione, si può sempre insegnare qualcosa anche ad un grande maestro. Era necessaria una filosofia fredda e razionale, come quella di Schopenhauer, per dare conto di ciò che nell'uomo è irrazionale, per spiegare il suo genio e la sua follia. Un tempo il grande mare sconosciuto si prestava a definire l'ignoranza dell'uomo ma anche la sua voglia di conoscere; oggi che è in gran parte esplorato ed è divenuto, grazie all'uomo, una pozza putrida di acqua salata, indica meglio la nostra grande stupidità. Un proverbio popolare dice: "Chi si loda s'imbroda", ma quale brodo faccia il biasimo altrui, questo non lo dice. Si dice invece dalle mie parti, della persona ingiustamente respinta, : "E' antipatico come il puzzo dei piedi". Come vedi - Goethe - il pubblico ha naso per respingere gli altri, ma solo quanto basta per arrivare a percepire l'odore sgradevole dei piedi (intendo i propri). Il romanzo come "epopea soggettiva", in cui l'autore tratta il mondo alla propria maniera. Questa definizione di Goethe non serve solo a capire gli sviluppi che ha avuto il romanzo moderno dopo di lui, almeno fino a Joice, ma spiega anche il fascino che hanno per noi certi sistemi filosofici, capaci di avvincerci come un romanzo. Certi conflitti che abbiamo con la realtà sono di "natura problematica" proprio perché essi sono aperti ad esiti incerti che possono rovinare la nostra esistenza o creare prospettive nuove; a volte dall'inadeguatezza della situazione che abbiamo di fronte può nascere in noi un conflitto creativo che allarga la visione del nostro spirito e ci spinge verso orizzonti più lontani. A volte il vero bene è quello che noi facciamo spontaneamente, all'improvviso e subito dopo dimentichiamo. I tempi cambiano le abitudini: un compagno allegro e intelligente è un invito, oggi, a scendere dalla carrozza (dall'automobile) e a fare una passeggiata a piedi. Luccicano le stelle e gli occhi quando piangono. Brillano il sole e un sorriso in un bel viso. "Anche lo sporco luccica quando brilla il sole"; quanti lo raccolgono e quanti se ne adornano? L'uomo vede tutto finalizzato a sé e naturalmente pensa, come il mugnaio, che il frumento cresca per far andare il proprio mulino; ma siamo certi che anche la natura persegua lo stesso fine: che essa sia antropocentrica? A ben vedere, ogni organismo vivente, ogni individuo, si comporta come fosse l'essenza dell'universo tanto che si potrebbe dire che dal punto di vista del grano il mugnaio potrebbe essere un suo sottoprodotto, come l'agricoltore: ciò che conta per il grano è che l'uomo gli permetta di riprodursi abbondantemente, sui grandi spazi che altrimenti sarebbero occupati da altre erbe. Non ci riesce mantenerci obiettivi di fronte al tempo. Siamo costretti a conviverci da sempre ma non lo conosciamo. Ci sentiamo un po' suoi figli e sappiamo che deve lasciarci eppure subiamo sempre una profonda delusione quando da esso dobbiamo separarci. Fugge sempre ed è sempre presente; lo percepiamo come fosse esterno a noi eppure segna ogni nostra intima sensazione. Questa sua natura ambigua crea in noi irrequietezza e insoddisfazione. Esso è così per noi un costante inganno: quello passato è solo un vago ricordo; quello presente, se lo percepiamo più lungo è solo per la noia o per il dolore, se è felice è solo breve e fuggente o non lo avvertiamo affatto. Delusi dall'attimo, riponiamo allora le nostre aspettative nel tempo futuro con la vana speranza che esso sia migliore: nessuno vuol vedere, in fondo, il baratro e l'abbandono. Guardare con obiettività al tempo , significherebbe riconoscere invece la sua natura soggettiva: esso è in noi. Non c'è uomo felice, se ci fosse sarebbe colui che riuscisse a chiudere il ciclo infinito di nascita e morte, ma solo con il Nirvana. "Così ostinatamente contraddittorio è l'uomo: per il suo bene non vuole coercizione, per il suo danno sopporta ogni costrizione".(Goethe) Quale grande verità c'è in questa massima! L'uomo vuole, vuole sempre…il più delle volte contro il suo stesso bene. La previsione è univoca perché è tutta concentrata sull'obiettivo, sul fine che si vuole raggiungere; la visione retrospettiva non può fare a meno di mettere in conto gli errori commessi e il risultato voluto dal caso. Ogni Stato, moderno o antico che sia, vorrebbe o avrebbe voluto governare senza che il cittadino riuscisse a sentire l'oppressione; l'ideale sarebbe che non venissero avvertiti neanche la sua presenza, il suo stesso potere. Il modello è per tutti sempre il solito : lo "Stato di natura". La rovinosa voglia di coprire le imprudenze commesse, porta sempre l'assassino sul luogo del delitto. I nostri religiosi (gli Indù di casa nostra) fanno voto di non mangiare carne, ma solo il venerdì. Le mezze verità continuano a far andare avanti il mondo e l'uomo continua nei secoli a subire l'inganno, perché "conviene". La scienza non si può considerare del tutto fuori causa, ma riguardano prima di tutto l'uomo. In esse nessuno vuol scoprire l'errore, anche se le verità insufficienti di un tempo, nel frattempo sono diventate falsità abbaglianti. La scienza moderna per portare le sue indagini oltre il "vero insufficiente" che ci proviene dall'abitudine e dalla tradizione non ha altri strumenti che quello di sottoporre i presupposti della propria ricerca e i propri metodi a quei criteri di "falsificazione" indicati da Popper. Tuttavia sarebbe del più alto merito se anche nella scienza emergessero nuove teorie coraggiose, anche sull'uomo, che correggessero le tante mezze verità che compongono l'attuale visione che abbiamo di noi stessi. Sono meno ottimista di Goethe ma anch'io credo - come lui - che ogni ipotesi scientifica che viene formulata è come la mossa di una pedina sulla scacchiera. L'uomo deve fare bene le sue mosse e deve giocare bene la partita; ma esso non sa se e come riuscirà a vincerla. Rimane difficile adottare una qualsiasi strategia anche perché non sappiamo neanche se è possibile vincere la partita e se sia la sola ragione lo strumento più adatto a giocarla. Non conosciamo neanche il volto dell'altro giocatore. Sarebbe assurdo pensare che sia un Dio quello contro cui giochiamo (semmai anche Lui starebbe dalla nostra parte); mi piace invece credere che l'uomo debba giocare la partita proprio contro se stesso. Se così fosse , dovremmo però riconoscere che , dopo che si è tanto indagato, il mistero maggiore resta proprio lui. Non c'è verità che vista da una prospettiva diversa non possa essere considerata un errore; non c'è errore che non contenga una qualche verità. Metafisica. L'uomo soggetto al tempo non conosce verità. Chi vive troppo legato al proprio tempo è soggetto a fare molti errori, ma vive. L'uomo sarebbe la più perfetta delle creature se non si rovinasse per qualche particolare, per lo più insignificante. La presunzione di sé è necessaria per far valere la propria volontà; essa è una qualità utile, in una qualche misura, nelle competizioni sportive e nell'agone politico; ma se si vuole far fare un passo avanti alla conoscenza alla conoscenza, deve essere tenuta da parte: essa è un ostacolo, la trave nell'occhio che impedisce di vedere qualsiasi verità. L'arte di percepire la realtà in modo puro non si impara dai libri, ma da un'osservazione attenta delle cose naturali, che è per lo più innata. E' questa che fa la differenza fra l'artista e l'uomo di cultura . Non chiedere alla scienza quello che non può dare, è una condizione per mantenere la fiducia in essa. Chi, osservata la transitorietà delle cose e la vanità terrena, si dà alla contemplazione non è da compiangere ma, in una certa misura da ammirare; anche lui lavora, come l'artista, per rendere imperituro ciò che è perituro (l'uomo), l'essere che, in quanto mortale, è appunto da compiangere. Egli lo fa però in modo diverso: mentre l'artista si immerge nella vita, l'asceta se ne distacca. S. Francesco non ha lavorato per l'eterno meno di Goethe, anche se non ha lasciato scritto quasi niente e Goethe non viene ricordato per i suoi innamoramenti senili ma per la sua poesia immortale. Un solo fenomeno non prova nulla; molte teorie sono cadute dopo che sono state confutate da un esperimento. La vita degli uomini comuni torna sempre a ripetere gli stessi errori, lasciando volentieri le verità imbalsamate nei volumi degli uomini migliori. Dare forma al proprio pensiero in modo forte e chiaro, senza lasciarsi distrarre dal silenzio assordante che ronza intorno. La condizione ideale per parlare chiaro è quella di condurre un'esistenza periferica ; dalla periferia è più facile parlare rettamente, mantenendosi al proprio posto; chi sta troppo al centro invece è più facile che faccia da bersaglio e , come chi sta in alto, è destinato a cadere con un gran tonfo. La separazione fra presunzione e grazia spiega molto del carattere dei tedeschi: la loro idea della grazia è una conquista dovuta soprattutto ai meriti della "Teologia tedesca" ( tradotto in Italia con il titolo "libretto della vita perfetta" di anonimo francofortese ed. Newton Compton) e testimonia il misticismo di questo popolo; l' eccessiva presunzione dura e talvolta cieca i tedeschi l' hanno purtroppo messa nella loro boria nazionale e nel pangermanesimo, con esiti storici nel ventesimo secolo da tutti purtroppo conosciuti. La presunzione mitigata dalla grazia fa invece la civiltà dei francesi, intrisa di raffinatezza, di mondanità e di indispensabili vanità. Ciò che nella vita è poco durevole, come la freschezza e il profumo della rosa, nella poesia e nell'arte si presta a rivivere l'immortalità. Spesso giudichiamo mal fatto ciò che non riusciamo a capire. Considerare la fede come un "capitale domestico e segreto" - come fa Goethe - forse non riesce a spiegare come l'uomo possa arrivare alla salvezza eterna e alla grazia, ma fa capire come riuscissero ad arrivare a crederlo i borghesi che furono i protagonisti della riforma protestante. Le aspirazioni superiori che abbiamo tutti non sempre riescono a riscattare certe basse volgarità della vita. Nonostante la diffusione e lo sviluppo della scienza, nessuna società era riuscita a far circolare il falso sull'uomo come la nostra: nessuna è stata in passato altrettanto oscurantista. Da "Kunst und alterthum" (cose proprie e appropriate) E' molto più facile prendere per vera una cosa falsa che falsificare una verità apparente. Per questo motivo, nella scienza, la funzione critica è importante quanto la scoperta. Quando siamo giovani, siamo troppo proiettati nel futuro e più difficilmente riusciamo a vivere serenamente il presente; così noi ci lasciano sfuggire la parte più bella della nostra vita. Tutti noi in genere viviamo o del passato o nelle aspettative per il futuro e mal sopportiamo l'unico tempo che ci è dato vivere: il presente. Appena si vuol fare qualcosa di meglio si pensa subito di uscire dal bisogno innato; quando si è raggiunta la ricchezza alcuni si accorgono di non essersi liberati per questo dalla propria miseria: sono quelli che dalla vita hanno imparato qualcosa. Proprio quelli che riescono a pensare per sé, senza essere disposti a farsi togliere alcunché dagli altri, di solito riescono meglio ad unirsi, anche in politica, nel nome dell'interesse comune; e la fanno da padroni. Il mondo empirico dell'uomo è in massima parte un'alchimia che tiene unite insieme malvagità e follia. La politica cerca di trovare un punto di equilibrio; l'etica è un'altra cosa. Trovare un matematico superstizioso fa un certo effetto; è come se la ripetizione dei numeri gli avesse lasciato un tic nervoso nella mente: la superstizione appunto. La fiducia, come il pregiudizio, nasce da una pigrizia della mente, ma - a differenza di quello - è suggerita da una disposizione dell'animo positiva che (non è poco) indica più moralità. Nella cultura induista il male è conseguenza delle azioni negative della vita dell'individuo o delle sue precedenti che tutte insieme determinano il suo karma; bisogna avere molta fiducia nell'uomo per vedere nelle condizioni di vita disordinate di un momento - come fa Goethe - una "pietra di paragone del carattere e della massima risolutezza" di cui potrà essere capace in futuro. Purtroppo nella vita i furbi e i faccendieri prevarranno sempre sugli onesti, se non altro per una caratteristica che quelli hanno più di questi, come indica bene questo detto: "I birbanti quando si incontrano si riconoscono subito fra di loro e fanno società". La verità non è disgiunta dall'amore: chi prova amore non ha bisogno di ingannare o di lusingare gli altri. Difficilmente un autore riesce a mantenersi insensibile e indifferente alla critica e massimamente alla lode che crescono con la fama; per questo le opere migliori vengono scritte dai loro autori quando essi non sono ancora tanto conosciuti. Il rapporto fra le masse e i loro idoli si spiega bene anche con la teoria della gravitazione universale di Newton: quando un uomo capace acquista forza, le masse gli gravitano intorno, ma appena si indebolisce si allontanano; qualche leader, per eccessiva forza, collassa. "Chi trasmette i miei errori è il mio signore, quand'anche fosse il mio cameriere". (Goethe) Questa massima, degna di un Faust, Goethe avrebbe dovuto onorarla con il giovane Schopenhauer, quando questi gli inviò il saggio sulla "Teoria dei colori e della vista". In esso Schopenhauer riconosceva il debito che egli aveva nei confronti del maestro che gli aveva aperto la strada, ma scopriva anche qualche errore che Goethe aveva fatto nella esposizione della sua "Teoria dei colori". Allora Goethe invece non prese in considerazione le critiche dell'allievo e sfogò invece - scriverà poi Schopenhauer - il suo disappunto in epigrammi simili a questo: "Volentieri sopporterei di fare il maestro se almeno gli scolari non volessero subito diventare maestri". (Vedi A. Schopenhauer, "La vista e i colori",SE 1998, p. 19) . Se Schopenhauer fosse stato Mefistofele, con la prima massima, sopra indicata, Goethe avrebbe venduto l'anima al diavolo per l'eternità. Andando avanti e indietro con le "massime" , fin quando qualche nodo viene al pettine. Quando coloro che lavorano si fanno pagare bene e pretendono tutti i diritti, si può a buon diritto pretendere che essi facciano un buon lavoro; bisogna tuttavia riconoscere che i lavori fatti bene sono pochi e non dipendono da questi fattori, ma da chi li fa. Il senso del sublime, che è insito in ogni idea romantica e che Goethe vede ben espresso da un paesaggio "sottoforma di passato, solitudine… assenza o distacco", viene all'uomo da intuito senso di precarietà dell'esistenza che è nel ricordo delle cose passate, nelle stagioni, nei grandi spazi infiniti. Esso è stato espresso al massimo grado dal nostro Leopardi nella poesia "L'infinito". Veni, creator spiritus. L'appello al genio più compiuto rimane in senso proprio quello che Faust fa, a notte inoltrata, nella parte prima della tragedia, davanti al suo leggio: "Tu mi sei più vicino, o spirito della terra. Ecco già crescono le mie forze e brucio, come per vin novello. L'animo mi prende di osare per il mondo, di sostenere e male e bene di questa terra, di battermi contro le tempeste, di non tremare nello schianto del naviglio che naufraga…"(Faust, Mondadori, 1935, vers. Di Guido Manacorda) E' un primato dell'uomo e dell'artista, conquistato sul campo. "Il bello è la manifestazione di leggi segrete della natura che, senza la sua apparizione, ci sarebbero rimaste per sempre nascoste." (Goethe) Così dice l'artista! Ma il filosofo potrebbe insinuare che sta proprio qui l'enigma: il bello, queste leggi le nasconde; altrimenti come potrebbero essere segrete, pur essendo messe in evidenza dalla natura con la bellezza? Una promessa di sincerità impegna un animo nobile più di un giuramento. L'ingratitudine è pur sempre segno di debolezza, eppure è uno dei comportamenti umani più diffusi insieme all'egoismo e al desiderio di possesso; sono pochi i forti che danno senza interesse e ricevono con gratitudine. Questo spirito straordinario, invocato da Goethe, che non solo erra ma prende addirittura gusto all'errore è lo spirito della natura. Essa vive attraverso noi tutti che non ci rendiamo conto, così limitati come siamo, di perpetuare l'errore. Noi diamo torto alla verità sempre: non solo quando "vogliamo" ragione ma anche quando viviamo e vogliamo riprodurci, con tutti i nostri difetti ed errori: esso ci permette di farlo…e ride. Il solo modo per portare a compimento il buono e il giusto, senza ritardi o precipitazioni, è quello di assolvere il nostro compito senza timori e senza aspettarsi riconoscimenti, compensi e onori. La settima arte, il cinema, che associa nella narrazione parole e immagini con un "realismo" inconcepibile nei tempi passati, non permette più di fare quegli errori, che appartengono all'infanzia dell'umanità, che nascevano quando "si esprimeva con le immagini ciò che non si poteva esprimere a parole" e viceversa, da cui - come scrive Goethe - "nacquero i mostri simbolico-mistici"; il cinema esprime direttamente la mostruosità, senza possibilità d'errore, da qui è nato un nuovo genere: "l'horror". "Chi si dedica alle scienze soffre prima di ritardi e poi di anticipi…" (Goethe) Due generi letterari popolari molto diffusi: i racconti del mistero e la fantascienza sono nati da questo atteggiamento con cui la gente comune si rapporta alla scienza e alle sue scoperte: prima di incredulità e scetticismo, poi con le attese esagerate e come se tutto fosse già noto. Aneddoti e massime sono nati per un uso mondano, per farne sfoggio nel bel mondo; non è facile piegarli all'uso inverso: per segnalare una qualche verità su di esso. Lo scienziato parla della natura con il linguaggio della ragione, l'artista con quello dell'intuizione. Il primo la studia per conoscerla; l'altro, che già la conosce, la interpreta. Quando c'è un interesse molto forte a conoscere cose nuove, a volte la memoria considera le altre conoscenze d'ingombro e le mette da parte. Nasce da qui quella certa aria di distrazione che hanno certi grandi pensatori. La musica esprime al massimo grado l'essenza del mondo, tanto che esso potrebbe anche essere rappresentato solo con quella, come una complessa sinfonia. Anche i migliori professionisti sono dilettanti; quelli che non si sentono tali possono essere considerati ex-dilettanti che hanno trovato il lavoro ma hanno purtroppo perso la vocazione. Come interpretare l'esultanza di gioia con cui la gente di molti paesi arabi ha accolto la strage delle torri gemelle di New York dell'11 settembre? La gioia per il male altrui spiega i piccoli come i grandi fatti di sangue; essa fa dire al grande drammaturgo che niente è più dolce del sangue che sgorga dalla vendetta. Personificazione. Perché una massima raggiunga il suo effetto, non basta che essa sia intelligente e ben formata: deve mostrare un'anima. Essi vorrebbero farsi guidare solo dalla ragione; ma l'errore che vedono è la trave nell'occhio che impedisce loro di percepire ogni verità. Ognuno ha una propria verità sul rapporto di se stesso con il mondo; stabilire qual è la verità comune è motivo di esistenza di tutte le chiese; arrivare a conoscenze parziali sul mondo è stato il difficile compito delle scienze; ma non avremmo di esso la giusta rappresentazione se non vi fosse stato un percorso millenario del pensiero filosofico e la visione convergente di tre grandi geni della filosofia: Platone, Kant e Schopenhauer. Il particolare finisce sempre per prendere il posto dell'universale; l'universale si nasconde sempre nel particolare. A ben guardare, di veramente creativo c'è solo la natura; solo questa non ha padroni. Per il resto si può parlare di libertà solo in modo relativo: a cominciare dall'uomo e dal suo pensiero. Tante verità parziali non fanno una verità universale, ma possono ben darci di essa qualche sfaccettatura. La scienza dovrà fare un salto d'ingegno per passare dalle tante verità parziali ad una visione d'insieme. L'artista non può fare il salto dal punto di vista particolare alla visione d'insieme: la sua arte ha per oggetto proprio il particolare, di cui egli è l'interprete più degno; la visione d'insieme la persegue solo il filosofo. Il tempo è un elemento interiore del nostro proprio essere. L'uomo, anche se vive in una periferia sperduta dell'universo, non vuole ammettere quanto sia rimasto antropocentrico. Una distinzione che non ha fondamento nell'intuizione è astratta e non dà niente all'intelletto. L'uomo è uno spermatofite carnivoro, capace anche di uccidere. Nella lingua è concentrata tutta la potenza intellettiva dell'uomo: la tecnica, l'intelligenza e la fantasia; essa mette in evidenza pregi e difetti della mente, come nessun'altra attitudine. L'imputato al giudice: "Signor giudice, se si dovessero studiare tutte le leggi come fa lei non ci sarebbe più tempo per trasgredirle. E si sarebbe tutti persone 'oneste' come lei". Questa massima ironica mi ricorda una battuta di Totò in uno dei suoi film. Egli fa l'avvocato che cerca di difendere un povero ladro di fronte ad un giudice: " Signor giudice - dice pressappoco Totò - il mio assistito con quella faccia da ladro che si ritrova potrebbe mai fare il ladro? Certo no, lo riconoscerebbero subito… Lei invece, signor giudice, con questa faccia onesta che ha potrebbe semmai essere un ladro; chi potrebbe riconoscerlo?". Non si può vivere solo per sé, non si può vivere neanche per alcuni , per coloro che vorremmo sempre accanto a noi, né tanto meno per gli altri, non si può vivere solo per 'qualcosa' ; la vita non si placa in un fine e, anche se siamo abituati a programmarla, finiamo tutti inevitabilmente per subirla. Anche l'appello alla posterità, implicito in ogni atto di scrittura, è sostenuto dalla fede nella verità e dalla speranza che esista qualcosa che non perirà. I 'misteri' sono candidati alla vita assai strani, tanto che ci si comporta con loro come con i moribondi: prima vengono interrogati da tutti i professori poi, se questi non sanno dire niente di loro, vengono lasciati al parroco. Stiamo freschi, se andiamo appresso a tutti i "convertiti"! L'errore che Goethe avrebbe fatto da vecchio, per essere stato troppo restio nel riconoscere i meriti del giovane Schopenhauer, non compensa l'altro errore - da lui stesso confessato - di aver favorito troppo "appassionatamente" e "a cuor leggero" , " i talenti problematici". Dal che si deve dedurre - se non si vuole ammettere la malafede - che la cosa più difficile per una persona geniale è quella di riconoscere, in un altro individuo, il genio o il talento come il suo. La sincerità è come quella zitella che tutti vogliono e nessuno piglia: se la prometti sempre conservi le amicizie, se la mantieni te le fa perdere. Signore, popolano, nobile, borghese o proletario: umano, troppo umano! Il genio ha in antipatia il pensiero liberale perché rivendica per tutti ciò che la natura ha concesso a pochi: la libertà di pensare; la libertà di parola serve a poco senza quella. prof. Francesco Rossi - Nuova pubblicazione |
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