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Questa è una pubblicazione di documenti inediti E-Mail: prof@francescorossi.it
Raccolta di Poesie inedite e di Prose
(un parroco di campagna)
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Sardegna
Sardegna amata
parte vivente della patria mia
ancor nel cuor calda rimani
'si dolce e aspra come una malia;
quale ti vidi, in sogno or ti rivedo.
Vedo le tue cime disegnate
come merletti, da incantate mani
di fata, o da giganti pazzi
squassate, e in forme strane e belle
issarsi su fino alle stelle.
Vedo quel mare, tinto di cobalto
e di turchese, e di colore inesistente
fuorché nel sogno, adagiarsi quieto
in mille insenature, e tu non sai
se laghi o mare in sé racchiude
la costa aspra e diruta, oppur ridente.
Vedo, sparsi nelle valli e a monte,
I tuoi nuraghi antichi e fieri,
che narran gesta di mistero vaghe;
E la tua gente vedo in apparenza,
come aguzzi monti asprigna,
ma come la conosci, al mare
dolce, quieto e incantato più somiglia
seppure del nuraghe fiero è figlia.
Piccolo punto rosso, perso
nell'azzurro, Marte!
l'uomo ha tolto in parte
I veli ai tuoi misteri.
Costà la sete l'ha condotto
di sapere se vita esista,
di sapere se simile a sé qualcuno
un giorno lì dimora prese,
e se il dono della vita
e la sapienza spese
meglio di noi, in odio
gli uni contro gli altri armati.
Voci della natura
E' bello svuotare il cuore
e i sensi di umani suoni
di rumori artificiali,
sostare lì nel bosco
di fronte al mare senza orizzonte,
ad ascoltare nella quiete
lo stormir del vento,
che in modo diverso
fa cantare le diverse fronde,
ascoltare la voce del mare
quieto, o dell'onda spumeggiante
che a riva si riversa.
Suoni, che di vita nuovi
ti riempiono fin nel profondo
e danno nuova dimensione
al consueto
per non restar sommersi.
Ho visto una bimba all'asilo:
correva, correva a darmi un saluto
e tendeva la piccola diafana mano,
gli occhi di cielo sul viso di rosa,
la veste: un fiore sull'ali del vento;
s'è fermata a guardarmi un momento
e ho letto in quel candido sguardo
come un piccolo vago sgomento.
Le ho donato un sorriso
una carezza, e quel viso
è tornato d'incanto sereno
come un cielo senz'ombra di nube.
Or la bimba giuliva m'invita
ai suoi giochi infantili, beati,
la seguo e incantato sorrido
mentre mi danzano intorno
altri bimbi e per poco mi trovo,
in un mondo irreale, felice
senza i gravi perché della vita,
cullato da una pace infinita.
Mossa dal vento, acacia,
dondolando, a incensiere somigli,
che spande attorno acre profumo;
ma ti rivesti di pungenti spine,
come robusti artigli.
A difesa del fior tue spini poni,
o il fior è l'esca per sbranar la mano,
che vuol ghermirti invano?
Candida neve hai ovattato intorno,
cose belle e cose orripilanti,
pianificato tutto e ingentilito
in una vana e orrida finzione.
Basta il dolco dell'aria o un po' di sole,
e accanto al verde, al bosco ed alle aiuole,
ecco: c'è l'acqua putrida, stagnante,
rifiuti, concio ed altro luridume.
Perché lo spreco di candore dura
poco, e nasconde tanto di sozzura?
Ultima foglia, guardi sbigottita
Le tue compagne giù nella fanghiglia
marce, e tu resisti più accanita
al vento, che rapirti vuol senz'onta.
Eppur, tua vita, ormai, lassù che conta?
Fatti rapir dalla suadente brezza;
tua morte ha sol di morte la parvenza,
giacchè, a terra in umore trasformata
linfa sarai,a la pianta risvegliata.
Nel delizioso oblio dei miei pensieri,
che come aspri diruti sentieri
tentan salire al monte, e in anfratti
van dispersi senza meta sortire,
la primavera posa i suoi colori
nuovi, come su linda tavolozza.
Vedo panni garrire in balia
del vento e del sole di marzo
come bandiere d'ignoti paesi;
i passeri garruli, tesi
a la ricerca di stecchi e falero
per una casa che accolga gl' implumi.
Vedo bimbi in trastulli contenti,
tra le gonne lunghe di nonne
che guardan stranite, ed assenti
dal brusco risveglio de la natura.
Vedo lontano i prati fioriti,
più lunghi, fiocchi di nubi: leggeri,
frettolosi, in azzurri sentieri
di cieli, e lassù per ora mi quieto
sovra i monti per altro cammino.
O pino ricurvo e scorticato
come un osso roso e spolpato
da famelica muta di cani;
qual ginestra patita e sparuta
su pietrisco assolato
coi tuoi rami dagli aghi riarsi
io ti ammiro!
So delle titaniche lotte
Con il salso vento ruggente;
lì sei rimasto:
curvo, ma fermo alla terra aggrappato,
e ferrigno, sebbene piegato.
Io t'ammiro!
Tempesta
(vista dalla
spiaggia)
Il mare torvo, nel profondo scosso,
inquieto ribolle e a riva
con gelido lamento irrompe.
La roccia attende ferma e lo respinge,
e il mare, la sua schiuma iroso,
al cielo avventa e la riversa
sull'incalzar dell'implacabil onda.
Tale titanica lotta perenne,
tra lo spirito e
il multiforme male
sull'uomo giganteggia amara,
e non trova, talor, salda roccia
ad impedir, che il dilagar sommerga
in un sol balzo l'opre, con fatica,
a poco a poco, alzate.
Stella filante
Oscuro frammento di stella
di un mondo lontano,
vagavi sperduta,
in spazi infiniti di cieli;
poi ti affacciasti a la Terra
di vivida luce vestita,
ma fosti dal nulla di morte,
all'istante rapita.
Simile a stella cadente, pare,
l'uomo che sorte a la vita:
si accende, consuma e scompare.
Eppure non viene inghiottito
dal nulla, chè il solco tracciato,
splendente od opaco rimane,
a renderlo salvo o dannato.
dall'aspra scogliera, fissare
il cielo terso che s'immerge in mare,
spaziare oltre l'acqua colorata
di verde e di turchino,
riempire il vuoto dei sensi
d'infinita quiete.
Passa una vela, come in un sogno,
e subito scompare
dall'acqua, come dal pensiero.
Soli, davanti a me, si stanno
il cielo e il mare in ampia distesa
che, fuori del tempo, al cuore danno,
gaudio arcano, d'infinita pace.
Cimitero di campagna
Da un vetro di finestra incorniciato
da regoli di legno, vedo,
tra i rami ossuti di un ciliegio,
al di là dell'asfalto nero,
oltre il marrone campo arato,
il regno dei morti, il cimitero.
In mezzo al verde caldo e riposante
bianca si staglia dal tenero grano,
come un giardino fiorito di gigli:
sono dei morti le candide croci,
stese lì in fila, le croci dei figli
tuoi o terra, che loro offri riposo
fino al tuonar delle angeliche voci.
Di lì dall'orrido asfalto; in quel verde
l'anima mia talvolta si perde,
come a braccia distese
fosse arrivata la quiete.
Alberi e uomini
Alberi tetri con i rami spolti,
aperti, come mani scheletrite,
volte in alto ad implorar mercede;
il ciel sarà con voi pietoso,
e veste vi darà di gran splendore
con la sua luce e il suo calore,
e, fatti belli per i fiori e frutti,
di vostri doni sazierete molti.
Così per voi il ciel sarà piegato
verso quei poveri mortali
dimentichi d'alzar le loro mani.
che, in lunghe file smodate e confuse,
chicchi di grano, a fatica, al sicuro
portan pel tempo triste futuro;
nel labirinto di scale e cortili,
dalla Chiesa a le celle in silenzio,
vanno i preti con grani preziosi
che poi, porteranno lungi, dispersi,
in cibo per loro e per tutti,
perché nei tristi giorni, d'inedia
l'umana famiglia non muoia.
Già fiume fosti rigoglioso e snello
d'acque gorgogliante in moto
or lurido rivolo, morto,
con fetide pozze di lato,
a stento , in mezzo a rovi e serpi, avanzi,
morte aspettando con lenta agonia;
tua vita è sospesa a lacrima pia
di nube piangente tua sorte.
L'uman travaglio in ugual modo scorre:
or nella gioia e quindi presto a morte
quale fiume riarso e succhiato,
che attenda aiuto dal cielo placato.
O ponte della Pia
roso dagli anni e teso ad arco
tra le verdi e tacite sponde
de la Rosia
quale mistero tra le pietre nere
in te si nasconde?
Vecchio, ricurvo, immobile ti specchi
sull'acqua sempre come il tempo in fuga.
Ormai non senti freddo o sole
assente, nel passato immerso
non ti desta il rumoroso asfalto
e ascolti il nitrire di cavalli
grida di briganti, il suon de' corni
ed il latrar dei cani
che riempivan le temute valli
triste passaggio a la maremma
ove morte disfece
chi in passar ti donò la fama e il nome.
I tuoi segreti, l'acqua andò a posare
oltre Maremma nel profondo mare.
Davvero malinconico sei
autunno, e mi costringi inerte
in umida stanza ed il mio sguardo
per poco spazia oltre la finestra,
che fitta nebbia l'orizzonte chiude,
solo alberi nudi o quasi vedo
e foglie gialle, ultime foglie
di una chioma folta e verde,
cadere a imputridire nella fanghiglia.
Quanta tristezza mi invade
quasi mi sento come foglia gialla
che nella nebbia dal suo ramo cade.
Ma l'autunno, primavera precorre
e il chicco, che nel solco muore,
sarà turgida spiga nell'estate:
così, contro ogni speme, spero.
Splende di luci variopinte,
oggi, l'albero di Natale:
ninnoli e palloncini a varie tinte
e un argenteo nastro messo lì a spirale
e poi, in mostra posti, tanti doni.
Ma per chi sono quelle cose appese?
Non so. Io però vedo tante mani,
o quante! Invano tese,
non per carpire inutil dono,
ma per avere un po' di pane
e non morir d'inedia.
Albero di Natale è una commedia
allora tutto il tuo splendore?
Non posso dir, ma il dono avuto,
come i tuoi aghi pungono, punge il mio cuore
che fino ad abbagliante stella sale
e vedo alzate tante mani vuote.
Vorrei esser albero gigante,
con rami, stesi al mondo intero,
piene di doni per dar gioia e vita;
e ciò darebbe al cuor pace infinita.
Natale presso il caminetto (Vigilia di Natale 1964)
E' freddo! Il caminetto acceso
sprigiona il suo tepor gioviale,
nell'ozio di un momento, preso
sono dai miei ricordi, ed il passato
oggi ritorna e come un libro amato
si sfoglia davanti a me veloce,
come legna che arde si consuma.
Ed ecco al crepitar delle ginestre,
una pagina scorgo ed il tuo viso,
come d'incanto, vedo e il tuo sorriso
alto risuona come una sorgente
che improvvisa zampilla.
Ma presto guizza l'ultima scintilla;
ora sotto poca cenere grigia,
ancora sono due carboni accesi
come orchi che guardano dal buio.
Senza un perché, d'impulso
con la cenere i tizzi copro
e tu scompari come sogno, amico.
Forse là sotto non morirà quel fuoco
domani vedrò se è spento o acceso.
Frattanto scorgo splendere una luce
che a povera grotta a forza mi conduce
ove gran foco in picciol cuor racchiuso
il mondo scalda, ed io là poso.
Se vuoi, là presso anche per te c'è posto;
là, se ti fermi, puoi trovar riposo.
Tra il verde degli agresti prati
e il bosco ombroso,
quieto riposa il lago
in un bacile d'alghe,
di giunchi orlato e di canneti.
Presso la riva vi brillano i girini,
in moto, come lingua
di ramarro al sole ozioso;
una ranocchia con la voce roca
dà il via a un assordante coro
mentre dall'altra riva sullo stesso tono
rispondono i germani in branco
intenti a spollinarsi pigri;
anche l'usignolo ora compone
con zampillo di note
un'armoniosa sinfonia.
Il fagiano stizzito vola via
con canto sgraziato verso il folto.
Poi come d'incanto uno zittire
pieno di paura:
volteggia un falco ad ali aperte
e guarda quale preda può ghermire.
Dalle materne braccia,
robuste,
di tigli dalle frondose chiome,
al cielo superbo ti innalzi, come
faro che splende in isola deserta.
La voce tua or lieta festa
Or triste e a singulti, invano risuona.
E tu spesso, assorto e smarrito taci,
ascoltando, stupito, le atone voci,
a volte nemiche, di gente
ignara del Bene, che tu, vessillo
in alto teso, a' mortali additi.
L'acqua saltella
e canta nel
ruscello,
che in trasparenza cristallina il fondo
lascia vedere ancor dov'è men bello.
Corra il ruscello o tardi è pur giocando.
In grande e torbo fiume indi va snello
Ma il canto muta in lamentio profondo
Maestoso avanza, e asconde fello
Sott'acqua minaccioso ignoto mondo.
Tal è la vita somigliante a un rio,
all'albeggiar lieta e serena scorre,
e ha l'occhio acceso di un candor beato.
Poiché l'età maggior paga un desio
La forza ahi! quanto la bontà precorre,
e rende la doppiezza l'uomo ingrato.
implumi e già ai voli
avvezze. Sono tornate a
godere dell'ebbrezza del mare del sole
e di quest'aria che dà salute.
Sono tornati e i loro gridi
rivestono di armoniosa vita
la Colonia.
Com'eri sola senza di loro
e triste e…ora
ti sei vestita a festa qui e
nel mare sotto l'azzurro
del cielo e sulla spiaggia
e al mare che all'infinito
sull'onde portano i vostri canti
di gioia.
Sono tornate come rondinelle
implumi molte, e l'altre ai voli avvezze.
Sono tornate per…l'ebbrezza
del sole marino e di quest'aria pura
che l'alma allieta e sempre il corpo cura.
Sono tornate garrule a gridare
e la colonia d'armoniosa vita
dopo lunghi mesi rivestita
è come ornata a festa e là sul mare
sotto l'arco del cielo tinto d'azzurro
l'onda raccoglie…grida e canti
e poi li porta a svanir in un sussurro.
Roma, dai colli che ti fan corona,
tra la bruma leggera, le tue case
e i palazzi pallidi, vedo;
da lungi di fioca luce vestita:
a vasto cimitero,
con ineguali lapidi, somigli.
Ma se scendo tra il caro incomposto
di voci stridenti che sembra
l'intima vita dell'uomo appiattire;
se tendo l'orecchio
dell'anima mia
non tardo a sentire voci di bimbi, suonar di
campane
un intenso sommesso pregare
la voce del Padre accorata
e il cimitero moderno sparisce.
In
solitario loco, lungi, in passato
timida mammoletta sei sbocciata; per
chi la tua bellezza delicata e
il tuo profumo spandi a te d'intorno?
Meraviglie marine negli abissi immerse
viventi in forme vaghe e il colori per
chi stanno nascosti gli splendori che
mai forse vedrà nessuno al mondo?
Galassie opache di sperduti mondi che
niuno mai nel cosmo vedere potrà per
chi tracciate luminosa via ove
il finito bacia l'eterno?
Quanti perché buia mente a scandagliare
spesso adusa, come in acqua sorgiva
vedere vorrebbe fino in fondo viva la
verità, ma troppa nebbia è intorno.
Solo il caso bastardo e onnipotente
potrebbe aver bene così scherzato
oppur l'Amore d'uno che ha pensato che un bimbo o un genio un dì forse vedrebbe.
C'è un denominatore comune in fondo ad ogni
nostra azione in cima ai nostri desideri: essere
felici.
Non è solo un istinto ma la ragione e la
volontà
sono esse pure indirizzate alla ricerca della
felicità .
Come può Dio aver messo un desiderio così
essenziale non
realizzabile: sarebbe ingiusto.
Eppure una felicità piena duratura senza ombre
sembra che non si possa trovare. E allora?
Non cammineremo forse in una strada diversa da
quella che Dio ci aveva assegnato? Qual è il
progetto
di Dio per rendere felice l'uomo? Bisogna risalire
alle origine guidati dalla Bibbia e da una
sua
interpretazione giusta Vorrei premettere che
quando leggerete i primi capitoli del Genesi
dovete tener presente che non va inteso tutto
in senso letterale ma sotto una descrizione
allegorica, mitologica, ripresa da altre
tradizioni
religiose, c'è un messaggio religioso che riguarda
la nostra esistenza ed è quello che dobbiamo
scoprire
e far nostro per capire il progetto di Dio
sull'uomo.
Dalla lettura del Genesi emergono tre idee base
Che ci fanno capire come Dio voleva l'uomo felice.
Queste idee hanno come origine l'amore di Dio
Che si vuole comunicare alle sue creature.
1)
L'uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio
2)
L'uomo è chiamato da Dio e con Lui ad essere il dominatore,
concreatore, collaboratore suo.
3)
L'uomo si completa nell'amore verso gli altri - uomo - donna -
uomo inserito nella società.
L'uomo chiamato a seguire queste direttive , si
realizzerà
pienamente e sarà felice.
Ma allora! Perché questo non avviene? Perché
l'uomo
fin dall'inizio ha detto no al suo creatore che
lo chiamava a vivere nella felicità accanto a sé?
Come sono andate le cose? La risposta sarà per
forza
di cose un po' inadeguata, perché sia la scienza
che
la Bibbia non ci danno un quadro esatto della
situazione.
In che cosa è consistita questa disobbedienza?
Quando l'uomo
nel suo sviluppo ordinato e voluto da Dio è
arrivato alla
coscienza di sé e ha potuto dire un sì
libero a Dio che
gli prometteva la felicità in una dipendenza ed in
uno scambio
di amore , egli non ha detto di sì ma al posto di
Dio ha messo
se stesso, il suo punto di vista, l'amore di sé,
cioè l'egoismo
e ha detto di no. Qui ci sono vari problemi che
leggendo il genesi verranno fuori , non si può dir
tutto
lo scoprirete da voi.
C'è una virtù,
poco praticata anche dai cristiani
perché si pensa che debiliti l'uomo e lo
diminuisca
questa virtù si chiama umiltà.
Eppure l'umiltà non è altro che verità
l'uomo spesso si costruisce un piccolo
mondo falso nel suo cuore, un regno di cartone
di cui egli si fa re.
A pensare bene, l'uomo dinanzi al cosmo infinito
dinanzi agli esseri viventi che possono, persino i
più
piccoli, minacciare la sua vita è
muto, piccolo e misero. Anche dinanzi
ai suoi simili egli non deve credersi troppo
al di sopra , perché quasi sempre è fitta di….
La scala su cui l'uomo sale per guardare in basso.
Gesù ci raccomanda la pratica di questa virtù
con le parole e soprattutto con l'esempio. Dalla
culla di Betlemme
alla croce del calvario, la sua vita è esempio
di profonda umiltà. Questa virtù è la roccia salda
su cui poggiano gli uomini di valore ed è
necessaria per ogni cristiano che voglia
essere
seguace di Gesù non solo a parole.
Racconta Gesù: Un giorno un padrone di un
campo comandò ai suoi sottoposti che buttassero
buon grano nel terreno preparato. Tutto fu fatto a
perfezione. Ma di notte un uomo cattivo gettò
mal seme in quel terreno. Quando il grano
nacque se n'accorsero i contadini e, andati
dal padrone, chiesero il permesso di sradicare
le erbacce. Il permesso non fu dato perché
era facile insieme alle erbacce sradicare anche
il buon grano. Alla mietitura avvenne
la separazione: il grano fu messo nei granai
le erbacce finirono nel fuoco.
Il terreno preparato per la semina è il
nostro cuore, il battesimo ha messo il
seme della grazia di Dio insieme
ai piccoli preziosi semi della virtù.
Stiamo attenti che di notte non venga
il nemico a gettare il mal seme nel
nostro cuore. La notte è la dissipazione,
l'apatia, l'indifferenza, la mancanza
di vigilanza. Vegliamo affinché il seme
della grazia di Dio e della virtù non
vengano soffocati dai mal semi delle
nostre piccole e grandi passioni.
Convinto della necessità di un mondo migliore da rifare dalle fondamenta e
convinto che io come sacerdote secondo le mie possibilità sono chiamato a
codificarlo facendomi docile strumento nelle mani di Gesù, prendo le seguenti
risoluzioni. Farò
le mie pratiche spirituali secondo la lettera dell'"Azione Apostolica" alla
quale sono iscritto, con lo spirito di rifare un mondo migliore.
Almeno ogni mattina alla vista del S.S. Sacramento e all'esame di coscienza
farò l'offerta di me stesso e delle mie cose a Gesù per le mani di Maria S.S.
cercando che questa offerta non abbia stonature nella pratica. Umiltà:
Ricorderò nel santo Sacrificio coloro che nella giornata mi hanno fatto un
torto. Ogni primo giovedì del mese dirò un Te Deum di ringraziamento per il bene
che hanno fatto i miei confratelli.
Ubbidienza: Salvi i diritti alla vita dei miei genitori, mi metterò
completamente nelle mani del mio Vescovo perché egli disponga di me come vuole.
Castità: Esporrò sempre sinceramente al confessore ed al direttore
spirituale lo stato dell'anima mia e seguirò alla lettera i loro consigli. Ogni
mio Rosario avrà una posta per chiedere alla Madonna di essere sempre più puro.
Carità: In ogni mio simile cercherò di vedere attualmente e potenzialmente
Gesù e io ricorderò sempre che ha festa nel mio cuore. Cercherò di amare tutti
noi: i bimbi, i poveri, i malati, i peccatori avranno tutte le mie preferenze.
Un'ora del mio breviario per i sacerdoti apostati. Tre
Ave Maria del Rosario per la conversione dei dirigenti comunisti. Ogni sera
prima di andare a letto rileggerò questi propositi. Don Lido
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